La Cassazione a Sezioni Unite sulle “manifestazioni fasciste”: novità, conferme e spunti di riflessione

13 Giugno 2024

La condotta, tenuta nel corso di una pubblica riunione, consistente nella risposta alla “chiamata del presente” e nel cosiddetto “saluto romano”, integra il delitto previsto dall'art. 5 l. n. 645/1952, ove, avuto riguardo alle circostanze del caso, sia idonea ad attingere il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, vietata dalla XII disp. trans. fin. Cost.; tale condotta può integrare anche il delitto, di pericolo presunto, previsto dall'art. 2, comma 1, d.l. n. 122/1993, convertito dalla l. n. 205/1993, ove, tenuto conto del significativo contesto fattuale complessivo, la stessa sia espressiva di manifestazione propria o usuale delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all'art. 604-bis, comma 2, c.p. (già art. 3 l. n. 654/1975).

Premesse in fatto

Questi sono i principi che la Corte di cassazione, a Sezioni Unite, ha inteso affermare, con la sentenza n. 16153 depositata il 17 aprile 2024, decidendo sui ricorsi proposti da alcuni imputati avverso la sentenza d'appello che - in riforma di quella assolutoria, per difetto di prova sull'elemento soggettivo, pronunciata dal giudice di primo grado - li aveva ritenuti responsabili del reato di cui all'art. 2 d.l. n. 122/1993, conv. con modif. in legge n. 205/1993 (c.d. “legge Mancino”), che sanziona penalmente la condotta di «chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all'art. 3 della legge 3 ottobre 1975 n. 654»; vale a dire di quelli che, secondo quanto previsto da tale ultima norma, ora trasfusa nell'art. 604-bis c.p., abbiano «tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi».

Nella specie, il reato in questione era stato ritenuto configurabile a carico di quanti erano stati identificati fra i circa 1200 partecipanti ad una pubblica commemorazione funebre di esponenti della Repubblica sociale italiana e di partiti o movimenti che ad essa si ispiravano, nel corso della quale, alla triplice evocazione per nome, con l'appellativo di “camerata”, di ciascuno dei personaggi commemorati, era stato risposto dalla folla con il grido “presente”, accompagnato dal c.d. “saluto romano”.

La Corte, in parziale accoglimento dei ricorsi, pacifica essendo risultata la suddetta ricostruzione dei fatti, li ha riqualificati come astrattamente idonei a costituire non il reato di cui al citato art. 2 d.l. n. 122/1993 ma quello di cui all'art. 5 legge n. 645/1952 (c.d. “legge Scelba”) che sanziona penalmente le “manifestazioni fasciste”, ed ha quindi annullato con rinvio la sentenza impugnata dando mandato al giudice di rinvio di verificare la sussistenza o meno, in fatto, del “concreto pericolo” di riorganizzazione  del partito fascista, che deve caratterizzare il detto ultimo reato, per quindi adottare la conseguenti statuizioni, tenendo conto, peraltro, che, nelle more tra la decisione, adottata il 18 gennaio 2024, ed il deposito della motivazione,  il relativo termine prescrizionale sarebbe già scaduto alla data del 27 febbraio 2024.

“Regolamento di confini” tra legge Scelba e legge Mancino

La suddetta decisione risulta fondata, nell'essenziale, sull' esclusione di un qualsiasi rapporto di specialità tra le due figure di reato in discorso. Ciò comporta che le “manifestazioni fasciste”, oltre a costituire il reato specificamente previsto dall'art. 5 della legge n. 645/1952, possono integrare anche quello di cui all'art. 2 d.l. n. 122/1993, sempre che sussista, però,  la condizione (nella specie ritenuta mancante) che si tratti di manifestazioni riconducibili a rituali che, pur caratteristici del disciolto partito fascista, siano fatti propri da altri organismi associativi dei quali possa affermarsi l' “esistenza attuale” (pagg. 18, 23 della sentenza). Condizione, questa, soddisfatta la quale può dirsi sussistente il “pericolo presunto” che, secondo la Corte, caratterizza il reato in questione, ferma restando, tuttavia, la necessaria salvaguardia del “principio di offensività”, valido anche per i reati di “pericolo presunto”, alla luce di quanto affermato, sia pure con riferimento ad altra fattispecie penale, nella sentenza della Corte costituzionale n. 225/2008.  

