L’espansione del diritto di comunione sul lastrico solare esclusivo

Vito Amendolagine
22 Maggio 2024

La sentenza della Corte d'appello di Catania in commento si sofferma sugli effetti del giudicato possessorio e sulle conseguenze derivanti dal non uso prolungato, da parte del titolare esclusivo, del diritto vantato sulle aree sovrastanti l'appartamento posto all'ultimo piano del fabbricato condominiale, laddove rilevanti ai sensi dell'art. 954 c.c.

Massima

Il diritto sulle aree sovrastanti l'appartamento posto all'ultimo piano del fabbricato condominiale si estingue, ai sensi dell'art. 954 c.c., per il mancato uso da parte del legittimo titolare esclusivo, con la conseguente espansione del diritto di comunione in favore del condominio, secondo la disciplina prevista in materia di cose comuni ex art. 1117 c.c.

Il caso

La quaestio juris sottoposta all'esame della Corte di merito catanese verte sulla proprietà del lastrico solare se possa definirsi condominiale sulla base della presunzione stabilita dall'art. 1117 c.c., atteso, da un lato, che il precedente giudizio era stato promosso dal solo amministratore del condominio per ottenere la reintegra nel possesso del lastrico solare e la sentenza che lo ha definito si era limitata a rigettare la domanda possessoria, e, dall'altro, che il condominio afferma essere proprietario del lastrico solare per intervenuta usucapione, avendolo posseduto uti dominus per oltre vent'anni.

La questione

Le azioni possessoria e petitoria sono caratterizzate dall'assoluta diversità di causa petendi e petitum ragione per cui i provvedimenti e le soluzioni adottate in sede possessoria, anche in ordine alle prove, possono influire sul giudizio petitorio?

L'abbandono del possesso del tetto e della relativa area sovrastante per non uso del relativo diritto, la cui superficie è destinata solo alla copertura dell'edificio condominiale determina l'estinzione ex art. 954 c.c. in capo al titolare esclusivo del relativo diritto di proprietà sulle anzidette aree?

Le soluzioni giuridiche

La Corte etnea giudica fondato l'appello proposto dal condominio, atteso che quanto al giudicato formatosi nel giudizio possessorio, è dominante in giurisprudenza l'indirizzo a mente del quale, la sentenza resa sulla domanda possessoria non può avere autorità di cosa giudicata nel giudizio petitorio caratterizzato da diversità di petitum e causa petendi, giacché l'esame dei titoli costitutivi dei diritti fatti valere dalle parti è compiuto nel procedimento possessorio al solo fine di dedurre elementi sulla sussistenza del possesso, restando impregiudicata ogni questione sulla conformità a diritto della situazione di fatto oggetto di tutela possessoria.

Pertanto, alla sentenza che ha concluso il precedente giudizio possessorio, se non si è pronunciata sul soggetto cui spetti il diritto di proprietà del lastrico solare, non può riconoscersi l'efficacia propria del giudicato esterno formatosi nel procedimento possessorio.

Ciò premesso, l'appello del Condominio è fondato in quanto il diritto sulle aree sovrastanti l'appartamento posto in corrispondenza dell'ultimo piano del fabbricato condominiale si è estinto, ai sensi dell'art. 954 c.c., con la conseguente espansione del diritto di comunione in ambito condominiale, secondo la disciplina prevista in materia di cose comuni, ex art. 1117 c.c., non essendovi dubbio alcuno che le aree in questione fungono da copertura dell'intero stabile condominiale.

Alla base del suesposto ragionamento, i giudici di merito muovono dalla considerazione che, nella fattispecie scrutinata, il proprietario del terreno sul quale era sorto l'edificio si riservò l'intera area edificabile sopra il tetto posto al di sopra dell'ultima elevazione dello stesso edificio, unitamente all'intera area edificabile posta all'ultimo piano, le quali aree erano dunque rimaste nella proprietà esclusiva dell'originario dante causa, e del cui utilizzo, i successivi aventi causa non si erano avvalsi in alcun modo.

Osservazioni

In ordine alla prima questione, il giudice distrettuale ha fatto corretta applicazione del principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il giudicato formatosi sulla domanda possessoria è privo di efficacia nel giudizio petitorio.

