Gli “assetti organizzativi adeguati”: spunti di riflessione
Alessandro Luciano
31 Luglio 2024
Il contributo intende fare il punto su alcune delle numerose questioni giuridiche che si pongono in tema di “assetti organizzativi adeguati”, clausola generale che - anche alla luce delle recenti riforme in tema di crisi d'impresa - assume assoluta centralità nell'ambito dell'intero diritto commerciale.
L'“adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili”: inquadramento generale
La clausola generale degli “assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati” (o, in breve, dell'“adeguatezza organizzativa”) rappresenta, ormai da tempo, uno degli standard di maggiore rilievo dell'intero diritto commerciale e, in questa prospettiva, ha assunto un ruolo di assoluta centralità anche nell'ambito della crisi d'impresa e del relativo codice.
Se è vero che la codificazione del principio di “adeguatezza organizzativa” all'art. 2086, comma 2, del codice civile - e, pertanto, in una sezione del medesimo, quale è quella dedicata all' “imprenditore”, che contiene alcune tra le regole fondanti in materia - segna un “approdo” tendenzialmente conclusivo, numerose questioni interpretative che si pongono al riguardo sono tutt'altro che esaurite. All'opposto, l'importanza che tale clausola generale è venuta ad assumere, unitamente all'“espansione” di questa a fattispecie alle quali si riteneva che la medesima non trovasse applicazione, fanno ora sì che, per un verso, suddette questioni assumano particolare problematicità e, per altro verso, si pongano nuovi e complessi dubbi interpretativi al riguardo.
L'applicazione della business judgment rule alle decisioni concernenti gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili
Prima di dedicare alcune brevi considerazioni in merito alle (vecchie e nuove) questioni alle quali si è accennato, merita anzitutto ricordare come una delle più complesse tra queste abbia trovato una soluzione tendenzialmente condivisa, perlomeno in giurisprudenza. Il riferimento è alla problematica concernente l'applicazione della c.d. business judgment rule anche agli assetti organizzativi. Si tratta di comprendere se tale “regola” - la quale, come noto, postula la discrezionalità degli amministratori in merito alle decisioni imprenditoriali che assumono, con conseguente irresponsabilità dei medesimi per gli eventuali pregiudizi conseguenti alle stesse - si applichi unicamente alle scelte gestorie o anche a quelle organizzative.
Tale questione è stata al centro del dibattito negli scorsi anni. In particolare, si è sostenuto che, per un verso, le decisioni in merito agli assetti organizzativi, amministrativi e contabili non comporterebbero l'assunzione di rischio d'impresa; per altro verso, la definizione di tali assetti dovrebbe avvenire in base a modelli elaborati dalle scienze aziendali la cui attuazione non presupporrebbe dei margini di autonomia operativa degli amministratori. Questi ultimi, pertanto, dovrebbero limitarsi ad eseguire suddetti modelli, con conseguente impossibilità di applicare al riguardo la business judgment rule.
La giurisprudenza ha tuttavia aderito ad una differente (e maggiormente condivisibile) ricostruzione, ritenendo che anche con riferimento agli assetti organizzativi debba riconoscersi la discrezionalità degli amministratori (particolarmente chiara in questo senso è la statuizione del Trib. Roma, 15 settembre 2020, in questo portale: “L'operato degli amministratori in attuazione dei doveri di cui all'art. 2086 c.c., come novellato dal d.lgs. n. 14/2019, codice della crisi (adozione di adeguati assetti organizzativi con la finalità di rilevare tempestivamente la crisi e di intervento tempestivo per il suo superamento) è insindacabile nei limiti del principio della business judgment rule. Di conseguenza, la mancata adozione di qualsivoglia misura organizzativa comporta sempre una responsabilità dell'organo gestorio, mentre ove una struttura organizzativa sia stata adottata, è possibile sottoporla al sindacato giudiziale, ex art. 2409 c.c., nei limiti e secondo i criteri della proporzionalità e della ragionevolezza, sulla base di una valutazione ex ante”. Sempre in giurisprudenza, cfr. altresì Cass., 23 novembre 2021, n. 36365; Trib. Roma, 8 aprile 2020, in RDS, 2021, 279 ss.; Trib. Torino, 20 novembre 2018, in giurisprudenzadelleimprese.it. Per un inquadramento generale del tema sia consentito il rinvio al mio La gestione della s.p.a. nella crisi pre-concorsuale, Milano, 2016, 156 ss. Nella letteratura più recente: Fortunato, Assetti organizzativi dell'impresa nella fisiologia e nella crisi, in Giur. comm., I, 2023, 908 ss.).
