L’adozione di minori orfani di femminicidio e il diritto a mantenere i rapporti con i famigliari d’origine

26 Giugno 2024

La pronuncia in esame, nel tracciare i confini delle differenti conseguenze sui rapporti familiari originari tra l’adozione piena e quella mite, ritiene che l’art. 27 della l. 184/1983, riguardante gli effetti dell’adozione piena o legittimante, non contenga un divieto assoluto per il Giudice di valutare la possibilità per il minore orfano di mantenere e preservare le relazioni socio affettive con il nucleo parentale della famiglia di origine.

La linea guida del superiore interesse del minore - rimasto orfano in conseguenza dell’omicidio della madre perpetrato dal padre e, per tali ragioni, dichiarato in stato di adottabilità - ha condotto la Corte a valutare di preservare i rapporti tra il minore, i prozii paterni e la nonna materna, secondo i tempi e le modalità stabilite dai Servizi Sociali territoriali, vista la sussistenza di una relazione affettiva significativa che avrebbe potuto agevolare e preservare lo sviluppo dello stesso anche nell’elaborazione del grave trauma subito.

Massima

La Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: “L'art. 27, comma 3, l. 184/1983, riguardante gli effetti dell'adozione piena o legittimante, non esclude che il Giudice possa valutare in concreto il preminente interesse del minore a mantenere relazioni socio affettive con il nucleo parentale della famiglia di origine, attenendo la necessaria ed inderogabile recisione dei rapporti parentali, esclusivamente al piano delle relazioni giuridico formali”.

Il caso

A seguito dell'omicidio perpetrato da un soggetto a danno della propria compagna, la Corte d'Appello di Milano dichiarava lo stato di adottabilità dei tre figli minori della coppia, avendo constatato l'inidoneità genitoriale sia del padre, che di tutte le altre figure parentali vicino agli stessi.

In questo contesto, però, la Corte riteneva utile nell'interesse dei minori, in ragione delle relazioni affettive esistenti, preservare i rapporti dei bambini con i prozii paterni, nonché con la nonna materna ritenendo che, con la supervisione dei Servizi territoriali competenti, questi legami avrebbero potuto aiutare i minori ad affrontare e superare il grave trauma subito in conseguenza dell'uccisione della madre.

Tale provvedimento veniva impugnato dalla Procura Generale di Milano con un unico motivo di ricorso avente ad oggetto l'asserita violazione degli artt. 7 e ss. e 44 e ss. della legge 184/1983, per avere la Corte di Milano applicato all'adozione legittimante i principi tipici dell'adozione mite inerenti alla conservazione dei legami con la famiglia d'origine, nonostante l'espresso divieto contenuto nell'art. 27 terzo comma l. n. 184/1983.

La nonna materna dei minori, i prozii dei minori e il padre biologico degli stessi depositavano controricorso per chiedere il rigetto del ricorso per Cassazione depositato dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello. Quest'ultimo gravame veniva dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione, poiché tardivamente notificato, circostanza emersa al tempo dell'emanazione dell'ordinanza interlocutoria n. 230 del 2023 avente ad oggetto la proposizione dell'eccezione d'illegittimità costituzionale dell'art. 27 terzo comma legge n. 184/1983, fondata sulla necessità di valutare l'opportunità di prevedere nel nostro ordinamento diverse forme di adozione.

Il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione condivideva tale valutazione e riscontrava la necessità di regolare in modo speciale e specifico le forme di tutela per gli orfani di femminicidi, fenomeno sempre più presente nella società «nel quale vengono in gioco i diritti fondamentali della persona minore di età che ha vissuto gravi traumi emozionali».

Il magistrato, infatti, riteneva importante cercare di limitare i traumi dei minori che, dopo aver perso entrambe le figure genitoriali, potevano subire un ulteriore trauma derivante della rescissione dei legami con le figure parentali importanti per il loro sereno sviluppo psicologico.

