L’attenuante della “provocazione” può essere riconosciuta per il delitto di maltrattamenti in famiglia?

11 Settembre 2024

La Suprema Corte si è occupata di stabilire se la circostanza attenuante della “provocazione” prevista dall'art. 62 n. 2 c.p. può essere riconosciuta in caso di reati abituali e in particolare per il delitto di maltrattamenti in famiglia.

Massima

La circostanza attenuante della “provocazione” è incompatibile con il delitto di maltrattamenti e, più in generale, con il genus dei reati abituali, quelli, cioè, che si realizzano attraverso una serie di comportamenti antigiuridici di analoga natura, ripetuti e replicati nel tempo.

Il caso

Con sentenza del 9 giugno 2023 la Corte d'appello di Ancona confermava la decisione di primo grado, la quale aveva condannato l'imputato per il delitto di maltrattamenti in famiglia in danno della compagna, aggravato dal fatto di essere stato commesso in presenza dei loro figli minorenni ma, contestualmente, aveva anche riconosciuto la circostanza attenuante della provocazione ex art. 62 n. 2 c.p.

Avverso tale sentenza l'imputato proponeva ricorso per cassazione adducendo otto motivi.

In particolare, per quello che in questa sede interessa, con il primo motivo lamentava violazione di legge o vizio di motivazione per essere stato ritenuto sussistente il reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. nonostante il fatto che il Tribunale avesse riconosciuto sussistente la circostanza attenuante della provocazione ex art. 62 n. 2 c.p.

Con il terzo motivo denunciava violazione degli artt. 51 e 52 c.p. poiché non erano state riconosciute tali scriminanti nonostante la madre si fosse allontanata varie volte e  improvvisamente da casa con i figli minori, anche portandoli all'estero e rendendosi irreperibile nonostante essa stessa avesse confermato che tali decisioni non erano dovute all'esistenza di minacce da parte del compagno; tale comportamento poneva l'imputato nella posizione di dover difendere sia il proprio diritto di vedere i figli e sia questi ultimi dalle condotte irragionevoli della donna; inoltre, i comportamenti dell'imputato, sarebbero stati giustificati dal fatto che la donna aveva acquistato un appartamento a sua insaputa, circostanza che lo poneva nella condizione di dover salvaguardare il proprio patrimonio.

Con il quinto motivo, invece, lamentava violazione dell'art. 572 c.p. e conseguente non configurabilità del reato in quanto, non solo non era stata dimostrata l'esistenza di un programma criminoso finalizzato all'oppressione della vittima, ma vi era l'inesistenza di una condizione di sottomissione della stessa che, anzi, aveva sempre mantenuto le proprie facoltà decisionali.

La Suprema Corte con la sentenza di cui si tratta, ha rigettato il ricorso.

La questione

La questione presa in esame è la seguente: se la circostanza attenuante della “provocazione” prevista dall'art. 62 n. 2 c.p. può essere riconosciuta in caso di reati abituali e in particolare per il delitto di maltrattamenti in famiglia.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in commento ha dichiarato infondato il ricorso offrendo la seguente interpretazione.

   

In merito al primo e più rilevante motivo, la Corte ha sottolineato che la giurisprudenza di legittimità ha, da sempre, fermamente sostenuto l'incompatibilità della circostanza attenuante della provocazione, prevista dall'art. 62 n. 2 c.p. (secondo il quale «attenuano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze attenuanti speciali, le circostanze seguenti: ... 2) l'aver agito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui») con il genus dei reati abituali, ovvero quelli che si realizzano attraverso una serie di comportamenti antigiuridici di analoga natura, ripetuti e replicati nel tempo.

   

Pacificamente la Suprema Corte ritiene che non vi è compatibilità fra tale circostanza attenuante e un reato a condotta abituale poiché in presenza di comportamenti offensivi e antigiuridici di analoga natura che si ripetono, reiterano e protraggo nel tempo, quello che l'agente vorrebbe prospettare come uno stato d'ira, che costituisce uno degli elementi della fattispecie descritta nell'art. 62 n. 2 c.p. o come reazione emotiva verso un fatto ingiusto subito, si presentano, in realtà, come espressione di un proposito di rivalsa e di vendetta, al quale l'ordinamento non può dare alcun riconoscimento ed alcuna tutela.

