Libera determinabilità del canone e somme non giustificate dal sinallagma contrattuale

03 Luglio 2024

Con l'ordinanza in commento, la Suprema Corte, precisando, preliminarmente, che la fattispecie sottoposta al suo esame presentava caratteristiche del tutto diverse dalla c.d. buona entrata, in assenza di precedenti specifici in argomento, ha confermato la decisione di merito, la quale aveva ritenuto che non costituisse un “altro vantaggio” per il locatore, sanzionato con la nullità di cui all'art. 79 della l. n. 392/1978, la pattuizione con cui, in sede di conclusione di una sublocazione avente ad oggetto l'edicola di una stazione ferroviaria, la subconduttrice si era obbligata ad estinguere le passività facenti capo al proprio coniuge, trovando così giustificazione nel meccanismo causale dell'art. 1272 c.c.

Massima

Nei contratti di locazione di immobili adibiti ad uso non abitativo, pur se, ai sensi della l. n. 392/1978, il canone di locazione può essere liberamente determinato dai contraenti, non è consentito al locatore pretendere il versamento di ulteriori somme che, non trovando giustificazione nel sinallagma contrattuale, incorrono nella sanzione di nullità prevista dall'art. 79 della medesima legge.

Il caso

La causa - giunta, di recente, all'esame del Supremo Collegio - originava da un procedimento di convalida di sfratto per morosità, promosso da una Società sublocatrice nei confronti di una Società subconduttrice, intimando a quest'ultima il pagamento di tre mensilità del canone di sublocazione.

Costituitasi in giudizio, l'intimata non negava di aver avuto difficoltà nel pagamento del canone, lamentando, però, la nullità del contratto per violazione dell'art. 79 della l. 27 luglio 1978, n. 392, per essere stata subordinata la sua conclusione alla condizione del preventivo versamento, da parte della subconduttrice, di un considerevole importo ad estinzione di un pregresso debito, assunto verso la sublocatrice, dal marito della rappresentante legale della Società subconduttrice.

L'intimata chiedeva, a sua volta, accertarsi l'inadempimento della sublocatrice, per non averle assicurato - come da specifico impegno contrattuale - un locale da adibire ad uso magazzino, chiedendo, su tali basi, la riduzione del canone di locazione.

Convalidato lo sfratto e disposta la trasformazione del rito, l'esito del giudizio ex art. 447-bis c.p.c. consisteva nella declaratoria di risoluzione del contratto per inadempimento della subconduttrice.

Nello specifico, il Tribunale adìto aveva dichiarato risolto, per inadempimento della subconduttrice, il contratto con il quale la Società sublocatrice le aveva sublocato il locale commerciale, sito nell'atrio di una stazione ferroviaria, adibito alla rivendita di giornali, condannandola al pagamento dell'importo di € 42.750,00, a titolo di canoni scaduti e non corrisposti fino ad aprile 2017, oltre interessi.

La decisione veniva confermata con sentenza dalla Corte d'Appello e, avverso quest'ultima, la subconduttrice proponeva ricorso per cassazione.

La questione

Si trattava di verificare - per quel interessa questo breve commento - se fosse stato (o meno) violato il disposto dell'art. 79 della l. n. 392/1978, rimproverandosi alla Corte territoriale di non aver ritenuto in contrasto con tale norma la pattuizione con cui la sublocatrice aveva condizionato la conclusione del contratto di sublocazione al preventivo versamento, da parte della subconduttrice, di una determinata somma, da imputarsi a parziale pagamento di un debito pregresso, assunto da un soggetto terzo nei confronti della stessa sublocatrice.

Ad avviso della ricorrente, la suddetta somma avrebbe integrato una vera e propria “indennità di ingresso”, imposta ad essa subconduttrice, in violazione della suddetta norma, che sanciva la nullità di ogni pattuizione, che non solo attribuisse al locatore un canone maggiore rispetto a quello legale, ma ogni “altro vantaggio” che risultasse privo di giustificazione nel sinallagma contrattuale.

Tale sarebbe stato - ad avviso della ricorrente - il caso di specie, atteso che la richiesta di pagamento di una somma a titolo espromissorio, oltre a soddisfare solo un interesse della parte sublocatrice, risultava essere stata avanzata nella fase delle trattative precontrattuali, nonché direttamente connessa al contratto di locazione, tanto da essere presente, esplicitamente, nella proposta contrattuale irrevocabile sottoscritta da entrambe le parti.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto infondate le doglianze della ricorrente.