Le Sezioni Unite hanno, quindi, fatto proprio, sostanzialmente, l'orientamento già espresso da Cass. pen., sez. I, n. 7904/2022, secondo cui, escluso il rapporto di specialità tra il reato di cui all'art. 5 legge n. 645/1952 e quello di cui all'art. 2 d.l. n. 122/1993, occorre, ai fini della configurabilità di quest'ultimo, che si sia in presenza di manifestazioni esteriori, simboli o rituali riferibili a «organizzazioni, gruppi o associazioni che perseguano nell'attualità finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, pur se ripropositivi di ideologie storiche». Sulla base di tale principio, in un caso del tutto analogo a quello di cui si sono occupate da ultimo le Sezioni Unite, la Corte ritenne, anche allora, che il solo reato configurabile fosse quello di “manifestazioni fasciste” previsto dalla “legge Scelba

Risulta, per converso, sconfessata la tesi espressa da Cass. pen., sez. I, n. 25184/2009 e Cass. pen., sez. I, n. 21409/2019, secondo cui il “saluto romano” o “saluto fascista” integrerebbe di per sé il reato di cui all'art. 2 d.l. n. 122/1993, trattandosi – si legge nella motivazione della prima, sostanzialmente condivisa nella seconda – di «manifestazione esteriore che rimanda, per comune nozione storica, all'ideologia fascista e, quindi, a un'ideologia politica sicuramente non portatrice dei valori paritari e di non violenza ma, al contrario, fortemente discriminante ed intollerante; ad un regime totalitario che ha emanato, tra l'altro, leggi di discriminazione dei cittadini per motivi razziali» [La seconda di dette pronunce risulta pubblicata in: Giur. It. 2019, p. 1911, con nota Risicato L., Il saluto fascista è reato "non tenue" incompatibile con la provocazione.; Dir.pen. e proc., 2020, p.215, con nota Costantini A., Il saluto romano nel quadro dei crimini d'odio razziale: dimensione offensiva e rapporti con la libertà di espressione; Dir. pen. contemp. (rivista on line) 2019, giugno 2019, con nota Galli M., Dalla Cassazione alcune indicazioni per individuare il discrimine tra il delitto di "esibizionismo razzista" (art. 2 co.1 legge Mancino) e il delitto di «manifestazioni fasciste» (art. 5 legge Scelba)].

Analogo, in precedenza, era stato l'orientamento espresso da Cass. pen., sez. III, n. 37390/2007, la quale, con riferimento alla condotta costituita dallo sventolio, durante un incontro di calcio, del tricolore italiano recante, al centro, l'emblema del fascio littorio, aveva escluso, “mancando la condizione costituita da un pericolo per le istituzioni democratiche”, la configurabilità del reato di “manifestazioni fasciste” o di altri previsti dalla “legge Scelba”, ritenendo invece sussistente quello di cui alla “legge Mancino”, sulla base dell'assunto che il simbolo del fascio littorio “era tipico del fascismo, che ha indubbiamente emanato leggi di discriminazione per motivi razziali”, nulla rilevando che esso fosse stato “usato in altri tempi e in altri luoghi per diverse finalità”, a fronte del fatto che “attualmente, in Italia, è collegato da tutti consociati al regime fascista”.

L'erroneità di tale indirizzo – se ben s'intende il ragionamento seguito dalle Sezioni unite – non sta, tuttavia, nella ritenuta attribuibilità all'ideologia fascista di connotazioni che la rendano assimilabile agli organismi associativi ai quali fa riferimento la “legge Mancino”, ma nella mancata considerazione  della necessità, ai fini della sussistenza del reato,  che tali organismi, ispirati o meno che siano ad idealità proprie del fascismo, siano attualmente esistenti ed operanti; il che, ovviamente, non può dirsi del disciolto e mai più ricostituito partito fascista.