   

Tale principio di carattere generale è applicabile, in particolare, al delitto di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. con il quale l'attenuante della provocazione è incompatibile in quanto esso è contrassegnato costitutivamente, quale reato abituale, da una serie di comportamenti antigiuridici di analoga natura che si ripetono e si replicano nel tempo (Cass. pen., sez. VI, 5 febbraio 2020, n. 13562; Cass. pen., sez. VI, 27 ottobre 2000, n. 12307).

   

L'attenuante della provocazione è incompatibile anche con il delitto di atti persecutori ex art. 612-bis c.p., che è reato abituale che si compone di una pluralità di condotte produttive di un unico evento ed è caratterizzato dalla reiterazione nel tempo di comportamenti antigiuridici di analoga natura, in quanto esso, nella sua dimensione fattuale, si compone di una pluralità di condotte che, pur (eventualmente) rilevanti (anche) nella loro individualità, acquistano valenza ulteriore (e diversa) nella loro sistematica reiterazione. Ed è questo l'unico dato che, giungendo alla produzione dell'evento dannoso, permette di percepire l'effettiva dimensione lesiva della condotta sanzionata. Anche, quindi, a voler ipotizzare che ciascuna delle singole condotte possa trovare la sua genesi in paralleli comportamenti assunti dalla parte offesa, la valutazione della sussistenza dell'attenuante, imponendo un apprezzamento parcellizzato dei singoli atti attraverso i quali si manifesta la condotta, è preclusa proprio dall'evidenziata unitarietà del reato. L'accertamento della sussistenza della diminuente della provocazione imporrebbe una valutazione parcellizzata dei singoli atti nei quali si è realizzata la condotta, non compatibile con la natura unitaria del reato abituale (Cass. pen., sez. V, 9 febbraio 2024, n. 14417; Cass. pen., sez. V, 29 aprile 2021, n. 21487).

   

La Corte, ha ritenuta applicabili tale principi anche alla fattispecie di molestie alle persone ex art. 660 c.p. sul presupposto che è vero che tale reato non è necessariamente abituale, per cui può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o di molestia, purché ispirata da biasimevole motivo o avente il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri, ma è altrettanto vero che la continuità dei comportamenti di disturbo integra l'elemento materiale costitutivo del reato con la conseguenza che in tale ipotesi non trova applicazione la disciplina recata dall'art. 81,  comma 2 c.p., avente quale presupposto la commissione di una pluralità di reati mediante una pluralità di azioni (Cass. pen., sez. I, 3 luglio 2017, n. 29830).

   

Tornando alla sentenza in commento, la Corte ha dapprima specificato che tutti i precedenti di legittimità sopracitati riguardavano vicende nelle quali si invocava il riconoscimento dell'attenuante e non l'esclusione del reato, come invece chiedeva l'imputato con il ricorso depositato; e successivamente, ha ritenuto che sia il Tribunale che la Corte d'appello avevano errato giungendo ad una diversa conclusione sul punto ovvero riconoscendo all'imputato la sussistenza della circostanza attenuante nonostante lo avessero ritenuto responsabile del reato di maltrattamenti in famiglia.

In merito alla sentenza d'appello, la Corte ha però rilevato che, in mancanza di un'impugnazione da parte del Pubblico Ministero sul punto, non avrebbe potuto decidere diversamente; d'altro canto, dell'errore giuridico non può comunque dolersi l'imputato, trattandosi di una decisione sì errata, ma a lui favorevole.

Interessanti sono anche gli altri motivi di rigetto del ricorso, che trovano connessione con quello qui particolarmente esaminato, in quanto espressione degli stessi principi di tutela della dignità della persona.

