Il titolo I del Libro IX del codice di procedura penale (artt. 568 – 592 c.p.p.) contiene disposizioni generali sulle impugnazioni.
Questo scritto si propone di offrire un quadro di tali disposizioni aderente al dettato normativo e ai principi (e correlate argomentazioni, se del caso criticate) contenuti nelle pronunce delle Sezioni unite della Corte di cassazione e della Corte costituzionale; una base essenziale per sviluppare ogni ulteriore approfondimento.
Regole generali (art. 568 c.p.p.)
Le impugnazioni sono i mezzi mediante i quali le parti sollecitano il controllo di un giudice su un provvedimento adottato da un altro giudice.
Possono comportare o no il passaggio del procedimento ad altro successivo grado.
Nel primo caso sono dette devolutive (es. appello o ricorso per cassazione); nel secondo, non devolutive (es. revisione).
Impugnazioni ordinarie sono quelle (es. appello o ricorso per cassazione) proponibili avverso decisioni non ancora irrevocabili; impugnazioni straordinarie sono quelle proponibili contro decisioni irrevocabili (es. revisione).
L'art. 568 c.p.p., nei sei commi di cui si compone, fissa il principio di tassatività con riguardo ai casi e ai mezzi di impugnazione (comma 1 e comma 2), nonché ai soggetti titolari del diritto di impugnazione (comma 3).
Il principio di tassatività delle impugnazioni, sancito dall'art. 568 c.p.p., disciplina non solo «i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti a impugnazione e ... il mezzo con cui possono essere impugnati» ma anche i soggetti cui è espressamente conferito dalla legge il diritto di impugnazione (Cass. pen., sez. un., 19 gennaio 2000, n. 3, Zurlo)
Detta, inoltre, regole generali in tema di interesse ad impugnare (comma 4 e comma 4-bis) e di qualificazione delle impugnazioni (comma 5).
1. L'art. 568, comma 1, c.p.p. prevede che solo la legge può stabilire i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti a impugnazione.
L'impugnazione di un provvedimento non impugnabile è inammissibile (art. 591, comma 1, lett. b), c.p.p.).
I provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale e le sentenze, se non altrimenti impugnabili, sono sempre soggetti a ricorso per cassazione (art. 568, comma 2, c.p.p.), come previsto anche dall'art. 111, comma 7, Cost. che limita la ricorribilità alla «violazione di legge».
Qualora il ricorso per cassazione sia ammesso solo per violazione di legge, sostanziale (art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p.) o processuale (art. 606 comma 1, lett. c.), c.p.p.), non è deducibile il vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p.), come non lo è la mancata assunzione di prova decisiva (art. 606, comma 1, lett. d), c.p.p.), ma è comunque deducibile la mancanza o la mera apparenza della motivazione, atteso che in tal caso si prospetta la violazione dell'art. 125, comma 3, c.p.p., disposizione che impone l'obbligo della motivazione nei provvedimenti giurisdizionali (Cass. pen., sez. un., 28 maggio 2003, n. 25080, Pellegrino; Cass. pen., sez. un., 28 gennaio 2004, n. 5876, Ferazzi).
ESEMPI
Condanna rifusione spese di parte civile in sentenza di patteggiamento
È ricorribile per cassazione la sentenza di patteggiamento nella parte relativa alla condanna alla rifusione delle spese di parte civile, in particolare per quanto attiene alla legalità della somma liquidata e all'esistenza di una corretta motivazione sul punto, una volta che sulla relativa richiesta, proposta all'udienza di discussione, nulla sia stato eccepito (Cass. pen., sez. un., 14 luglio 2011, n. 40288, Tizzi)
Sentenza appello che dichiara nullità sentenza di primo grado
È ammissibile il ricorso per cassazione del Procuratore Generale proposto avverso la sentenza con la quale il giudice d'appello abbia dichiarato la nullità di quella di primo grado e rinviato gli atti al Tribunale per il nuovo giudizio (Cass. pen., sez. un., 25 giugno 2009, n. 29529, De Marino)
Sono, invece, inoppugnabili le sentenze sulla competenza, che hanno carattere meramente processuale e non definitorio del procedimento e che possono dare luogo a un conflitto di giurisdizione o di competenza a norma dell'art. 28 c.p.p. (art. 568, comma 2, c.p.p.).
La legge – come si è detto – determina anche il mezzo con cui i provvedimenti possono essere impugnati. Sul tema si tornerà più avanti, trattando della qualificazione data all'impugnazione dalla parte che l'ha proposta (art. 568, comma 5, c.p.p.).
2. Un correttivo al principio della tassatività dei mezzi di impugnazione è rappresentato dalla creazione, risultato di una lunga elaborazione giurisprudenziale, della categoria del provvedimento abnorme contro il quale si è inteso apprestare il rimedio del ricorso per cessazione (Cass. pen., sez. un., 16 dicembre 2021, n. 10728-22, Fenucci; Cass. pen., sez. un., 22 marzo 2018, n. 40984, Gianforte; Cass. pen., sez. un., 18 gennaio 2018, n. 20569, P.; Cass. pen., sez. un., 18 gennaio 2018, n. 20569, Ksouri; Cass. pen., sez. un., 25 marzo 2010, n. 21243, Zedda; Cass. pen., sez. un., 26 marzo 2009, n. 25957, Toni; Cass. pen., sez. un., 20 dicembre 2007, n. 5307/08, Battistella; Cass. pen., sez. un., 31 maggio 2005, n. 22909, Minervini; Cass. pen., sez. un., 25 febbraio 2004, n. 19289, Lustri; Cass. pen., sez. un., 29 maggio 2002, n. 28807, Manca; Cass. pen., sez. un., 11 luglio 2001, n. 34536, Chirico; Cass. pen., sez. un., 31 gennaio 2001, n. 4, Romano; Cass. pen., sez. un., 22 novembre 2000, n. 33/01, Boniotti; Cass. pen., sez. un., 10 dicembre 1997, n. 17/98, Di Battista; Cass. pen., sez. un., 24 novembre 1999, n. 26/00, Magnani; Cass. pen., sez. un., 9 luglio 1997, n. 11, Quarantelli).
a) Sul concetto giuridico di abnormità, come delineato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite, si è diffusa Cass. pen., sez. un., 16 dicembre 2021, n. 10728-22, Fenucci: «Secondo le più risalenti pronunce, è affetto da abnormità:
il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall'intero ordinamento processuale;
il provvedimento che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite».
Dunque «l'abnormità dell'atto processuale può riguardare sia il profilo strutturale, allorché l'atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, sia il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo» (da Cass. pen., sez. un., 24 novembre 1999, n. 26/00, Magnani, in poi).
b) Questo principio è stato affinato e precisato dalla giurisprudenza successiva, la quale, per delimitarne la portata, fa perno sulla sussidiarietà della categoria della abnormità, da interpretare restrittivamente per non violare il principio della tassatività dei mezzi di impugnazione.
In particolare, si afferma che l'atto può essere dichiarato abnorme «quando concorrano almeno i seguenti requisiti:
sia affetto da un vizio per il quale non sono previste cause di nullità o inutilizzabilità;
non sia altrimenti impugnabile;
non sia inquadrabile nella struttura procedimentale prevista dall'ordinamento, ovvero determini una stasi processuale non altrimenti superabile» (Cass. pen., sez. un., 31 maggio 2005, n. 22909, Minervini).
Sul punto, Cass. pen., sez. un., 20 dicembre 2007, n. 5307/08, Battistella (che ha ritenuto abnorme il provvedimento con cui il giudice dell'udienza preliminare disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero per genericità o indeterminatezza dell'imputazione, senza avergli previamente richiesto di precisarla. È invece rituale il provvedimento con cui il medesimo giudice, dopo aver sollecitato il pubblico ministero nel corso dell'udienza preliminare ad integrare l'atto imputativo senza che quest'ultimo abbia adempiuto al dovere di provvedervi, determini la regressione del procedimento onde consentire il nuovo esercizio dell'azione penale in modo aderente alle effettive risultanze d'indagine) ha specificato che, «alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, è configurabile il vizio dell'abnormità in ogni fattispecie di indebita regressione del procedimento in grado di alterarne l'ordinata sequenza logico-cronologica».
La pronuncia più significativa – ai fini che qui interessano – è costituita da Cass. pen., sez. un., 26 marzo 2009, n. 25957, Toni, secondo la quale non è abnorme il provvedimento con cui il giudice del dibattimento – rilevata l'invalidità della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini di cui all'art. 415-bis c.p.p., in realtà ritualmente eseguita – dichiari erroneamente la nullità del decreto di citazione a giudizio, disponendo la trasmissione degli atti al pubblico ministero, trattandosi di provvedimento che, lungi dall'essere avulso dal sistema, costituisce espressione dei poteri riconosciuti al giudice dall'ordinamento e che non determina la stasi del procedimento, potendo il pubblico ministero disporre la rinnovazione della notificazione del predetto avviso.
L'abnormità – si ribadisce – è ravvisabile soltanto in mancanza di ulteriori strumenti di gravame lato sensu offerti dal sistema processuale per rimediare con prontezza all'anomalia della pronuncia giudiziale; di qui il corollario che non sarebbe conforme al sistema, per le caratteristiche di assoluta atipicità e residualità del fenomeno, dilatare il concetto di abnormità per impiegarlo in modo improprio al fine di far fronte a situazioni di illegittimità considerate altrimenti non inquadrabili né diversamente rimediabili.
In altri termini, l'abnormità, più che rappresentare un vizio dell'atto in sé, integra sempre e comunque uno "sviamento dalla funzione giurisdizionale", non rispondendo, dunque, al modello previsto dalla legge, ma collocandosi al di là del perimetro entro il quale è riconosciuto dall'ordinamento,
sia che si tratti di un atto strutturalmente "eccentrico" rispetto a quelli positivamente disciplinati,
sia che si versi in una ipotesi di atto normativamente previsto e disciplinato, ma "utilizzato" al di fuori dell'area che ne individua la funzione e la stessa ragione di essere nell'iter procedimentale, quale esercizio di un potere previsto dall'ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge, perché al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto).
Logico corollario di tali premesse è che l'abnormità funzionale e quella strutturale non costituiscono manifestazioni ontologicamente distinte ed eterogenee, ma si saldano nell'ambito di un fenomeno unitario, caratterizzato dalla carenza o dalla assenza di potere del giudice che ha adottato il provvedimento.
In tale prospettiva, la decisione in questione, sottolineando il carattere derogatorio dell'istituto dell'abnormità, ne ha evidenziato la natura eccezionale, proprio in considerazione della deroga al principio di tassatività delle nullità e dei mezzi di impugnazione; inoltre, ha chiarito che, con riguardo alla abnormità funzionale, riscontrabile nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, la stessa va limitata all'ipotesi in cui il provvedimento giudiziario «imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso del futuro del procedimento o del processo», mentre negli altri casi il pubblico ministero è tenuto ad osservare i provvedimenti emessi dal giudice.
A contrario – secondo tale pronuncia – «non è abnorme il provvedimento del giudice emesso nell'esercizio del potere di adottarlo se ad esso non consegua la stasi del procedimento per l'impossibilità da parte del p.m. di proseguirlo senza concretizzare un atto nullo rilevabile nel corso del procedimento».
«Non costituisce, invece, elemento caratterizzante l'abnormità la regressione del procedimento, nel senso di "ritorno" dalla fase del dibattimento a quella delle indagini preliminari, atteso che anche l'esercizio legittimo dei poteri del giudice può comportare siffatta regressione, onde, in tal caso, si è in presenza di un regresso "consentito", anche se i presupposti che legittimano l'emanazione del provvedimento siano stati ritenuti sussistenti in modo errato, configurandosi in detta evenienza un atto illegittimo, ma non abnorme».
Cass. pen., sez. un., 26 marzo 2009, n. 25957, Toni
Si ha abnormità strutturale (o genetica) nel caso di
esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall'ordinamento processuale (carenza di potere in astratto)
di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di esercizio di un potere previsto dall'ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto).
Si ha abnormità funzionale nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, in particolare nell'ipotesi in cui il provvedimento imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo.
In tal senso, ad esempio, Cass. pen., sez. un., 16 dicembre 2021, n. 10728-22, Fenucci non ha ritenuto abnorme il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari, non accogliendo la richiesta di archiviazione, aveva restituito gli atti al pubblico ministero, affinché svolgesse nuove indagini consistenti nell'interrogatorio dell'indagato, trattandosi di provvedimento che non solo non risultava avulso dall'intero ordinamento processuale ma costituiva espressione di poteri riconosciuti al giudice. L'abnormità – si è aggiunto - va esclusa anche nel caso in cui l'interrogatorio debba espletarsi con riguardo ad un reato diverso da quello per il quale è stata richiesta l'archiviazione, essendo dovuta, in tal caso, la previa iscrizione nel registro di cui all'art. 335.
c) La più recente Cass. pen., sez. un., 18 gennaio 2018, n. 20569, Ksouri, dà seguito a tale linea interpretativa, sottolineando il carattere di eccezionalità della categoria dell'abnormità e la sua funzione derogatoria rispetto al principio di tassatività dei mezzi d'impugnazione, sancito dall'art. 568 c.p.p., mantenuto inalterato nel suo testo anche dopo la riforma introdotta con la legge 23 giugno 2017, n. 103, e rispetto al numero chiuso delle nullità deducibili secondo la previsione dell'art. 177 c.p.p.: dunque, una categoria concettuale «riferibile alle sole situazioni in cui l'ordinamento non appresti altri rimedi idonei per rimuovere il Corte di Cassazione – copia non ufficiale provvedimento giudiziale, che sia frutto di sviamento di potere e fonte di un pregiudizio altrimenti insanabile per le situazioni soggettive delle parti». Da tale carattere di eccezionalità e residualità viene fatta discendere la necessità di distinguerne l'ambito concettuale dalle anomalie irrilevanti perché innocue, in quanto l'atto, pur esorbitante dagli schemi legali o compiuto per finalità diverse da quelle che legittimano l'esercizio della funzione, sia «superabile da una successiva corretta determinazione giudiziale che dia corretto impulso al processo o dalla sopravvenienza di una situazione tale da averne annullato gli effetti, averlo privato di rilevanza ed avere eliminato l'interesse alla sua rimozione».
