Perenzione del termine previsto dall'art. 27, comma 6, d.lgs. n. 159/2011 e obbligo di restituzione dei beni

Ferdinando Brizzi
23 Agosto 2024

La previsione di un termine di perenzione della misura patrimoniale si giustifica con il principio della ragionevole durata del procedimento ablativo senza recare un irragionevole pregiudizio alle persone che, a vario titolo, possono subire gli effetti negativi di un intervento in rem.

Massima

Nel caso di perenzione del termine previsto dall'art. 27, comma 6, d.lgs. n. 159/2011, l'inefficacia colpisce il provvedimento di confisca, cioè un provvedimento che "lega a sé" anche il sequestro, a cui, come detto, è inscindibilmente connesso: ciò spiega l'affermazione secondo cui all'inefficacia del provvedimento di confisca – cioè di un provvedimento che tiene insieme "merito" e "cautela" – consegue l'obbligo di restituzione dei beni e la non perseguibilità del procedimento, atteso, da una parte, il venir meno della inscindibilità della confisca con il sequestro, e, dall'altra, l'inesistenza, a seguito della restituzione, di beni oggetto di sequestro e di ablazione.

Il caso

Il 19/06/2023 la Corte d'appello di Napoli ha confermato il decreto con cui è stata disposta la confisca di prevenzione di numerosi beni – sostanzialmente coincidenti con l'intero patrimonio – direttamente o indirettamente riconducibili ai proposti, condannati in via definitiva per il reato di disastro doloso continuato, conseguente al traffico e allo smaltimento di rifiuti anche pericolosi.

Dal decreto impugnato successivamente in Cassazione emerge che nei riguardi dei proposti erano stati contestati anche altri reati, tra cui quelli di associazione per delinquere (per il quale avevano riportato condanna in primo grado previa esclusione della circostanza aggravante della finalità di agevolazione mafiosa), successivamente dichiarato estinto per prescrizione, e di traffico di rifiuti, dichiarato estinto per prescrizione già all'esito del giudizio di primo grado.

I proposti, secondo la Corte d'appello, sarebbero stati portatori di una pericolosità sociale qualificata e, inoltre, soggetti che vivono abitualmente, anche in parte, con proventi di attività delittuose, nonché dediti alla commissione di reati che offendono e mettono in pericolo la sanità e la sicurezza pubblica.

Il 13.7.2023, cioè successivamente al deposito del decreto di conferma della confisca, la Corte d'appello ha dichiarato non luogo a provvedere in ordine all'istanza – presentata il 16.5.2023 nell'interesse degli stessi proposti e dei terzi interessati – con cui era stata chiesta, ai sensi dell'art. 27, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, la perdita di efficacia del decreto di confisca emesso il 16.1.2019 dal Tribunale di Napoli, con conseguente richiesta di restituzione dei beni confiscati.

Secondo la Corte, l'istanza in questione sarebbe stata "superata" per essere intervenuto il 19.6.2023 il decreto, poi impugnato con ricorso per cassazione, di conferma della confisca disposta in primo grado; in particolare, la Corte, in ragione del suo decreto di confisca, ha ritenuto di non dover provvedere sulla richiesta di restituzione dei beni avendo esaurito il proprio potere decisionale.

Ha precisato la Corte che il decreto di conferma da lei emesso costituirebbe un titolo giuridico giustificativo della ablazione autonomo e distinto rispetto al provvedimento di sequestro e al decreto ablativo del Tribunale.

All'udienza del 26/03/2024 la Corte di cassazione ha disposto la riunione al procedimento, avente ad oggetto i ricorsi presentati avverso il decreto di conferma della confisca, del procedimento N.R.G. 31461/2023, avente ad oggetto i ricorsi presentati avverso l'ordinanza con cui la Corte d'appello di Napoli aveva dichiarato di non dover provvedere avverso la richiesta di restituzione dei beni, a seguito del decorso del termine previsto dall'art. 27, comma 6, d.lgs. n. 159/2011.

La questione

Tanti i proposti che i terzi interessati, per quanto rileva in questa sede, hanno proposto ricorso avverso l'ordinanza con cui la Corte d'appello ha ritenuto di non dover provvedere avverso la richiesta di restituzione dei beni per decorso del termine indicato, deducendo la violazione dell'art. 27, comma 6, d.lgs. n. 159/2011.

