Se l’assemblea delibera all’unanimità di procedere ad una transazione, l’accordo sottoscritto dall’amministratore è pienamente valido

28 Giugno 2024

Per il Tribunale di Catania, l'assemblea condominiale, avendo deliberato con volontà unanime dei condomini di concludere con una transazione una controversia insorta, ha autorizzato implicitamente ma univocamente l'amministratore, come organo esecutivo del condominio, al compimento dello specifico atto di straordinaria amministrazione costituito dalla stipulazione della conciliazione della controversia pendente.

Massima

È pienamente valido l'accordo transattivo sottoscritto dall'amministratore che ha eseguito la volontà consacrata nella delibera assembleare, assunta all'unanimità dei condomini.

Il caso

Alcuni condomini adivano l'autorità giudiziaria al fine di ottenere l'esecuzione forzata degli obblighi di fare di cui al verbale di conciliazione giudiziale, concluso tra essi ed il Condominio, originato da una causa avente ad oggetto l'impugnazione di una delibera assembleare.

Il Condominio proponeva opposizione ex art. 615 c.p.c., introducendo il giudizio di merito. Deduceva, in particolare, che il titolo esecutivo azionato, consistente nel verbale di conciliazione - con il quale il Condominio si era impegnato ad effettuare i lavori di manutenzione straordinaria necessari ad eliminare infiltrazioni di acqua piovana nella proprietà dei suddetti condomini -, sarebbe stato affetto da vizi riguardo alla sua formazione, poiché l'amministratore che lo aveva sottoscritto avrebbe  affermato, falsamente, di rappresentare il Condominio, mentre in realtà era sprovvisto del potere rappresentativo. Più specificamente, la delibera assembleare richiamata nel verbale di conciliazione aveva previsto che l'assemblea deliberava all'unanimità di procedere con la transazione, e si dava mandato a un avvocato per procedere in tal senso. Pertanto, il verbale di conciliazione giudiziale avrebbe dovuto essere sottoscritto dal legale. Invece, così non era stato, in quanto, dalla lettura dello stesso, era emerso che a rappresentare il Condominio non era stato l'avvocato, ma l'amministratore pro tempore, il quale aveva affermato di aver ricevuto mandato dal Condominio a stipulare la conciliazione e di avere, pertanto, la piena capacità e la legittimazione a detta stipula. Pertanto, in assenza di un'espressa procura doveva ritenersi che l'amministratore del condominio non era titolare del potere di concludere transazioni in nome dei condomini e, dunque, l'accordo transattivo era stato concluso da un rappresentante senza potere, ex art. 1398 c.c. Chiedeva, quindi, al Tribunale adìto di accertare e dichiarare che il titolo esecutivo azionato dai condomini fosse inefficace ed improduttivo di effetti nei confronti del Condominio opponente, perchè concluso da un falsus procurator.

I condomini si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto dell'opposizione.

La questione

Si tratta di stabilire nello specifico se l'amministratore di condominio sia titolare del potere di concludere un accordo di transazione in nome dei condomini, in assenza di un'espressa procura - stante la decisione assembleare, assunta all'unanimità, di procedere alla transazione della lite - o se, in tal caso, l'accordo concluso debba ritenersi posto in essere da un rappresentante senza potere (falsus procurator).

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Catania dà ragione ai condomini opposti e rigetta l'opposizione proposta, perchè infondata. Ritiene, dunque, la transazione validamente conclusa dall'amministratore, in forza del potere conferito con la delibera assembleare assunta all'unanimità. Condanna dunque il Condominio alla rifusione delle spese di lite alla controparte.

Osservazioni

Per il giudice siciliano, risulta decisivo, per la presente controversia, quanto deliberato all'unanimità dall'assemblea condominiale, che aveva deciso di procedere con la transazione. Con il verbale di conciliazione giudiziale le parti erano, dunque, addivenute alla transazione della lite che, pertanto, veniva cancellata dal ruolo.

Condividendo le argomentazioni svolte dal giudice dell'esecuzione, il Tribunale ha ribadito che l'amministratore ha semplicemente dato esecuzione alla volontà consacrata nella delibera assembleare, sottoscrivendo la transazione. Nessuna ulteriore procura doveva, pertanto, essere conferita all'amministratore o all'avvocato, già costituito quale legale del Condominio nel giudizio transatto.

Per il magistrato etneo, non può affermarsi che la sottoscrizione della transazione da parte dell'amministratore sia avvenuta senza alcuna autorizzazione da parte del Condominio. Infatti, la stessa è chiaramente ricavabile dal verbale assembleare, peraltro costituente parte integrante del verbale di conciliazione e ivi richiamato. Pe il decidente, il tenore letterale della delibera esprime la volontà unanime dei condomini di concludere con una transazione la controversia con gli altri condomini e, quindi di autorizzare (implicitamente ma univocamente) l'amministratore - quale organo esecutivo del condominio - al compimento dello specifico atto di straordinaria amministrazione costituito dalla stipulazione della conciliazione della controversia.

La transazione, ai sensi dell'art. 1965 c.c., è il contratto con cui le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già cominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro. Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti. Affinchè una transazione sia conclusa validamente è necessario, in primis, l'esistenza di una situazione (attuale o potenziale) di lite, intesa come conflitto tra parti portatrici di interessi diversi, contrapposti. È poi richiesto che la definizione della controversia avvenga tramite reciproche concessioni. Non si avrebbe, infatti, alcuna transazione se le concessioni fossero unilaterali, ossia se una parte riconoscesse pienamente il diritto preteso dall'altra.