Analoga necessità di demarcazione si coglie rispetto alle ipotesi in cui l'atto contrasti con singole disposizioni processuali, presidiate dalla sanzione della nullità: in questo ambito, infatti, «la violazione sussistente non travalica nell'abnormità se l'atto non sia totalmente avulso dal sistema processuale e non determini una stasi irrimediabile del procedimento», onde va escluso che possa invocarsi la categoria dell'abnormità per giustificare la ricorribilità immediata per cassazione di atti illegittimi, affetti soltanto da nullità, «perché tanto si tradurrebbe nella non consentita elusione del regime di tassatività dei casi di impugnazione e dei mezzi esperibili» stabilito dall'art. 568, comma 1, c.p.p.
Per ciò che qui interessa, dunque, dalla delineata evoluzione della giurisprudenza delle Sezioni Unite si possono trarre due conclusioni:
una più generale: la giurisprudenza ha progressivamente ristretto l'ambito di applicazione della categoria dell'abnormità, in particolare evidenziando, per la sua configurabilità, la necessità di una stasi processuale;
una più specifica: la stasi processuale rilevante ai fini dell'abnormità si determina quando il processo non può proseguire, se non attraverso il compimento di un atto nullo da parte del pubblico ministero.
In tal senso, ad esempio, Cass. pen., sez. un., 28 aprile 2022, n. 37502, Scarlini, ha affermato che è abnorme l'ordinanza del giudice dell'udienza preliminare che, investito della richiesta di rinvio a giudizio, disponga, ai sensi dell'art. 33-sexies, la restituzione degli atti al pubblico ministero sull'erroneo presupposto che debba procedersi con citazione diretta a giudizio, trattandosi di un atto che impone al pubblico ministero di compiere una attività processuale contra legem e in violazione dei diritti difensivi, successivamente eccepibile, ed è idoneo, pertanto, a determinare una indebita regressione, nonché la stasi del procedimento.
3. Quanto al principio di tassatività con riguardo ai soggetti titolari, il diritto di impugnazione spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce e, se la legge non distingue tra le diverse parti, spetta a ciascuna di esse (art. 568, comma 3, c.p.p.).
L'impugnazione proposta da chi non è legittimato è inammissibile (art. 591, comma 1, lett. a), c.p.p.).
Cass. pen., sez. un., 14 luglio 2022, n. 36754, Ozutropak ha, ad esempio, affermato la persona offesa non è legittimata ad impugnare, neanche con il ricorso per cassazione, l'ordinanza che, nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, abbia disposto, ai sensi dell’art. 299, la revoca o la sostituzione della misura cautelare coercitiva, diversa dal divieto di espatrio o dall'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, senza attendere il decorso del termine di due giorni previsto per l'eventuale memoria della persona offesa. La persona offesa può, tuttavia, chiedere al pubblico ministero di proporre impugnazione ai sensi dell'art. 572.
Spiega la S.C. che è dirimente il profilo soggettivo del principio di tassatività delle impugnazioni.
La legge non si limita a rivendicare a sé la determinazione dei casi nei quali i provvedimenti sono soggetti ad impugnazione e di indicare il mezzo con cui possono essere impugnati; ma aggiunge che "il diritto di impugnazione spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce", per poi immediatamente dopo specificare che "se la legge non distingue tra le diverse parti, tale diritto spetta a ciascuna di esse".
Il senso di queste disposizioni è chiaro, secondo la Corte: «la legge può attribuire il diritto di impugnazione anche a soggetti che non sono parti, ma ciò deve fare espressamente e, quindi, con previsione che non si presta ad interpretazioni estensive e meno che mai ad applicazioni analogiche. Generalmente, invece, il diritto di impugnazione spetta alle parti, tanto che, nel silenzio della legge sui legittimati, deve ritenersi che esso spetti a ciascuna di esse».
Da qui il rilievo che la persona offesa dal reato non è indicata tra i soggetti legittimati all'impugnazione dei provvedimenti adottati sulle richieste di revoca o di sostituzione delle misure cautelari.
Lo strumento processuale per garantire alla persona offesa che le sue deduzioni in ordine alla restrizione cautelare dell'indagato siano prese in considerazione si rinviene nella disposizione dell'art. 572, a norma del quale sia la parte civile che la persona offesa non costituita parte civile - oltre che gli enti e le associazioni intervenuti ai sensi degli artt. 93 e 94 - possono proporre al pubblico ministero richiesta motivata di impugnazione ad ogni effetto penale.
Il pubblico ministero, a tal fine sollecitato, può impugnare, con gli ordinari mezzi previsti dalla legge, l'ordinanza, facendo valere, ora, l'inammissibilità della richiesta se non previamente notificata alla persona offesa, ora, eventuali carenze del merito decisorio rilevabili alla luce delle prospettazioni della memoria pretermessa.
Per il caso in cui ritenga di non raccogliere la sollecitazione, deve spiegarne le ragioni con decreto motivato - come previsto dallo stesso art. 572 - e in tal modo soddisfa l'esigenza, di cui anche le fonti sovranazionali dicono, che sia data contezza dell'effettivo esame del contributo della persona offesa.
4. Il comma 4 dell'art. 568 c.p.p. è dedicato all'interesse ad impugnare.
a) Il soggetto legittimato a proporre impugnazione deve avervi interesse (art. 568, comma 4, c.p.p.).
L'impugnazione proposta da chi non ha interesse è inammissibile (art. 591, comma 1, lett. a), c.p.p.).
Accanto alla legittimazione ad impugnare deve, dunque, sussistere, sulla base di una evidente ragione di economia processuale, anche l'interesse a proporre l'impugnazione (Cass. pen., sez. un., 27 ottobre 2011, n. 6624/12, Marinaj).
L'interesse a impugnare non costituisce il contenuto dell'impugnazione, che deve essere necessariamente indicato sotto forma di enunciazione di uno specifico motivo, ma un elemento del diritto di impugnazione (Cass. pen., sez. un., 12 ottobre 1993, n. 10127, Biscione).
Come la giurisprudenza ha più volte chiarito, l'interesse deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare.
L'interesse si ha, in altre parole, solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l'eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione immediata pratica più vantaggiosa per l'impugnante rispetto a quella esistente (Cass. pen., sez. un., 19 gennaio 2000, n. 1, Tuzzolino; Cass. pen., sez. un., 13 dicembre 1995, n. 42/96, Timpani; Cass. pen., sez. un., 27 settembre 1995, n. 10372, Serafino; Cass. pen., sez. un., 16 marzo 1994, n. 6563, Rusconi).
L'interesse ad impugnare deve presentare i caratteri della concretezza e dell'attualità (Cass. pen., sez. un., 25 giugno 1997, n. 7, Chiappetta; Cass. pen., sez. un., 25 gennaio 2005, n. 4419, Gioia).
Sebbene non possa essere confinato nell'area dei soli pregiudizi penali derivanti dal provvedimento, l'interesse all'impugnazione non può consistere nella mera aspirazione alla correzione di un errore di diritto contenuto nella sentenza impugnata (Cass. pen., sez. un., 29 maggio 2008, n. 40049, Guerra) o al conseguimento di una pronuncia dalla cui motivazione siano rimosse tutte quelle parti che possono essere ritenute pregiudizievoli, perché esplicative di perplessità (Cass. pen., sez. un., 23 novembre 1995, n. 2110/96, Fachini).
La valutazione dell'interesse ad impugnare va operata con riferimento alla prospettazione rappresentata nel mezzo di impugnazione e non alla effettiva fondatezza della pretesa azionata (Cass. pen., sez. un., 28 marzo 2019, n. 28911, Massaria).
Il comma 4 dell'art. 568 c.p.p. è stato dichiarato illegittimo nella parte in cui il diritto vivente ritiene che sia inammissibile, per carenza di interesse ad impugnare, il ricorso per cassazione proposto avverso sentenza di appello che, in fase predibattimentale e senza alcuna forma di contraddittorio, abbia dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato (ai sensi dell'art. 469 c.p.p. o dell'art. 129.1 c.p.p.). Ciò sul presupposto che, pur essendo la sentenza viziata da nullità assoluta, il principio di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, sancito dall'art. 129.1, impone nel giudizio di cassazione, qualora ricorrano contestualmente una causa estintiva del reato e una nullità processuale assoluta e insanabile, di dare prevalenza alla prima, salvo che l'operatività della causa estintiva non presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservate al giudice di merito, nel qual caso assume rilievo pregiudiziale la nullità, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio. Solo un interesse concreto dell'imputato alla rinnovazione del giudizio di merito, viziato da nullità assoluta per violazione del contraddittorio, può giustificare la declaratoria di nullità e l'annullamento del provvedimento impugnato (C. cost. 9 maggio 2022, n. 111).
L'interesse deve persistere fino al momento della decisione perché questa possa potenzialmente avere una effettiva incidenza di vantaggio sulla situazione giuridica devoluta alla verifica del giudice dell'impugnazione (Cass. pen. sez. un., 27 settembre 1995, n. 10372, Serafino).
L'interesse può, tuttavia, venire meno dopo la proposizione dell'atto di impugnazione e prima della decisione; può venirne meno l'attualità a causa della mutata situazione di fatto o di diritto intervenuta medio tempore, che assorbe e supera la finalità perseguita dall'impugnante, vuoi perché la stessa ha già trovato concreta attuazione (si pensi al ricorso per cassazione contro il provvedimento del tribunale del riesame che abbia confermato l'ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere qualora la stessa, nelle more del giudizio, sia stata revocata e l'imputato sia stato rimesso in libertà: Cass. pen., sez. un., 25 giugno 1997, n. 7, Chiappetta, che ha peraltro individuato l'eccezione indicata nella tabella sottostante), vuoi perché ha perso ogni rilevanza (si pensi, in tema di scadenza dei termini di durata massima della custodia cautelare in carcere, alla intervenuta sentenza di condanna irrevocabile a pena detentiva superiore al presofferto: Cass. pen., sez. un., 27 ottobre 2011, n. 6624/12, Marinaj).
In caso di carenza d'interesse sopraggiunta alla proposizione del ricorso, la dichiarazione di inammissibilità non sarà seguita né dalla condanna alle spese processuali né (in caso di ricorso per cassazione) dalla condanna al pagamento della sanzione pecuniaria alla Cassa delle ammende (Cass. pen., sez. un., 9 ottobre 1996, n. 20, Vitale), non essendo, nel sistema delle impugnazioni penali, la nozione d'interesse ad impugnare ancorata al concetto di soccombenza (Cass. pen., sez. un., 27 ottobre 2011, n. 6624/12, Marinaj).
Esempi
Sospensione condizionale dell'esecuzione della pena
Sussiste l'interesse a impugnare un provvedimento che sospende condizionalmente la pena dell'ammenda concernente contravvenzioni per le quali è ammessa l'oblazione in quanto, conseguendone l'iscrizione nel casellario giudiziale, la concessione del beneficio si risolve in un pregiudizio per l'imputato, stante la maggiore stigmatizzazione della pena irrogata a seguito dell'iscrizione nel casellario (peraltro immediata), molto più grave rispetto al lieve vantaggio rappresentato dall'esenzione (condizionata) del pagamento (Cass. pen., sez. un., 16 marzo 1994, n. 6563, Rusconi)
Revoca custodia cautelare
Persiste l'interesse a impugnare, anche dopo la revoca della misura coercitiva della custodia cautelare, nella prospettiva manifestata del diritto dell'indagato alla riparazione per l'ingiusta detenzione, allorché oggetto del riesame sia stata la contestazione dei gravi indizi di colpevolezza, la cui accertata insussistenza è alla base del diritto alla riparazione pecuniaria (Cass. pen., sez. un., 25 giugno 1997, n. 7, Chiappetta)
Confisca denaro provento di cessione di stupefacenti
L'imputato che ha patteggiato la pena per il delitto di spaccio di modica quantità di stupefacenti, vedendosi confiscare la somma ricavata dalla cessione non ha interesse a impugnare il capo relativo alla confisca. La questione relativa alla legittimità della confisca è meramente teorica e astratta, una volta esclusa l'esistenza, per il cedente, in una cessione illecita per contrarietà a norme imperative, di un diritto a rientrare nella disponibilità del prezzo ricavato, e cioè la tutelabilità jure civili della sua pretesa, configurabile, pertanto, come interesse di mero fatto (Cass. pen., sez. un., 27 settembre 1995, n. 10372, Serafino; Cass. pen., sez. un., 3 luglio 1996, n. 9149, Chabni Samir)
b) Qualche schematica considerazione va svolta, prima di affrontare il tema della legittimazione ad impugnare, sull'interesse dell'imputato, della parte civile e del pubblico ministero ad impugnare le sentenze di proscioglimento.
b1) L'imputato non ha interesse a impugnare:
una sentenza di assoluzione "perché il fatto non sussiste" o "per non aver commesso il fatto" (Cass. pen., sez. un., 29 marzo 2012, n. 25457, Rudie), vale a dire le uniche decisioni «totalmente assolutorie» (Corte Cost. 4 aprile 2008, n. 85);
una sentenza di assoluzione pronunciata ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p. per ritenuta insufficienza delle prove acquisite, in quanto detta statuizione non può essere modificata, quale che sia il giudizio esprimibile sulla prova della responsabilità dell'accusato, e cioè sia che sia stata acquisita la prova positiva della sua innocenza, sia che la prova della sua responsabilità si sia rivelata soltanto insufficiente; preso atto che il nuovo codice equipara l'insufficienza della prova alla sua mancanza, un'impugnazione che investe la sola motivazione di una sentenza, senza alcuna conseguenza sul dispositivo, non può che essere inammissibile (Cass. pen., sez. un., 23 novembre 1995, n. 2110/96, Fachini; Cass. pen., sez. un., 30 ottobre 2003, n. 45276, Andreotti).