Si evidenzia in punto di fatto che i ricorsi in appello avverso il decreto di confisca emesso dal Tribunale il 16/01/2019 – depositato il 20/02/2019 – furono proposti il 15/03/2019 e che la richiesta di declaratoria di inefficacia della confisca disposta in primo grado fu depositata il 16/05/2023, quando cioè il procedimento era già stato riservato dalla Corte per la decisione (3/02/2022).

La Corte, si argomenta nei ricorsi, piuttosto che decidere sulla richiesta in questione unitamente al merito della impugnazione, avrebbe erroneamente creato un autonomo procedimento incidentale e fissato udienza di trattazione l'8.6.2023 e poi il 13.7.2023, cioè dopo il deposito del decreto di conferma della confisca del 19.6.2023.

In tale contesto l'ordinanza impugnata sarebbe viziata per due ordini di ragioni.

Sotto un primo profilo, si sostiene, da una parte, che, nonostante la conferma della confisca, la Corte avrebbe dovuto comunque pronunciarsi sulla questione relativa alla perdita di efficacia della misura ablativa disposta dal Tribunale e, dall'altra, che il decreto di confisca emesso all'esito del procedimento di secondo grado non potrebbe ritenersi, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte, un titolo giuridico distinto ed autonomo rispetto al provvedimento di sequestro e a quello di confisca emesso all'esito del primo grado di giudizio, trattandosi in realtà di un unico provvedimento di confisca, quello del Tribunale, confermato in appello.

Sotto ulteriore profilo, si evidenzia che l'istanza fu presentata il 6.5.2023, prima cioè del deposito del decreto di conferma della confisca: dunque, una questione e un thema decidendum rispetto ai quali la Corte era tenuta a pronunciarsi, tenuto conto che la stessa avrebbe dato atto del decorso del termine di cui si discute.

Il termine di un anno e sei mesi decorrente dal ricorso (15.3.2019), pur volendo computare per intero i 758 giorni di sospensione, sarebbe comunque perento il 13/10/2022, prima cioè del deposito del decreto di conferma della confisca.

Le soluzioni giuridiche

I ricorsi sono stati ritenuti fondati dai giudici di legittimità quanto ai motivi, dotati di valenza pregiudiziale e assorbente, relativi alla sopravvenuta inefficacia della confisca per essere decorso il termine previsto dall'art. 27, comma 6, d.lgs. n. 159/2011.

L'art. 27, comma 6, d.lgs. cit. ha introdotto un termine perentorio di durata del giudizio di impugnazione di appello instaurato avverso il decreto di confisca emesso all'esito del giudizio di primo grado, stabilendo che tale provvedimento perde efficacia se la Corte d'appello non si pronuncia entro il termine di un anno e sei mesi dal deposito del ricorso.

Tale termine, inoltre, in forza dell'espresso richiamo all'art. 24, comma 2, d.lgs. cit., può, in caso di indagini complesse, essere prorogato con decreto motivato "per periodi di sei mesi e per non più di due volte".

Analoga disposizione viene dettata dall'art. 24, comma 2, d.lgs. cit. relativamente al provvedimento di sequestro, che perde efficacia se il Tribunale "non deposita il decreto che pronuncia la confisca" entro il medesimo termine di un anno e sei mesi dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell'amministratore giudiziario.

La Corte di cassazione, si può leggere nella sentenza, ha in molteplici occasioni spiegato come, attraverso tali disposizioni, il legislatore abbia introdotto una omogenea limitazione temporale dei due gradi del giudizio di merito nel procedimento di prevenzione patrimoniale, ciascuno dei quali non potrà superare il termine massimo di un anno e sei mesi (ovvero quello più ampio in caso di ricorso ai meccanismi di proroga).