Nello scrutinio del motivo di gravame, si muove dalla constatazione che, a dispetto del tentativo della ricorrente di richiamarsi alla giurisprudenza in tema di “buona entrata”, la fattispecie sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità presentava caratteristiche del tutto diverse.

Costituisce, infatti, “buona entrata” l'esborso preteso dal locatore - eventualmente anche nei confronti di un terzo (v., da ultimo, Cass. civ., sez. III, 10 gennaio 2023, n. 368), oltre che dello stesso conduttore - per stipulare il contratto di locazione, allorché esso non abbia alcuna causa giustificativa.

Esso, dunque, trova la sua unica ragion d'essere nella realizzazione, da parte di chi decida di locare il bene, di un vantaggio, correlato al solo fatto della concessione, ad altri, del godimento della res locata, ricadendo, per tale ragione, nel perimetro di applicazione del citato art. 79 della l. n. 392/1978, ed integrando quel vantaggio “altro”, ossia ulteriore rispetto a quelli consentiti dalla disciplina da detta legge, che è vietato da tale norma.

Perché la nullità contemplata da quest'ultima norma possa operare occorre, dunque, che sia prevista - in favore del locatore - una utilitas che, pur trovando occasione nella stipula del contratto, non abbia giustificazione alcuna, alterando, nel contempo, il sinallagma contrattuale proprio della locazione.

Nel caso sottoposto all'esame degli ermellini, invece, la somma di danaro - lungi dal porsi come una “rendita” che veniva lucrata dal locatore, per il solo fatto di immettere il conduttore nel godimento del bene - risultava essere stata pattuita per estinguere debiti facenti capo al marito della legale rappresentante della Società subconduttrice, sicché tale pattuizione, pur avendo condizionato la stipula del contratto, trovava una giustificazione causale estranea al sinallagma della locazione e riconducibile alla fattispecie di cui all'art. 1272 c.c., dando così luogo ad un fenomeno di collegamento tra contratti (per la qualificazione dell'espromissione come contratto, v. Cass. civ., sez. I, 21 novembre 1983, n. 6935; Cass. civ., sez. III, 5 marzo 1973, n. 609).

In proposito, si rammenta che, nel caso dell'espromissione, “la causa è costituita dall'assunzione dell'obbligazione altrui mediante un'attività del tutto svincolata dai rapporti eventualmente esistenti fra il terzo e l'obbligato, anche se non si richiede l'assoluta estraneità dell'obbligato rispetto al terzo, essendo invece necessario che il terzo, presentandosi al creditore, non giustifichi il proprio intervento con un preesistente accordo con l'obbligato” (così, in motivazione, Cass. civ., sez. VI/II, 22 luglio 2021, n. 21102).

Orbene, ad avviso dei magistrati del Palazzaccio, solo se tale giustificazione causale - nel caso concreto - non vi fosse stata, perché puramente simulata, la fattispecie sarebbe ricaduta nella nullità ex art. 79 della l. n. 392/1978, dissimulando l'esistenza di una “buona entrata”.

Osservazioni

Quanto sopra osservato, del resto, trova conforto in una precedente pronuncia della stessa Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. III, 9 ottobre 1996, n. 8815), la quale, per la prima volta, ha avuto modo di affrontare - a seguito dell'abrogazione della l. 23 maggio 1950, n. 253, il cui art. 28 sanciva, espressamente, essere “nullo l'obbligo imposto al conduttore […] di adempiere, oltre al pagamento della pigione, ad altre prestazioni a titolo di buon ingresso […], qualunque sia la persona a favore della quale la prestazione è promessa e comunque questa sia dissimulata” - il tema della persistente nullità, o meno, della “buona entrata”, dopo l'avvento della l. n. 392/1978.

Difatti, se il menzionato arresto di legittimità aveva ritenuto nulla, ai sensi dell'art. 79 della l. n. 392/1978, una clausola con la quale, in occasione della (rinnovata) conclusione di un contratto di locazione, era stata imposta, con efficacia condizionante la stipulazione dello stesso, il versamento di somme che si assumeva avvenuto in restituzione di mutui erogati dal locatore alla parte conduttrice, a tale esito perveniva sul rilievo che dovesse ritenersi “non consentita l'imposizione […] del versamento di somme a fondo perduto a vantaggio del locatore, in difetto di ogni apprezzabile interesse, ed anzi in situazione caratterizzata da violazione dei principi di lealtà, correttezza e solidarietà, ex artt. 1175 e 1337 c.c., da parte del contraente più forte” (così, in motivazione, Cass. n. 8815/1996, cit.).