Tutte le altre formule di assoluzione comportano, con forme e gradazioni diverse, un riconoscimento della responsabilità dell'imputato o comunque l'attribuzione del fatto allo stesso, e quindi, sebbene non applichino una pena, sono sicuramente idonee ad arrecare ugualmente all'imputato significativi pregiudizi di ordine sia morale sia giuridico.
In tal senso l'imputato ha interesse ad impugnareuna sentenza di proscioglimento per ottenere una assoluzione con una formula per lui migliore perché totalmente liberatoria.
In particolare, ha interesse ad impugnare:
una sentenza di assoluzione «perché il fatto non costituisce reato»al fine di ottenere la formula«perché il fatto non sussiste» o «perché l'imputato non lo ha commesso» (Cass. pen., sez. un., 29 maggio 2008, n. 40049, Guerra);
una sentenza di assoluzione «perché il fatto non costituisce reato» per difetto dell'elemento psicologico al fine di ottenere la formula «perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato», perché quest'ultima attesta la piena estraneità della condotta dall'ambito del penalmente rilevante e, quindi, la completa infondatezza dell'accusa sul piano giuridico, con conseguente maggior valore, ai fini del riconoscimento dell'innocenza dell'imputato, di quello dell'affermazione che il fatto non costituisce reato per mancanza dell'elemento psicologico o per la presenza di una causa di giustificazione, cioè per fattori specifici e contingenti, che possono anche non escludere il carattere moralmente e socialmente riprovevole della condotta (Cass. pen., sez. un., 24 marzo 1995, n. 9616, Boido);
una sentenza di assoluzione «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato» al fine di ottenere la formula «perché il fatto non sussiste» per il motivo che l'art. 653.1, c.p.p. conferisce efficacia preclusiva nel giudizio disciplinare alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale e che l'imputato non lo ha commesso e non anche alla sentenza di assoluzione pronunciata «con formule diverse di grado inferiore» (Cass. pen., sez. un., 29 maggio 2008, n. 40049, Guerra);
una sentenza di proscioglimento quando l'impugnazione è diretta ad evitare conseguenze extra-penali pregiudizievoli o ad assicurarsi effetti extra-penali più favorevoli (Cass. pen., sez. un., 29 marzo 2012, n. 25457, Rudie) come quelli che l'ordinamento rispettivamente fa derivare dal giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nei giudizi di danno (artt. 651 e 652 c.p.p. [n.d.r. cui va aggiunto l'art. 651-bis c.p.p. in relazione al proscioglimento per particolate tenuità del fatto]) o in altri giudizi civili o amministrativi (art. 654 c.p.p.) e – come si è detto – dal giudicato di assoluzione nei giudizi disciplinari (art. 653.1, c.p.p.). Ha, in particolare, nell'ipotesi di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, interesse ad impugnare (con ricorso per cassazione) la statuizione concernente l'ordine di trasmissione all'autorità amministrativa per l'applicazione delle sanzioni previste per l'illecito depenalizzato (Cass. pen., sez. un., 29 marzo 2012, n. 25457, Rudie).
b2) La parte civile ha interesse ad impugnare agli effetti civili, tutte le sentenze di assoluzione che possono compromettere il suo diritto ad ottenere il risarcimento del danno, anche in considerazione dell'effetto preclusivo della sentenza dibattimentale irrevocabile di assoluzione nel giudizio civile di danno.
In particolare, ha interesse ad impugnare:
una sentenza di assoluzione con la formula perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso al fine di ottenere l'accertamento della responsabilità dell'imputato ai fini civili o anche solo una formula di assoluzione che abbia conseguenze pratiche più favorevoli per i suoi interessi civili (Cass. pen., sez. un., 29 maggio 2008, n. 40049, Guerra).
in generale, una sentenza di assoluzione che rigetti l'azione civile esercitata nel processo penale e precluda l'ulteriore esercizio dell'azione civile in sede civile, sia al fine di ottenere una pronuncia di accertamento della responsabilità sia anche al più limitato fine di ottenere una pronuncia che non abbia effetto preclusivo nel giudizio civile;
una sentenza di assoluzione «perché il fatto non costituisce reato», anche emessa ai sensi dell'art. 530.2, c.p.p., che non abbia effetto preclusivo, al fine di ottenere l'affermazione di responsabilità per il fatto illecito perché chi intraprende il giudizio civile dopo avere già ottenuto in sede penale il riconoscimento della responsabilità per fatto illecito della sua controparte si giova di tale accertamento e si trova in una posizione migliore di chi deve cominciare dall'inizio (Cass. pen., sez. un., 29 maggio 2008, n. 40049, Guerra).
La parte civile non ha, invece, interesse ad impugnare:
una sentenza di proscioglimento dell'imputato per improcedibilità dell'azione penale dovuta a difetto di querela, trattandosi di pronuncia penale meramente processuale priva di idoneità ad arrecare vantaggio al proponente ai fini dell'azione civilistica (Cass. pen., sez. un., 21 giugno 2012, n. 35599, Giangregorio), né, in tema di reati di competenza del giudice di pace, ad impugnare, anche ai soli effetti civili, la sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie prevista dall'art. 35 d.lgs. n. 274/2000 (Cass. pen., sez. un., 23 aprile 2015, n. 33864, Sbaiz).
È inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso per cassazione proposto dalla parte civile, ai soli effetti civili, avverso una sentenza di assoluzione per un reato abrogato e qualificato come illecito civile dal d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, atteso che, in assenza di efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione nel giudizio civile, non è ravvisabile un interesse della parte civile alla impugnazione finalizzata ad impedirne l'operatività (Cass. pen., sez. un., 29 settembre 2016, n. 46688, Schirru).
b3) Il pubblico ministeroha interesse ad impugnare:
una sentenza di proscioglimento al fine di ottenere una modifica della formula di assoluzione anche a favore dell'imputato, sempre però che il mutamento di formula si risolva in un risultato pratico di vantaggio per l'imputato e non soltanto teoricamente corretto;
in generale, al fine di ottenere la esatta applicazione della legge, anche se a favore dell'imputato, soltanto se l'interesse ad impugnare presenta i caratteri della concretezza e della attualità, il che si verifica, ad esempio, quando l'impugnazione miri a non far ricadere sull'imputato effetti dannosi ascrivibili ad errori del giudice (Cass. pen., sez. un., 11 maggio 1993, n. 6203, Amato; Cass. pen., sez. un., 24 marzo 1995, n. 9616, Boido, che ha riconosciuto sussistere interesse del pubblico ministero ad ottenere la modifica della formula di proscioglimento dell'imputato da quella «fatto non costituisce reato» in quella «perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato», la quale, consistendo nell'affermazione della completa infondatezza dell'accusa sul piano giuridico, ai fini del riconoscimento dell'innocenza dell'imputato assume un valore ben maggiore di quello che può attribuirsi alla prima).
Il pubblico ministero non ha, invece, interesse ad impugnare;
una sentenza di assoluzione per il mutamento della formula assolutoria «perché il fatto non sussiste» in quella «perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato» al fine esclusivo di tutelare gli interessi delle parti civili e di permettere alle stesse di far valere in sede civile le proprie pretese risarcitorie, e ciò in quanto egli è estraneo al rapporto processuale civile instauratosi nel processo penale tra i soggetti danneggiati dal reato e l'imputato (Cass. pen., sez. un., 24 aprile 2008, n. 18253, Tchmil);
una sentenza di estinzione del reato per remissione di querela – pronunciata ancorché il querelato non sia comparso in udienza e non sia stato ritualmente avvisato della remissione o, comunque, posto in grado di conoscerla – qualora il querelato, pur avendo ricevuto rituale notifica di detta declaratoria, non abbia proposto, a sua volta, impugnazione – azionando il diritto di ricusa, ex art. 155, comma 1, c.p., al fine di rendere inefficace la remissione – in quanto, in tal caso, l'assenza di ricusa produce, ex art. 152 c.p., l'effetto estintivo del reato, con conseguente venir meno dell'interesse del P.M. all'annullamento della sentenza impugnata, ormai, produttiva di un effetto consolidatosi (Cass. pen., sez. un., 25 maggio 2011, n. 27610, Marano).
c) Il comma 4-bis dell'art. 568 c.p.p., inserito dall'art. 1, comma 1, d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, in vigore dal 6 marzo 2018 ha stabilito che il pubblico ministero può proporre impugnazione diretta a conseguire effetti favorevoli all'imputato solo con ricorso per cassazione.
5. L'art. 568, comma 5, c.p.p. detta disposizioni in tema di erronea qualificazione giuridica dell'impugnazione e di impugnazione proposta a giudice incompetente.
a) In nome del favor impugnationis o, più specificamente, del principio di conservazione del mezzo di impugnazione (Cass. pen., sez. un., 28 aprile 2004, n. 31297, Terkuci), la disposizione in esame, superando regole formalistiche, stabilisce che né l'errore qualificatorio del proponente né la presentazione a giudice incompetente determinano l'inammissibilità dell'impugnazione, ma impongono la sola trasmissione degli atti al giudice competente, l'unico investito del potere di valutare ammissibilità e fondatezza del gravame.
Coerentemente, l'art. 581 c.p.p., in relazione all'art. 591, comma 1, lett. c), c.p.p., nel prescrivere a pena di inammissibilità i requisiti di forma dell'impugnazione, non annovera tra questi anche l'indicazione del giudice ad quem, mentre indispensabile è la concreta, esatta, precisa identificazione del provvedimento del quale si chiede un nuovo esame.
L'art. 568, comma 5, c.p.p., si ispira sia al principio di tassatività delle impugnazioni, che riserva alla legge la previsione dei casi in cui è ammessa l'impugnazione e la determinazione dei rispettivi mezzi, sia al principio di unicità del mezzo d'impugnazione, secondo cui contro ogni provvedimento è ammesso un solo mezzo d'impugnazione.
In altre parole, il giudice adito (che deve prescindere da valutazioni in ordine alla scelta della parte: non rileva, in altre parole, se sia incorsa in errore-ostativo o se la scelta sia deliberata) deve:
se un provvedimento è impugnato con un mezzo (ad es. appello) diverso dal tipo legislativamente previsto (ad es. ricorso per cassazione)
se l'impugnazione è proposta dinanzi a giudice incompetente,
limitarsi a prendere atto della voluntas impugnationis (volontà del soggetto di sottoporre a sindacato la decisione impugnata, elemento minimo per dare esistenza giuridica all'atto proposto) e a trasmettere gli atti al giudice competente, trasmissione che non richiede necessariamente un provvedimento giurisdizionale e può avvenire anche con un atto di natura meramente amministrativa (Cass. pen., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 45371, Bonaventura che ha superato Cass. pen., sez. un., 26 gennaio 1998, n. 16, Nexhi, secondo la quale al giudice non sarebbe stato possibile sostituire il mezzo di impugnazione effettivamente voluto e propriamente denominato ma inammissibilmente proposto dalla parte con quello, diverso, che sarebbe stato astrattamente ammissibile).
L'unico limite all'operatività dell'art. 568, comma 5, c.p.p. è rappresentato dall'inimpugnabilità del provvedimento, che esclude, per definizione, la possibilità di una diversa qualificazione giuridica dell'impugnazione proposta. L'art. 591, comma 1, lett. b), c.p.p., prevede l'inammissibilità dell'impugnazione «quando il provvedimento non è impugnabile».
Il principio di conservazione del mezzo di impugnazione non può in alcun caso consentire di derogare alle norme che formalmente e sostanzialmente regolano i diversi tipi di impugnazione.
Cass. pen., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 45371, Bonaventura, e Cass. pen., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 45372, De Palma, hanno, così, rilevato come il principio della riqualificazione dell'impugnazione si correli significativamente, in generale, alla mancata previsione di una causa di inammissibilità per la proposizione di un mezzo di impugnazione diverso da quello previsto.
Diversamente devono, pertanto, essere trattati i casi riconducibili alle ipotesi di cui all'art. 311, comma 2, c.p.p. e all'art. 325, comma 2, c.p.p., cioè alle ipotesi di proposizione di ricorso immediato avverso misure cautelari personali o reali, nelle quali risulta inammissibile l'altrimenti consentita istanza di riesame.
Cass. pen., sez. VI, 11 novembre 2020, n. 36597, Troqe («Il ricorso diretto per cassazione contro le ordinanze che dispongano una misura coercitiva proposto per motivi non consentiti è inammissibile ex art. 606, c. 3, non potendo comunque operare la sua conversione nella richiesta di riesame avendo il ricorrente già consumato, con il predetto ricorso, la facoltà di scelta tra i diversi mezzi di impugnazione a sua disposizione») e Cass. pen., sez. VI, 11 novembre 2020, n. 35816, Chionna («Il ricorso diretto per cassazione contro le ordinanze che dispongano una misura coercitiva rende inammissibile la richiesta di riesame, sicché ove il ricorso diretto sia proposto per motivi non consentiti, ne consegue l'inammissibilità ex art. 606, c. 3, e non la sua conversione in richiesta di riesame ai sensi dell'art. 568, c. 5, , in quanto il ricorrente ha già consumato la facoltà di scelta tra i diversi mezzi di impugnazione a sua disposizione»), rifacendosi ai principi delineati da Cass. pen., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 45371, Bonaventura, hanno posto fine al contrasto interpretativo che si stava profilando.