Ricordano i supremi giudici che nella relazione illustrativa di commento al codice delle leggi antimafia si afferma che «....in attuazione di un dettagliato punto di delega, il decreto legislativo (artt. 24, comma 2 e 27, comma 6) prevede poi una precisa scansione temporale del procedimento, tale da garantire la speditezza dello stesso in uno con le necessarie garanzie del proposto: si prevede la perdita di efficacia del sequestro ove non venga disposta la confisca nel termine di un anno e sei mesi dalla immissione in possesso da parte dell'amministratore giudiziario, nonché, in caso di impugnazione della decisione, entro un anno e sei mesi dal deposito del ricorso. È altresì prevista la possibilità di prorogare i termini in parola per periodi di sei mesi e per non più di due volte in caso di indagini complesse».

La previsione di un termine di perenzione della misura patrimoniale si giustifica, da un lato, con il principio della ragionevole durata del procedimento ablativo, il cui svolgimento non può patire rischi di incertezze o di imprevedibili allungamenti delle relative scansioni temporali in danno dei soggetti i cui diritti sono limitati, e, dall'altro, proprio nella prospettiva di garantire il quadro degli interessi legati all'esercizio dei diritti costituzionalmente tutelati di proprietà e di iniziativa economica, che possono essere limitati, rispettivamente, solo in ragione della funzione sociale (art. 42, comma 2, Cost.) e delle esigenze di sicurezza ed utilità generale (art. 5, 41, comma 2, Cost.), senza recare, tuttavia, un irragionevole pregiudizio alle persone che, a vario titolo, possono subire gli effetti negativi di un intervento in rem.

Il provvedimento di confisca disposto dal Tribunale, dunque, perde efficacia se la Corte d'appello non deposita il decreto motivato entro il termine di un anno e sei mesi dalla data di deposito del ricorso in appello, proposto ai sensi dell'art. 10, comma 1, d.lgs. n. 159/2011.

Nel caso all'attenzione della Cassazione, non è in contestazione che i ricorsi in appello avverso il decreto di confisca emesso dal Tribunale il 16/01/2019 – depositato il 20/02/2019 – furono proposti il 15/03/2019 e che il decreto impugnato sia stato depositato il 19/06/2023.

Non è nemmeno in contestazione che il decreto con cui la Corte di appello ha confermato la confisca disposta in primo grado è stato depositato, nonostante le sospensioni, dopo il decorso del termine di cui all'art. 27, comma 6, d.lgs. n. 159/2011.

Dunque, i beni oggetto della confisca dovevano essere restituiti, si legge nella sentenza in commento.

Prescindendo dal diritto alla restituzione dei beni, ciò che tuttavia deve essere chiarito in realtà, ad avviso della Cassazione, sono gli effetti del decorso del termine in questione sul procedimento e, in particolare, il rapporto tra sequestro e confisca di prevenzione in appello.

Il tema attiene, cioè, al se sia ammissibile un provvedimento di confisca su beni non in sequestro ovvero non più in sequestro e, quindi, se il procedimento di prevenzione possa proseguire in grado di appello in presenza di una confisca – quella disposta in primo grado – non più efficace.

Il termine di durata del sequestro era stato previsto già dal legislatore del 1982, che, introducendo nel corpo della legge 31 maggio 1965, n. 575, l'art. 2-ter, aveva disposto che «nel caso di indagini complesse il provvedimento può essere emanato anche successivamente, ma non oltre un anno dalla data dell'avvenuto sequestro».

La norma era stata interpretata nel senso che, in tema di misure di prevenzione patrimoniale, il provvedimento che dispone la confisca dei beni di cui non sia stata dimostrata la legittima provenienza deve necessariamente essere preceduto dal sequestro ed è invalido qualora sia stato emanato oltre il termine perentorio di cui all'art. 2-ter di cui si è detto, decorrente dalla data dell'avvenuto sequestro.

In particolare, le Sezioni unite, con la sentenza n. 36/2000, dep. 2001, Madonia, Rv. 217677, chiarirono il rapporto di stretta connessione che intercorre fra sequestro e confisca.

Si affermò che la lettera della legge, disponendo che il tribunale dispone la "confisca dei beni sequestrati" dei quali non sia stata dimostrata la legittima provenienza, rivela l'esistenza di un inscindibile collegamento tra cautela e provvedimento ablatorio.

Il procedimento di prevenzione patrimoniale, secondo la Sezioni unite, avrebbe natura unitaria e una strutturale connessione sia sul piano tecnico-giuridico che su quello operativo tra i provvedimenti di sequestro e di confisca.