Le Sezioni Unite hanno avuto cura, peraltro, di precisare (pagg. 23,24) che gli organismi in questione possono essere costituiti anche da “aggregazioni di natura estemporanea”, la cui operatività potrebbe, quindi, essere “dimostrata proprio dalla condotta collettiva posta in essere”, senza che ricorra la necessità che siano “previamente sorti rispetto alla manifestazione”. Il che dà luogo, tuttavia, a qualche perplessità. La norma incriminatrice richiede, infatti, che le manifestazioni esteriori, gli emblemi o i simboli in essa menzionati siano “propri o usuali” degli organismi associativi già previsti dall'art. 3 l. n. 654/1975 ed ora dall'art. 604-bis c.p. E ciò presuppone, necessariamente, la previa esistenza di detti organismi, non vedendosi come possa affermarsi la qualificabilità di un comportamento o di un segno distintivo come “proprio o usuale” di qualcuno se quel qualcuno non sia già venuto ad esistenza ed abbia reso visibili le proprie caratteristiche. Sembrerebbe quindi più logico ritenere che, quando le manifestazioni, gli emblemi o i simboli non siano riferibili ad alcun organismo associativo già esistente (quale che ne sia la consistenza e la natura), possa prospettarsi  soltanto la seguente alternativa: o essi sono, in sé e per sé, privi di riconoscibile attitudine a trasmettere messaggi di odio, discriminazione, violenza, etc., e allora non possono, evidentemente, dar luogo ad alcuna ipotesi di reato; oppure hanno quell'attitudine, e allora potrà rendersi configurabile non il reato di cui all'art. 2 della “legge Mancino” ma, a seconda dei casi, quello di cui alla lett. a) o alla lett. b) del primo comma dell'attuale art. 604-bis c.p.,  che prevedono e sanzionano, rispettivamente: - alla lett. a), la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico nonché l'istigazione a commettere atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; - alla lett. b), l'istigazione a commettere violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. 

Manifestazioni fasciste e apologia del fascismo come condotte “a rischio”

Chiariti nel modo che si è detto i rapporti tra il reato di cui all'art. 2 della “legge Mancino” e quello di cui all'art. 5 della “legge Scelba”, le Sezioni unite hanno ribadito, con riguardo a quest'ultimo, la validità del principio affermato, per la prima volta, dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 74 del 1958, secondo cui il fatto di porre in essere  “manifestazioni fasciste”, per  assumere rilievo penale, ai sensi del citato art. 5, senza collidere con il diritto di libera manifestazione del pensiero tutelato dall'art. 21 della Costituzione, «deve trovare nel momento e nell'ambiente in cui è compiuto circostanze tali, da renderlo idoneo a provocare adesioni e consensi ed a concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni fasciste». Pressochè negli stessi termini si era espressa, successivamente, la  Corte costituzionale con la sentenza n. 15 del 1973 (anch'essa richiamata dalle Sezioni unite) , affermando che la norma penale in discorso (all'epoca avente ancora carattere contravvenzionale), «intende vietare e punire unicamente quelle manifestazioni che, in relazione alle circostanze di tempo, di luogo e ambiente in cui si svolgono e per le loro obbiettive caratteristiche, siano comunque idonee a far sorgere la situazione di pericolo di ricostituzione del partito».

