L’innalzamento di un pilastrino sul muro comune costituente appoggio di un tetto a spiovente

07 Giugno 2024

L'ordinanza della Corte di Cassazione in commento - che si inserisce all'interno del vasto contenzioso relativo ai conflittuali rapporti di vicinato afferenti alla realtà condominiale - si occupa di una particolare fattispecie, ossia dell'innalzamento di un pilastrino sul muro comune costituente, per tutta la sua estensione e profondità, appoggio di un tetto a spiovente, offrendo lo spunto per alcune considerazioni generali in ordine all'uso consentito dei muri comuni ai sensi dell'art. 1102 c.c., ma da “calare” al singolo caso di specie.

Massima

Nel caso di innalzamento di un pilastrino sul muro comune costituente, per tutta la sua estensione e profondità, appoggio di un tetto a spiovente, il comproprietario non incorre in violazione dell'art. 1102 c.c., purché la modificazione del bene comune non ne alteri la destinazione, non ne comprometta la stabilità e conservazione e non impedisca il pari uso degli altri partecipanti alla comunione.

Il caso

La causa - giunta all'esame del Supremo Collegio - originava da un'azione promossa da un condomino (proprietario di un'unità abitativa, con annessa area scoperta) nei confronti di un altro condomino (proprietario dell'unità abitativa confinante), deducendo che il convenuto avesse effettuato opere murarie non autorizzate sul muro di recinzione e su un pilastrino di sua proprietà, danneggiando l'estetica dell'immobile, ed avesse continuato ad utilizzare una parte del passo carraio come titolare esclusivo senza averne titolo.

In particolare, l'attore aveva chiesto: 1) di essere dichiarato proprietario esclusivo del pilastrino e del muro di contenimento e, conseguentemente, di condannare il convenuto a rimuovere le opere murarie, previa individuazione dei confini, dei lotti di rispettiva proprietà e delle quote di comproprietà sulle parti comuni; 2) di accertare la proprietà comune del passo carraio per l'intera estensione e di ordinare la rimozione di ogni segnale di proprietà privata, con ordine di astenersi dall'uso esclusivo del passo stesso; e 3) di ordinare la rimozione di due comignoli di proprietà del convenuto.

Quest'ultimo, resistendo in giudizio, aveva eccepito: a) che aveva acquistato l'abitazione prima che l'attore divenisse proprietario del suo immobile, e che, in forza del capitolato, i pilastrini erano già costruiti e posti a sostegno del cancelletto d'ingresso pedonale, avendone acquistato la proprietà esclusiva; b) che il muretto lungo l'accesso pedonale apparteneva in comunione alle parti in considerazione dell'uso e della destinazione del manufatto; c) che, quanto al passo carraio, il confine era rappresentato dalla griglia di raccolta delle acque posta all'altezza del muro divisorio delle due abitazioni, per cui doveva ritenersi che il passo carrabile fosse comune fino al muro divisorio e di sua esclusiva proprietà per la restante porzione; d) che i comignoli erano stati posti sul tetto esclusivo, poiché il confine tra le due proprietà era costituito dal muro divisorio delle abitazioni.

Lo stesso convenuto, in via riconvenzionale, aveva chiesto di accertare la proprietà esclusiva del pilastrino dell'ingresso pedonale alla propria abitazione e della parte di cortile compresa tra il muro divisorio delle abitazioni ed il proprio box, nonché della porzione di tetto su cui insistevano i comignoli, nonché di dichiarare la proprietà comune del muretto che delimitava il passaggio pedonale.

Espletata CTU, il Tribunale aveva condannato il convenuto a rimuovere il segnale di proprietà privata e la linea rossa apposta sul fondo del passo carraio, disponendo che tale fondo fosse utilizzato dai comproprietari nel rispetto dei rispettivi diritti; aveva dichiarato la comproprietà del muro divisorio che circondava la proprietà dell'attore nella parte confinante con il passaggio pedonale del convenuto, nonché la comproprietà delle parti del pilastrino sul quale il medesimo convenuto aveva edificato la copertura in muratura a riparo del cancelletto pedonale, disponendo la rimozione del manufatto nella parte in cui si appoggiava al pilastrino comune; aveva dichiarato tardive le domande di rimozione degli alberi e della siepe svolta dall'attore e la domanda di rimozione della scala apposta sull'area comune; aveva, infine, dichiarato la proprietà comune del muro divisorio, respingendo ogni altra richiesta.