Lo strumento di cautela, argomentarono le Sezioni unite, con funzione tipicamente prodromica e provvisoria, sarebbe pregiudiziale e propedeutico alla misura ablatoria con cui si attua il trasferimento coattivo del bene al patrimonio dello Stato; non sarebbe dunque accettabile la tesi della confisca «svincolata da ogni condizionamento di carattere temporale... ove non sia disposto preventivamente il sequestro»; una tale soluzione, configurando come ordinatorio il termine di efficacia del sequestro sarebbe non conforme con la interpretazione della Corte costituzionale (sentenza n. 465 del 1993) che, da una parte, rafforzerebbe la lettera della norma, attribuendo al termine previsto carattere di perentorietà e di ultima efficacia del sequestro, e, dall'altra, confermerebbe altresì lo stretto collegamento con l'ablazione dei beni che occorre sottrarre alla disponibilità diretta o indiretta del proposto, per recidere in maniera definitiva il legame tra persona pericolosa e relativo patrimonio d'indimostrata legittima provenienza.

Spiegarono inoltre le Sezioni unite che, nella logica del sistema, proprio la tassatività del termine e la connessione fra sequestro e confisca consentono di evitare il protrarsi di una situazione d'incertezza al di là di inevitabili scansioni normativamente delimitate secondo i principi di tipicità e di legalità, ai quali corrispondono la compressione della sfera giuridica della persona e la possibilità del pregiudizio dei diritti di terzi, che impongono di non superare i limiti indicati - da qui la perentorietà dei termini -, in attuazione dei principi della libertà dell'iniziativa economica privata e del riconoscimento della proprietà privata di cui agli artt. 41 e 42 Cost. (così testualmente Cass. pen., sez. un., n. 36/2000, Madonia, cit.).

Tale principio è stato in seguito solo in parte ridefinito dalle Sezioni unite della Corte di cassazione.

In particolare, con la sentenza n. 20215/2017, Yang Xinjao, Rv. 269589, le Sezioni unite, chiamate a pronunciarsi sulla questione relativa a «se il decreto con cui il giudice rigetta la richiesta del pubblico ministero di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca, non preceduta da sequestro, sia impugnabile», hanno nuovamente preso posizione sul rapporto tra sequestro e confisca di prevenzione.

Nell'occasione si è spiegato come sia ben possibile che la richiesta di confisca possa non essere necessariamente preceduta dal sequestro dei beni.

L'art. 24 d.lgs. n. 159/2011, nel regolare la procedura applicativa della misura della confisca, esordisce attribuendo al tribunale il potere di disporre la misura sui beni "sequestrati" dei quali la persona, nei cui confronti è instaurato il procedimento, non possa giustificare la legittima provenienza e risulti essere titolare o avere la disponibilità in valore sproporzionato al proprio reddito.

Si tratta, secondo le Sezioni unite, di una disposizione con cui è stata data continuità alla analoga previsione di cui all'art. 2-ter, di cui si è detto sopra, che pure attribuiva ai beni oggetto della richiesta di confisca, il predicato testuale dell'essere gli stessi "sequestrati".

In tale contesto le Sezioni unite hanno nella specie innanzitutto richiamato la sentenza "Madonia", con la quale, come detto, fu affermato il principio della perentorietà del termine previsto dall'articolo 2-ter cit. in ragione della natura sostanzialmente unitaria del procedimento applicativo delle misure di prevenzione patrimoniali.

Sulla base di tale presupposto, tuttavia, le Sezioni unite hanno chiarito come il carattere unitario del procedimento non implichi necessariamente, ai fini dell'instaurazione di una rituale procedura applicativa della misura della confisca di determinati beni, la sottoposizione di questi ultimi ad un sequestro disposto con un provvedimento distinto e precedente rispetto a quello ablativo, essendo, invece, del tutto compatibile con i principi generali l'adozione di un sequestro contestuale alla confisca e disposto con il medesimo atto.