Per tali ragioni, il P.G. aveva chiesto, in via principale, l'enunciazione di un principio di diritto nell'interesse della legge ex art. 363 c.p.c. che mitigasse il divieto assoluto di conservazione dei legami parentali contenuto nell'art. 27 fondato su un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma volta a preservare e garantire il superiore interesse del minore a non recidere il legame con la famiglia d'origine, ove necessario, per il mantenimento del suo benessere psico-fisico.

In via subordinata, ove tale divieto non fosse risultato superabile con un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma, veniva rimessa alla Corte Costituzionale la valutazione della «tenuta costituzionale di una norma (art. 27 l. 184/1983)  in un contesto sociale profondamente mutato, quale quello attuale, dove la recisione dei legami con i nuclei familiari originari, pur essendo frequentemente necessaria, non sempre è criterio adeguato per fornire una tutela sostitutiva ed effettiva alle situazioni dolorose generate da forme di violenza familiare ed assistita».

Con la già citata ordinanza interlocutoria n. 230/2023, i Giudici della prima sezione della Corte di cassazione avevano evidenziato l'impossibilità di enunciare un principio di diritto fondato sull'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 27 comma 3 l. 184/1983 posto che, per come formulata, la norma non permetteva la valutazione in concreto del preminente interesse del minore a non interrompere i legami con il nucleo parentale di origine.

La Consulta, al contrario, con la sentenza n. 183/2023 ha riconosciuto la possibilità per il Giudice, interpretando i principi contenuti nella l. 183/1984 a tutela del minore e della sua identità, di preservare il mantenimento di positive e consolidate relazioni socio-affettive dello stesso con la propria famiglia di origine a condizione che ciò permetta di realizzare e preservare il miglior e superiore interesse del minore e che, di contro, la loro interruzione rischi di arrecare pregiudizio allo stesso. La Corte, in tal senso, ha espressamente affermato che «ove sussistano radici affettive profonde con familiari che non possono sopperire allo stato di abbandono, risulta preminente l'interesse dell'adottato a non subire l'ulteriore trauma di una loro rottura ed a veder preservata una linea di continuità con il mondo degli affetti, che appartiene alla sua memoria e che costituisce un importante tassello della sua identità ...l'assolutezza del divieto riguarda il legame giuridico ma non quello affettivo che, invece, presenta il margine di flessibilità sopra evidenziato, imposto dalla ineludibile valutazione del preminente interesse del minore...».

Tali considerazioni hanno indotto la Corte di cassazione, posta l'inammissibilità del ricorso presentato dal Procuratore Generale, a formulare comunque il principio di diritto nell'interesse della legge ex art. 363 comma 3 c.p.c., per come sopra riportato.

Il provvedimento in commento in definitiva, richiamando il contenuto della sentenza n. 183/2023 della Corte Costituzionale, ha sottolineato come l'art. 27 terzo comma l. n. 184/1983 non impone un divieto assoluto al mantenimento dei legami socio-affettivi tra la famiglia d'origine e il minore adottato “pienamente” e ciò  nel pieno rispetto di quanto previsto dagli artt. 2 e 30 della Costituzione, così come dall'art. 8 della CEDU, nonché degli importanti principi contenuti proprio nella legge sull'adozione, tra i quali rientra l'interesse superiore del minore a non perdere legami e contatti che lo agevolino nella costruzione della propria identità.

La questione

La disciplina della forma classica di adozione del minore (art. 27, l. 184/1983) sancisce, a seguito della dichiarazione di adozione, l'acquisizione da parte dell'adottato dello status giuridico di figlio degli adottanti e la cessazione dei rapporti dello stesso con la propria famiglia di origine.

Alla luce della ratio sottesa alla normativa, essenzialmente incentrata sull'interesse del minore a crescere in una famiglia, la pronuncia in commento si interroga circa la rispondenza della rigida applicazione di tale norma, nella parte in cui fa conseguire all'adozione piena la recisione dei rapporti con la famiglia di origine, al principio generale in discorso.