La sentenza veniva confermata in sede di appello, dove - per quanto qui interessa - si riconosceva la comunione del muro su cui era stata appoggiata una pensilina a protezione dell'accesso esclusivo, rilevando che tale muro separava le due proprietà confinanti e che dai rogiti non risultava in proprietà esclusiva di alcuna delle parti, dovendo presumersi comune ai sensi dell'art. 880 c.c. sorgendo su un suolo comune ad entrambi i confinanti proprietari.

Per quanto concerne, in particolare, il pilastrino inserito nel muro comune, era invece emerso, dalle planimetrie prodotte e dai rilievi fotografici, che tale manufatto, a seguito dell'intervento del convenuto, non solo era stato innalzato, ma era divenuto, in tutta la sua lunghezza e in tutta la sua profondità, il supporto di un tetto a capanna posto a copertura dell'ingresso pedonale della proprietà del medesimo convenuto; tale intervento - ad avviso della Corte d'Appello - aveva modificato la destinazione del muro, che in quel tratto era stato trasformato nella sua originaria funzione, da semplice muro divisorio a muro di sostegno di un manufatto a servizio esclusivo del convenuto, non già fino alla metà del suo spessore, ma in tutta la sua profondità, imponendosi la condanna alla rimozione di quanto su di esso edificato.

L'originario convenuto, soccombente in secondo grado, proponeva quindi ricorso per cassazione.

La questione

Si trattava di verificare, con riferimento a quest'ultima circostanza, se la Corte territoriale avesse o meno violato l'art. 1102 c.c., atteso che il ricorrente si era lamentato che la sentenza avesse erroneamente ritenuto che il pilastrino, inserito nel muro comune, era stato innalzato in altezza ed era divenuto il sostegno in tutta la sua lunghezza e la sua profondità di un tetto a capanna a copertura del suo ingresso pedonale, così modificando la funzione del bene “da muro divisorio a muro di sostegno di un manufatto”, senza verificare, però, se si configurasse piuttosto un uso più intenso del bene comune, consentito, appunto, dal citato art. 1102 c.c.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto fondate le suddette doglianze.

Invero, si osserva che il muro, su sui è stato appoggiato il tetto di copertura, fungeva da delimitazione verso l'esterno ed era comune ai proprietari delle unità di cui si componeva l'edificio condominiale; su tale manufatto, il ricorrente aveva innalzato un pilastrino, in corrispondenza dell'accesso esclusivo alla sua porzione abitativa, appoggiandovi una struttura, con sovrastante un tetto a capanna.

La sentenza impugnata ha stabilito che l'opera aveva alterato la funzione del muro, da semplice muro divisorio e muro di sostegno di un manufatto a servizio esclusivo, collocato non già fino alla metà del suo spessore, ma in tutta la sua profondità; secondo il giudice distrettuale, l'innalzamento del pilastrino e l'appoggio di un tetto a spiovente per l'intera sua estensione e profondità, avrebbe modificato il bene (in elevazione) appoggiandovi una tettoia e così alterando la destinazione del muro comune, divenuto di sostegno di un'opera a servizio dell'accesso alla proprietà esclusiva.

Tuttavia, ai sensi dell'art. 1102 c.c., ciascun comproprietario può utilizzare il bene comune purché non ne alteri la destinazione, non ne comprometta la stabilità e conservazione e non impedisca il pari uso.

Al riguardo, gli ermellini avevano già riconosciuto la legittimità della creazione di tettoie di copertura, pur se ancorata al muro perimetrale comune, se la costruzione della tettoia non contrasti con la destinazione del muro e non impedisca agli altri condomini di farne uso secondo la sua destinazione (Cass. civ., sez. II, 17 marzo 2008, n. 7143; con riguardo alla realizzazione di una copertura di posti auto esclusivi).

La Corte territoriale non aveva considerato tale principio e, pertanto, la gravata sentenza veniva cassata per un nuovo esame.

Osservazioni

Nell'illustrare le modalità di utilizzo dei muri comuni riconosciute legittime dalla giurisprudenza, preliminarmente, va precisato che il diritto dei condomini abbia ad oggetto l'intero bene (muri comuni) per tutta la sua estensione, senza che sia rilevante la posizione della proprietà esclusiva all'interno della struttura (ad esempio, il proprietario dell'appartamento posto sull'ala nord del fabbricato ben può utilizzare la porzione di muro perimetrale posta al lato opposto dell'edificio).