«Situazione questa non estranea ma, al contrario, conforme nella massima misura alle connotazioni di stretta connessione dei provvedimenti di sequestro e confisca, segnalate dalla Sezioni Unite quali conseguenze dell'unitarietà del procedimento applicativo della misura patrimoniale»; «al testuale riferimento dell'art. 24 del decreto attualmente in vigore, così come quello della norma previgente, alla confisca di beni qualificati come "sequestrati" non può essere attribuito un significato prescrittivo della necessità di un autonomo provvedimento di sequestro, precedente a quello dispositivo della confisca. Tale espressione è invero lessicalmente denotativa di un ambito di ipotesi che comprende anche quella del sequestro contestuale alla confisca, nel senso appena descritto» (così testualmente le Sezioni Unite).

Alla luce della ricostruzione compiuta: a) il procedimento di prevenzione patrimoniale ha carattere unitario ed è caratterizzato da una inscindibile e stretta connessione tra il provvedimento di sequestro e quello di confisca; b) la confisca deve avere ad oggetto beni in sequestro; c) non è tuttavia necessario che la confisca sia preceduta da un autonomo provvedimento di sequestro; d) è possibile che il sequestro sia disposto contestualmente e con il medesimo atto di confisca da parte del Tribunale.

Si è dunque ribadito che l'ablazione presuppone l'apposizione di un vincolo reale sulle cose nel senso, appunto, che i beni confiscati devono essere già in precedenza essere sottoposti a sequestro ovvero sequestrati al momento della confisca da parte del Tribunale.

Ciò che non è consentito è confiscare beni non in sequestro, beni, cioè, il cui regime giuridico di circolazione non è stato limitato né attraverso l'apposizione di un vincolo cautelare reale autonomo e precedente rispetto al provvedimento di confisca e neppure con un sequestro contestuale alla ablazione.

In tal senso deve intendersi l'affermazione secondo cui la misura anticipatoria di prevenzione patrimoniale del sequestro non costituisce condizione per l'applicazione di quella della confisca, sicché la circostanza che essa perda efficacia, per inosservanza delle sequenze temporali del procedimento, espressamente previste dal legislatore nel d.lgs. n. 159/2011, non impedisce al Tribunale che possa essere autonomamente disposta la misura ablatoria definitiva (Cass. pen., sez. V, n. 49149/2019, Strano, Rv. 277652, relativa ad un procedimento in cui, a seguito dell'annullamento da parte della Corte di appello della precedente confisca, si era dato luogo, nonostante la restituzione dei beni all'esito della perdita di efficacia del sequestro, ad una nuova procedura di applicazione della misura con diverso numero di iscrizione, con autonoma attivazione del contraddittorio e con rinnovazione della istruttoria).

In tal senso deve essere conformato il principio espresso da Cass. pen., sez. VI, n. 30752/2019, Cali, Rv. 276466, in cui la Corte (richiamando anche Cass. pen., sez. I, n. 38028/2016, PM in proc. Wu, Rv. 268104; Cass. pen., sez. I, n. 27819/2006, Caracciolo Rv. 234976, cioè due sentenze – in realtà – precedenti a Cass. pen., sez. un., n. 20215/2017, cit.), ha affermato – in una fattispecie in cui, dopo la perdita di efficacia di un primo sequestro, era stato emesso anche un nuovo provvedimento di sequestro – che la confisca di prevenzione non presuppone indefettibilmente il sequestro sicché i due vincoli possono susseguirsi sugli stessi beni ovvero può intervenire direttamente il provvedimento ablatorio definitivo senza essere stato preceduto dal sequestro.

In tale quadro di riferimento si pone la previsione dell'art. 27, comma 6, d.lgs. n. 159/2011.

Si tratta di una norma che, in coerenza con quanto detto, pone una chiara distinzione già sul piano terminologico (anche se nella Relazione ministeriale al d.lgs. 159/2011 si fa genericamente riferimento all'efficacia del sequestro) tra l'inefficacia prevista dall'art. 24, che è riferita al provvedimento di sequestro, e quella stabilita dall'art. 27, che è invece riferita al provvedimento di confisca emesso in primo grado.

Nel caso di perenzione del termine previsto dall'art. 27, comma 6, d.lgs. n. 159/2011, l'inefficacia colpisce il provvedimento di confisca, cioè un provvedimento che "lega a sé" anche il sequestro, a cui, come detto, è inscindibilmente connesso: ciò spiega l'affermazione secondo cui all'inefficacia del provvedimento di confisca – cioè di un provvedimento che tiene insieme "merito" e "cautela" – consegue l'obbligo di restituzione dei beni e la non proseguibilità del procedimento, atteso, da una parte, il venir meno della inscindibilità della confisca con il sequestro, e, dall'altra, l'inesistenza, a seguito della restituzione, di beni oggetto di sequestro e di ablazione.