In tal senso, la Corte ha indagato la possibilità di circoscrivere l'ambito applicativo della norma, valorizzando la differenza tra il piano delle relazioni giuridico-formali e socio-affettive.

Le soluzioni giuridiche

La Legge 4 maggio 1983 n. 184 intitolata “Diritto del minore ad una famiglia” proclama solennemente sin dall'art. 1 il diritto del minore a crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia senza distinzione di sesso, etnia, età, lingua, religione, nel pieno rispetto dell'identità culturale del minore stesso, sempre nell'alveo dei principi fondamentali del nostro ordinamento.

La norma riflette la consapevolezza che il diritto del minore è quello di ottenere l'adempimento e la compiuta realizzazione dei bisogni inerenti alla sua sfera personale complessa, che si compongono di assistenza materiale, sostegno morale, affetto e attenzione vigile da attuarsi all'interno della famiglia.

Famiglia che rappresenta il primo ambiente ristretto dove l'individuo comincia a tessere le proprie relazioni e che, pertanto, deve svolgere il ruolo di comunità educatrice e socializzante.

La legge non si limita a riconoscere al soggetto in crescita il diritto soggettivo a vivere in un ambiente familiare, ossia in quell'ambiente che è fondamentale per un armonico sviluppo della personalità morale e sociale del minore, bensì il diritto a vivere nell'ambito della propria famiglia, con ciò intendendo privilegiare i legami familiari naturali nell'esperienza di vita del bambino e, quindi, il diritto del minore ad essere mantenuto, educato ed istruito nella famiglia di origine.  

Nel momento in cui la famiglia manchi alla cura del minore e il suo stesso interesse lo richieda, la medesima norma al 4° comma, introducendo il riferimento agli istituti dell'affidamento e dell'adozione in quanto strumenti che intervengono a tutela del minore, abbandona il riferimento alla famiglia di origine del minore ed apre la via al riconoscimento (contenuto nel 5° comma) del diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell'ambito di una famiglia diversa da quella di origine.

L'adozione deve rappresentare l'eventualità più estrema nel momento in cui la famiglia biologica o i parenti più stretti del minore, nonostante gli interventi di sostegno dello Stato e degli enti locali, si sia rivelata completamente inadatta alla cura e all'educazione del minore (in tal senso tra le tante Cass. civ. 5 aprile 2022 n. 10989).

In ogni caso, quando i genitori non sono in grado di adempiere ai propri compiti,

il legislatore lascia alla famiglia, intesa in senso ampio e quindi comprendente i parenti fino al quarto grado che abbiano mantenuto un significativo rapporto con i minori, la possibilità di auto-organizzarsi e di regolare al suo interno il problema della cura e dell'educazione dei minori.

L'adottabilità del minore viene, infatti, dichiarata dal Tribunale per i Minorenni se i genitori e i parenti entro il 4° grado non si presentano davanti al giudice competente o se comunque si dimostrano inidonei a prestare la necessaria assistenza morale e materiale per i minori (in tal senso tra le tante Cass. civ. 4 febbraio 2022 n. 3546).

In altre parole, il giudice può procedere alla dichiarazione dello stato di adottabilità (art. 7, comma 1) quando il minore si trova in una situazione di privazione e difficoltà abnorme e antigiuridica.

Per consolidato orientamento della Corte, infatti, «…Lo stato di abbandono dei minori non può essere escluso in conseguenza della disponibilità a prendersi cura di loro, manifestata da parenti entro il quarto grado, quando non sussistono rapporti significativi pregressi tra loro ed i bambini, e neppure possano individuarsi potenzialità di recupero dei rapporti…» (Cass. civ. 11 aprile 2018 n. 9021).

Appare chiaro pertanto che la situazione di abbandono deve essere considerata non con riferimento alla posizione soggettiva del genitore, ma esclusivamente avuto riguardo a quella oggettiva del minore. In altre parole, ciò che importa è che il minore non abbia obiettivamente quelle cure che gli sono indispensabili per crescere.