La scelta rimessa alla parte interessata, accompagnata dalla previsione dell'inammissibilità dell'alternativo mezzo di impugnazione, cristallizza l'impugnazione e preclude definitivamente il rimedio della riqualificazione della stessa come riesame, quand'anche l'impugnazione sia carente dei presupposti (cioè, nel caso di proposizione di motivi non consentiti), a contrario trovando in realtà conferma in tutti gli altri casi la possibilità della riqualificazione, desumibile dall'art. 568, comma 5, c.p.p.
Ad esempio, si è, in tal senso, affermato che, esattamente qualificato un appello come ricorso per cassazione, il ricorso è inammissibile se (l'"appello" non è stato) sottoscritto da difensore iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione (Cass. pen., sez. un., 28 aprile 2004, n. 31297, Terkuci).
b) Dall'esatta qualificazione giuridica dell'impugnazione (solo in senso improprio può parlarsi di "conversione", come chiarito da Cass. pen., sez. un., 24 novembre 1999, n. 26/00, Magnani) va tenuta distinta la conversione delle impugnazioni, istituto cui fanno riferimento, per le ipotesi in essi specificamente disciplinate, gli artt. 569, commi 2 e 3, c.p.p., e 580 c.p.p.
La conversione in senso tecnico ricorre, infatti, nei seguenti casi:
proposizione, in riferimento al medesimo provvedimento giudiziale, di distinti rimedi giuridici di natura impugnatoria (art. 580 c.p.p.) al fine di evitare decisioni contrastanti;
rinuncia all'appello entro quindici giorni dalla notifica del ricorso per cassazione delle altre parti che hanno proposto tale impugnazione in caso di processo cumulativo (art. 569, comma 2, c.p.p.) con conseguente conversione dell'appello in ricorso e possibilità di presentare entro i successivi quindici giorni motivi nuovi al fine di integrare l'appello con i requisiti propri del ricorso;
conversione in appello del ricorso immediato per cassazione (art. 569, comma 3, c.p.p.) nell'ipotesi che siano state dedotte censure, non rientranti tra i motivi deducibili col ricorso diretto, perché attinenti alla mancata assunzione di una prova decisiva o alla assenza o manifesta illogicità della motivazione (Cass. pen., sez. un., 26 novembre 2020, n. 15498/21, Lovric.).
c) Va detto, per concludere, che l'art. 568, comma 5, c.p.p. si riferisce ai soli rimedi qualificati come impugnazioni, consentendo, soltanto in relazione ad essi, la «qualificazione» che evita l'inammissibilità dell'impugnazione.
Va esclusa la riferibilità del principio di conservazione dell'atto giuridico, a rimedi diversi.
Non è consentito, ad es., qualificare un atto di impugnazione come incidente di esecuzione. Resta peraltro ferma la possibilità della parte di proporre incidente al giudice dell'esecuzione, posto che la declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione non consuma la facoltà di attivare detto procedimento (Cass. pen., sez. un., 24 novembre 1999, n. 26/00, Magnani; Cass. pen., sez. un., 26 novembre 2020, n. 15498/21, Lovric).
Sul piano classificatorio l'incidente di esecuzione non appartiene alla categoria delle impugnazioni, perché presuppone l'irrevocabilità del provvedimento costituente il titolo da porre in esecuzione (Cass. pen., sez. un., 26 novembre 2020, n. 15498/21, Lovric). Esso risponde alla "finalità di stabilire, nell'interesse della giustizia, il concreto contenuto dell'esecuzione" (C. cost. 10 febbraio 1997, n. 45). Introduce un procedimento di prima istanza, devoluto alla cognizione di un giudice, individuato secondo i criteri dettati dall'art. 665 , la cui decisione è soggetta alle disposizioni dettate per le impugnazioni in quanto compatibili (art. 666, c. 6). Nemmeno il rinvio per relationem contenuto nell'art. 666, c. 6, autorizza l'assimilazione del rimedio esecutivo alle impugnazioni sul piano strutturale e della funzione perseguita.
Resta, comunque, ferma la possibilità della parte di proporre incidente al giudice dell’esecuzione, posto che la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione non consuma la facoltà di attivare detto procedimento (Cass. pen., sez. un., 24 novembre 1999, n. 26/00, Magnani; Cass. pen., sez. un., 26 novembre 2020, n. 15498/21, Lovric).
Ricorso immediato per cassazione (art. 569 c.p.p.)
L'art. 569 c.p.p. introduce, tra le disposizioni generali sulle impugnazioni, il ricorso immediato (anche detto, diretto o per saltum) per cassazione e – come si è sopra accennato – i correlati casi di conversione in senso tecnico delle impugnazioni.
La ratio della disposizione risiede in esigenze di deflazione del processo e di celerità, stante la possibilità che tale istituto offre di saltare il grado di appello e impugnare direttamente dinanzi alla Corte di cassazione.
1. L'art. 569 c.p.p. non riguarda il ricorso immediato contro qualsiasi provvedimento ma il ricorso immediato contro la sentenza di primo grado che sia appellabile sicché, a stretto rigore, non può essere letto come disposizione «generale» sulle impugnazioni.
L'art. 569, comma 1, c.p.p. stabilisce, in termini inequivocabili, che la parte che ha diritto di appellare la sentenza di primo grado può proporre direttamente ricorso per cassazione. Sicché, in virtù del principio di tassatività delle impugnazioni posto dall'art. 568, comma 1, c.p.p., il ricorso immediato per cassazione non è consentito, in alternativa all'appello, nei confronti di qualunque provvedimento appellabile [è previsto altresì – è opportuno ricordarlo – in alcuni casi particolari, ad es. dagli artt. 311, comma 2, c.p.p. (come alternativa al riesame per le ordinanze che dispongono una misura coercitiva personale) e 325, comma 2, c.p.p. (decreto di sequestro emesso dal giudice)] (Cass. pen., sez. un., 26 febbraio 1991, n. 5, Bruno).
2. L'art. 569 c.p.p. disciplina poi – come si è detto – la conversione dell'appello in ricorso per cassazione (comma 2) e quello del ricorso per cassazione in appello (comma 3).
Nel primo caso, quando contro la stessa sentenza sono proposti ricorso per saltum da una parte e appello da una delle altre parti, il ricorso per cassazione si converte in appello nel caso in cui sussista connessione exart. 12 c.p.p. Si applica, in altre parole, l'art. 580 c.p.p., disposizione che è finalizzata ad evitare che il procedimento si frazioni in più giudizi con la possibilità di contrastanti decisione e opera nei casi di sentenza cumulativa (unico reato attribuito a più imputati, pluralità di reati attribuiti allo stesso imputato, più imputazioni attribuite a più imputati), di sentenza con unica imputazione per la quale siano dati alle parti diversi mezzi di impugnazione e – come nel caso in esame – di ricorso per saltum (Cass. pen., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 45371, Bonaventura).
Peraltro, se entro quindici giorni dalla notificazione del ricorso exart. 584 c.p.p. (v. infra), le parti che hanno proposto appello dichiarano tutte di rinunciarvi per proporre direttamente ricorso per cassazione, è l'appello a convertirsi in ricorso e le parti hanno quindici giorni di tempo, decorrenti dalla dichiarazione di rinuncia, per presentare nuovi motivi (di ricorso), se il loro appello non aveva i requisiti per valere come ricorso.
3. L'art. 569, comma 3, c.p.p., stabilisce, infine, che il ricorso per saltum contro la sentenza di primo grado non è consentito (non si applica, quindi, il comma 1) nei casi di mancata assunzione di prove decisive (art. 606, comma 1, lett. d), c.p.p.) e di vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p.). È consentito, dunque, solo per violazione di legge (in particolare, per i motivi di cui all'art. 606, comma 1, lett. b) e c), c.p.p.).
Qualora siano state dedotte le anzidette censure non deducibili, il ricorso immediato proposto si converte in appello. Si vuole in tal modo, con chiaro intento antiformalistico, evitare di invalidare gli elementi già acquisiti e realizzare lo scopo voluto dalla parte, configurando l'impugnazione consentita, vale a dire l'appello (Cass. pen., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 45371, Bonaventura).
4. Altra importante disposizione è dettata dall'art. 569, comma 4, c.p.p.: a seguito del ricorso per saltum, la Corte di cassazione che annulli con rinvio la sentenza di primo grado deve trasmettere gli atti non al giudice di primo grado ma al giudice competente per l'appello, a meno che la sentenza di primo grado non avrebbe, nel giudizio di appello, dovuto essere annullata (v. ad es. art. 604 c.p.p.), nel qual caso dispone che gli atti siano trasmessi al giudice di primo grado. La finalità precipua di tale disposizione è quella di evitare che si disperda l'effetto sollecitatorio che l'istituto mira a conseguire.
Impugnazione del pubblico ministero (art. 570 c.p.p.)
L'art. 570 c.p.p. disciplina le impugnazioni del pubblico ministero con una formula onnicomprensiva, riferibile sia al procuratore della Repubblica presso il tribunale, sia al procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello.
1. Entrambi possono proporre impugnazione, nei casi stabiliti dalla legge, espressione che ha una valenza oggettiva (Cass. pen., sez. un., 31 maggio 2005, n. 22531, Campagna), quali che siano state le conclusioni del rappresentante del pubblico ministero (comma 1).
La regola vuole, poi, che il procuratore generale possa proporre impugnazione nonostante l'impugnazione o l'acquiescenza del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento.
Un'eccezione è stata, tuttavia, introdotta dall'art. 1, comma 2 del d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, in vigore dal 6 marzo 2018, con riguardo all'appello, attraverso il richiamo all'art. 593-bis, comma 2, c.p.p.: il procuratore generale può appellare soltanto nei casi di avocazione (artt. 372,412,413,421-bis c.p.p.) o qualora il procuratore della Repubblica abbia prestato acquiescenza al provvedimento.
In tale ultimo caso l'art. 166-bis disp. att. c.p.p., inserito dal d.lgs. sopra indicato, prevede che il procuratore generale, al fine di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni relative all'impugnazione delle sentenze di primo grado, deve promuovere intese o altre forme di coordinamento con i procuratori della Repubblica del distretto.
2. L'impugnazione può essere proposta anche dal rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni (art. 570, comma 2, c.p.p.), il quale può fare richiesta nell'atto di appello di partecipare al giudizio quale sostituto del procuratore generale.
Il procuratore generale può disporre la partecipazione qualora lo ritenga opportuno, ma gli avvisi per il giudizio spettano in ogni caso al procuratore generale (art. 570, comma 3, c.p.p.).
Quest'ultima disposizione ha carattere eccezionale, come confermato dalla sua collocazione a chiusura del testo dell'art. 570 e in successione alle disposizioni generali concernenti l'impugnazione del pubblico ministero enunciate ai commi 1 e 2, che vengono appunto derogate con riguardo ad un'ipotesi del tutto particolare.
La regola del sistema processuale è, invero, che l'ufficio requirente sia in simbiosi con quello giudicante, restando attribuite dall'art. 51, comma 3, c.p.p. in via generale le funzioni di pubblico ministero all'«ufficio del pubblico ministero presso il giudice competente a norma del capo II del titolo I», vale a dire all'ufficio presso il giudice investito della domanda, ex artt. 4-16 c.p.p. (Cass. pen., sez. un., 30 aprile 1997, n. 6402, Dessimone).
Conferma dell'eccezionalità si ricava anche dall'inciso di chiusura della disposizione secondo il quale «gli avvisi spettano in ogni caso al procuratore generale», previsione che ribadisce i limiti della disposta partecipazione al giudizio, preservando un controllo progressivo e autonomo della decisione che deve essere improntato a tutela dell'interesse generale all'osservanza della legge (cfr. Corte cost. 15 febbraio 1991, n. 88), laddove una personalizzazione eccessiva potrebbe dare adito a sospetto di intenti persecutori.
Coesistono, dunque, nell'art. 570 c.p.p. la regola che collega il potere di impugnazione alle funzioni esercitate in via permanente presso il giudice della fase e l'eccezione in virtù della quale il rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni in primo grado e che ne faccia richiesta nell'atto di appello può partecipare al successivo grado di giudizio quale sostituto del procuratore generale.
La ratio della disposizione in parola va individuata nell'opportunità di evitare la dispersione di conoscenze ed esperienze acquisite dal singolo magistrato del pubblico ministero (Cass. pen., sez. un., 30 aprile 1997, n. 6402, Dessimone) e la partecipazione al giudizio non comporta né la creazione di un «nuovo» pubblico ministero, né l'«incorporazione» del magistrato interessato nell'ufficio della Procura generale presso il giudice dell'impugnazione, posto che non gli è dato occuparsi di altri affari.
Diversa è la posizione del magistrato applicato, a norma dell'art. 110, comma 1 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (ordinamento giudiziario), alla Procura Generale, che è da considerare incardinato, a tutti gli effetti di legge, per l'intera durata dell'applicazione, in detto ufficio (Cass. pen., sez. un., 30 ottobre 2003, n. 45276, Andreotti)
Impugnazione dell'imputato (art. 571 c.p.p.)
1. Escluso il ricorso per cassazione, che, per l'intervento dell'art. 1, comma 54, della l. 23 giugno 2017, n. 103, entrata in vigore il 3 agosto 2017, deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, quale che sia il provvedimento impugnato (Cass. S.U., 21 dicembre 2017, n. 8914/18, Aiello), da difensore iscritto nell'albo speciale della corte di cassazione (art. 613, comma 1, c.p.p.), l'impugnazione può essere proposta, a norma dell'art. 571, comma 1, c.p.p., dall'imputato personalmente o per mezzo di un procuratore speciale (art. 122 c.p.p.), nominato anche prima della emissione del provvedimento da impugnare (art. 37 disp. att. c.p.p.).
Il rilascio della procura spoglia l’imputato del proprio diritto all'impugnazione (Cass. pen., sez. VI, 9 febbraio 2017, n. 10537, F.)