Infatti, nel giudizio possessorio, l'accoglimento della domanda prescinde dall'accertamento della legittimità del possesso, perché è finalizzato a dare tutela ad una mera situazione di fatto avente i caratteri esteriori della proprietà o di un altro diritto reale, sicchè l'accoglimento della domanda prescinde dall'accertamento della legittimità del possesso (Cass. civ., sez. II, 2 dicembre 2020, n. 27513; Cass. civ., sez. II, 16 aprile 2019, n. 10590; Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 2009, n. 21233).

È noto, allora, come la sentenza resa sulla domanda possessoria non possa avere autorità di cosa giudicata nel giudizio petitorio, perché le due azioni sono caratterizzate da diversità di petitum e causa petendi, giacchè il giudizio petitorio è volto alla tutela della proprietà o di altro diritto reale, mentre il giudizio possessorio tende soltanto al ripristino dello stato di fatto mediante un'azione che culmina in un provvedimento suscettibile di giudicato sostanziale, indipendentemente dall'esistenza o meno del diritto al quale il possesso corrisponda, ed il cui eventuale contrasto col giudicato petitorio va risolto attraverso le opportune restitutiones in integrum (Cass. civ., sez. II, 30 giugno 2016, n. 13450; Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 2016, n. 2300; Cass. civ., sez. VI/II, 16 luglio 2015, n. 14979).

La giurisprudenza di legittimità (v., da ultimo, Cass. civ., sez. II, 17 febbraio 2020, n. 3852) ha chiarito che la presunzione legale di proprietà comune di parti del complesso immobiliare in condominio, che si sostanzia sia nella destinazione all'uso comune della res, sia nell'attitudine oggettiva al godimento collettivo, dispensa il condominio dalla prova del suo diritto, ed in particolare dalla probatio diabolica.

Ne consegue che, quando un condomino pretenda l'appartenenza esclusiva di uno dei beni indicati nell'art. 1117 c.c., poiché la prova della proprietà esclusiva dimostra, al contempo, la comproprietà dei beni che detta norma contempla, al fine di vincere tale ultima presunzione è onere dello stesso condomino rivendicante dare la prova della sua asserita proprietà esclusiva, senza che a tale fine sia rilevante il titolo di acquisto proprio o del suo dante causa, ove non si tratti dell'atto costitutivo del condominio, ma di alienazione compiuta dall'iniziale unico proprietario che non si era riservato l'esclusiva titolarità del bene (Cass. civ., sez. II, 7 novembre 2023, n. 30975).

In tale ottica, al condomino che pretenda l'appartenenza esclusiva di un bene compreso tra quelli elencati espressamente o per relationem dall'art. 1117 c.c., spetta dare prova della sua asserita proprietà esclusiva derivante da un titolo contrario - non essendo determinanti, a tale fine, né le risultanze del regolamento di condominio, né l'inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un singolo condomino, né i dati catastali - in difetto di tale prova, infatti, deve essere affermata l'appartenenza dei suddetti beni indistintamente a tutti i condomini (Cass. civ., sez. II, 7 maggio 2010, n. 11195; Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2002, n. 5633; Cass. civ., sez. II, 15 giugno 2001, n. 8152; Cass. civ., sez. II, 4 aprile 2001, n. 4953).

La comproprietà delle parti comuni dell'edificio indicate nell'art 1117 c.c. sorge, invero, nel momento in cui più soggetti divengono proprietari esclusivi delle varie unità immobiliari che costituiscono l'edificio, sicché, per effetto della trascrizione dei singoli atti di acquisto di proprietà esclusiva - i quali comprendono pro quota, senza bisogno di specifica indicazione, le parti comuni - la situazione condominiale è opponibile ai terzi dalla data dell'eseguita formalità (Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 1974, n. 4119).

In tale ottica, non ha perciò alcun rilievo il contenuto degli atti traslativi, non potendo essi valere quale titolo contrario ex art. 1117 c.c., né validamente disporre della proprietà esclusiva dell'area oggetto di lite, ormai compresa fra le proprietà comuni - rimanendo nulla, al contrario, la clausola, contenuta nel contratto di vendita di un'unità immobiliare di un condominio, con la quale venga esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune delle parti comuni (Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2015, n. 1680) - né la circostanza che gli atti di vendita non contenessero espressa menzione del trasferimento della comproprietà dell'area comune segnata è in alcun modo sufficiente a superare la presunzione posta dall'art. 1117 c.c.