Non è stata dunque ritenuta condivisibile l'affermazione della Corte di appello secondo cui il provvedimento di confisca impugnato costituirebbe un provvedimento autonomo e distinto rispetto all'originario sequestro e al provvedimento di confisca del Tribunale.

Si tratta di un'affermazione smentita innanzitutto dal dato letterale del decreto di confisca impugnato, in cui la Corte, lungi dal fare riferimento ad un nuovo e distinto titolo giuridico, ha espressamente confermato il precedente decreto: dunque un provvedimento non autonomo ma in continuità con il precedente del Tribunale al quale si sovrappone.

Sotto altro profilo, ciò su cui è necessario riflettere è che la possibilità di emettere un nuovo, automatico ed autonomo provvedimento di confisca da parte della Corte di appello dopo la perdita di efficacia del precedente decreto e la restituzione dei beni, costituirebbe, per i giudici di legittimità, una evidente elusione del disposto normativo e della ratio ad esso sottesa.

Né, ancora, è chiaro come la Corte di appello – secondo la Cassazione – avrebbe potuto d'ufficio disporre un nuovo sequestro di beni unitamente ad una "nuova" confisca.

Resta sullo sfondo il tema relativo al se alla inefficacia della confisca, con conseguente restituzione dei beni, segua una preclusione ovvero sia ammissibile una nuova proposta relativa ai medesimi beni, con possibilità di adottare un nuovo decreto di sequestro, nell'ambito di un nuovo e diverso procedimento.

Sul tema, le Sezioni unite della Corte, già con la sentenza "Madonia", di cui si è detto, chiarirono che, in tema di prevenzione, nessuna preclusione può verificarsi quando, come nel caso in esame, la decisione sia stata annullata solo per vizio formale, senza che residui un contenuto di merito.

Si tratta di un principio, efficacemente ripreso dalla Corte di cassazione (Cass. pen., sez. VI, n. 41735/2019 Verterano, Rv.277197), che deve essere ribadito, tenuto conto – si è osservato – che: a) caducato il provvedimento ablativo per omesso rispetto del termine perentorio previsto dall'art. 27, comma 6, d.lgs. 159/2011, non sussiste nessuna preclusione processuale, e neppure un impedimento di natura sostanziale, alla sua rinnovazione all'esito di una nuova e diversa procedura applicativa; b) il termine in questione ha natura meramente endoprocedimentale e dispiega efficacia invalidante esclusivamente nell'ambito di "quella" procedura e non anche rispetto ad un nuovo e diverso procedimento di prevenzione; c) la caducazione del provvedimento ablatorio non contiene valutazioni sui presupposti legittimanti la confisca; d) la pacifica natura di giudicato rebus sic stantibus in materia di prevenzione opera solo in presenza di decisioni di merito e sui medesimi fatti esaminati e non anche su decisioni caducatorie per ragioni processuali.

Ne è conseguito l'annullamento senza rinvio del decreto impugnato con conseguente restituzione dei beni in sequestro agli aventi diritto.

Osservazioni

La sentenza oggetto di questo commento ha avuta ampia eco sui mass media anche a causa dell'ingente valore dei beni restituiti (circa 200 milioni di euro) e dei “reati a monte” del provvedimento ablativo, riguardanti la c.d. vicenda della “Terra dei Fuochi” in Campania: ma i supremi giudici hanno opportunamente ricordato che la previsione di un termine di perenzione della misura patrimoniale si giustifica, da un lato, con il principio della ragionevole durata del procedimento ablativo, e, dall'altro, proprio nella prospettiva di garantire il quadro degli interessi legati all'esercizio dei diritti costituzionalmente tutelati di proprietà e di iniziativa economica, che possono essere limitati, rispettivamente, solo in ragione della funzione sociale e delle esigenze di sicurezza ed utilità generale, senza recare, tuttavia, un irragionevole pregiudizio alle persone che, a vario titolo, possono subire gli effetti negativi di un intervento in rem. Opportunamente vengono ricordati i valori costituzionali di cui agli artt. 42, comma 2, Cost. e art. 5,41, comma 2, Cost., non suscettibili di torsione e di compressione neppure in funzione della gravità dei delitti presupposto.