Se l’imputato è soggetto a tutela o è incapace di intendere o di volere, il diritto di impugnazione a lui spettante può essere esercitato, rispettivamente, dal tutore o da un curatore speciale (art. 571.2)
L'impugnazione può inoltre essere proposta da chi è difensore dell'imputato al momento del deposito del provvedimento o dal difensore nominato proprio al fine di proporre impugnazione.
Il diritto di impugnazione riservato in via autonoma al difensore compete anche al difensore di ufficio designato dal giudice o dal pubblico ministero, anche se momentaneamente sostituito in occasione di una delle situazioni previste dall'art. 97, comma 4, c.p.p.
Ciò non toglie che l'esigenza di non costringere la sostituzione del difensore di ufficio in limiti temporali aprioristicamente determinati o di correlarla a cadenze o a momenti processuali prestabiliti e di non pretendere dal difensore sostituito comunicazioni in ordine alle cause ed ai tempi di durata dell'impedimento, consente di ritenere utilmente proposta l'impugnazione da parte del difensore «sostituto» che, nei tempi e con le forme prescritte dalla legge, abbia preso l'iniziativa di presentare gravame a fronte del silenzio del difensore sostituito.
Va detto, peraltro, che l'intervento del sostituto, che di per sé costituisce una forma di garanzia per l'imputato e di salvaguardia dei suoi interessi, non produce effetti vincolanti per il difensore titolare dell'ufficio al quale va riconosciuto il diritto di proporre, se ancora nei termini, l'impugnazione, così superando quanto fatto in sua vece (Cass. pen., sez. un., 11 novembre 1994, n. 22, Nicoletti).
Con l'art. 46 della l. 16 dicembre 1999, n. 479 si è esclusa la prevista necessità di uno «specifico mandato» (per il quale si era ritenuta sufficiente l'osservanza delle forme richieste dall'art. 96, comma 2, c.p.p.: Cass. pen., sez. un., 12 ottobre 1993, n. 9938, Thomas; Cass. pen., sez. un., 25 ottobre 1995, n. 31/96, Capellato) per il difensore che intendesse proporre impugnazione contro una sentenza contumaciale (Cass. pen., sez. un., 19 gennaio 1994, n. 1, Coronato)
2. L'imputato può, nei modi previsti per la dichiarazione di rinuncia exart. 589 c.p.p. (per la cui efficacia, se del caso, è necessario il consenso del tutore o del curatore speciale), togliere effetto all'impugnazione proposta dal suo difensore (art. 571, comma 4, c.p.p.).
Va considerato, peraltro, che la sottoscrizione della nomina del difensore per il giudizio di impugnazione, fatta dall'imputato in calce all'atto di appello e autenticata dal difensore, vale anche come impugnazione personale dell'imputato (n.d.A. se ammissibile), dato che con la sottoscrizione questi ha fatto proprio il contenuto dell'atto (Cass. pen., sez. un., 12 ottobre 1993, n. 9938, Thomas).
Richiesta della parte civile o della persona offesa (art. 572 c.p.p.)
Per il commento v. sub art. 576 c.p.p.
Impugnazione per gli interessi civili (artt. 573 – 575 c.p.p.)
1. L'art. 573 («Impugnazione per i soli interessi civili»), commi 1 e 3, c.p.p., stabilisce che l'impugnazione per gli (l'art. 33 del d.lgs. n. 150/2022, di seguito, per brevità, d.lgs. n. 150/2022 ha sostituito le parole «i soli» con la parola «gli») interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale e non sospende l'esecuzione delle disposizioni penali del provvedimento impugnato (v. art. 588 c.p.p.).
Va tenuto presente, peraltro, che il giudice di appello che, su impugnazione del solo pubblico ministero, condanni l'imputato assolto nel giudizio di primo grado, deve provvedere anche sulla domanda della parte civile, benché non vi sia stata, da parte di questa, impugnazione agli effetti civili della decisione assolutoria. E ciò in considerazione del fatto che la costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo, che il giudice di appello è tenuto a citare la parte civile e che, se l'appello è stato proposto dal pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento, il giudice di appello può pronunciare condanna e adottare ogni altro provvedimento imposto o consentito dalla legge (Cass. pen., sez. un., 10 luglio 2002, n. 30327, Guadalupi).
Il citato art. 33 del d.lgs. n. 150/2022 ha anche inserito il comma 1-bis.
Precisato – come si è detto – che l'impugnazione per gli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale (comma 1), il nuovo comma prevede una diversa disciplina dell'impugnazione per i «soli» interessi civili.
Stabilisce, in particolare, che, quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d'appello e la Corte di cassazione, se l'impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile.
In mancanza di disposizioni transitorie, si è affermato, dirimendo il contrasto interpretativo immediatamente creatosi, che la nuova disposizione si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile è intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore della disposizione ai sensi dell'art. 99-bis del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (Cass. pen., sez. un., 25 maggio 2023, n. 38481, D.).
La formula è riprodotta – come si dirà – nell'art. 578, comma 1-bis, c.p.p.
La formula è riprodotta – come si dirà – nell’art. 578.1-bis.
L'impugnazione ai soli effetti civili che sia inammissibile conduce inevitabilmente alla relativa declaratoria; se ammissibile, se ne occuperà il giudice civile.
Il provvedimento che, ritenuta ammissibile l'impugnazione, rinvia al giudice civile non è impugnabile.
La disposizione in esame non si applica se la stessa parte (che è poi, in sostanza, il solo imputato) impugna i capi penali e quelli civili.
Si ricordi che il pubblico ministero non è legittimato ad impugnare un provvedimento all’esclusivo fine di tutelare gli interessi civili della parte privata, né a surrogarsi all’eventuale inerzia di quest’ultima che rimanga acquiescente alla decisione a sé pregiudizievole, consentendo il formarsi del giudicato sul punto.
Il nuovo comma parla di rinvio per la «prosecuzione» del giudizio davanti al giudice civile.
Parole dalle quali si è desunta la volontà di distinguere questo rinvio dal rinvio che segue all'annullamento della sentenza ai soli effetti civili previsto dall'art. 622 c.p.p. (Cass. pen., sez. un., 25 maggio 2023, n. 38481, D.).
Quest'ultimo è introduttivo di un giudizio autonomo, svincolato da quello penale. Da qui l'esigenza, in tal caso, di un atto di impulso di parte (riassunzione ex art. 392 c.p.c.).
Sembra desumersi, dunque, che il nuovo modello processuale non richiederebbe un atto di riassunzione, con le forme della citazione ex art. 137 c.p.c., ma solo la trasmissione degli atti al giudice civile, trattandosi dello stesso giudizio che prosegue, non di un giudizio autonomo.
Lo conferma il regime di utilizzazione delle prove: da un lato continuano ad essere utilizzate le prove acquisite in sede penale e, dall'altro, possono essere acquisite nuove prove.
Il giudizio si svolge secondo le regole del processo civile.
Ma il giudice civile non può dichiarare, in applicazione di dette regole, l'inutilizzabilità di prove acquisite nel processo penale e in esso utilizzabili (ad es. delle dichiarazioni testimoniali della persona offesa dal reato, costituita parte civile nel processo penale, e parte nel giudizio civile); lo vieta il principio contenuto nell'art. 193 c.p.p.
Il riformato art. 78, comma 1, lett. d), c.p.p. ha un ruolo fondamentale nel nuovo assetto.
L'atto di costituzione di parte civile dovrà essere redatto secondo le nuove regole e strutturato con la consapevolezza del possibile epilogo previsto dall'art. 573, comma 1-bis, c.p.p. (Cass. pen., sez. un., 25 maggio 2023, n. 38481, D.).
2. L'art. 574 c.p.p. disciplina l'impugnazione dell'imputato per gli interessi civili.
L'imputato può proporre impugnazione per gli interessi civili (congiuntamente a quella per gli interessi penali oppure in via autonoma ed esclusiva, nel qual caso il capo penale interessato, qualora non formi oggetto di impugnazione presentata da altre parti legittimate, acquisirà irrevocabilità ed esecutività ai sensi dell'art. 573, comma 2, c.p.p.).
A norma dell'art. 574, commi 1 e 2, c.p.p., l'imputato può proporre impugnazione «per gli interessi civili»:
contro i capi della sentenza che riguardano la sua condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno (comma 1), in particolare:
condanna con liquidazione dei danni (art. 538, comma 2, c.p.p.);
condanna generica ai danni (art. 539, comma 1, c.p.p.);
condanna al pagamento di una provvisionale (art. 539, comma 2 e 2-bis, c.p.p.), immediatamente esecutiva ex lege (art. 540, comma 2, c.p.p.);
declaratoria di provvisoria esecutività della sentenza di condanna (art. 540, comma 1, c.p.p.);
ordine di pubblicazione della sentenza di condanna come riparazione (art. 543 c.p.p.);
contro i capi della sentenza (anche di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444, comma 2, c.p.p.: cfr. Cass. pen., sez. un., 14 luglio 2011, n. 40288, Tizzi) relativi alla rifusione delle spese processuali (comma 1): condanna alla rifusione delle spese processuali che siano state sostenute dalla parte civile e relativa liquidazione o compensazione ex art. 541, comma 1, c.p.p.;
contro le disposizioni della sentenza di assoluzione (art. 530 c.p.p.) relative alle domande da lui proposte per il risarcimento del danno e per la rifusione delle spese processuali (comma 2); in particolare proposte nei confronti della parte civile o del querelante per la rifusione delle spese processuali e il risarcimento del danno derivante da lite temeraria ai sensi degli artt. 541, comma 2, e 542 c.p.p.
La disposizione del comma 2, che si riferisce solo alla sentenza di assoluzione, va necessariamente coordinata con il comma 2 dell'art. 541 c.p.p. che stabilisce che il giudice, se ne è fatta richiesta, condanna la parte civile alla rifusione delle spese processuali sostenute dall'imputato e dal responsabile civile per effetto dell'azione civile, sempre che non ricorrano giustificati motivi per la compensazione totale o parziale e se vi è colpa grave (art. 96 c.p.c.) può, inoltre, condannare la parte civile al risarcimento dei danni (da lite temeraria) causati all'imputato o al responsabile civile sia con la sentenza che rigetta la domanda di restituzione o di risarcimento del danno, sia con la sentenza che assolve l'imputato per cause diverse dal difetto di imputabilità.
Le statuizioni civili possono formare oggetto di una sentenza di proscioglimento.
Così nell'ipotesi di cui all'art. 578 c.p.p., secondo il quale il giudice di secondo grado o la Corte di cassazione, ove l'imputato sia stato già condannato alle restituzioni o al risarcimento di danni in favore della parte civile, dichiarata l'estinzione del reato per amnistia o per prescrizione, si pronuncia sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni civili o nel caso in cui la sentenza di proscioglimento sia impugnata dalla parte civile ai sensi dell'art. 576, comma 1, c.p.p. e il giudice dell'impugnazione affermi la responsabilità civile dell'imputato, ferma restando la possibilità della pronuncia del proscioglimento ai fini penali qualora difetti l'impugnazione del pubblico ministero (v. Cass. pen., sez. un., 11 luglio 2006, n. 25083, Negri, in motivazione).
L'impugnazione è proposta col mezzo previsto per le disposizioni penali della sentenza (art. 574, comma 3, c.p.p.), ossia appello o ricorso per cassazione (l'imputato incontra, pertanto, gli stessi limiti all'appello che gli artt. 443, comma 1, 448, comma 2 e 593 c.p.p. gli impongono agli effetti penali).
In ogni caso, l'impugnazione dell'imputato contro la pronuncia di condanna penale (v. art. 533 c.p.p.) o di assoluzione estende i suoi effetti alla pronuncia di condanna alle restituzioni, al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese processuali, se questa pronuncia dipende dal capo o dal punto impugnato (art. 574, comma 4, c.p.p.).
La disposizione estende, dunque, al capo civile gli effetti dell'impugnazione dell'imputato nei confronti della decisione di condanna, con una disciplina che può considerarsi simmetrica a quella che comporta l'estensione alla domanda della parte civile degli effetti dell'impugnazione del pubblico ministero contro la decisione di proscioglimento (Cass. pen., sez. un., 10 luglio 2002, n. 30327, Guadalupi).
3. L'art. 575 c.p.p. disciplina l'impugnazione del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria.
Premesso che il responsabile civile è escluso dal giudizio abbreviato ai sensi dell'art. 87, comma 3, c.p.p. (l'art. 89, comma 2, c.p.p. prevede che la disposizione non si applichi al civilmente obbligato per la pena pecuniaria), la disposizione in esame stabilisce (comma 1 e 2) che il responsabile civile (v. art. 83 ss. c.p.p.) e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (v. art. 89) nel caso in cui sia stata condannata (v. art. 534 c.p.p.) possono proporre impugnazione, col mezzo che la legge attribuisce all'imputato:
contro le disposizioni della sentenza riguardanti la responsabilità dell'imputato; al responsabile civile e al civilmente obbligato per la pena pecuniaria è riconosciuta la facoltà di impugnare la sentenza, non solo nelle statuizioni civili che li riguardino in via diretta, ma anche nei capi penali riguardanti l'imputato. la legittimazione ad impugnare del responsabile civile ha carattere autonomo rispetto a quella dell'imputato; pertanto, egli può esercitare il relativo potere anche qualora quest'ultimo resti inerte o la sua impugnazione venga dichiarata inammissibile per rinuncia o per altre cause;
contro le disposizioni della sentenza relative alla loro condanna e a quella dell'imputato, alle restituzioni, al risarcimento del danno (v. art. 538 ss. c.p.p.) e alla rifusione delle spese processuali (v. art. 541 c.p.p.).
Il responsabile civile può altresì proporre impugnazione contro le disposizioni della sentenza di assoluzione (v. art. 530 c.p.p.) relative alle domande proposte per il risarcimento del danno e per la rifusione delle spese processuali (art. 575, comma 3, c.p.p.).