“Inadeguatezza organizzativa” e denunzia ex art. 2409 c.c.
Il disposto dell'art. 2086, secondo comma, c.c., precisa che il principio di adeguatezza organizzativa assume importanza anche allo scopo di rilevare tempestivamente la crisi d'impresa, così implicitamente affermando che suddetto principio non è funzionale unicamente all'emersione di un'eventuale “crisi”. In una dimensione più ampia, pertanto, tale “adeguatezza” dev'essere valutata, per le imprese societarie, anzitutto in rapporto alla loro finalità di produrre utili da dividere tra i consociati (cfr. art. 2247 c.c.) e, nella più generale prospettiva di qualsiasi impresa, in relazione alla capacità di produrre o scambiare i beni o i servizi ai quali è preordinata l'attività economica in questione (v. artt. 2082 e 2555 c.c.).
L'“ampiezza” del perimetro applicativo di tale clausola generale fa emergere, tuttavia, alcune delle questioni interpretative menzionate in precedenza, tra le quali rientra quella relativa alla possibilità di ricorrere alla denunzia ex art. 2409 c.c. anche qualora l'organizzazione sia “inadeguata”. In particolare, se è pacifico che siffatta condizione integri una “grave irregolarità” ai sensi della disposizione da ultimo indicata qualora la società si trovi in una condizione di crisi (Trib. Roma, 15 settembre 2020, in Giur. comm., II, 2021, 1358; Trib. Milano, 18 ottobre 2019, in Giur. it., 2020, 363 ss.), la giurisprudenza ha di recente formulato interpretazioni maggiormente “avanzate” (non sempre condivise dalla dottrina: di “nuovo confine nella rilevanza degli assetti inadeguati: dall'impresa in crisi all'impresa in equilibrio economico, patrimoniale e finanziario” ha parlato al proposito, in una prospettiva critica, Benazzo, La denunzia al Tribunale di gravi irregolarità e l'adozione di assetti organizzativi adeguati: da prevenzione della crisi a “condizione di esercizio dell'attività d'impresa”, in Fallimento, 2023, 822 ss.).
Più specificamente, nell'ammettere il ricorso alla denunzia in questione in presenza di un'organizzazione inadeguata, si è arrivato a sostenere che la “gravità” di questa irregolarità sarebbe maggiore quando l'impresa si trova “in situazione di equilibrio economico finanziario. Gli adeguati assetti, infatti, sono funzionali proprio ad evitare che la impresa scivoli inconsapevolmente verso una situazione di crisi o di perdita della continuità consentendo all'organo amministrativo di percepire tempestivamente i segnali che preannunciano la crisi consentendogli in tal modo di assumere le iniziative opportune” (Trib. Cagliari, 19 gennaio 2022, in Giur. comm., 2023, II, 301 ss. Nel medesimo senso cfr. altresì Trib. Catanzaro, 31 gennaio 2024, in ilcaso.it; Trib. Catania, 8 febbraio 2023, in Fallimento, 2023, 817 ss.). “In altri termini, la violazione dell'obbligazione di predisporre assetti adeguati è più grave quando la società non si trova in crisi” (Trib. Catanzaro, 31 gennaio 2024, cit.).
Potrebbe dunque ricorrersi alla denunzia in considerazione (arrivando fino ad ottenere la revoca degli amministratori e dei sindaci e la nomina di un amministratore giudiziario) anche quando l'impresa societaria si trova in una condizione pienamente “fisiologica” (e, casomai, distribuisce utili ai suoi soci e paga puntualmente i propri creditori), per il solo fatto che l'organizzazione non è ritenuta, di per sé, adeguata alla natura ed alle dimensioni della medesima. E suddetta conclusione è obiettivamente non di poco conto.
“Adeguatezza organizzativa” e s.r.l.