La realizzazione del superiore interesse del minore assurge, quindi, a criterio di carattere generale “imposto” dal combinato disposto degli artt. 2 e 30 1° e 2° comma della Costituzione, che il Giudice deve privilegiare a fronte del possibile conflitto di interessi tra adulti e minori, al fine di adottare decisioni bilanciate e preferenziali a quello che appare essere l'interesse del soggetto più debole.

Anche in materia di adozione e affidamento, infatti,  il principio cardine al quale bisogna fare riferimento è quello del best interest of child che, per come delineato da un'interessantissima recente sentenza della Corte di Cassazione, deve intendersi come: a) il diritto sostanziale del minorenne a che il suo superiore interesse sia valutato e considerato, rispetto ad altri, come  preminente; b) un principio giuridico interpretativo che dovrà essere utilizzato come faro nell'applicazione pratica e nell'estrinsecazione delle norme a lui riferite; c) una regola procedurale, nel senso che gli organi competenti ad assumere decisioni nell'interesse dei minori devono sempre valutare il possibile impatto della decisione sui minorenni (Cass. civ. 28 luglio 2023 n. 23080).

Sulla scorta di tali principi la Corte d'Appello di Milano, nel caso di specie, ha dichiarato lo stato di adottabilità dei tre minori rimasti orfani, avendo constatato l'inidoneità genitoriale del padre, così come di tutti gli altri parenti.

La disciplina dell'adozione legittimante si modella su quella della famiglia legittima; il c.d. effetto legittimante, consiste nell'acquisto da parte dell'adottato dello stato di figlio legittimo degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome e nella correlativa estinzione dei suoi rapporti con la famiglia d'origine ex art. 27 l. 183/1984.

Tale norma ha l'obiettivo di garantire al minore il pieno inserimento, come figlio legittimo, in una famiglia idonea ad assolvere un'adeguata funzione educativa.

Il legislatore, nel perseguimento della realizzazione del miglior interesse del minore, ha previsto forme di adozione dotate di effetti più limitati in ipotesi rigorosamente circoscritte.

I casi particolari che ricevono apposita disciplina (artt. 47-57 della Legge 184/1983) sono: i) l'adozione di orfano compiuta da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da rapporto stabile e duraturo preesistente alla morte dei genitori; ii) l'adozione del figlio minore del coniuge; iii) l'adozione del minore orfano affetto da handicap; iv) l'adozione del minore nell'ipotesi in cui vi sia la constatata impossibilità di procedere all'affidamento preadottivo.

In tali i casi i minori possono essere adottati senza che ricorrano le condizioni di cui all'art. 7 comma 1, l. 183/1984, per cui non è necessario che siano stati dichiarati adottabili, né che si trovino in situazioni di abbandono.

Queste forme di adozione si differenziano dall'adozione piena, oltre che per il ristretto campo di applicazione, per la previsione di regole più elastiche in tema di legittimazione ad adottare e modalità operative. Trattasi, inoltre, di uno strumento con effetti limitati che si caratterizza, oltre che per la diversa disciplina del cognome, per il mantenimento dei rapporti con la famiglia biologica e (sino alla pronuncia della Corte costituzionale del 28 marzo 2022 n. 79) per l'assenza di qualsivoglia rapporto di parentela con i parenti dell'adottante.

La considerazione complessiva di tali ipotesi peculiari ha dato origine a un dibattito tra i tecnici animato dalla constatazione che l'impianto normativo in materia di adozione non impedisce un'interpretazione estensiva dei modelli di genitorialità diversi dall'adozione legittimante e, ciò, andando ad identificare proprio nella fattispecie astratta di cui all'art. 44 lett. d) una sorta di clausola residuale che ha permesso la nascita della c.d. adozione “mite”.

L'adozione “mite” avente le caratteristiche dell'adozione legittimante pur consentendo il mantenimento dei rapporti con la famiglia d'origine è, quindi, una forma di creazione giurisprudenziale basata sull'interpretazione estensiva e evolutiva dell'art. 27 l. 184/1983, attuata in origine solo da alcuni Tribunali ordinari (Trib. min. Bologna, 9 settembre 2000; Trib. min Bari, 3 febbraio 2010).