A tali principi si è poi costantemente ispirata la giurisprudenza di legittimità, per cui essi possono ormai essere considerati come indiscussi. Il problema è però quello che non risultano elaborati principi sulla base dei quali possano individuarsi, “a priori”, con sufficiente sicurezza, le condizioni nelle quali le “manifestazioni fasciste” sarebbero da ritenere concretamente idonee a produrre le situazioni di pericolo che rendono il fatto penalmente perseguibile. Il che ha dato luogo ad una varietà di decisioni nelle quali l'elemento determinante, in un senso o nell'altro, risulta essere stato l'apprezzamento, puramente discrezionale e largamente opinabile, delle singole situazioni fattuali. Così, ad esempio, hanno ritenuto la configurabilità del reato: - Cass. pen., sez. V, n. 36162/2019, in un caso nel quale – come si legge nella massima ufficiale – le “manifestazioni fasciste” erano consistite «nell'organizzazione di una squadra di militanti, nella predisposizione di armi improprie, nell'uso della violenza contro avversari politici, nonché nella esplicita rivendicazione del predominio territoriale ed ideologico, quale metodo di lotta politica»; - Cass. pen., sez. I, n. 37577/2014, in un caso nel quale i partecipanti ad una pubblica riunione di commemorazione degl'Italiani che, nel 1945, era stati fatti morire nelle c.d. “foibe”, site nei pressi dell'abitato di Trieste, avevano fatto il “saluto romano” accompagnato dal grido “presente!” (la sentenza è pubblicata in Cass. pen. 2014, p.4107, con nota Padrone D., Configurabilità del reato di cui all'art. 5 l. n. 645/1952 nel caso di "saluto romano" in una pubblica manifestazione; Giurisp. Costit. 2014, p. 4801, con nota di Diotallevi L., Sulla permanente "attualità" del reato di "manifestazioni fasciste" ex art. 5 "Legge Scelba"); - Cass. pen., sez. I, n. 11943/1982, in un caso in cui taluni imputati, subito dopo la lettura della sentenza emessa nei loro confronti, si erano alzati in piedi ed avevano fatto il “saluto romano” accompagnato dal ripetuto grido “sieg heil”; - Cass. pen., sez. I, n. 3826/ 1972, in un caso in cui il “saluto romano” era stato fatto in occasione di un comizio elettorale da una persona armata di manganello. Per converso, la configurabilità del reato è stata esclusa, da Cass. pen., sez. I, n. 11038/2017, in un caso (del tutto assimilabile a quello sottoposto ultimamente all'attenzione delle Sezioni unite), in cui  il rituale del “saluto romano” e della “chiamata del presente”, accompagnato dall'esibizione della “croce celtica”, era stato posto in essere dai partecipanti ad una pubblica cerimonia commemorativa di defunti militanti della Repubblica sociale italiana e di formazioni politiche successive che si ispiravano a idealità fasciste, trattandosi – si è detto – di manifestazioni prive di «alcuna concreta idoneità offensiva nel quadro di un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma incriminatrice, essendo rivolte esclusivamente ai defunti in segno di omaggio ed umana pietà». (La sentenza è pubblicata in Dir. pen. e proc., 2017, p. 1585, con nota di Caroli P., Commemorare i caduti della Repubblica Sociale Italiana con il saluto romano non costituisce reato).

Analoga situazione, del resto, appare riscontrabile anche con riguardo al reato di “apologia del fascismo”, previsto dall'art. 4 della “legge Scelba” che – si è affermato in giurisprudenza – costituisce reato solo «se posta in essere con una condotta idonea a favorire la concreta possibilità di riorganizzazione del partito fascista, vietata dalla costituzione repubblicana», aggiungendosi che «L'accertamento delle circostanze di fatto che integrano il reato compete al giudice di merito ed è insindacabile in Cassazione, se congruamente motivato». Così, in particolare, Cass. pen., sez. II, n. 11106/1979. Nello stesso senso, tra le altre: - Cass. pen., sez. I, n. 581/1979, secondo cui: «manifesti e scritte propagandistiche sui muri possono integrare il reato di apologia del fascismo, quando non si limitino ad una innocua difesa elogiativa del regime fascista, ma mirano ad una sua esaltazione e restaurazione mediante il richiamo del mito politico del capo del fascismo ed una istigazione alla realizzazione pratica di un'azione politica, ispirata a quel regime»; - Cass. pen., sez. II, n. 3929/1978, la quale ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano assolto per insufficienza di prove un gruppo di persone che avevano distribuito alcuni stampati con effige di Mussolini, esaltanti l'idea fascista e l'odio verso gli ebrei, in considerazione della esiguità numerica del gruppo, il carattere velleitario dell'iniziativa, della brevissima vita del gruppo stesso; - Cass. pen., sez. II, n. 8506/1977, la quale ha precisato che per valutare l'idoneità dell'apologia a determinare il concreto pericolo di una riorganizzazione del partito fascista, occorre rifarsi «alla struttura del delitto tentato, così come configurato nell'art. 56 c.p.».