Impugnazione della parte civile e del querelante (artt. 576 e 572 c.p.p.)
1. A norma dell'art. 576, comma 1, c.p.p.la parte civile può proporre impugnazione contro:
a) i capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile (v. artt. 538 ss. c.p.p.): deve trattarsi di sentenza di condanna che abbia:
omesso di pronunciarsi sulle domande civili;
rigettato, totalmente o parzialmente, la richiesta di risarcimento;
proceduto all'accoglimento di questa in misura inferiore a quanto domandato;
negato la provvisionale nell'ipotesi di condanna generica al risarcimento;
negato la provvisoria esecuzione delle disposizioni civili;
stabilito la compensazione delle spese.
b) la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio (v. art. 529 ss. c.p.p.) sia pure ai soli effetti della responsabilità civile;
c) la sentenza pronunciata nel giudizio abbreviato (art. 442 c.p.p.) se ha consentito all'abbreviazione del rito (v. art. 441, comma 3, c.p.p.).
Il tema relativo al potere di impugnazione della parte civile, in tutte le sue possibili espressioni, è correlato – come si è detto – al rilievo che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per danni promosso dal danneggiato che si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile (art. 652 c.p.p.).
L'art. 576, comma 2, c.p.p. stabilisce, poi, che lo stesso diritto di impugnazione compete al querelante che sia stato «condannato a norma dell'art. 542».
2. L'art. 576, comma 1, c.p.p. dà, dunque, alla parte civile il potere di impugnare, ai soli effetti della responsabilità civile, la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio.
Nel sistema riguardante la parte civile, retto da una regola di accessorietà (art. 538) declinata con eccezioni (artt. 578 e 622), l’art. 576 costituisce uno snodo centrale nel regime delle impugnazioni (C. cost. 12 luglio 2022, n. 173 così si esprime: «Una ulteriore eccezione alla regola dell’art. 538 è quella posta dall’art. 576, c. 1, secondo cui la parte civile può proporre impugnazione, oltre che contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l’azione civile, anche, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio. È noto che, dopo la legge 20 febbraio 2006, n. 46, che, mediante il suo art. 6, c. 1, lett. a), ha eliminato dal c. 1 dell’art. 576 l’espressione «con il mezzo previsto per il pubblico ministero», la giurisprudenza della Corte di cassazione (sezioni unite penali, 29 marzo 2007, n. 27614 e 28 marzo 2019, n. 28911) ha ritenuto che la parte civile possa impugnare la sentenza di proscioglimento, che reca anche il rigetto della domanda di risarcimento del danno, sì che il giudice dell’impugnazione (quale la corte d’appello) può riformare la pronuncia impugnata e – se non c’è impugnazione del pubblico ministero – accogliere solo la domanda di risarcimento del danno anche in presenza del proscioglimento dell’imputato dall’accusa penale. Pertanto, in questo caso, il processo penale si può concludere con un giudicato penale assolutorio e uno civile di condanna senza che siano in sofferenza il principio di eguaglianza e quello del giusto processo).
Se c'è stata non già la condanna, ma il proscioglimento dell'imputato, che preclude la strada al possibile riconoscimento delle pretese restitutorie e risarcitorie della parte civile, la legittimazione di quest'ultima a proseguire il giudizio non è illimitata: la parte civile può proporre impugnazione, agli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento, solo se pronunciata nel giudizio (ovvero anche a seguito di giudizio abbreviato quando la parte civile ha consentito questo rito).
Anche la parte civile (v. sub art. 568, comma 4, c.p.p.), per proporre l'impugnazione ai sensi dell'art. 576 c.p.p., deve avervi interesse, nel senso che deve mirare a conseguire un risultato utile o a evitare un pregiudizio che altrimenti le deriverebbe dalla pronuncia impugnata (C. cost. 12 luglio 2019, n. 176).
a) La sentenza di proscioglimento non contiene alcun capo relativo all'azione civile, dal momento che, come si desume dall'art. 538, comma 1, c.p.p. il giudice, quando pronuncia una sentenza di proscioglimento, non decide sulla domanda civile (fuori del caso previsto dall'art. 578 c.p.p.).
L'art. 576, comma 1, c.p.p. distingue, del resto – come si è visto – ai fini dell'impugnazione della parte civile, i «capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile» dalla «sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio».
In questo secondo caso indica che non è impugnato un capo civile ma è impugnato, «ai soli effetti della responsabilità civile», il proscioglimento.
Da ciò può dedursi che non occorre l'impugnazione della parte civile quando il proscioglimento è impugnato dal pubblico ministero, eventualmente su richiesta della parte civile a norma dell'art. 572 c.p.p. (v. infra 5).
Inizialmente, si era affermato che alla parte civile costituita non poteva riconoscersi il risarcimento del danno se, assolto l'imputato nel giudizio di primo grado, vi fosse stata condanna dello stesso su appello del solo pubblico ministero (Cass. pen., sez. un., 25 novembre 1998, n. 5/99, Loparco).
Detta pronuncia è stata superata da un secondo intervento di segno opposto, in occasione del quale è stato evidenziato che «la costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo» (art. 76, comma 2, c.p.p.), che il giudice di appello è tenuto a citare la parte civile (art. 601.4) e che se l'appello è stato proposto dal pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento il giudice di appello può pronunciare condanna «e adottare ogni altro provvedimento imposto o consentito dalla legge» (art. 597, comma 2, lett. a) e b), c.p.p.; ne deriva che, « quando pronuncia sentenza di condanna », il giudice di appello deve decidere « sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno », anche se la parte civile non ha proposto impugnazione (artt. 538, comma 1 e 598 c.p.p.) (Cass. pen., sez. un., 10 luglio 2002, n. 30327, Guadalupi).
b) Come affermato da C. Cost. 24 gennaio 2007, n. 32 e da Cass. pen., sez. un., 29 marzo 2007, n. 27614, Lista, non è venuto meno in capo alla parte civile, a seguito della modifica operata medio tempore dall’art. 6 della l. 20 febbraio 2006, n. 46, il potere di appello, ai soli effetti della responsabilità civile, contro le sentenze di proscioglimento pronunciate nel giudizio di primo grado.
Ciò premesso, per effetto dell'impugnazione della parte civile, si può rinnovare l'accertamento dei fatti posto a base della decisione assolutoria, e ciò al fine di valutare l'esistenza di una responsabilità per illecito e così giungere ad una diversa pronunzia che rimuova quella pregiudizievole per gli interessi civili. Resta, invece, esclusa la possibilità di una revisione dell'accertamento penale in assenza dell'impugnazione del pubblico ministero.
In altre parole, il codice ha scelto l'autonomia dei giudizi sui due profili di responsabilità, civile e penale, nel senso che l'impugnazione proposta dalla parte civile ai soli effetti civili non può incidere sulla decisione del giudice del grado precedente in merito alla responsabilità penale, ma il giudice penale dell'impugnazione, dovendo decidere su una domanda civile che necessariamente dipende da un accertamento sul fatto di reato e dunque sulla responsabilità dell'autore dell'illecito extracontrattuale, può, seppure in via incidentale, statuire in modo difforme sul fatto oggetto dell'imputazione, ritenendolo ascrivibile al soggetto prosciolto (Cass. pen., sez. un., 11 luglio 2006, n. 25083, Negri).
Il giudice dell'impugnazione, adito ai sensi dell'art. 576 c.p.p., ha, nei limiti del devoluto e agli effetti della devoluzione, i poteri che il giudice di primo grado avrebbe dovuto esercitare. Se si convince che tale giudice ha sbagliato nell'assolvere l'imputato può affermarne la responsabilità agli effetti civili e condannarlo al risarcimento o alle restituzioni, in quanto l'accertamento incidentale equivale virtualmente – oggi per allora – alla condanna di cui all'art. 538, comma 1, c.p.p. che non venne non pronunziata per errore.
Come già si è avuto modo dire, la Corte di cassazione ha chiarito, inoltre, che qualora al ricorso della parte civile, ai soli effetti civili, avverso sentenza di assoluzione sia seguita dall'abolizione del reato il ricorso è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, dato che la finalità di detta impugnazione è quella di non vedersi opporre, come previsto dall'art. 652 c.p.p., l'efficacia della sentenza penale di assoluzione, nel giudizio civile o amministrativo di danno, quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà di legittima (Cass. pen., sez. un., 29 settembre 2016, n. 46688, Schirru).
c) L'art. 576, comma 1, c.p.p., non limita il novero e la tipologia delle sentenze di proscioglimento.
Si aggiunga che la formula «sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio», riferibile sia alle sentenze di non doversi procedere sia alle sentenze di assoluzione, è unicamente intesa ad escludere le sentenze di non luogo a procedere pronunciate nell'udienza preliminare.
Nella sentenza di proscioglimento rientra, pertanto, anche la «dichiarazione di estinzione del reato» di cui all'art. 531 c.p.p., sicché la facoltà di impugnazione della parte civile ricomprendere anche la sentenza di non doversi procedere per estinzione dovuta a qualsivoglia tra le cause previste dal codice penale e, tra esse anche quella della prescrizione del reato ex art. 157 c.p. (Cass. pen., sez. un., 29 maggio 2008, n. 40049, Guerra).
La parte civile può, dunque, proporre impugnazione, sia pure sempre nell'ambito di una pretesa volta unicamente alla rivisitazione dei soli effetti civili, nei confronti della sentenza di primo grado che abbia dichiarato l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, così come nei confronti della sentenza di appello che tale decisione abbia confermato, qualora lamenti l'erroneità di detta dichiarazione (Cass. pen., sez. un., 28 marzo 2019, n. 28911, Massaria).
Qualora il giudice d'appello confermi la decisione di primo grado dichiarativa dell'estinzione del reato per prescrizione, resta ferma, perché corretta, la mancata decisione in ordine alle statuizioni civili.
Qualora, invece, ritenga erronea la dichiarazione di prescrizione, il giudice di appello, qualora ritenga sussistere «ora per allora» la responsabilità penale dell'imputato, deve, lasciando fermo l'epilogo penale che è insensibile alla impugnazione della sola parte civile, adottare le statuizioni civili secondo quanto disposto dall'art. 538 c.p.p., indipendentemente dall'eventuale prescrizione nel frattempo maturata.
La parte civile è poi – come si è detto – legittimata a proporre ricorso per cassazione contro la sentenza d'appello che abbia confermato la dichiarazione di prescrizione erroneamente affermata dal giudice di primo grado.
In caso di accoglimento, la Corte di cassazione pronuncerà annullamento con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello ai sensi dell'art. 622 c.p.p.
d) L'impugnazione in esame è ammissibile anche se nell'atto non è specificato che essa è proposta ai soli effetti civili, discendendo tale effetto direttamente dall'art. 576 c.p.p. (Cass. pen., sez. un., 20 dicembre 2012, n. 6509/13, Colucci: nella specie, la parte civile nell'atto di appello, avverso una sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto, si era limitata a chiedere genericamente la condanna dell'imputato; non aveva, in altre parole, formulato specifica richiesta di condanna dell'imputato al risarcimento dei danni).
3. La parte civile ha il diritto di ricorrere per cassazione anche contro i capi delle sentenze che la condannano ex art. 592 c.p.p. al pagamento delle spese processuali anticipate dallo Stato (Cass. pen., sez. un., 25 ottobre 2005, n. 41476, Misiano).
Tale diritto non trova fondamento, tuttavia, nell'art. 576 c.p.p. perché il capo della decisione che condanna alle spese del processo anticipate dallo Stato non riguarda l'azione civile, né la responsabilità civile dell'imputato, ma solo la diversa responsabilità della parte privata per le spese del processo conseguenti all'esercizio dell'azione penale.
Né, per la parte civile, esiste una esplicita norma che assegni ad essa il potere di impugnare le disposizioni delle sentenze che la condannino a pagare le spese anticipate dallo Stato, a differenza di quel che avviene per il querelante con il combinato disposto degli artt. 542 e 427, comma 4, c.p.p.
Il diritto si fonda, invece, sulla regola generale di cui all'art. 568, comma 2, c.p.p., secondo la quale la sentenza è sempre ricorribile per cassazione e si giustifica con la considerazione che la condanna della parte civile a rifondere allo Stato le spese processuali non può avvenire che con una sentenza di secondo grado (impugnabile soltanto con ricorso per cassazione), essendo la responsabilità della parte civile per le spese del processo limitata ex art. 592 c.p.p. ai casi in cui la stessa ha proposto contro la sentenza di primo grado una impugnazione risoltasi con pronuncia di rigetto o di inammissibilità.
Secondo l'art. 541, comma 2, c.p.p., invero, che attiene alla decisione di primo grado, con la sentenza che assolve l'imputato per cause diverse dal difetto di imputabilità, se ne è fatta richiesta, il giudice condanna la parte civile alla rifusione delle spese processuali sostenute dall'imputato e dal responsabile civile per effetto dell'azione civile esercitata nel processo penale; se la parte è incorsa in colpa grave, il giudice la condanna altresì al risarcimento dei danni causati all'imputato e al responsabile civile.
In tal caso, sempre secondo i criteri della causalità e della soccombenza, la parte civile deve rifondere le spese e i danni cagionati alle controparti private con l'infondato esercizio dell'azione civile nella sede penale; non deve invece rifondere le spese del processo anticipate dallo Stato, perché, non trattandosi di reato perseguibile a querela, essa non è responsabile dell'inutile attivazione del processo penale.
Nei gradi successivi del giudizio, invece, soccorre – come si è detto – l'art. 592 c.p.p., secondo cui il giudice che dichiari inammissibile o rigetti l'impugnazione della parte civile deve condannarla alle spese del processo anticipate dallo Stato.