Invero, sul presupposto che i muri perimetrali dell'edificio in condominio costituiscono, per tutta la loro estensione, oggetto di comunione pro indiviso, si è affermato che il proprietario di ciascun piano, o porzione di piano, possa utilizzare, per proprie esigenze, i suddetti muri, anche nella parte corrispondente al piano o appartamento di altro condomino, purché tale utilizzazione risulti contenuta entro i limiti fissati dall'art. 1102 c.c., sì da non pregiudicare il decoro o l'estetica dell'edificio e da non frapporre ostacoli all'esercizio del diritto concorrente di altri condomini (v., tra le prime, Cass. civ., sez. II, 12 giugno 1963, n. 1578).

Il principio è stato ribadito, poi, precisando che i muri perimetrali di un fabbricato in condominio hanno la duplice funzione di sorreggere le strutture dello stabile ed anche di recingerlo, delimitandone il perimetro e la disponibilità; sono, quindi, comuni a tutti i condomini anche nelle parti poste in corrispondenza dei piani di proprietà singola ed esclusiva (Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 1970, n. 76).

Premesso quanto sopra, una delle più frequenti e tipiche modalità di fruizione dei muri comuni da parte del singolo condomino, è quella che li vede utilizzati come supporto per l'apposizione di targhe, insegne o cartelli di vario genere, e, secondo l'impostazione generale, tale modalità è consentita a condizione che siano rispettati i parametri posti dall'art. 1102 c.c.

In via astratta, si è statuito che l'installazione di targhe o insegne, da parte del singolo condomino, non ne altera la naturale e precipua destinazione di sostegno dell'edificio condominiale e, ove non impedisca l'esercizio concorrente del diritto degli altri partecipanti di fare uguale uso del muro, costituisce normale esercizio del diritto di usare la cosa comune (Pret. Trani 25 luglio 1989).

Più in particolare, si è affermato che, al fine di evitare una limitazione del concorrente diritto d'uso degli altri condomini è necessario che sia lasciata libera una parte del muro che sia idonea a rendere possibile agli altri condomini l'uso analogo ed eguale del muro (App. Cagliari 16 giugno 1958).

Tale metodologia di utilizzo può svolgersi anche a favore dei locali commerciali facenti parte dell'edificio, mediante l'apposizione sui muri comuni di insegne luminose; l'ammissibilità di tale specifico utilizzo è riconosciuta, essendo consentito ai singoli condomini o ai conduttori l'apposizione di un'insegna luminosa sul muro perimetrale comune, trattandosi di un'attività che non impedisce agli altri compartecipi di fare egualmente uso del muro comune secondo la sua destinazione (Cass. civ., sez. II, 3 febbraio 1998, n. 1046).

Resta inteso che l'installazione di targhe o insegne da parte del singolo condomino è diretta ed immediata e non necessita di un preventivo passaggio assembleare per il rilascio di una corrispondente autorizzazione (Trib. Palermo 12 dicembre 1991).

Altra fattispecie di utilizzazione dei muri comuni da parte del singolo condomino di frequente verificazione è rappresentata dalla realizzazione di aperture: la prassi in merito, peraltro assai nutrita, registra un alto grado di eterogeneità delle fattispecie, le quali, tuttavia, possono essere tutte ricondotte nell'àmbito dell'esercizio dei poteri previsti dall'art. 1102 c.c.

In tale ordine di idee, si è pronunciata la Suprema Corte, secondo la quale, negli edifici in condominio, i proprietari esclusivi delle singole unità immobiliari possono utilizzare i muri comuni, nelle parti ad esse corrispondenti, sempre che l'esercizio di tale facoltà, disciplinata dagli artt. 1102 e 1122 c.c., non pregiudichi la stabilità ed il decoro architettonico del fabbricato (Cass. civ., sez. II, 26 marzo 2002, n. 4314: nel caso di specie, si era confermata la sentenza di merito che aveva giudicato legittima l'apertura di una porta eseguita da un condomino nel muro condominiale, dopo avere incensurabilmente accertato che da essa non era derivata alcuna sostanziale modifica dell'entità materiale del bene né il mutamento di destinazione dell'androne comune, di cui il ricorrente poteva continuare a fare uso secondo il suo diritto, ed essendo incontestata l'insussistenza di alterazione del decoro architettonico del bene medesimo in conseguenza di detta apertura).