Tuttavia, la sentenza si apprezza anche per un ulteriore “passaggio” motivazionale che volutamente si è riservato a questa sede, in quanto espressamente dedicato ad un istituto – l'amministrazione giudiziaria dei beni di cui all'art. 34 d.lgs. n. 159/2011 – che assai raramente giunge all'attenzione della Cassazione, in quanto – come visto in precedente contributo su questa Rivisita – viene impiegato dalla giurisprudenza di merito come strumento di “bonifica” dell'impresa suscettibile di condizionamento mafioso. Non si può dimenticare che l'esito dell'amministrazione giudiziaria può essere rappresentato anche dalla confisca dei beni che si ha motivo di ritenere che siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Ebbene, ricorda la sentenza che si commenta, il principio secondo cui la confisca deve avere ad oggetto beni sequestrati, oltre ad essere espressamente previsto dalla legge nel caso di confisca "tradizionale" non è peraltro asimmetrico rispetto alle peculiarità della confisca di cui all'articolo 34 d.lgs. n. 159/2011, dedicato alla particolare misura dell'amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche, che prescinde dal preventivo sequestro: la norma dispone che alla scadenza del termine, il Tribunale può disporre il rinnovo del provvedimento, ovvero (previa camera di consiglio, cui può essere chiamato a partecipare il giudice delegato) la revoca della misura, oppure la confisca dei beni "che si ha motivo di ritenere siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego".

In modo condivisibile, secondo i supremi giudici, si è sostenuto che tale specificità, lungi dal contraddire i principi di unitarietà del procedimento di prevenzione e di inscindibilità del rapporto sequestro-confisca, finisce in realtà per confermarli, dovendosi scorgere una chiara analogia funzionale tra il provvedimento prodromico alla confisca, dato dall'amministrazione giudiziaria dei beni, e il sequestro; come accade con il sequestro, anche l'amministrazione giudiziaria (e i provvedimenti alla stessa consequenziali) tende ad assicurare i beni al procedimento, la loro amministrazione e la salvaguardia delle relative potenzialità produttive.

A voler completare lo stringente ragionamento svolto dal Cassazione – secondo cui l'“eccezione conferma la regola”…del previo sequestro… – si  potrebbe per altro aggiungere che è lo stesso comma 7 dell'art. 34 a prevedere una ulteriore forma atipica di sequestro nell'ambito dell'ambito dell'amministrazione giudiziaria: «quando vi sia concreto pericolo che i beni sottoposti al provvedimento di cui al comma 1 vengano dispersi, sottratti o alienati, nei casi in cui si ha motivo di ritenere che i beni siano frutto di attività illecite o ne costituiscano l'impiego, i soggetti di cui all'articolo 17 possono richiedere al tribunale di disporne il sequestro, osservate, in quanto applicabili, le disposizioni previste dal presente titolo. Il sequestro è disposto sino alla scadenza del termine stabilito a norma del comma 2». Dunque, anche in questo caso è previsto il previo sequestro ma solo nell'ipotesi in cui sussista concreto pericolo che i beni sottoposti al provvedimento di amministrazione giudiziaria vengano dispersi, sottratti o alienati, nei casi in cui si ha motivo di ritenere che i beni siano frutto di attività illecite o ne costituiscano l'impiego

Non resta che domandarsi se le importanti parole impiegate nella sentenza – nella parte in cui richiama i valori costituzionali di cui agli artt. 42, comma 2, Cost. e art. 5,41, comma 2, Cost. – possano consentire di affermare che la confisca di prevenzione dovrebbe configurarsi come extrema ratio da “dispensare” con particolare parsimonia in conformità a quanto recita l'ultima parte del I comma dell'art. 24 d.lgs. n. 159/2011: «Se il tribunale non dispone la confisca, può applicare anche d'ufficio le misure di cui agli articoli 34 e 34-bis ove ricorrano i presupposti ivi previsti».

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