4. Si è detto all'inizio che lo stesso diritto di impugnazione della parte civile compete al querelante condannato a norma dell'art. 542 c.p.p. (art. 576, comma 2, c.p.p.).
Dalla lettura degli artt. 576, comma 2, 542 e 427 commi 1 e 3, c.p.p. (richiamato dall'art. 542 c.p.p.) si desume che:
quando si tratta di reato perseguibile a querela, nel caso in cui il giudice di primo grado emetta sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non l'ha commesso, il querelante è condannato al pagamento delle spese anticipate dallo Stato;
nello stesso caso, il querelante è condannato alla rifusione delle spese e al risarcimento del danno in favore dell'imputato che ne abbia fatto domanda (anche a favore del responsabile civile citato o intervenuto, solo se il querelante si è costituito parte civile);
contro il capo della sentenza assolutoria che decide in tal modo sulla sua responsabilità per le spese processuali e per i danni, il querelante può proporre impugnazione.
La disciplina si spiega razionalmente perché, nei reati perseguibili a querela, è solo il querelante in quanto tale a dare causa al processo penale, sicché è giusto (se è ravvisabile una colpa a suo carico) che gli vengano accollate le spese sopportate dallo Stato nei casi in cui l'esercizio della giurisdizione si rivela inutile; così come è giusto (sempre se ricorra una sua colpa, più o meno grave) che egli debba rimborsare all'imputato le spese processuali e i danni da questi sopportati per fronteggiare le conseguenze della querela (Cass. pen., sez. un., 25 ottobre 2005, n. 41476, Misiano).
5. La parte civile, la persona offesa dal reato, non costituita parte civile, gli enti e le associazioni senza scopo di lucro intervenuti nel processo per esercitare i diritti attribuiti alla persona offesa hanno facoltà di presentare al pubblico ministero una richiesta motivata affinché questi proponga impugnazione a ogni effetto penale (art. 572, comma 1, c.p.p.).
Il pubblico ministero, se non accoglie la richiesta e non propone impugnazione, emette decreto motivato di diniego e lo notifica al richiedente (art. 572, comma 2, c.p.p.).
Impugnazione della persona offesa per i reati di ingiuria e diffamazione (art. 577 c.p.p.)
Abrogato dalla l. 20 febbraio 2006, n. 46
Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione e nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione (art. 578 c.p.p.)
1. Modificata, dalla l. 27 settembre 2021, n. 134, la rubrica con l'aggiunta delle parole «e nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione» l'art. 578 stabilisce, al comma 1, che, quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, in primo grado, anche generica (v. artt. 538 ss. c.p.p.) alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello (adito dall'imputato o dal pubblico ministero) e la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione (o per amnistia), decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.
a) L'ambito applicativo della disposizione è delineato da tre requisiti.
Il primo: la sentenza di condanna (anche generica) dell'imputato agli effetti civili (ossia alle restituzioni o al risarcimento dei danni).
Non, dunque, una sentenza di proscioglimento dell'imputato (Cass. pen., sez. un., 28 aprile 2022, n. 39614, Fava): nel caso di impugnazione della parte civile avverso la sentenza di proscioglimento emessa in primo grado trova applicazione l'art. 576 c.p.p. (Cass. pen., sez. un., 11 luglio 2006, n. 25083, Negri).
L'art. 576 c.p.p. e l'art. 578 c.p.p. disciplinano situazioni processuali diversificate, mirando l'art. 578 c.p.p., nonostante la declaratoria della prescrizione, a mantenere, in assenza di un'impugnazione della parte civile, la cognizione del giudice dell'impugnazione sulle disposizioni e sui capo della sentenza del precedente grado che concernono gli interessi civili, mentre l'art. 576 c.p.p. conferisce al giudice dell'impugnazione il potere di decidere sulla domanda al risarcimento ed alle restituzioni, pur in mancanza di una precedente statuizione sul punto (Cass. pen., sez. un., 28 aprile 2022, n. 39614, Fava).
Il secondo: l'impugnazione della sentenza di condanna da parte dell'imputato, che si estende ope legis ai capi civili (Cass. pen., sez. un., 25 ottobre 2018, n. 6141/19, Milanesi), e la sopravvenuta prescrizione del reato (Cass. pen., sez. un., 28 aprile 2022, n. 39614, Fava).
L'art. 578 c.p.p. legittima la condanna dell'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile in appello in caso di riforma, ad opera del giudice di secondo grado, su impugnazione del p.m., della sentenza di assoluzione di primo grado (Cass. pen., sez. un., 29 settembre 2016, n. 46688, Schirru).
Il terzo: la condanna sulle statuizioni civili impugnata deve essere stata validamente pronunciata nel grado di giudizio immediatamente precedente.
La condanna erroneamente emessa per avere il giudice omesso di rilevare il già maturato decorso dei termini di prescrizione, non può, dunque, valere ai fini e per gli effetti dell'art. 578 (Cass. pen., sez. un., 28 aprile 2022, n. 39614, Fava; Corte cost. 30 luglio 2021, n. 182); osta al mantenimento del potere di provvedere sui soli effetti civili, il disposto dell'art. 538.1 secondo il quale il giudice decide sulla domanda di restituzione o risarcimento solo quando pronuncia sentenza di condanna (il giudice dell'impugnazione, invero, non può esercitare poteri che il giudice di prima cura non può validamente esercitare).
In tal caso, il giudice d'appello è tenuto a dichiarare la prescrizione ex art. 129 c.p.p., ma deve revocare le statuizioni civili contenute nella sentenza di primo grado perché è illegittima la condanna al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese in favore della parte civile; l'estinzione del reato dichiarata dal giudice dell'appello, ma maturata prima della condanna emessa in primo grado, non può dirsi «sopravvenuta» alla condanna medesima, di cui travolge la «validità», in quanto il fatto estintivo, quali che siano le ragioni della sua declaratoria postuma, impone di retrocedere nel giudizio al momento del suo verificarsi.
La parte civile viene, in tal modo, onerata di promuovere l'azione civile nella sede naturale (Cass. pen., sez. un., 28 aprile 2022, n. 39614, Fava).
L'«impossibilità di ottenere una decisione sulla domanda risarcitoria laddove il processo penale si concluda con una sentenza di proscioglimento per qualunque causa (salvo che nei limitati casi previsti dall'art. 578 c.p.p.) costituisce [...] uno degli elementi dei quali il danneggiato deve tener conto nel quadro della valutazione comparativa dei vantaggi e degli svantaggi delle due alternative che gli sono offerte» (Corte cost. 29 gennaio 2016, n. 12, richiamata da Corte cost. 12 luglio 2019, n. 176).
La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto, inoltre, che «nei confronti della sentenza di primo grado che dichiari l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, così come contro la sentenza di appello che tale decisione abbia confermato, è ammessa l'impugnazione della parte civile che lamenti l'erronea applicazione della prescrizione» (Cass. pen., sez. un., 3 luglio 2019, n. 28911, Massaria).
La sentenza d'appello che dovesse confermare le statuizioni civili contenute nella sentenza di primo grado è illegittima e dovrebbe, in caso di ricorso per cassazione dell'imputato, essere annullata in tale sua parte senza rinvio (Cass. pen., sez. un., 13 luglio 1998, n. 19986, Citaristi).
b) Nella situazione processuale di cui all'art. 578 c.p.p. il giudice non è tenuto a formulare un giudizio di colpevolezza penale, sia pure incidenter tantum, quale presupposto della decisione, di conferma o di riforma, sui capi della sentenza impugnata che concernono gli interessi civili.
Un tale giudizio non è richiesto dal tenore testuale della disposizione che non prevede (a differenza di quella successiva, l'art. 578-bis c.p.p.) il «previo accertamento della responsabilità dell'imputato» (Corte cost. 30 luglio 2021, n. 182).
Questa affermazione non trova ostacolo nella precedente giurisprudenza delle Sezioni Unite.
Il principio affermato da Cass. pen., sez. un., 28 maggio 2009, n. 35490 Tettamanti secondo il quale, in deroga alla regola generale, il proscioglimento nel merito in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova prevale sulla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, quando, in sede di appello, sopravvenuta l'estinzione del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili:
presuppone, per un verso, il carattere «pieno» della cognizione del giudice dell'impugnazione penale (il quale non può limitarsi a confermare o riformare immotivatamente le statuizioni civili emesse in primo grado, ma deve esaminare compiutamente i motivi di gravame sottopostigli, avuto riguardo al compendio probatorio e dandone poi conto in motivazione);
non presuppone (né implica), per altro verso, che il giudice, nel conoscere della domanda civile, debba altresì formulare, esplicitamente o meno, un giudizio sulla colpevolezza dell'imputato e debba effettuare un accertamento, principale o incidentale, sulla sua responsabilità penale, ben potendo contenere l'apprezzamento richiestogli entro i confini della responsabilità civile. La valutazione in questione, in quanto relativa all'aspetto penalistico della vicenda, deve essere compiuta sulla base della regola di giudizio processual-penalistica dell'oltre ogni ragionevole dubbio.
L'applicazione dello statuto della prova penale è pieno e concerne sia i mezzi di prova (sarà così ammissibile e utilizzabile, ad esempio, la testimonianza della persona offesa che nel processo civile sarebbe interdetta dall'art. 246 c.p.c.), sia le modalità di assunzione della prova (le prove costituende saranno così assunte per cross examination ex art. 499 c.p.p. e non per interrogatorio diretto del giudice), le quali ricalcheranno pedissequamente quelle da osservare nell'accertamento della responsabilità penale: ove ne ricorrano i presupposti, dunque, il giudice dell'appello penale, rilevata l'estinzione del reato, potrà – o talora dovrà (Cass. pen., sez. un., 28 gennaio 2021, n. 22065, Cremonini) – procedere alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale al fine di decidere sull'impugnazione ai soli effetti civili (art. 603, comma 3-bis, c.p.p.).
Inoltre, più in generale, Cass. pen., sez. un., 18 luglio 2013, n. 40109, Sortino, pronunciandosi sul vizio di motivazione che può inficiare la decisione emessa dal giudice di appello ai sensi dell'art. 578 c.p.p., ha affermato che, in conseguenza del rilievo del predetto vizio (e della susseguente cassazione della sentenza), il rinvio deve essere fatto sempre al giudice civile e non al giudice penale, in applicazione dell'art. 622 c.p.p., proprio in ragione, non già del mancato accertamento incidentale della responsabilità penale dell'imputato, ma dell'omesso esame dei motivi di gravame, ove la condanna risarcitoria confermata dal giudice di appello sia fondata sul mero presupposto della «non evidente estraneità» dell'imputato ai fatti di reato contestatigli.
c) Una volta dichiarata la sopravvenuta causa estintiva del reato, in applicazione dell'art. 578 c.p.p., l'imputato ha diritto a che la sua responsabilità penale non sia più rimessa in discussione, ma la parte civile ha diritto al pieno accertamento dell'obbligazione risarcitoria.
Così ha affermato Corte cost. 30 luglio 2021, n. 182 che ha, poi, fatto seguire altre considerazioni.
Ha affermato, in particolare:
che il giudice dell'impugnazione penale, spogliatosi della cognizione sulla responsabilità penale dell'imputato in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione (o per sopravvenuta amnistia), deve provvedere sull'impugnazione ai soli effetti civili, confermando, riformando o annullando la condanna già emessa nel grado precedente, sulla base di un accertamento che impinge unicamente sugli elementi costitutivi dell'illecito civile, senza poter riconoscere, neppure incidenter tantum, la responsabilità dell'imputato per il reato estinto;
che, in altre parole, il giudice dell'impugnazione penale, nel decidere sulla domanda risarcitoria, non è chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice, in cui si iscrive il fatto di reato di volta in volta contestato, ma deve invece accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell'illecito aquiliano (art. 2043 c.c.);
che, con riguardo al «fatto» – come storicamente considerato nell'imputazione penale – il giudice dell'impugnazione è chiamato a valutarne gli effetti giuridici, chiedendosi, non già se esso presenti gli elementi costitutivi della condotta criminosa tipica contestata all'imputato come reato, contestualmente dichiarato estinto per prescrizione, ma se quella condotta sia stata idonea a provocare un «danno ingiusto» secondo l'art. 2043 c.c.;
che il danno non patrimoniale ha il contenuto chiarito dalle Sezioni unite civili (Cass. civ., sez. un., 24 giugno 2008, n. 26972, n. 26793, n. 26794 e n. 26795): sussiste sia nei casi espressamente previsti dalla legge al di fuori delle fattispecie di reato (art. 2059 c.c.), sia nei casi di lesione «non bagatellare» di interessi della persona elevati a valori costituzionali, sia infine, in tutte le ipotesi di derivazione del pregiudizio da un illecito civile coincidente con una fattispecie penale (art. 185 c.p.);
che la natura civilistica dell'accertamento richiesto dall'art. 578 c.p.p. al giudice penale dell'impugnazione, differenziato dall'ormai precluso accertamento della responsabilità penale quanto alle pretese risarcitorie e restitutorie della parte civile, emerge riguardo sia al nesso causale, sia all'elemento soggettivo dell'illecito;
che il giudice, in particolare, non accerta la causalità penalistica che lega la condotta (azione od omissione) all'evento in base alla regola dell'«alto grado di probabilità logica» (Cass. pen., sez. un., 10 luglio 2002, n. 30328, Franzese);
che, per l'illecito civile, vale, invece, il criterio del «più probabile che non» o della «probabilità prevalente» che consente di ritenere adeguatamente dimostrata (e dunque processualmente provata) una determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi risultati delle prove dichiarative e documentali, appare più probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell'ipotesi contraria (Cass. S.U. civ. 11 gennaio 2008, n. 576, n. 581, n. 582 e n. 584);
che l'autonomia dell'accertamento dell'illecito civile non è revocata in dubbio dalla circostanza che esso si svolga dinanzi al giudice penale e sia condotto applicando le regole processuali e probatorie del processo penale (art. 573 c.p.p.).