La disciplina delle s.r.l. rappresenta da diversi anni un “cantiere aperto”, sottoposto a continue riforme, che a tratti sembrano avvicinarla al modello della “piccola s.p.a.”; modello questo che, tuttavia, il legislatore del 2003 aveva espressamente rifiutato, configurando piuttosto la s.r.l. come una “società di persone a responsabilità limitata”.
Tali riforme (oltre a porre rilevanti questioni sistematiche in merito alla “direzione” che sta assumendo la disciplina del tipo s.r.l.) pongono all'interprete numerose criticità di carattere pratico. Ad esempio, non è chiaro se la “nuova” previsione dell'art. 2475, comma 1, c.c. (in base alla quale “l'istituzione degli assetti di cui all'art. 2086, secondo comma, spetta esclusivamente agli amministratori”) escluda in assoluto qualsiasi competenza dei soci sul piano dell'organizzazione dell'impresa societaria. Del resto, questa disposizione deve necessariamente “fare i conti” con l'intero statuto normativo della s.r.l., considerato nel suo complesso. Ci si chiede, pertanto, se:
- è possibile affidare diritti particolari ai soci in tema di organizzazione della società, posto che la previsione ex art. 2468, comma 3, c.c. consente di riconoscere loro “diritti riguardanti l'amministrazione della società” e la nozione appena indicata (“amministrazione della società”) comprende non soltanto la dimensione gestoria, ma anche quella organizzativa;
- ai soci sia impedito di assumere scelte in merito all'organizzazione della società anche qualora questi intendano esercitare il potere di “avocazione” delle decisioni amministrative ex art. 2479, comma 1, c.c. Non può, d'altronde, escludersi che questa ipotesi integri un limite alla regola di esclusività della competenza organizzativa degli amministratori ex art. 2475, comma 1, c.c.
Una ricostruzione basata sulla lettera del disposto dell'art. 2475, comma 1, c.c., volta a rispondere negativamente ai quesiti appena posti (e, dunque, ad affermare la competenza inderogabile degli amministratori di s.r.l. in tema di organizzazione della società) è forse, allo stato, quella che raccoglie maggiori consensi. Considerato tuttavia che la questione relativa ai rapporti tra i poteri di coloro che sono formalmente titolari dell'ufficio amministrativo e le prerogative dei soci di s.r.l. è particolarmente complessa e dibattuta, è probabile che le problematiche accennate in precedenza potranno porsi spesso, nella prassi.
Il “rapporto” tra l'art. 2086, comma 2, c.c. e l'art. 3 c.c.i.i.
Un ulteriore, rilevante aspetto problematico concerne le “differenze” sussistenti tra il disposto di cui all'art. 2086, comma 2, c.c. - il quale si applica espressamente all'imprenditore che opera in forma societaria o collettiva - e quello ex art. 3, primo e secondo comma, codice della crisi, che prevede alcune regole con riferimento, rispettivamente, all'imprenditore individuale ed a quello collettivo. Da tali disposizioni emerge come quest'ultimo debba adottare un assetto organizzativo, amministrativo e contabile “adeguato” alla natura ed alla dimensione della sua attività anche allo scopo di rilevare tempestivamente la crisi e la perdita della continuità aziendale e che ugualmente debba attivarsi senza indugio per prevedere ed attuare uno degli strumenti offerti dall'ordinamento per superare la crisi e recuperare suddetta continuità. L'imprenditore individuale è invece tenuto “soltanto” ad adottare “misure” idonee a rilevare tempestivamente la crisi e ad assumere senza indugio le “iniziative” necessarie a farvi fronte.
La differenza - davvero evidente - tra questi due regimi normativi fa sì che si pongano diversi interrogativi al riguardo. Premesso che la distinzione tra “assetti” e “misure” non è affatto chiara (nella letteratura più recente v., ad esempio, Fortunato, Assetti organizzativi dell'impresa nella fisiologia e nella crisi, in Giur. comm., 2023, 904 s.; A.M. Benedetti, Principi (definitori) e clausole generali (ambulatorie): “assetti organizzativi adeguati” e (nozione di) “impresa” nell'art. 2086 c.c., in Riv. dir. civ., 2023, 912 ss., i quali non enfatizzano la differenza lessicale in questione, ritenendo che la regola dell'art. 2086, secondo comma, c.c. abbia portata generale), ci si chiede, ad esempio, se il principio di “proporzionalità” dei primi (che, come già rilevato, devono essere strutturati tenuto conto della natura e della dimensione dell'impresa) si applichi anche alle seconde (a tale quesito sembra doversi rispondere in senso positivo. Cfr., ad esempio, Cagnasso, L'obbligo di attivazione in caso di crisi o di perdita della continuità aziendale, in NDS, 2021, 905).
