La Consulta risolve il conflitto di attribuzioni tra Senato e G.u.p. di Roma

12 Luglio 2024

La Corte costituzionale, con sentenza 21 maggio 2024, n. 117, ha accolto il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sollevato dal Tribunale di Roma nei confronti del Senato della Repubblica nel “caso Siri” in ordine all'utilizzazione delle intercettazioni riguardanti il senatore Siri.

La vicenda

Era accaduto che il Senato della Repubblica, con deliberazione del 9 marzo 2022, aveva negato l'autorizzazione, richiesta dal Tribunale di Roma, all'utilizzazione dei risultati di alcune intercettazioni riguardanti Armando Siri, senatore all'epoca dei fatti.  

La Consulta ha ora risolto il conflitto di attribuzioni, dichiarando che non spettava al Senato della Repubblica negare l'autorizzazione, richiesta dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma a utilizzare nei confronti di Armando Siri, senatore all'epoca dei fatti, le comunicazioni captate nel giorno 15 maggio 2018, nell'ambito di un procedimento penale nel quale il predetto parlamentare risulta imputato.

La Corte costituzionale ha altresì dichiarato che non spettava al Senato della Repubblica negare l'autorizzazione, richiesta dal giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma a utilizzare nei confronti di Armando Siri le intercettazioni captate nei giorni 17 maggio 2018, 17 luglio 2018, 4 agosto 2018 e 6 agosto 2018, nell'ambito del medesimo procedimento penale;

Di conseguenza, la Consulta ha annullato la deliberazione adottata dal Senato della Repubblica nella seduta del 9 marzo 2022 perché adottata in contrasto con l'art. 68, comma 3, Cost., che, com'è noto, richiede l'autorizzazione della Camera di appartenenza «per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza».

La richiesta autorizzazione successiva all'utilizzazione delle intercettazioni

In particolare, il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma aveva richiesto una autorizzazione successiva ad utilizzare in giudizio otto intercettazioni, captate sull'utenza di un soggetto non parlamentare, che avevano coinvolto l'allora senatore Siri. Tali intercettazioni erano state effettuate, nell'ambito delle indagini svolte dalla Procura della Repubblica di Palermo a carico di alcuni imprenditori attivi nel settore delle energie rinnovabili, in un momento antecedente all'emersione di indizi di reità a carico del medesimo senatore, per un'ipotesi di corruzione.

Il Senato, in particolare, aveva distinto tra diverse intercettazioni.

Per le prime due captazioni (effettuate il 15 maggio 2018) il Senato aveva motivato il diniego di autorizzazione ritenendo che per l'autorizzazione successiva all'utilizzazione delle intercettazioni non sussistesse il requisito della “necessità probatoria”.

 Invece, per le restanti sei captazioni (effettuate tra il 17 maggio e il 6 agosto 2018) il Senato aveva negato l'autorizzazione successiva, sostenendo che dovessero essere qualificate come intercettazioni “indirette”, perché l'autorità inquirente, potendo prevedere dopo i primi contatti le future interlocuzioni tra il senatore Siri e l'imputato principale, e quindi gli inquirenti avrebbero dovuto chiedere l'autorizzazione preventiva prevista dall'art. 4 della medesima legge n. 140/2003.

La decisione della Consulta

Nell'accogliere il ricorso del giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma, la Corte costituzionale ha stabilito, innanzi tutto, che il diniego del Senato in merito alla sussistenza della necessità probatoria in relazione alle intercettazioni captate il 15 maggio 2018 «ha menomato le attribuzioni del Giudice ricorrente, in quanto ha preteso di valutare autonomamente le condotte ascritte al parlamentare», anziché operare un vaglio, nei termini richiesti dalla giurisprudenza della stessa Corte costituzionale, «sulle motivazioni addotte a sostegno della richiesta di autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni» per verificare un eventuale fumus persecutionis.

In riferimento, invece, alla prevedibilità delle conversazioni successive al 15 maggio 2018 tra il senatore Siri e l'imputato principale, la Corte costituzionale ha escluso che si trattasse di intercettazioni indirette perché ha  ritenuto che l'ingresso del parlamentare nell'area di ascolto delle autorità inquirenti fosse, in questo caso, del tutto occasionale, non sussistendo «alcuno degli elementi sintomatici che inducono a ritenere che il reale obiettivo delle autorità preposte alle indagini fosse quello di accedere indirettamente alle comunicazioni» del senatore. La Consulta ha aggiunto che il mutamento della direzione degli atti di indagine si sarebbe avuto solo in un momento successivo a quello in cui le intercettazioni – di cui è stata richiesta l'utilizzazione in giudizio – sono state effettuate, vale a dire al momento dell'iscrizione del senatore Siri nel registro degli indagati (avvenuta nel settembre 2018).

Di conseguenza, la Corte ha ritenuto sussistente la menomazione delle attribuzioni del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma, in relazione al non corretto esercizio, da parte del Senato della Repubblica, del potere a questi assegnato dall'art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, in relazione alla qualificazione delle intercettazioni successive al 15 maggio come aventi natura indiretta.

La Corte ha concluso che, limitatamente a tali captazioni, la richiesta di autorizzazione avanzata dal giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma necessiti ora di una nuova valutazione, da parte del Senato della Repubblica, in ordine alla «sussistenza dei presupposti ai quali l'utilizzazione delle intercettazioni effettuate in un diverso procedimento è condizionata, ai sensi dell'art. 6, comma 2, della medesima legge».

Il dispositivo della sentenza

La Consulta, risolvendo il conflitto di attribuzioni, ha perciò dichiarato che non spettava al Senato della Repubblica negare l'autorizzazione, richiesta dal giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma a utilizzare nei confronti di Armando Siri, senatore all'epoca dei fatti, le comunicazioni captate nel giorno 15 maggio 2018, nell'ambito di un procedimento penale nel quale il predetto parlamentare risulta imputato.

La Corte costituzionale ha altresì dichiarato che non spettava al Senato della Repubblica negare l'autorizzazione, richiesta dal giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma a utilizzare nei confronti di Armando Siri le intercettazioni captate nei giorni 17 maggio 2018, 17 luglio 2018, 4 agosto 2018 e 6 agosto 2018, nell'ambito del medesimo procedimento penale.

Di conseguenza, la Consulta ha annullato la deliberazione adottata dal Senato della Repubblica nella seduta del 9 marzo 2022 perché adottata in contrasto con l'art. 68, comma 3, Cost.

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