Il decoro architettonico deve essere rispettato anche per interventi su parti di proprietà o uso esclusivo

15 Luglio 2024

Le norme in materia di condominio sono finalizzate a contemperare differenti diritti. Da un lato, vi è quello del singolo condomino ad utilizzare i beni comuni oppure ad eseguire, nella proprietà esclusiva, interventi che possano avere una ricaduta sulle parti comuni. Dall'altro, vi è l'esercizio di tali facoltà, che è fortemente condizionato dal rispetto di determinati canoni che tutelano aspetti strutturali ed estetici dell'edificio.

Massima

Nel caso di intervento su parti di proprietà esclusiva, eseguito ai sensi dell'art. 1122 c.c., è accolta la domanda di rimessione in pristino avanzata dal Condominio solo se l'opera incide sulla stabilità e sicurezza dell'edificio nel suo complesso; inoltre, il decoro dell'edificio non può considerarsi alterato se l'opera, per la quale sono stati impiegati materiali coerenti con quelli utilizzati originariamente per la costruzione dell'edificio ed in accordo con lo stile delle particolari costruzioni locali, si presenta perfettamente mimetizzata ed è in armonia con le linee e le forme architettoniche del palazzo talchè, ad uno sguardo delle facciate, l'ampliamento sia difficilmente individuabile.

Il caso

Un Condominio citava in giudizio un condomino il quale, in sede di ristrutturazione del proprio appartamento situato al piano terra, aveva realizzato alcuni lavori (quali: apertura di due porte finestre sulla facciata condominiale, mettendo in comunicazione la propria abitazione con l'antistante marciapiede comune e chiusura parziale/totale di due balconi) in assenza di autorizzazione assembleare, con conseguente cambio di destinazione dei balconi stessi in stanze e messa a rischio di sicurezza e stabilità dell'edificio condominiale. Il tutto in violazione delle vigenti norme urbanistiche; degli artt. 1102,1120 e 1122 c.c. e di due norme regolamentari. Le opere così realizzate, infatti, avevano modificato la sagoma dell'edificio alterandone il decoro architettonico.

Il Condominio, pertanto, chiedeva che il convenuto fosse condannato al ripristino della situazione quo ante o, in subordine, al pagamento di una somma pari a quella necessaria per la messa in sicurezza dello stabile, oltre al risarcimento del danno patito.

Il convenuto si costituiva in giudizio contestando gli assunti di controparte e chiedendo il rigetto delle domande di parte attrice, che in effetto venivano respinte dal Tribunale.

La questione

Il caso portato a conoscenza del Tribunale ha per oggetto l'obbligo del condomino di rispettare il decoro architettonico dell'edificio anche quando effettui interventi nella sua proprietà esclusiva che possano avere rilevanza esterna.

Le soluzioni giuridiche

La decisione del Tribunale di Aosta è basata esclusivamente sulla consulenza tecnica d'ufficio svolta in corso di causa ed integralmente riportata nella motivazione.

Il giudice monocratico ha richiamato, in primis, il diritto del condomino di eseguire nella sua unità immobiliare, nelle parti normalmente destinate all'uso comune, ma ricadenti nell'ambito della prima, oppure attribuite in proprietà esclusiva, opere di carattere individuale a condizione che le stesse non rechino danno alle parti comuni, non determinino un pregiudizio alla sicurezza o stabilità dell'edificio e non alterino il decoro architettonico. Il tutto come sancito dall'art. 1122 c.c. applicabile alla fattispecie in esame, il cui oggetto era, in particolare, costituito dalla chiusura totale e parziale di due balconi, per la quale - come evidenziato in sentenza - vale la considerazione che l'intervento non si esaurisce nella modifica di una parte individuale, ma implica variazioni anche su parti di proprietà comune del fabbricato condominiale.

Senza entrare nei tecnicismi dell'elaborato del perito d'ufficio si comprende che la decisione non poteva che essere quella adottata.