Nel caso in esame la Corte di Cassazione, pur avendo dichiarato i tre minori orfani di femminicidio in stato di adottabilità, ha ritenuto opportuno a tutela del superiore interesse degli stessi il mantenimento dei loro rapporti ordinari con la nonna materna e i prozii paterni, secondo le modalità e tempistiche stabilite dai Servizi territoriali competenti, valorizzando la relazione stabile e duratura intercorrente tra gli stessi.

Per come già enunciato in più occasioni dalla Corte di Cassazione «…occorre porre l'attenzione sul minore e sulle sue esigenze per verificare che la soluzione prospettata sia conforme ai suoi interessi: in particolare si dovrà valutare se il mantenimento di un legame con la famiglia di origine sia importante per l'equilibrio psicifisico e la realizzazione della personalità del fanciullo o se, al contrario, ciò sia pregiudizievole per lo stesso...» (Cas. civ. 4 febbraio 2022 n. 3546).

Tale interpretazione estensiva dell'art. 27, come evidenziato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 183 del 28 settembre 2023 richiamata espressamente dalla pronuncia in commento, non è costituzionalmente illegittima nella parte in cui esclude la possibilità di mantenere rapporti con la famiglia d'origine nel preminente interesse del minore adottato, poiché tale norma non contempla un divieto assoluto di preservare relazioni socio-affettive, ove vi sia un interesse concreto del minore alla loro conservazione.

Nel riconoscere, quindi, il valore della continuità affettiva, nel rispetto di quanto stabilito dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo (art. 8 CEDU) che considera come residuale ogni ipotesi di totale eliminazione dei rapporti parentali, il Giudice delle leggi, fornendo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 27, ha chiarito che «…la cessazione dei rapporti con la famiglia biologica attiene al piano delle relazioni giuridico- formali…quanto, invece, all'interruzione dei rapporti di natura socio-affettiva, la norma racchiude una presunzione solo iuris tantum che il distacco di fatto dalla famiglia d'origine realizzi l'interesse del minore…».

Osservazioni

L'interessante pronuncia in esame si presta all'analisi approfondita di una molteplicità di aspetti, aventi svariati risvolti di valutazione dal punto di vista umano e sociale, oltre che giuridico.

Non risultando pertinenti allo scopo pratico di tale contributo simili digressioni, ci limiteremo a svolgere qualche breve riflessione, a tratti volutamente provocatoria,

alla luce dell'evoluzione – o forse sarebbe meglio dire involuzione – della società e dei rapporti sociali.

Preliminarmente, occorre svolgere una doverosa precisazione.

A sommesso parere di chi scrive, infatti, è quasi impossibile giungere a una soluzione uniforme per tutte le ipotesi di adozione o affidamento, poiché ogni caso e ogni situazione famigliare è diversa dall'altra.

Il legislatore, forse nell'intento di fornire una disciplina uniforme, ha riconosciuto sin dall'origine all'adozione legittimante una pienezza di effetti opportuna a scopo sociale, in quanto volta a consentire una migliore  integrazione dell'adottato nel nuovo nucleo familiare e soprattutto a evitare i potenziali conflitti che possono sorgere dall'esistenza di rapporti con due diverse famiglie, una delle quali (quella appunto di origine) rivelatasi inidonea ad assolvere alla sua funzione essenziale ed assistenziale.

La successiva evoluzione sociale e la pratica applicazione quotidiana della normativa, unitamente alle sollecitazioni da parte della giustizia europea così come dei nostri organi giudiziari, hanno condotto il legislatore a rivedere la legge sull'adozione sul presupposto che tale istituto non comporta obbligatoriamente l'obbligo di rescissione dei rapporti con la famiglia d'origine.

