Comodato di immobile per esigenze abitative della famiglia e precario: i chiarimenti della Cassazione

24 Maggio 2024

Ancora una volta la Suprema Corte si interroga sui presupposti alla presenza dei quali il comodato può dirsi a termine, anziché a tempo indeterminato. Individuare tale confine è di fondamentale importanza se si considera che, nel secondo caso, il comodante può recedere ad nutum dal contratto e ottenere la restituzione dell’immobile concesso in comodato non appena il comodante lo richieda.

Massima

“Ancorare la durata del comodato al raggiungimento della maggiore età della nipote e del suo divenire “grande” e “sistemata” – elementi che non coincidono, di regola, con la maggiore età e che, comunque, non sono esattamente determinabili nel tempo – rende indefinito il momento nel quale il bene immobile, concesso in comodato, dovrebbe essere restituito, con la conseguente applicazione della disciplina del c.d. precario”.

Il caso

Con ricorso ai sensi dell'art. 702 bis c.p.c., Tizia evoca in giudizio il fratello Caio, chiedendogli la restituzione di un immobile del quale è divenuta proprietaria in virtù di successione mortis causa della madre.

Caio si oppone alla richiesta, affermando che il bene gli era stato concesso in comodato dalla madre per un uso determinato, rappresentato dal fare fronte alle esigenze abitative sue e della figlia minore. Il Tribunale accoglie la richiesta attorea e condanna Caio alla restituzione dell'immobile, decisione confermata, poi, dalla Corte di Appello di Lecce: sebbene l'immobile sia stato concesso in comodato a Caio fin quando la figlia non fosse divenuta maggiorenne, “grande” e “sistemata”, secondo la corte territoriale, le ultime due espressioni non rappresenterebbero dati obiettivi, ma meri dati indicativi della preoccupazione della madre in relazione alla situazione abitativa della nipote. Tale circostanza porta a ritenere il comodato senza termine di durata e, dunque, precario e – in quanto tale – revocabile ad nutum.

Avverso questa sentenza Caio propone ricorso in cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione di legge per non avere la Corte ritenuto esistente il termine di durata del comodato (1° motivo); nonché nullità della pronuncia per non avere spiegato le ragioni per le quali, pure in presenza di un dato oggettivo, rappresentato dal raggiungimento della maggiore età della nipote, il giudice abbia ritenuto il comodato precario (2° motivo).

La questione

La questione in esame è, dunque, la seguente: il fatto che un immobile sia stato concesso in comodato da una madre a un figlio fin a quando la nipote non fosse divenuta maggiorenne, “grande” e “sistemata”, consente di ritenere il comodato dotato di un termine, con la conseguenza che il comodante potrebbe esigere – prima di tale momento – la restituzione del bene solamente sussistendo gli stringenti presupposti previsti dall'art. 1809 c. 2 c.c.?

Le soluzioni giuridiche

Come è noto, tra le obbligazioni gravanti in capo al comodatario spicca quella di provvedere alla restituzione della cosa ricevuta (art. 1803 c. 1 c.c.): al fine di individuare il momento temporale in cui il comodatario è tenuto alla restituzione, essenziale è, tuttavia, comprendere se si tratti di comodato vero e proprio o del c.d. comodato “precario”.

Si può parlare di comodato vero e proprio quando il bene viene consegnato per un tempo o per un uso determinato, che abbia in sé connaturata una durata: in ipotesi di tale fatta, ai sensi dell'art. 1809 c. 1 c.c. «il comodatario è obbligato a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità del contratto».

Prima di tale momento, il comodante non può domandare la restituzione del bene, salvo che sopravvenga in capo allo stesso un urgente e impreveduto bisogno secondo quanto sancito dall'art. 1809, c. 2 c.c.

In mancanza di un riferimento temporale che sia ricavabile anche solo dall'uso al quale la cosa è contrattualmente destinata, si parla, invece, del c.d. precario, nel quale il comodatario è tenuto a restituire la cosa non appena il comodante la richieda (art. 1810 c.c.).

Ciò precisato, la giurisprudenza è da tempo chiamata a interrogarsi circa la qualificazione del contratto avente a oggetto un bene immobile, concesso in comodato per soddisfare esigenze abitative della famiglia: le Sezioni Unite, intervenute sulla questione, hanno stimato che tale destinazione, prevista contrattualmente, renderebbe il comodato dotato di un termine desumibile per relationem, con la conseguenza che non sarebbe revocabile ad nutum (Cass. SU 29 settembre 2014 n. 20448). E ciò anche, secondo la Suprema Corte, ragionando dell'ipotesi di crisi della famiglia: segnatamente, l'assegnatario potrebbe opporre al comodante l'esistenza del provvedimento di assegnazione della casa, purché tra le parti sia stato in precedenza costituito un contratto di comodato che abbia contemplato la destinazione del bene quale casa familiare.

