Mutamento della qualificazione del fatto e divieto della reformatio in peius

29 Luglio 2024

La sentenza in esame affronta il problema del divieto della  reformatio in peius  a seguito di una ipotesi di rescissione del giudicato.

Dopo aver delineato i termini nei quali il divieto della reformatio in peius  non opera, cioè nel nuovo giudizio conseguente all'annullamento della sentenza di primo grado, impugnata dal sono imputato – disposto dal giudice d'appello o dalla Corte di Cassazione per nullità dell'atto introduttivo ovvero per una nullità assoluta o di carattere intermedio non sanata – i giudici della seconda sezione della Cassazione con la sentenza in esame affermano che il divieto  non opera  in relazione al  nuovo giudizio conseguente alla revoca della sentenza di primo grado  a seguito di  rescissione del giudicato  con restituzione degli atti al giudice di primo grado.

La ragione posta a sostegno di questa conclusione si basa sul fatto che essendo stata la decisione annullata in ragione dell'assenza dell'imputato, configurando questa situazione una  nullità assoluta insanabile, mancherebbe la possibilità di fare riferimento alle determinazioni della sentenza di primo grado come elemento di comparazione.

Dopo aver affermato questa conclusione, sulla quale è difficile non convenire, costituendo un  principio consolidato  sia dottrinale sia giurisprudenziale nonché se non proprio il principio certo una regola codificata anche per altri rimedi (art. 309 c.p.p. relativamente al riesame e art. 428 c.p.p. in relazione alla sentenza di non luogo) con la  sola eccezione dell'opposizione al decreto penale di condanna, proprio in considerazione del fatto che con l'opposizione ammissibile il decreto viene revocato (art. 463, comma 3, 2° periodo c.p.p.) i giudici si soffermano con un  obiter, vista la conclusione appena sviluppata per rispondere ad alcune affermazioni della difesa su ulteriori implicazioni della possibile operatività del divieto.

In particolare, confortati da una giurisprudenza consolidata, i giudici affermano che non costituisce violazione del divieto della reformatio in peius la nuova e più grave qualificazione giuridica data al fatto del giudice d'appello anche quando da essa consegua, fermo restando la pena irrogata, un più grave trattamento penitenziario ai sensi dell'art. 4-bis della l. n. 354 del 1975.

L'indicazione verosimilmente non può non tener conto che attraverso questa modifica, di fatto, la condizione sanzionatoria del solo appellante è pregiudicata, come nel caso in cui la nuova e più grave qualificazione giuridica precluda il  riconoscimento della maturata prescrizione  per il fatto contestato in origine.

Sotto questo specifico profilo non può non ritornare in mente la decisione della CEDU sul caso Drassich e la motivazione dei giudici europei proprio in relazione alla violazione del divieto della  reformatio in peius  (Corte EDU 11.12.2007 Drassich contro Italia).

   

*Fonte: DirittoeGiustizia

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