In definitiva, quindi, tanto le “manifestazioni fasciste” quanto l'“apologia del fascismo” continuano a restare, di fatto, nel limbo delle condotte definibili semplicemente “a rischio”, nel senso che chi le pone in essere non è messo in grado di sapere, in partenza, se sta o meno commettendo un illecito penale. Egli, pertanto, deve decidere non se violare o meno la legge ma se correre o meno il rischio che gli venga addebitato di averla violata e che l'addebito venga, da un giudice, ritenuto fondato.  Il che è quanto di più lontano si possa immaginare da una regola fondamentale dello stato di diritto, secondo cui la linea di confine tra il lecito e l'illecito dovrebbe essere delineata (per quanto umanamente possibile) con tale chiarezza da essere percepibile da ciascuno dei consociati o almeno, qualora si tratti di materie specialistiche, da ciascuno di coloro che si debbano presumere dotati delle necessarie conoscenze.

Per la verità un'analoga osservazione potrebbe farsi anche con riguardo al reato di “apologia di delitti” previsto dall'art. 414, comma 3, c.p., anch'esso a suo tempo sospettato di contrasto con l'art. 21 della Costituzione e “salvato” dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 65 del 1970, in cui si afferma che l'apologia punibile sulla base del suddetto articolo è soltanto «quella che per le sue modalità integri comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti». Va tuttavia considerato che tra questa figura di reato e l'apologia del fascismo vi è la rilevante  –  anche se non decisiva – differenza che la prima ha per oggetto fatti specifici che debbono essere costituiti da veri e propri “delitti” attualmente previsti come tali dall'ordinamento penale mentre la seconda ha per oggetto un movimento politico  non più, da gran tempo, esistente e sul quale il giudizio storico non può che essere assolutamente libero, con l'unico, incerto limite costituito appunto dal divieto di una sua formulazione in termini ed in circostanze tali non solo da farlo apparire giustificarlo ma anche da creare, a causa di essa, il concreto pericolo che quel movimento possa essere ricostituito. Ed appare significativo, a quest'ultimo proposito, che, nella giurisprudenza di legittimità, si sia precisato, da Cass. pen., sez. I, n. 28565/2022, in linea con quanto già affermato, a suo tempo, da Cass. pen., sez. II, n. 1564/1980, che: «In tema di riorganizzazione del disciolto partito fascista, non è vietata la costituzione e l'attività di movimenti che facciano propri solo alcuni punti programmatici di quel partito e non la sua intera ideologia. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione di merito che aveva escluso la sussistenza del reato nella semplice presenza, nello statuto e nel programma di una associazione privata, della dottrina storica del corporativismo, accanto alla promozione di un modello di repubblica presidenziale e a principi di salvaguardia delle libertà e rifiuto di ogni forma di discriminazione razziale»; la sentenza è pubblicata in Giur. It. 2022, p. 2749, con nota di Notaro D., Ideologie e manifestazioni espressive delle associazioni neofasciste punibili). A maggior ragione, quindi, non potrebbe considerarsi “apologia del fascismo” la rievocazione elogiativa di singoli frammenti della sua dottrina o di singole realizzazioni del suo programma politico. 

Considerazioni finali

Volendo, a questo punto, trarre le fila da tutto quanto finora esposto, sembra doversi, in primo luogo, condividere il “regolamento di confini” effettuato dalle Sezioni unite tra il reato di cui all'art. 5 della “legge Scelba” e quello di cui all'art. 2 della “legge Mancino” nei termini che si sono, sopra, sommariamente illustrati, come pure la confermata linea interpretativa del primo dei suddetti reati, nel senso del  suo inquadramento fra quelli definibili di “pericolo concreto”, attesa la necessità che le condotte in esso indicate, oltre ad essere comprese tra quelle “usuali del disciolto partito fascista”, diano luogo all'effettivo pericolo di una riorganizzazione del suddetto partito, vietata dall'art. XII delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione e prevista come reato dagli artt. 1 e 2 della medesima “legge Scelba”. Al suddetto pericolo dovrebbe ritenersi equiparato - attesa l'espressa estensione della previsione normativa alle manifestazioni usuali delle “organizzazioni naziste” – quello della creazione ex novo (non essendovi mai stato, in Italia, un partito nazista e non potendosi, quindi, parlare, di una di una “riorganizzazione” del medesimo) di una qualsiasi entità associativa qualificabile come “nazista” e da ritenersi, pertanto, vietata e penalmente sanzionata in base all'art. 604-bis, comma 3, c.p. (già art. 3, comma 3, l. n. 654/1975).