Stando, infatti, al consolidato orientamento nomofilattico, una volta accertata la sussistenza di una situazione di condominio di edifici, le vicende traslative riguardanti i piani o le porzioni di piano di proprietà individuale estendono i loro effetti, secondo il principio accessorium sequitur principale, alle parti comuni necessarie per la struttura o destinate per la funzione al servizio degli immobili di proprietà solitaria (Cass. civ., sez. II, 6 marzo 2019, n. 6458; Cass. civ., sez. VI/II, 26 ottobre 2011, n. 22361; Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1993, n. 4931).

La presunzione legale di proprietà comune di parti del complesso immobiliare in condominio, che si sostanzia sia nella destinazione all'uso comune della res, sia nell'attitudine oggettiva al godimento collettivo, dispensa, quindi, il condominio dalla prova del suo diritto.

Ciò detto, ai condomini che agiscono in rivendica di parti comuni riconducibili all'art. 1117 c.c. basta dimostrare la rispettiva proprietà esclusiva nell'ambito del condominio per provare anche la comproprietà di quei beni che tale norma contempla. Ne deriva che quando un condomino pretenda l'appartenenza esclusiva di uno dei beni indicati nell'art. 1117 c.c., è onere dello stesso condomino, onde vincere detta presunzione, dare la prova della sua asserita proprietà esclusiva, senza che a tale fine sia rilevante il proprio titolo di acquisto, o quello del relativo proprio dante causa, ove non si tratti dell'atto costitutivo del condominio, ma di alienazione compiuta dall'iniziale unico proprietario che non si era riservato l'esclusiva titolarità dell'area (Cass. civ., sez. II, 7 giugno 1988, n. 3862; Cass. civ., sez. II, 5 dicembre 1966, n. 2834). 

In particolare, l'area esterna di un edificio condominiale, con riguardo alla quale manchi un'espressa riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del condominio, va ritenuta di presunta natura condominiale, ai sensi dell'art. 1117 c.c. (v., tra le più recenti, Cass. civ., sez. II, 14 giugno 2019, n. 16070; Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 2018, n. 4687; Cass. civ., sez. VI/II, 8 marzo 2017, n. 5831; Cass. civ., sez. II, 31 agosto 2017, n. 20612; Cass. civ., sez. II, 4 settembre 2017, n. 20712). 

La situazione nel condominio, regolata dagli artt. 1117 ss. c.c., si attua dunque sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall'originario unico proprietario ad altro soggetto (Cass. civ., sez. II, 31 ottobre 2023, n. 30229, in cui si è ribadito il principio anzidetto che per stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione dell'art. 1117 c.c., occorre fare riferimento al primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dell'originario proprietario ad altro soggetto, dovendosi escludere l'operatività della presunzione quando in tale atto la proprietà del bene potenzialmente rientrante tra quelli comuni sia riservata espressamente ad uno solo dei contraenti). 

Nella fattispecie scrutinata dalla Corte d'appello di Catania, l'espansione del diritto in favore del condominio sui beni originariamente di proprietà esclusiva è intervenuta per effetto dell'eccepita operatività dell'art. 954 c.c., così ribadendo, l'orientamento tradizionale in tema di estinzione del diritto di superficie per non uso nel termine ventennale (Cass. civ., sez. II, 12 marzo 2010, n. 6046; Cass. civ., sez. II, 2 gennaio 2010, n. 938; Cass. civ., sez. II, 7 dicembre 1994, n. 10498; Cass. civ., sez. II, 20 luglio 1987, n. 6364).

Al riguardo, va ricordato, altresì, l'orientamento in tema di inidoneità delle opere intermedie, di natura conservativa ad interrompere la prescrizione per il non uso (Cass. civ., sez. II, 7 aprile 2014, n. 8084).

Riferimenti

Celeste, La tutela possessoria e nunciatoria. Aspetti sostanziali e processuali, Milano, 2021;

Benni de Sena, Costruzione difforme dalle planimetrie: presunzione di condominialità e giudizio possessorio, in Nuova giur. civ. comm., 2020, 1014;

Musolino, Il lastrico solare, in Riv. notar., 2018, II, 1019;

D'Alessandro, Brevi riflessioni intorno ai rapporti tra giudizio possessorio e giudizio petitorio, in Giur. it., 2012, 1381;

Motto, Efficacia del provvedimento possessorio nel giudizio petitorio, in Corr. giur., 2010, 374;

Leccisi, Rapporto tra giudizio possessorio e petitorio, in Giur. merito, 2008, 1911;

Izzo, Il lastrico solare condominiale e la c.d. colonna d'aria tra diritti reali e personali, in Giust. civ., 2006, I, 578.

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