Ad avviso del tecnico, l'intervento, quanto al profilo strutturale, non aveva avuto alcun impatto sul comportamento globale della struttura stessa, tanto che la tipologia delle opere non era soggetta alla denuncia richiesta dalla legislazione di riferimento. Tuttavia, pur non derivando dalla chiusura dei balconi conseguenze apprezzabili sullo stato di sicurezza della parte condominiale, erano venuti meno dei coefficienti minimi di sicurezza che interessavano le parti individuali, che avrebbero richiesto opere di consolidamento. In questo senso, quindi, l'onere dell'intervento ricadeva sul condomino, talchè la domanda del Condominio di riduzione in pristino non poteva essere accolta, non essendo stata compromessa – come detto - la stabilità e la sicurezza dell'edificio.

Parimenti, non ne era risultato alterato il decoro dal momento che il convenuto aveva utilizzato materiali in linea con quelli originari ed essendosi l'intervento ben inserito nel contesto dell'edificio, rispetto al quale non si era creata disarmonia per essersi l'opera mimetizzata nel contesto generale.

Osservazioni

Dalle motivazioni che avevano portato il Condominio a promuovere un'azione nei confronti del condomino il quale, nella sua proprietà individuale, aveva effettuato una serie di interventi illeciti, emerge l'asserita violazione di tre norme cardine dell'istituto condominiale, quali gli artt. 1102, 1120 e 1122 c.c. Si tratta di tre disposizioni legislative che si distinguono tra loro per il duplice profilo oggettivo e soggettivo e che, molto spesso, vengono richiamate cumulativamente, mentre la loro natura è del tutto differente.

Occorre, innanzitutto, isolare l'art. 1120 c.c. dalle altre due norme citate, in quanto con essa il legislatore ha affidato al consenso dei condomini (che si devono esprimere con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 5, c.c.) la decisione di introdurre innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni (comma 1). Le ulteriori opere contenute nell'elenco di cui alla norma sono finalizzate a soddisfare interessi comuni, così come per alcune di esse (comma 2, n. 3) vige il divieto di apportare modificazioni tali da alterare la destinazione della cosa comune e da impedire l'uso che di essa possano fare gli altri condomini secondo il loro diritto. Solo nell'ultimo comma, infine, è fissato espressamente un divieto generalizzato per le innovazioni che rechino pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato; alterino il decoro architettonico ovvero rendano alcune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.

Quanto all'inservibilità, va detto che la giurisprudenza (Cass. civ. sez. II, 12 luglio 2011, n. 15308; Cass. civ. sez. II, 29 agosto 2018, n. 21342) ha messo sullo stesso piano il comma 2 e l'ultimo comma dell'art. 1120 c.c., affermando che tale limite non si identifica con un semplice disagio subìto in relazione alla minore utilizzazione del bene, ma deve concretizzarsi nella effettiva inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità.

Differente, poi, è l'ambito applicativo dell'art. 1102 c.c.che mira a contemperare due interessi: quello del singolo partecipante alla comunione - da ricordare che la norma, per effetto dell'art. 1139 c.c., è compatibile con le disposizioni in materia di condominio - a servirsi del bene comune e quello della collettività, rappresentata dagli altri partecipanti che devono essere garantiti nel paritario godimento del bene, secondo i rispettivi diritti e nel mantenimento della destinazione del bene stesso.

Nella norma non vi è alcun riferimento al rispetto del decoro architettonico, che pur è considerato un bene comune da salvaguardare, ma la giurisprudenza (Cass. civ. sez. II, 22 agosto 2012, n. 14607; Cass. civ. sez. II, 10 maggio 2004, n. 8852) non ha mancato di considerare illegittimo anche l'intervento eseguito ai sensi dell'art. 1102 c.c. con pregiudizio del decoro dell'edificio. Da ciò si desume che l'uso della cosa comune potrebbe rispettare le condizioni previste dalla disposizione in esame, ma contravvenire, comunque, al principio che tutela l'aspetto estetico dell'edificio.

Da ultimo, va considerato l'art. 1122 c.c., che il Tribunale ha ritenuto applicabile alla fattispecie in esame, rispetto alla quale la domanda del Condominio è stata respinta sia per il profilo concernente il pregiudizio della sicurezza e stabilità dell'edificio, sia per quello concernente la violazione del decoro architettonico, come risulta da quanto rilevato in sede di sintetica disamina della sentenza.

