La preclusione derivante dal giudicato formatosi sul medesimo fatto, risolvendosi in un error in procedendo, è deducibile nel giudizio di cassazione a condizione che la decisione della relativa questione non comporti la necessità di accertamenti di fatto, nel qual caso la stessa deve essere proposta al giudice dell'esecuzione.
Il caso e la questione controversa
Il ricorrente deduceva per la prima volta con ricorso per cassazione la violazione dell'art. 649 c.p.p. perché, dopo la pronuncia della decisione del giudice di appello, era divenuta irrevocabile altra condanna per lo stesso reato (art. 570-bis c.p.) avente ad oggetto anche un lasso di tempo coincidente con quello della sentenza ivi impugnata.
La questione controversa verte, pertanto, sulla deducibilità per la prima volta con il ricorso per cassazione della violazione del principio di ne bis in idem.
Il principio di diritto
Cass. pen., sez. VI, 15 maggio 2024, n. 29188
«La preclusione derivante dal giudicato formatosi sul medesimo fatto, risolvendosi in un error in procedendo, è deducibile nel giudizio di cassazione a condizione che la decisione della relativa questione non comporti la necessità di accertamenti di fatto, nel qual caso la stessa deve essere proposta al giudice dell'esecuzione. Ed invero, nell'ipotesi in cui, invece, sia richiesto un ulteriore accertamento di fatto, il rilievo deve essere avanzato dinanzi al giudice dell'esecuzione».
Il contrasto
La violazione del divieto di bis in idem tra error in procedendo e quaestio facti
Secondo un primo orientamento (cfr. Cass. pen., sez. VI, 15 maggio 2024, n. 29188, non mass.), a cui aderisce la sentenza in commento, è consentito dedurre per la prima volta attraverso il ricorso per cassazione la violazione del principio del ne bis in idem, in quanto la preclusione derivante dal giudicato formatosi sul medesimo fatto, risolvendosi in un error in procedendo, è deducibile nel giudizio di cassazione a condizione che la decisione della relativa questione non comporti la necessità di accertamenti di fatto, nel qual caso la stessa deve essere proposta al giudice dell'esecuzione (tra le altre, Cass. pen., sez. I, 24 giugno 2021, n. 37282, Rv. 282044; Cass. pen., sez. II, 20 marzo 2019, n. 21462, Rv. 276532; Cass. pen., sez. III, 7 aprile 2016, n. 35394, Rv. 267997).
In questo senso, è stato ritenuto che siffatta impostazione sia la più idonea a garantire il corretto contemperamento tra il perimetro del giudizio di legittimità e le istanze difensive, perché permette l'esame, anche per la prima volta, della questione con il ricorso per cassazione. Ciò, a condizione che la parte interessata – su cui grava l'onere della prova – sia in grado di dimostrare la presenza dei presupposti per l'integrazione della preclusione processuale.
Di converso, per altro orientamento, non è deducibile per la prima volta davanti alla Suprema Corte la violazione del divieto di bis in idem sostanziale, in quanto l'accertamento relativo alla identità del fatto oggetto dei due diversi procedimenti, intesa come coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta, implica un apprezzamento di merito; né è consentito alle parti produrre in sede di legittimità documenti concernenti elementi fattuali. Infatti, a prescindere dalla connotazione del vizio dedotto, il giudizio richiesto postula comunque un apprezzamento storico-naturalistico del fatto, che, pertanto, esula dal perimetro del sindacato di legittimità (tra le altre, Cass. pen., sez. II, 15 gennaio 2021, n. 6179, Rv. 280648; Cass. pen., sez. II, 13 marzo 2019, n. 18559, Rv. 276122; Cass. pen., sez. III, 21 settembre 2017, n. 57912, Rv. 273606).
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