Ciò detto, resta però immutata l'annosa problematica nascente dall'assenza di criteri predefiniti sulla base dei quali stabilire quando le “manifestazioni fasciste” diano luogo ai suddetti pericoli, in assenza dei quali non possono assumere, ostandovi l'art. 21 della Costituzione, rilievo penale. Il che vale anche per l'“apologia del fascismo”, essendo anch'essa annoverabile tra i reati di “pericolo concreto”, per la stessa ragione per cui lo sono le “manifestazioni fasciste”. In realtà, attesa la estrema varietà dei modi e delle circostanze di fatto in cui possono attuarsi tanto le “manifestazioni fasciste” quanto l' “apologia del fascismo”, appare estremamente difficile che possa addivenirsi alla creazione di validi criteri del genere anzidetto.

Resta quindi immutata e presumibilmente immutabile l'oggettiva imprevedibilità (salvo, forse, casi estremi) della rilevanza penale dei comportamenti materiali - pur sufficientemente tipizzati sotto il profilo fattuale - previsti dalle due norme incriminatrici in questione. Il che potrebbe perfino giustificare l'ipotesi che i reati in esse previsti, salvati dal pericolo della collisione con l'art. 21 Cost. grazie alle sentenze della Corte costituzionale che li hanno trasformati da reati di “pericolo presunto” (quali sicuramente concepiti in origine) in  reati di “pericolo concreto”, trovino però, una volta o l'altra, proprio per questo,  sulla loro strada l'imprevisto ostacolo dell'art. 25, comma 2, Cost.,  in uno con l'art. 7, comma 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, potendosi prospettare una  violazione del principio di tassatività e, pertanto, di non genericità delle fattispecie di reato previste nelle leggi penali.

E non varrebbe osservare in contrario, per neutralizzare in partenza una tale prospettazione, che esistono nell'ordinamento italiano una quantità di reati di “pericolo concreto” mai validamente sospettati di contrasto con il principio di tassatività, quali, ad esempio, quelli previsti dal Titolo VI del Libro II del Codice penale. In tali reati, infatti, la riconoscibilità o meno del pericolo è rimessa, in genere, a nozioni di comune esperienza basate su cognizioni scientifiche attinenti ai meccanismi di causalità materiale suscettibili di produrre determinati eventi. La riconoscibilità o meno del pericolo, invece, nei reati di cui agli artt. 4 e 5 della “legge Scelba”, è rimessa a mere congetture circa quello che potrebbe essere l'impatto delle condotte in essi indicate sulle determinazioni liberamente adottate da esseri umani che a quelle condotte fossero presenti o delle quali venissero a conoscenza.  

Sia consentito, quindi, chiedersi, a questo punto, se debba ancora considerarsi proprio necessaria la permanenza, nel vigente ordinamento penale, dei reati in questione, atteso che, ai fini dell'attuazione di quanto previsto dall'art. XII delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione, sarebbe, a rigore, necessaria e sufficiente la sola previsione, come reato, della riorganizzazione del partito fascista, quale, in effetti, già contenuta negli artt. 1 e 2 della “legge Scelba”.  E ciò tanto più in quanto, tra le condotte suscettibili di rendere configurabile tale reato sono espressamente indicate quelle costituite dalla “esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi” che siano stati “propri” del partito fascista e dal compimento di “manifestazioni esteriori di carattere fascista”. Il che comporta che, qualora tali condotte, del tutto corrispondenti a quelle previste come autonomi reati dagli artt. 4 e 5 della stessa legge, diano effettivamente luogo al “concreto pericolo” di riorganizzazione del partito fascista, ben potrebbero restare ugualmente, ed, anzi, più gravemente punibili a titolo di tentativo di tale riorganizzazione. Guglielmo di Occam, al quale risale il noto principio secondo cui entia non sunt multiplicanda sine necessitate (c.d. “rasoio di Occam”), sarebbe, presumibilmente, d'accordo.

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