A fronte di uno smisurato panorama giurisprudenziale il cui nucleo è rappresentato dalla nozione di decoro architettonico, una può essere la definizione più appropriata: un insieme di elementi che caratterizzano le linee estetiche e l'armonia di un edificio. Partendo da tale concetto, poi, ci sono state nel corso degli anni diverse variazioni sul tema e, proprio per quanto concerne l'art. 1122 c.c., è stato specificato che “il decoro è correlato non solo all'estetica - che è data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato imprimendogli una determinata armonia complessiva - ma anche all'aspetto di singoli elementi o di singole parti dell'edificio che abbiano una sostanziale e formale autonomia o siano suscettibili per sé di considerazione autonoma” (così Cass. civ. sez. II, 9 gennaio 2005, n. 1076).

Un principio che pare possa rispecchiare perfettamente l'intervento oggetto della sentenza qui esaminata: inserito in un contesto paesaggistico particolare; caratterizzato da facciate in pietra e dotato di serramenti caratteristici. Tutti elementi che erano stati rispettati da colui che aveva effettuato i lavori, con un adeguamento totale all'estetica originaria del palazzo.

Da ultimo, si osserva come dalla ricostruzione dei fatti risulti, altresì, che il Condominio, nell'atto di citazione, avesse lamentato che il condomino aveva aperto sulla facciata condominiale due porte-finestre, che avevano messo in comunicazione l'appartamento con il marciapiede condominiale. Un intervento che aveva creato un pregiudizio al decoro dell'edificio ma che il Tribunale non ha considerato tale.

Giova a questo proposito chiedersi se sia o meno lecito, da parte di un condomino, effettuare non solo l'apertura di porte e finestre, ma anche di trasformare le une nelle altre e viceversa, oppure procedere ad un allargamento di quelle già esistenti.

In primo luogo, fermo restando che occorre sempre riferirsi alla fattispecie concreta, si può ritenere che l'intervento possa collocarsi nell'ambito applicativo dell'art. 1102 c.c. e non dell'art. 1122 c.c., riguardando l'uso del bene comune, quale è la facciata condominiale. Si tratterebbe, nella specie, di un uso più intenso del muro perimetrale che delimita la proprietà individuale (nella specie: situata al piano terreno). Sul punto, ad avviso della giurisprudenza (Cass. civ. sez. II, 27 ottobre 2003, n. 16097; Cass. civ. sez. II, 21 maggio 1994, n. 4996), vale il principio della comproprietà dell'intero muro perimetrale comune di un edificio che consente al singolo condomino ad apportare ad esso  (anche se muro maestro ) tutte le modificazioni che gli consentano di trarre, dal bene in comunione, una peculiare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini (e, quindi, a procedere anche all'apertura, nel muro, di un varco di accesso ai locali di sua proprietà esclusiva), a condizione di non impedire agli altri condomini la prosecuzione dell'esercizio dell'uso del muro - ovvero la facoltà di utilizzarlo in modo e misura analoghi - e di non alterarne la normale destinazione e sempre che tali modificazioni non pregiudichino la stabilità ed il decoro architettonico del fabbricato condominiale.

Il fatto, poi, che nel caso in esame il condomino avesse creato con le nuove porte - finestre un accesso diretto alla propria abitazione dal marciapiede condominiale nulla toglieva alla funzione del muro, che continuava ad essere comune, così come non sottraeva ai condomini il diritto di passare sul marciapiede comune. Peraltro, un indice di tacita approvazione all'esecuzione di tali interventi poteva essere anche ravvisato nel fatto che il Condominio era stato messo a conoscenza delle intenzioni del convenuto senza avere nulla da eccepire in merito.

Riferimenti

Baldini, La giurisprudenza di fronte alla nozione di decoro architettonico: tra contesto originario e giudizio estetico, in Danno e respons., 2022, fasc. 5, 614;

Tosatti, Non è possibile accusare un condomino di lesione del decoro del condominio per opere minori di pochissima incidenza sull'estetica del caseggiato, in Condominioweb.com, 10 gennaio 2022;

Bordolli, Opere o impianti nelle parti esclusive e decoro architettonico, in Immob. e proprietà, 2014, fasc. 5, 289.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.