Nel 2001, ad esempio, è stato riconosciuto il diritto al minore a essere informato della sua condizione dai genitori adottivi ed il diritto di questi ultimi a richiedere informazioni circa l'identità dei genitori biologici (art. 28 l. 184/1983), implementando così il diritto del medesimo alla formazione dell'identità personale, con la consapevolezza delle proprie radici e la conseguente possibile continuità delle relazioni socio-affettive con le figure che hanno rivestito per lui un ruolo fondamentale.

L'istituto dell'adozione piena, pertanto, risulta uno strumento di applicazione concreta sempre più residuale, in ragione delle estreme conseguenze che produce sul piano della totale e definitiva interruzione di ogni rapporto giuridico e fattuale con la famiglia d'origine.

La profonda ingerenza nella vita del minore che ne consegue, infatti, non può che stimolare una riflessione circa il contrasto della disposizione contenuta nell'art. 27 con l'esigenza di valutare il preminente interesse del minore, principio cardine di tutta la materia.

La pronuncia della Corte costituzionale del 28 marzo 2022, n. 79, con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 55 l. 184/1983 nella parte in cui, mediante rinvio all'art. 300 comma 2 c.c. disponeva che l'adozione in casi particolari non dà luogo ad alcun rapporto civile tra l'adottato e i parenti dell'adottante, è un chiaro esempio della crescente importanza che l'ordinamento riconosce ai rapporti di parentela.

La Corte, infatti, ha rilevato un contrasto di tale norma con gli articoli 3, 31 e 117 - quest'ultimo in relazione all'art. 8 CEDU - della Costituzione, dovendosi garantire a tutti i figli la parità di condizioni e la possibilità di crescere in un ambiente solido e protetto da vincoli familiari.

Riconosciuta l'importanza della creazione di tali rapporti di parentela, ci si domanda come sia possibile che permanga nel nostro ordinamento una norma che nella sua espressione letterale vieta in assoluto il mantenimento di ogni rapporto dell'adottato con la propria famiglia di origine.

Nella prassi, al fine di tutelare l'interesse concreto dei minori coinvolti, si è tentato di adattare l'istituto alle esigenze del caso concreto (talvolta sino a smarrirne completamente i tratti distintivi) ovvero di ricorrere sempre più frequentemente a strumenti meno incisivi per la vita del minore, come l'adozione mite.

In quest'ottica, quale che sia la “forma” giuridica utilizzata, l'attenzione al minore e alle sue esigenze nell'individuazione dell'istituto da applicare, rappresenta oggi un principio di diritto riconosciuto.

Forse, allo stato attuale, si potrebbe pensare di non considerare più come residuali questi tipi “speciali” di adozioni, ma bensì farle oggetto di un'interpretazione e un'applicazione estensiva, nell'attesa che il legislatore intervenga per rispondere alle varie esigenze di ammodernamento degli istituti che, sicuramente, non sono più idonei a risolvere le diverse fattispecie concrete.

In un simile contesto, grazie all'intervento della sentenza in commento, l'autorità giudiziaria è chiamata a valutare, in concreto, se il mantenimento di un legame con la famiglia di origine sia importante per l'equilibrio psicofisico e la realizzazione della personalità del minore o se, a contrario, sia pregiudizievole per lo stesso.

Tale valutazione risulta di fondamentale importanza in presenza di minori orfani di femminicidi, figli che, a seguito di un unico drammatico evento hanno, per ragioni diverse, perso entrambi i genitori e che potrebbero subire un ulteriore trauma di fronte all'automatica interruzione dei rapporti con la famiglia d'origine.

Considerate le criticità connesse al tragico aumento dei femminicidi, ci auguriamo che il legislatore valuti l'opportunità di prevedere un'apposita disciplina a tutela dei minori vittime di tali drammi familiari.

Concludiamo, augurandoci che l'avvento del tanto acclamato Tribunale Unico per la famiglia e le persone potrà rappresentare l'inizio,  se non di un cambiamento, almeno dell'occasione per riflettere attentamente sulla sorte dei rapporti parentali con la famiglia d'origine da parte di tutti gli adottati, oltre che sulle varie forme di adozione in essere e da creare.

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