Certo è che l'eventuale insussistenza delle reciproche concessioni, implicante l'esclusione di un accordo transattivo, non impedisce comunque la costituzione tra le parti di un vincolo di altra natura, qualora vi sia riconoscimento di un diritto in favore di uno dei contendenti (Cass. civ., sez. II, 29 marzo 1985, n. 2207).

Come affermato innanzi, le reciproche concessioni - tra cui non è richiesto, a pena di validità, un equilibrio economico - non devono necessariamente esaurirsi nell'ambito del rapporto controverso, potendo esse non riguardare le pretese litigiose alle quali s'intenda porre fine, bensì incidere su diritti e beni estranei alla causa, giacché per il comma 2 dell'art. 1965 c.c. è consentito alle parti risolvere la lite costituendo, modificando od estinguendo rapporti diversi da quelli oggetto della pretesa e della contestazione (Cass. civ., sez. II, 17 agosto 1990, n. 8330).

Considerato che la transazione è un atto di straordinaria amministrazione, alla luce delle norme sul mandato, applicabili (in assenza di disposizioni speciali) alla figura dell'amministratore di condominio, il potere di transigere può essere esercitato dall'amministratore solo dietro autorizzazione dell'assemblea, ritenuta l'organo naturale, strutturale e permanente del condominio e assolutamente preminente nell'organizzazione interna dello stesso, dei cui partecipanti esprime, all'esterno, la volontà collettiva.

Il Tribunale di Catania ha chiarito che l'assemblea, utilizzando l'espressione “si dà mandato all'avv… di  procedere in tal senso…” non ha espresso la volontà dei condomini di attribuire la rappresentanza legale all'avvocato ai fini della stipula della transazione stessa, ma ha voluto semplicemente attribuire allo stesso l'incarico di svolgere la fase delle trattative o comunque quella preparatoria alla redazione della bozza di accordo e non certo la fase della sottoscrizione della conciliazione, da reputarsi validamente effettuata dall'amministratore, in forza del potere conferito con la detta delibera.

D'altronde, trattandosi dell'impugnazione di una delibera assembleare, l'amministratore è titolare del potere di resistere ai sensi dell'art. 1131 c.c. senza la necessità di una delibera autorizzatoria dell'assemblea.

L'amministratore, infatti, nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'art. 1130 c.c. o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea, ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi.

L'amministratore, non essendo un organo decisionale bensì meramente esecutivo del condominio, non ha autonomi poteri ma si limita ad eseguire le deliberazioni dell'assemblea ovvero a compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio. Anche in materia di azioni processuali il potere decisionale spetta solo ed esclusivamente all'assemblea che dovrà deliberare se agire in giudizio, se resistere e se impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente (Cass. civ., sez. II, 28 marzo 2012, n. 4988)

Nel caso sottoposto all'esame del Tribunale di Catania - come detto innanzi - l'autorizzazione da parte del Condominio a procedere alla transazione della lite e, dunque, alla stipulazione del verbale di conciliazione, è contenuta implicitamente nella delibera assembleare che esprime la volontà unanime dei condomini di procedere in tal senso.

Nei rapporti tra ciascuno dei condomini e l'amministratore risultano applicabili le regole attinenti al mandato con rappresentanza, richiamate dall'art. 1129, comma 15, c.c. In particolare, ex art. 1708, comma 2, c.c., gli atti di straordinaria amministrazione devono essere indicati espressamente dai mandanti. Tale deve considerarsi la stipulazione di una transazione, in quanto contratto che comporta la disposizione dei diritti delle parti. È quindi necessaria una preventiva e specifica autorizzazione da parte dell'assemblea condominiale. Deve considerarsi, altresì, che va equiparata alla preventiva autorizzazione tramite mandato, sul piano dell'efficacia, la c.d. ratifica dell'assemblea. In tal caso occorre, però, che la volontà di fare propri gli effetti del negozio già concluso sia manifestata in maniera chiara e non equivoca, non necessariamente per iscritto, ma anche con atti o fatti che implichino la volontà di far proprio il contratto e i suoi effetti (Cass. civ., sez. I, 8 aprile 2004, n. 6937).

Nella fattispecie in esame, il giudice catanese ritiene la transazione validamente conclusa dall'amministratore, in forza del potere conferito con la suddetta delibera assembleare, assunta con consenso unanime dei condomini. In ogni caso, aggiunge ulteriormente che, anche volendo diversamente opinare, in più delibere assembleari, adottate successivamente, i condomini hanno dibattuto degli esiti della transazione sottoscritta dall'amministratore, con la quale era stata conciliata la lite.

Pertanto, il giudicante conclude affermando che le determinazioni assembleari (mai oggetto di impugnazione), successive all'accordo transattivo, hanno avuto valore di ratifica incondizionata dell'operato dell'amministratore, in quanto adottate con la piena consapevolezza che era stata sottoscritta dall'amministratore una transazione che aveva previsto lo svolgimento di appositi lavori a cura e spese del Condominio.

Riferimenti

Bordolli, La transazione in condominio, in Immob. & proprietà, 2024, fasc. 2, 83;

De Tilla, I poteri dell'amministratore e la manutenzione straordinaria, in Immob. & diritto, 2010, fasc. 10, 24;

Natali, Negozio di accertamento e transazione nel condominio, in Contratti, 2009, 603;

Scarpa, Quando è valida la transazione: limiti ai poteri dell'assemblea, in Immob. & diritto, 2006, fasc. 6, 34;

De Tilla, Sui poteri dell'amministratore di condominio e sulla ratifica del suo operato, in Riv. giur. edil., 1992, I, 856.

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