Le aperture che il condomino, nel rispetto dei suddetti limiti, può legittimamente praticare nei muri maestri (o nei muri perimetrali), possono, anche, avere la funzione di vetrine: con riferimento a tale fattispecie, si sostiene che è legittima l'apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune che, per sua ordinaria funzione, è destinato anche all'apertura di porte e di finestre, realizzata dal singolo condomino mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla sua proprietà esclusiva (Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1997, n. 1554, aggiungendo che, all'eventuale autorizzazione ad apportare tale modifica concessa dall'assemblea, può attribuirsi il valore di mero riconoscimento dell'inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini a questo tipo di utilizzazione del muro comune).

Parimenti, al condomino è consentito realizzare una nuova apertura con funzione di ulteriore ingresso alla sua proprietà esclusiva, precisando che l'apertura di varchi e l'installazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni dell'edificio condominiale eseguiti da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso all'unità immobiliare di sua proprietà esclusiva, di massima, non integrano abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini, non comportando per costoro una qualche impossibilità di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dell'art. 1102, comma 1, c.c., e rimanendo irrilevante il fatto che tale utilizzazione del muro si correli non già alla necessità di ovviare ad un'interclusione dell'unità immobiliare al cui servizio il detto accesso è stato creato, ma all'intento di conseguire una più comoda fruizione di tale unità immobiliare da parte del suo proprietario (Cass. civ., sez. II, 29 aprile 1994, n. 4155).

Tale assunto è stato ulteriormente ribadito dagli ermellini, i quali, più di recente, hanno avuto modo di precisare che, in applicazione del principio secondo il quale, in tema di comunione, ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un'utilità maggiore e più intensa di quella tratta eventualmente in concreto dagli altri comproprietari, purché non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso - e senza che tale uso più intenso sconfini nell'esercizio di una vera e propria servitù - deve ritenersi che l'apertura di due porte su muri comuni per mettere in comunicazione l'unità immobiliare in proprietà esclusiva di un condomino con il garage comune rientra pur sempre nell'ambito del concetto di uso (più intenso) del bene comune, e non esige l'approvazione dell'assemblea dei condomini con la maggioranza qualificata, senza determinare, a fortiori, alcuna costituzione di servitù (Cass. civ., sez. II, 3 giugno 2003, n. 8830).

E', allo stesso modo, legittima l'apertura praticata per mettere in comunicazione la proprietà esclusiva con il cortile condominiale: in tal senso, si è chiarito che l'apertura di un varco su un muro comune che metta in comunicazione il terreno di proprietà esclusiva di un singolo con quello comune non dà luogo alla costituzione di una servitù (che richiederebbe il consenso di tutti i condomini) quando il terreno comune viene già usato come passaggio pedonale e carrabile, sempre che l'opera realizzata non pregiudichi l'eguale godimento della cosa comune da parte degli altri condomini (Cass. civ., sez. II, 11 agosto 1999, n. 8591).

Si riconosce, altresì, la legittimità dell'apertura di nuove finestre: infatti, tale iniziativa o la trasformazione di quelle esistenti sul muro comune verso gli spazi condominiali - nella specie, un pozzo di luce destinato ad arieggiare e illuminare i locali interni che vi prospettano - in corrispondenza della proprietà del singolo, costituisce esercizio del diritto di proprietà e non di quello di servitù, per cui non trovano applicazione le norme che disciplinano le vedute su fondo altrui (artt. 900 e 907 c.c.), bensì quelle che consentono al condomino di servirsi delle parti comuni per il miglior godimento della cosa, senz'altro limite che l'obbligo di rispettare la destinazione, di non alterare la stabilità e il decoro architettonico dell'edificio e di non ledere i diritti degli altri condomini, ai sensi dell'art. 1102 c.c. (Cass. civ., sez. II, 15 dicembre 1982, n. 6929).