Sebbene, nel caso di specie, il ricorrente sostenesse trattarsi di un comodato con uso determinato, integrato dalle esigenze abitative sue e della figlia, la Cassazione ha respinto le pretese attoree. Il primo e il secondo motivo sono stati ritenuti inammissibili e, in parte, infondati: inammissibili per essere stato il ricorso redatto con una tecnica non rispettosa dell'art. 366 c. 1 n. 6 c.p.c. secondo il quale il ricorrente deve indicare in termini specifici, per ciascuno dei motivi, gli atti processuali, i documenti e i contratti o accordi collettivi sui quali il motivo si fonda e illustrare il contenuto rilevante degli stessi. In particolare, il ricorrente ha omesso di produrre la sentenza di divorzio, pure richiamata nel ricorso, dalla quale sarebbe stato desumibile l'assunto del ricorrente secondo il quale la figlia era collocata presso il padre ed era minorenne al momento della istaurazione del giudizio. Ancora, i motivi si fondano su fatti che si dicono emersi dalle dichiarazioni dei testi, che avrebbero confermato che il comodato era stato concesso per esigenze familiari, ma – ancora – le stesse non sono state documentate. A ogni modo, secondo la Suprema Corte il riferimento alla maggiore età della figlia e l'ulteriore previsione secondo la quale il comodato doveva durare finché la ragazza fosse divenuta grande e sistemata, momenti che non sono esattamente determinabili nel tempo, porta a qualificare il rapporto come precario. E ciò in quanto le condizioni del comodato erano tali da rendere indefinito nel tempo il momento nel quale il bene immobile avrebbe dovuto essere restituito.

Osservazioni

Sebbene la questione strettamente processuale, relativa al mancato rispetto dell'art. 366 c.p.c., appaia convincente e tale da giustificare il rigetto delle pretese del ricorrente, diverse sono, invece, le riflessioni che – quantomeno astrattamente – sorgono spontanee dalla lettura dell'inciso secondo il quale il comodato in questione sarebbe precario, in quanto le condizioni del comodato sarebbero state tali da rendere indefinito nel tempo il momento nel quale il bene immobile avrebbe dovuto essere restituito.

L'ancorare la durata di un comodato al raggiungimento da parte della nipote della maggiore età e del divenire “grande” e “sistemata”, pare, in realtà, idoneo a consentire l'individuazione di un termine finale dello stesso, così da evitare l'applicazione della disciplina sul precario.

Le espressioni impiegate, frutto della atecnicità delle parti, devono essere interpretate, infatti, secondo i corretti criteri ermeneutici che, in prima battuta, spingono a ricercare la comune intenzione delle stesse e non limitarsi al senso letterale delle parole (art. 1362 c. 1 c.c.). In tale ottica, la finalità avuta di mira era quella di garantire alla nipote una soluzione abitativa sino al raggiungimento del traguardo che può essere tradotto in termini giuridici con l'espressione dell'“indipendenza economica”. Ne deriva che tale contratto andrebbe ritenuto a tempo determinato, seguendo i dettami impartiti dalle Sezioni Unite nel 2014.

Ricordiamo, infatti, che il termine non solo può essere collegato a una certa data, ma anche a un certo evento; inoltre, può anche essere desunto dall'uso cui l'immobile è destinato: segnatamente, tale destinazione deve perdurare fintanto che permarrà tale esigenza (sino a che la figlia non sarà divenuta maggiorenne, grande e sistemata, ovvero sino al raggiungimento della indipendenza economica).

Al di là del profilo astratto, in concreto, ai fini della applicazione della disciplina sul comodato vero e proprio, occorre una puntuale dimostrazione del fatto che il contratto preveda un termine finale, desumibile anche solo per relationem dall'uso specifico concordato, anche al fine di evitare una eccessiva compromissione delle facoltà del proprietario e nell'ottica di garantire un corretto bilanciamento tra le prerogative delle parti.

Dalla qualificazione del negozio come comodato a termine, ne deriva, come conseguenza, l'applicazione dell'art. 1809 c.c. secondo il quale – prima del predetto momento – la comodante potrebbe ottenere la restituzione del bene solo allegando e provando il sopraggiungere di un urgente e imprevisto bisogno.

Guida all'approfondimento

  • Carrabba, Il comodato dell’abitazione familiare tra causa e tipo, in Fam. dir., 2018, 261 ss.
  • Cipriani, Il comodato, in Tratt. di diritto civile del consiglio nazionale del notariato, diretto da P. Perlingieri, Napoli, 2005.
  • Galasso, Il comodato, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu - F. Messineo, continuato da L. Mengoni, Milano, 2004.
  • Giunchedi, Comodato d’uso, disgregazione del nucleo familiare e famiglia ricostituita, in Fam. dir., 2023, p. 354 ss.
  • Luminoso, voce Comodato, in Enc. giur., Roma, 1988.
  • Scaglione, Il comodato. Artt. 1803-1812, in Commentario Schlesinger, Milano, 2011.
  • Scozzafava, Il comodato, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, 12, Obbligazioni e contratti, IV, Milano, 2006, II ed.

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