Interesse apprezzabile, si badi bene, che non si escludeva affatto, in astratto, potesse ricorrere, identificandolo - sempre con riferimento alla fattispecie allora sottoposta all'esame del giudice di ultima istanza - in “un accordo che, a fronte della rinuncia a pretendere il rilascio da parte del locatore, prevedesse il pagamento di una somma di denaro da parte del conduttore, o di terzi interessati”, salvo, però, concludersi che “nessuna indicazione il giudice del merito” avesse fornito “circa gli elementi comprovanti che, in concreto, la volontà dei contraenti” si fosse “atteggiata e manifestata in tal senso, in modo da legare con vincolo di reciprocità rinuncia e pagamento” (v., nuovamente, Cass. n. 8815/1996, cit.).

Ne consegue che resta confermato, in definitiva, che la nullità ex art. 79 della l. n. 392/1978, ed il diritto del conduttore (o del terzo) “a ripetere le somme indebitamente corrisposte, ai sensi dell'art. 2033 c.c.”, presuppone - in presenza di accordi che prevedano attribuzioni ulteriori in favore del locatore, oltre al pagamento del canone di locazione - che “sia accertato, avuto riguardo ad ogni utile elemento”, il ricorrere di un “collegamento funzionale tra il menzionato accordo ed il contratto di locazione”, o che “il pagamento risulti inerente al regolamento economico del rapporto di locazione” (così, ancora una volta, Cass. n. 8815/1996, cit.), senza trovare, dunque, un'altra giustificazione suscettibile di integrare idonea causa adquirendi.  

Per completezza, si ricorda che la convenzione negoziale diretta ad attribuire al conduttore uscente una somma a titolo di “buona uscita”, ed intervenuta tra questi ed il conduttore subentrante nello stesso immobile, di proprietà di un terzo locatore estraneo alla pattuizione (ed al giudizio ad essa conseguente), non integra gli estremi della violazione dell'art. 79 della l. n. 392/1978, non risultando tale pattuizione (diversamente dalla previsione normativa) diretta a limitare la durata dei successivi contratti di locazione aventi ad oggetto il medesimo immobile, oppure volta ad attribuire al locatore un canone maggiore od altro vantaggio non dovutogli, unico beneficiario della buona uscita essendo il conduttore uscente (Cass. civ., sez. III, 13 novembre 1997, n. 11232).

Resta inteso che, in materia di contratti di locazione di immobili urbani destinati ad uso non abitativo, la vigente normativa, contenuta nella l. n. 392/1978, consente ai contraenti la libera determinazione del canone iniziale, ma vieta al locatore di pretendere il pagamento di somme, diverse dal canone o dal deposito cauzionale, a fondo perduto o a titolo di “buona entrata”, che è privo di ogni giustificazione nel sinallagma contrattuale, e il relativo patto è nullo ex art. 79 (perché diretto ad attribuire al locatore un vantaggio in contrasto con le disposizioni in materia), anche se stipulato dal locatore non con il conduttore, ma con un terzo, il quale, ai sensi degli artt. 1421 e 2033 c.c., potrà far valere la nullità del patto e pretendere la restituzione delle somme indebitamente pagate, purché sia accertato un collegamento tra l'accordo e il contratto di locazione, la cui conclusione era condizionata all'attribuzione patrimoniale non giustificata ad altro titolo.

Riferimenti

Cuffaro, Le clausole di determinazione del canone nelle locazioni ad uso diverso dall'abitazione, in Corr. giur., 2017, 315;

Alfano, Contratto di locazione avente ad oggetto immobili ad uso non abitativo: è legittima la clausola del canone “crescente”, in Gazz. forense, 2017, 492;

Restuccia, La nullità della clausola simulatoria del canone di locazione, in Juscivile.it, 2016, fasc. 6, 552;

Di Marzio, Le nullità del contratto di locazione, in Immob. & proprietà, 2014, 37;

De Tilla, Uso diverso e canoni crescenti, in Immob. & diritto, 2010, fasc. 1, 32;

Della Ventura, Un doppio contratto di locazione per aggirare il canone differenziato, in Immob. & diritto, 2009, fasc. 2, 7;

Winkler, Aggiornamento del canone e patti contrari alla legge, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, 333;

Minneci, Il patto di buona uscita, in Contratti, 1998, 275;

Scarpa, La clausola di aggiornamento automatico del canone nella locazione non abitativa, in Rass. loc. e cond., 1998, 378;

Izzo, Libera determinazione del canone di locazione e nullità delle clausole di “buona entrata”, di doppio aggiornamento o di corresponsione anticipata dell'intero corrispettivo, in Giust. civ., 1996, I, 3157.

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