E', inoltre, riconosciuta l'ammissibilità dell'abbattimento, da parte di un condomino, di una porzione dei muri perimetrali (non portanti) e della sua sostituzione con porte scorrevoli: in tale ordine di idee, si è precisato che, poiché le moderne tecniche costruttive in cemento armato hanno profondamente modificato la funzione dei muri perimetrali che non è più quella di assicurare la stabilità dell'edificio, bensì soltanto quella di delimitarlo esternamente, mentre la funzione portante è esercitata dai pilastri e dalle architravi in conglomerato cementizio, l'abbattimento da parte di un condomino di un tratto del muro perimetrale di tamponamento per sostituirlo con porte scorrevoli non comporta, di regola, un'alterazione della sua normale destinazione, vietata dall'art. 1102 c.c., ma costituisce uso normalmente lecito della cosa comune e solo in particolari circostanze, da dimostrarsi di volta in volta può assumere aspetti lesivi dell'integrità dell'edificio quando ne comprometta la sicurezza o il decoro o altri essenziali caratteristiche (Cass. civ., sez. II, 25 settembre 1991, n. 10008).

Anche l'installazione sul muro comune di tubazione posta a servizio della proprietà esclusiva va considerata consentita: infatti, per la funzione sussidiaria che hanno i muri perimetrali e non perimetrali di sostenere tubi, fili e condutture a servizio dei vari appartamenti, il condomino può impiantare tubatura ed usufruirne a vantaggio del proprio appartamento, purché esegua i lavori a regola d'arte, non comprometta la stabilità e l'estetica del fabbricato e non dia origine ad immissioni che, per la loro intensità, frequenza ed idoneità a cagionare danno, si traducano in un illecito facere in alieno (App. Firenze 15 aprile 1955).

Del pari legittima è l'installazione di una canna fumaria in appoggio al muro comune: infatti, il condomino può servirsi del muro comune anche per appoggiare o incastrare una canna fumaria, a condizione che non ne derivi pregiudizio all'egual diritto degli altri condomini di servirsi della cosa comune o danno alla stabilità o sicurezza del muro (Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1963, n. 400).

Il principio è stato ribadito, poi, dalla giurisprudenza di merito, per la quale l'installazione di una canna fumaria in aderenza al muro perimetrale di un fabbricato in condominio rientra nell'uso legittimo della cosa comune e non richiede né interpello, né consenso degli altri condomini, quando non lede diritti esclusivi di questi ultimi e non alteri il decoro architettonico dell'edificio (Trib. Napoli 17 marzo 1990).

In quest'ordine di concetti, è stata ritenuta lecita l'utilizzazione del muro comune per l'installazione di un impianto citofonico, per consentire il collegamento con l'esterno di un appartamento in edificio condominiale e l'apertura del portone di quest'ultimo, atteso che non integra imposizione di servitù a carico della proprietà condominiale, ma configura un uso del bene comune, legittimo nei limiti in cui non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso (Cass. civ., sez. II, 22 giugno 1982, n. 3795).

Parimenti consentita è l'installazione di tubature di scarico sui muri perimetrali: si è puntualizzato, in proposito, che costituisce uso legittimo della cosa comune, ai sensi dell'art. 1102 c.c., l'utilizzazione dei muri comuni da parte del singolo condomino per installarvi tubature per lo scarico di acque o per il passaggio del gas, nonché sfiatatoi per evitare il ristagno di odori (Trib. Trani 19 gennaio 1991).

Riferimenti

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Avigliano, Muri perimetrali e costituzione di servitù con l'apertura di un varco tra differenti condomini, in Ventiquattrore avvocato, 2015, fasc. 4, 27;

De Tilla, Quando l'uso dei muri perimetrali non viola la normativa condominiale, in Immob. & diritto, 2008, fasc. 9, 32;

Annunziata, Uso abnorme del muro perimetrale e tutela del condomino, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, 808;

Bordolli, L'utilizzo del muro comune, in Immob. & proprietà, 2006, 753;

Spagnuolo, Un condomino non può modificare il muro perimetrale comune, in Immob. & diritto, 2005, fasc. 4, 37;

Indinnimeo, Il condizionatore d'aria installato sul muro comune, in Rass. loc. e cond., 2005, 153;

Pironti, Un uso legittimo delle mura perimetrali: l'installazione della tubazione di gas a servizio di un appartamento sui muri maestri dell'edificio in condominio, in Giur. merito, 1999, 993;

Guida, L'apposizione di insegne, targhe, cartelli e simili sul muro comune, in Rass. loc. e cond., 1998, 273;

Balzani, Non è violazione delle norme dell'istituto condominiale trasformare una finestra in porta-finestra su un balcone in aggetto al muro perimetrale dello stabile, in Arch. loc. e cond., 1986, 203.

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