Non è chiaro, inoltre, se il riferimento alla “continuità aziendale”, presente nel disposto dell'art. 2086, comma 2, c.c., ma non in quello ex art. 3, primo comma, codice della crisi, incida sui compiti che gravano sull'imprenditore individuale/collettivo. Infine, se è vero che la disciplina dettata per quest'ultimo sembra presupporre una maggiore “dimensione” dell'impresa, è dubbio se all'imprenditore individuale di rilevanti dimensioni debbano applicarsi, in via analogica, le regole previste per l'imprenditore collettivo.
Sempre con riguardo ai rapporti tra la disciplina ex art. 2086, comma 2, c.c. e quella dell'art. 3 codice della crisi, quest'ultima stabilisce alcuni “obiettivi” che gli “assetti” (ovvero le “misure”) devono raggiungere per assolvere alla funzione di “prevedere tempestivamente l'emersione della crisi”, unitamente ad alcuni “segnali” che occorre considerare a tal fine (v., rispettivamente, il terzo ed il quarto comma dell'articolo da ultimo menzionato). In presenza di un contesto normativo oggettivamente incerto, stanti anche l'assenza di prassi consolidate, è possibile ritenere che siffatti “obiettivi” rappresentino un minimum che gli “assetti” (o le “misure”) devono garantire. Il raggiungimento dei medesimi, tuttavia, non consente di ritenere con certezza che l'organizzazione sia “adeguata”, posto che questa deve necessariamente parametrarsi alle specificità dell'impresa esercitata. Quanto ai “segnali”, sembra che i medesimi siano degli indici presuntivi della presenza di una crisi, suscettibili tuttavia di prova contraria. In altri termini, qualora una di tali circostanze risulti integrata, è ugualmente possibile che non vi sia alcuna “crisi”, se le circostanze del caso concreto consentono di concludere in questo senso.
Le ulteriori, complesse questioni interpretative che si pongono con riferimento al principio di “adeguatezza organizzativa”: alcuni cenni
Tra gli scopi di questi brevi “spunti” non può rientrare un'analisi esaustiva delle problematiche che si pongono in rapporto al principio di “adeguatezza degli assetti organizzativi”. Al solo scopo di rendere conto della complessità e della quantità delle medesime, si ricorda anche il tema della possibile imperatività della ripartizione di compiti che il diritto azionario ha previsto nel rapporto tra consiglio di amministrazione, amministratori delegati e sindaci (cfr. gli artt. 2381, commi 3 e 5, e 2407, c.c., in ragione dei quali gli amministratori esecutivi “curano” l'adeguatezza organizzativa, il c.d.a. esprime “valutazioni” al riguardo e i sindaci “vigilano” sull'adeguatezza in parola). Relativamente alle s.r.l., ove la “ripartizione” di funzioni appena riportata non è prevista, ci si chiede se debbano applicarsi analogicamente le disposizioni da ultimo menzionate, oppure addirittura se, alla luce del disposto dell'art. 2475, comma 1, c.c., le competenze in tema di organizzazione dell'impresa societaria rientrino tra quelle indelegabili.
Posto che nella prassi sono davvero rare le azioni di responsabilità degli amministratori in occasione delle quali non si contesta l'inadeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, è infine facile prevedere che con riferimento alla clausola generale in esame emergeranno nuovi ed ulteriori dubbi, che l'interprete si troverà a dover risolvere nell'ambito di un contesto normativo composito e di difficile lettura.
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Sommario
L'“adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili”: inquadramento generale
L'applicazione della business judgment rule alle decisioni concernenti gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili
“Inadeguatezza organizzativa” e denunzia ex art. 2409 c.c.
“Adeguatezza organizzativa” e s.r.l.
Il “rapporto” tra l'art. 2086, comma 2, c.c. e l'art. 3 c.c.i.i.
Le ulteriori, complesse questioni interpretative che si pongono con riferimento al principio di “adeguatezza organizzativa”: alcuni cenni