Imposta di registro al 3% per la caparra penitenziale
18 Luglio 2024
Massima La caparra penitenziale, ai sensi dell'art. 1386 c.c., in presenza di un diritto di recesso contrattualmente previsto, "ha la sola funzione di corrispettivo del recesso". Tale corrispettivo, rientrando tra le clausole accessorie, ai sensi dell'art. 21 c. 1 DPR 131/1986, è soggetto ad autonoma imposta di registro. Il caso La controversia si apre in seguito ad una serie di avvisi di liquidazione, ricevuti ed impugnati dal notaio rogante e dalle parti di un contratto preliminare, con i quali l'Agenzia delle Entrate rettificava l'imposta di registro dovuta e versata, prevedendo l'applicazione alla caparra penitenziale di un'aliquota del 3%, in luogo di quella dello 0,5%. L'Agenzia delle Entrate, soccombente in primo e in secondo grado, proponeva ricorso per Cassazione - con conseguente costituzione per controricorso del notaio e di una delle società coinvolte - al fine di vedere riconosciuta la violazione:
La suprema Corte, rigettando il ricorso, prevede, però, una correzione della motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell'art. 384 c.p.c., risolvendo, quindi, una questione di diritto di particolare rilievo. In particolare, esaminando congiuntamente i due motivi, evidenzia, da un lato, la funzione di corrispettivo per il recesso della caparra penitenziale, pattuizione effettivamente collegata ad un altro contratto di contenuto patrimoniale, dall'altro, la mancata natura di negozio condizionato, caratterizzandola, piuttosto, quale costituzione di un diritto di recesso potestativo, evidenziando, altresì, che "è solo il pagamento del corrispettivo pattuito (in termini di trattenimento della caparra o di obbligo di corrispondere il doppia dell'importo ricevuto) ad essere subordinato all'esercizio del diritto di recesso e a condizionarne gli effetti, in virtù della previsione dell'art. 1373, terzo comma, cod.civ.". La Corte rileva che la disciplina applicabile sia da individuare nell'art. 28 DPR 131/1986 e che, ove si verifichi lo scioglimento del contratto in correlazione all'esercizio del diritto di recesso, l'imposta di registro sarà, in conformità a quanto previsto dall'art. 9 Tariffa (parte prima) DPR 131/1986, proporzionale e pari al 3%, facendo salvo il caso in cui il corrispettivo sia oggetto di quietanza, assoggettata all'aliquota dello 0,5%, ai sensi dell'art. 6Tariffa (parte prima) DPR 131/1986. Con tale ultima precisazione, viene posto l'accento sull'impossibilità di collocare su un piano paritetico una garanzia e la caparra penitenziale - così come sostenuto dal Notaio rogante e dalle parti del preliminare - non potendo costituire, la caparra summenzionata, alcun diritto personale o reale di garanzia. Ciò detto, la Suprema Corte si esprime in disfavore della parte ricorrente, ritenendo liquidabile l'aliquota al 3%, prevista dall'art. 9 Tariffa (parte prima) DPR 131/1986, unicamente in caso di scioglimento del contratto, derivante dall'esercizio del diritto di recesso medesimo e non fin dalla sua stipulazione, illustrando, altresì, la chiarezza dell'art. 28 DPR 131/1986 che esplicitamente esclude l'imposizione immediata. La questione La sentenza in oggetto analizza il regime impositivo della caparra penitenziale in correlazione al momento di applicazione, illustrando come la tariffa indichi chiaramente la necessità di applicare un'imposta pari al 3%, ma soffermandosi, come anticipato, sul dies a quo l'imposta medesima sarà dovuta. La Suprema Corte, infatti, pedissequamente a quanto indicato nell'art. 28 c. 2 DPR 131/1986, ritiene inammissibile l'imposizione immediata, che dovrà scaturire, anzi, unicamente al momento della risoluzione del contratto, coincidente, nel caso in esame, nell'esercizio del diritto di recesso. In buona sostanza, l'imposizione della caparra penitenziale fin dalla stipula del negozio principale, comporterebbe una doppia imposizione a carico del contribuente che non trova giustificazione nelle tariffa. La soluzione giuridica Per comprendere la soluzione adottata dalla Corte nella sentenza in commento, è opportuno effettuare una breve analisi generale degli istituti coinvolti (per ulteriori approfondimenti si può consultare qui il focus a firma dello stesso Notaio Fabio Cosenza intitolato "Rafforzamento degli effetti del contratto: caparre, clausola penale, multa penitenziale e relativa tassazione"). La caparra configura un contratto reale, perfezionandosi con la consegna di un quantum, sia esso denaro, o cose fungibili, effettuata da una delle parti all'altra. Essa viene disciplinata:
La caparra confirmatoria risulta la maggiormente diffusa nella prassi, tanto da essere un elemento quasi imprescindibile, soprattutto dei contratti preliminari, ed esaurisce la sua funzione alla stipulazione del definitivo, ove viene restituita o imputata a titolo di acconto sul prezzo. Medio tempore , quando gli effetti del contratto non si sono ancora esauriti, funge da strumento di autotutela, potendo, la parte che ha ricevuto la caparra, trattenere la medesima in caso di controparte inadempiente o, dovendo, in caso di inadempimento proprio, restituire il doppia di quanto ricevuto. Tenendo sempre ben a mente che che la parte che non è inadempiente ben può domandare l'esecuzione o la risoluzione del contratto, affidandosi alle norme generali che regolano il risarcimento del danno. La dottrina prevalente, inoltre, riconosce alla caparra confirmatoria una triplice funzione, rimettendo ai contranti la facoltà di optare per tutte e tre o di esplicitare quella desiderata:
Non altrettanto concorde la dottrina nell'individuare la natura giuridica potendo individuare tre orientamenti tra chi la configura come patto accessorio, negozio autonomo ovvero contratto principale. Preferibile l'ultima teoria data l'autonomia di causa rispetto al contratto principale. Passando a trattare la caparra penitenziale, seppur meno frequente nella prassi, sicuramente di maggior interesse per il caso in esame. Essa, disciplinata dall'art. 1386 c.c., rappresenta, contrariamente a quando sostenuto dal notaio e dalle parti del contratto che ipotizzavano l'assimilazione ad una garanzia, un corrispettivo per il recesso ed è proprio questa funzione a denotare la differenza fondamentale dalla caparra confirmatoria. La dottrina prevalente, inoltre, individua anche nella caparra penitenziale un mezzo per rafforzare il vincolo obbligatorio scaturente dal contratto, a fronte dell'onerosità del recesso medesimo. Il punto focale della causa in commento ed in stretta correlazione con quanto appena esposto è la caratterizzazione della caparra penitenziale quale corrispettivo per un diritto di recesso che, non solo sarà contrattualmente previsto solo in via eventuale, ma anche il cui esercizio è da porre su un piano parimenti ipotetico. Proprio sull'eventualità - e conseguentemente sul momento - verte l'indirizzo della Suprema Corte che non ritiene applicabile l'aliquota del 3%, se non alla fase di esercizio del diritto di recesso stesso, esplicitando che un diverso orientamento "si tradurrebbe in una inammissibile doppia imposizione ed andrebbe a colpire la medesima capacità contributiva.". Osservazioni L'arresto giurisprudenziale in commento si allinea alla caratterizzazione fornita della dottrina prevalente, inquadrante la caparra penitenziale quale clausola accessoria con causa propria e propri effetti ulteriori, rispetto al contratto cui attiene. La discordanza s'imprime nel trattamento fiscale individuato ove, quanto enunciato dalla Suprema Corte, mal si concilia con il solco dottrinario che, pur escludendo la caratterizzazione della caparra penitenziale quale dispisizione soggetta a condizione sospensiva non meramente potestativa dell'esercizio del recesso, prevedeva l'applicazione di un'imposta pari allo 0,5%, escludendo la necessità di procedere ad una denuncia di eventi successivi, con conseguente versamento della differenza d'imposta. La sentenza analizzata, in definitiva, altro non fa che rimarcare la scelta già operata dal legislatore di escludere la tassazione immediata dalla caparra penitenziale, posticipando il versamento dell'imposta, comunque dovuta nella misura del 3%, al momento dell'eventuale esercizio del diritto di recesso. |