La Cassazione ha ritenuto manifestamente infondato il terzo motivo relativo al diniego delle cause di giustificazione di cui agli artt. 51 e 52 c.p. in quanto ha giudicato non adeguata la condotta tenuta dall'imputato rispetto all'interesse tutelato dall'ordinamento giuridico, presupposto essenziale perché le succitate cause possano essere ritenute conformi al sistema normativo e giustificate anche quando siano lesive di altrui situazioni giuridiche soggettive. Invero, anche qualora l'imputato avesse avuto la necessità di proteggere i figli dal contegno irresponsabile della madre e di preservare le proprie disponibilità finanziarie dalle sconsiderate iniziative della donna, picchiare ed insultare sistematicamente la stessa, non poteva certamente essere considerato il comportamento corretto da tenere per salvaguardare e proteggere i propri figli e i propri interessi.

   

La Corte, ha ritenuto, poi, manifestamente infondato anche il quinto motivo con il quale l'imputato lamentava violazione dell'art. 572 c.p., basandosi sul presupposto che in tema di maltrattamenti in famiglia, lo stato di inferiorità psicologica della vittima non deve necessariamente tradursi in una situazione di completo abbattimento, ma può consistere anche in un avvilimento generale conseguente alle vessazioni patite, poiché le sporadiche reazioni vitali ed aggressive della vittima non escludono la sussistenza di uno stato di soggezione a fronte di soprusi abituali e, a fronte di condotte abitualmente vessatorie, che siano concretamente idonee a cagionare sofferenze, privazioni ed umiliazioni, il reato non è escluso per effetto della maggiore capacità di resistenza dimostrata dalla persona offesa, non essendo elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice la riduzione della vittima a succube dell'agente (Cass. pen., sez. VI, 17 ottobre 2022, n. 809; Cass. pen., sez. III, 20 marzo 2018, n. 46043).

   

Per tutti questi motivi, la Suprema Corte di cassazione ha ritenuto di rigettare il ricorso presentato dall'imputato e di condannarlo al pagamento delle spese processuali.

   

Attualmente, sulle varie questioni affrontate, le pronunce della Corte di cassazione risultano essere pacifiche.

Osservazioni

La soluzione interpretativa adottata dalla Corte di cassazione conferma e mantiene fermo un orientamento ormai da anni pacifico.

Si tratta certamente di una soluzione razionale, in quanto lo stato d'ira, che costituisce uno degli elementi della fattispecie in cui si compendia l'attenuante di cui all'art. 62 n. 2 c.p., per quanto possa risorgere al ricordo dell'ingiustizia patita e dar luogo ad un comportamento criminoso anche temporalmente da essa distante, deve escludersi che ciò possa reiterarsi indeterminatamente e giustificare l'applicabilità della detta attenuante ad un reato a condotta abituale contrassegnato costitutivamente da una serie di comportamenti antigiuridici di analoga natura che si ripetono e si replicano nel tempo, con la conseguenza che l'applicabilità della suddetta attenuante contrasterebbe con l'unitarietà del reato. Infatti, il reato abituale, nella sua dimensione fattuale, si compone di una pluralità di condotte che, pur (eventualmente) rilevanti (anche) nella loro individualità, acquistano valenza ulteriore (e diversa) nella loro sistematica reiterazione, giungendo alla produzione dell'evento dannoso; anche, quindi, a voler ipotizzare che ciascuna delle singole condotte possa trovare la sua genesi in paralleli comportamenti assunti dalle parti offese, la valutazione della sussistenza dell'invocata diminuente, imponendo un apprezzamento parcellizzato dei singoli atti attraverso i quali si è manifestata la condotta, è preclusa proprio dall'evidenziata unitarietà del reato.

Ma la soluzione interpretativa fornita dalla giurisprudenza, oltre che razionale, è espressione di principi posti a tutela della personalità e della dignità della persona offesa, poiché l'ordinamento giuridico non può dare riconoscimento a propositi di rivalsa e di vendetta e non può mai giustificare comportamenti violenti o che costituiscono affermazione di supremazia nei confronti dell'altro, dal momento che non può darsi una piena ed effettiva garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo (e della donna) (art. 2 Cost.) senza che sia rispettata la sua libertà di autodeterminazione.

Riferimenti

  • Sergio Beltrani (a cura di), Codice penale commentato, Giuffrè Francis Lefebvre, 2024.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.