Queste affermazioni sono smentite da Cass. pen., sez. un., 28 marzo 2024, n. 36208, Calpitano.
Al quesito «Se, nel giudizio di appello promosso avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni, intervenuta l’estinzione del reato per prescrizione, il giudice debba pronunciarsi sulle statuizioni civili sulla base della regola di giudizio processual-penalistica dell’”oltre ogni ragionevole dubbio” ovvero di quella processual-civilistica del “più probabile che non”» la risposta è la conferma dei principi enunciati dalla citata Cass. S.U. 28 maggio 2009, n. 35490, Tettamanti.
L'obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità imposto dall'art. 129 deve arrestarsi al cospetto dell'art. 578. La presenza della parte civile impone al giudice dell’appello di valutare nel merito le risultanze probatorie, nonostante sia sopravvenuta la prescrizione, per pronunciarsi sulle statuizioni civili: «ciò rende recessivo l'obbligo per il giudice di appello di attenersi a canoni di economia processuale rispetto al dovere di “conoscere” il merito della causa, aprendo in tal modo il varco alla tutela dei diritti fondamentali della persona imputata». Il giudice di appello ha cognizione piena nonostante il decorso del termine di prescrizione e può pervenire ad una assoluzione dell’imputato anche ai sensi dell'art. 530.2. Si è, poi, riconosciuto che, anche nel caso in dichiari l’estinzione del reato per prescrizione, il giudice dell'impugnazione ha il potere di accertare la responsabilità civile.
In altre parole, all'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel merito l'impugnazione del pubblico ministero proposta avverso una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell'art. 530.2.
Per restare aderenti al quesito il giudice penale deve pronunciarsi sulle statuizioni civili sulla base della regola di giudizio processuale penale dell’”oltre ogni ragionevole dubbio”, non sulla base della regola processuale civile del “più probabile che non”.
È chiaro, dunque, il contrasto con Corte cost. 30 luglio 2021, n. 182, che le Sezioni unite liquidano affermando che si tratta di una sentenza interpretativa di rigetto, sicché il giudice è libero di interpretare la norma anche in modo difforme, stabilendo il principio di diritto secondo cui «nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell'imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l'estinzione del reato per prescrizione, non può limitarsi a prendere atto della causa estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui criteri enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021, ma è comunque tenuto, stante la presenza della parte civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l'assoluzione nel merito».
d) L’art. 578.1 costituisce - come si è detto - una deroga al principio generale della accessorietà delle statuizioni civili alla condanna penale (art. 538 secondo il quale «il giudice decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, avanzata dalla parte civile nel processo penale, allorché pronuncia sentenza di condanna») perché stabilisce che anche la pronuncia di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione non esenta il giudice dell’impugnazione dal prendere in considerazione ai fini civili il gravame (Cass. pen., sez. un., 11 luglio 2006, n. 25083, Negri; Cass. pen., sez. un., 29 settembre 2016, n. 46688, Schirru).
In caso di prescrizione (ma anche in caso di amnistia) ci può essere, al contempo, la condanna al risarcimento del danno, nella misura in cui il giudice penale accerta che l’imputato ha commesso l’atto illecito e che la parte civile ha diritto al risarcimento del danno, e contestualmente il proscioglimento dall’accusa penale per prescrizione o amnistia, laddove dalle risultanze processuali, valutate dal giudice, non risulti che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato (art. 129) (C. cost. 12 luglio 2022, n. 173). Il proscioglimento penale convive con la condanna civile da parte dello stesso giudice penale, senza che venga in sofferenza (C. cost. 30 luglio 2021, n. 182) – il canone della presunzione di innocenza di cui all’art. 6, paragrafo 2, CEDU e all’art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE).
Esempio
Morte imputato – oblazione – remissione della querela – sanatoria edilizia
Considerata norma di stretta interpretazione, l'art. 578 c.p.p. non è applicabile al caso di estinzione del reato per oblazione o per morte dell'imputato e comunque non suscettibile di essere esteso analogicamente ad altre cause estintive come la remissione di querela o la sanatoria edilizia: «[i]l carattere del precetto, che "fa eccezione a regole generali o ad altra legge", rende evidente, nel rispetto dell'articolo 14 delle preleggi, che non si applica oltre i casi e i tempi in esso considerati. Senza considerare che, comunque, la norma dell'art. 578 c.p.p. abilita il giudice a tanto, sul presupposto non di una pronuncia di assoluzione dal reato (come nel caso della abrogazione) ma di riconoscimento di causa di estinzione di un fatto reato dopo condanna» (Cass. pen., sez. un., 29 settembre 2016, n. 46668, Schirru; C. cost. 12 gennaio 2016, n. 12; Cass. pen., sez. un., 11 luglio 2006, n. 25083, Negri).
In forza del principio di accessorietà la sentenza di condanna è, in via ordinaria, la precondizione perché il giudice penale di primo grado decida sulla domanda risarcitoria o restitutoria della parte civile. In base all'art. 538 accertamento della responsabilità penale e accertamento della responsabilità civile sono, di regola, inscindibili (Cass. pen., sez. un., 28 aprile 2022, n. 39614, Fava; C. cost. 12 gennaio 2016, n. 12).
Il principio posto dall'art. 538 c.p.p. trova applicazione anche nel giudizio d'appello in virtù di quanto stabilito dall'art. 598 c.p.p. che pone un principio generale di estensione delle regole del grado precedente.
e) La disciplina delle impugnazioni conosce, oltre all'art. 578 c.p.p., altre disposizioni in deroga al principio di accessorietà, che attribuiscono al giudice del gravame o al giudice del rinvio in seguito a cassazione, il potere-dovere di provvedere sulla domanda civile, pur in presenza di una pronuncia di proscioglimento e quindi in assenza dell'accertamento della responsabilità penale.
La Corte costituzionale (in particolare, Corte cost. 30 luglio 2021, n. 182) ha dedicato ampie considerazioni alle deroghe.
e 1) Innanzi tutto, l'art. 576 c.p.p. prevede che la parte civile può proporre impugnazione, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio o all'esito del rito abbreviato (C. cost. 6 febbraio 2007, n. 32; v. anche Cass. pen., sez. un., 12 luglio 2007, n. 27614, Lista).
L'esercizio di questa facoltà, ad opera della parte civile, «conferisce al giudice dell'impugnazione il potere di decidere sulla domanda al risarcimento del danno ed alle restituzioni, pur in mancanza di una precedente statuizione sul punto», atteso che esso, una volta adito ai sensi dell'art. 576 c.p.p., «ha, nei limiti del devoluto e agli effetti della devoluzione, i poteri che il giudice di primo grado avrebbe dovuto esercitare» (Cass S.U. 19 luglio 2006, n. 25083, Negri).
e 2) Altra deviazione dal principio generale di accessorietà dell'azione civile nel processo penale si rinviene nell'art. 622 c.p.p., secondo cui, nel giudizio di cassazione, se gli effetti penali della sentenza di merito sono ormai cristallizzati per essersi formato il giudicato sui relativi capi, la cognizione sulla pretesa risarcitoria e restitutoria si scinde dalla statuizione sulla responsabilità penale e viene compiuta, in sede rescindente, dal giudice di legittimità e, in sede rescissoria, dal giudice civile di merito competente per valore in grado di appello, all'esito di rinvio.
L'art. 622 c.p.p. prescrive che, «[f]ermi gli effetti penali della sentenza», la Corte di cassazione, se annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l'azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato, rinvia, quando occorre, al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l'annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, nella fattispecie contemplata dal primo ordine di ipotesi considerato dalla norma (che presuppone il ricorso dell'imputato o del pubblico ministero), rientrano non solo i casi in cui la responsabilità penale sia stata definitivamente accertata con esito positivo e l'annullamento disposto dalla Cassazione riguardi le statuizioni civili censurate dall'imputato ai sensi dell'art. 574 c.p.p., ma anche i casi di annullamento delle statuizioni civili, rese dal giudice di appello all'esito dell'applicazione dell'art. 576 c.p.p. e dell'art. 578 c.p.p.; inoltre il rinvio al giudice civile, a seguito dell'annullamento delle statuizioni civili contenute nella sentenza impugnata per cassazione, va disposto non solo allorché assuma carattere meramente «prosecutorio», ma anche quando assuma carattere «restitutorio» (Cass. pen., sez. un., 27 settembre 2013, n. 40109, Sortino).
Tale estensivo orientamento, in ordine all'ambito applicativo dell'art. 622 c.p.p., è stato recentemente ribadito dalle stesse Sezioni unite penali, le quali hanno inoltre statuito che nel giudizio rescissorio di «rinvio» dinanzi al giudice civile, avente in realtà natura di autonomo giudizio civile (non vincolato dal principio di diritto eventualmente enunciato dal giudice penale di legittimità in sede rescindente), trovano applicazione le regole processuali e probatorie proprie del processo civile e che l'accertamento richiesto al giudice del «rinvio» ha ad oggetto gli elementi costitutivi dell'illecito civile, prescindendosi da ogni apprezzamento, sia pure incidentale, sulla responsabilità penale dell'imputato (Cass. pen., sez. un., 4 giugno 2021, n. 22065, Cremonini).
e 3) Altra norma in deroga è quella prevista dall'art. 448, comma 3, c.p.p. che abilita alla pronuncia sulle statuizioni civili il giudice della impugnazione avverso sentenza di condanna, quando ritenga ingiustamente non riconosciute, dal giudice di primo grado, le condizioni per accogliere la richiesta di patteggiamento cui il P.M. non aveva prestato il consenso (Cass. pen., sez. un., 29 settembre 2016, n. 46688, Schirru).
Si tratta di fattispecie di stretta interpretazione, in quanto non riconducibile all'ordinarietà del rito del patteggiamento (nel quale vale la regola in base alla quale il giudice che applica la pena non decide sulla domanda della parte civile), ma al caso – affatto particolare – in cui il giudice dell'impugnazione accolga la richiesta dell'imputato rigettata in primo grado, ritenendo ingiustificato il dissenso del pubblico ministero: in tale ipotesi, collegata alla previsione contenuta nel comma 1 dell'art. 448, vi è stata, comunque, in primo grado una sentenza di condanna (estesa anche alle connesse statuizioni civili), a fronte della quale è del tutto coerente con la disciplina generale il richiamo all'art. 578, non potendosi comunque porre nel nulla il capo riguardante la condanna al risarcimento del danno. Anche nell'ipotesi considerata dal terzo comma dell'art. 448, infatti, vi è stata già una decisione sull'azione civile, come nel caso di sopravvenuta amnistia o prescrizione (Cass. pen., sez. un., 28 aprile 2022, n. 39614, Fava).
2. Il comma 1-bis dell'art. 578 c.p.p. è stato inserito dall'art. 2, comma 2, della l. 27 settembre 2021, n. 134 e sostituito dall'art. 33, comma 1, d.lgs. n. 150/2022.
Applicabile ai procedimenti di impugnazione che hanno a oggetto reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020, stabilisce (così completando la disciplina dettata dall'art. 573 c.p.p.) che se, nei confronti dell'imputato, è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile (artt. 538 e 539, comma 1, c.p.p.), e in ogni caso di impugnazione della sentenza anche per gli interessi civili (artt. 574, commi 1 e 4, 575, comma 1, e 576, comma 1, c.p.p.), il giudice di appello e la corte di cassazione, se l'impugnazione non è inammissibile, nel dichiarare improcedibile l'azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 344-bis c.p.p., rinviano per la prosecuzione al giudice o alla sezione civile competente nello stesso grado, che decidono sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile.
3. Il comma 1-ter dell'art. 578 c.p.p., inserito dall'art. 33, comma 1, d.lgs. n. 150/2022, prevede che, nei casi di cui al comma 1-bis, gli effetti del sequestro conservativo disposto a garanzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato (art. 316, comma 2, c.p.p.) permangono fino a che la sentenza che decide sulle questioni civili non è più soggetta a impugnazione.
Decisione sulla confisca in casi particolari nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione (art. 578-bis c.p.p.)
L'art. 6, comma 4, del d.lgs. 1° marzo 2018, n. 21 ha spostato nel codice, a tal fine inserendo l'art. 578-bis c.p.p., il contenuto del comma 4-septies dell'art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con mod., dalla l. 7 agosto 1992, n. 356, disposizione che era stata inserita dall'art. 31, comma 1, lett. f), l. 17 ottobre 2017, n. 161.
L'art. 578-bis c.p.p. stabilisce che quando è stata ordinata la confisca «in casi particolari» prevista dal comma 1 dell'art. 240-bis c.p. e da altre disposizioni di legge (c.d. confisca allargata) o la confisca prevista dall'art. 322-ter c.p. (previsione, quest'ultima, aggiunta dall'art. 1, comma 4, lett. f, della l. 9 gennaio 2019, n. 3, in vigore dal 31 gennaio 2019), il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell'imputato.
In questo caso, pur rilevata la causa estintiva del reato, essendo il giudice chiamato a valutare i presupposti della conferma, o meno, di una sanzione di carattere punitivo ai sensi dell'art. 7 CEDU, la dichiarazione di responsabilità dell'imputato in ordine al reato ascrittogli non solo è consentita, ma è anzi doverosa, poiché non si può irrogare una pena senza il giudizio sulla sussistenza di una responsabilità personale, sebbene sia sufficiente che tale giudizio risulti nella «sostanza dell'accertamento» contenuto nella motivazione della sentenza, non essendo necessario che assuma, in dispositivo, la «forma della pronuncia» di condanna (Corte EDU, sentenza n. 49 del 2015, G.I.EM. S.r.l. e altri contro Italia) (Corte cost. 30 luglio 2021, n. 182).
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato che il legislatore ha così codificato il principio, di creazione giurisprudenziale, secondo il quale può disporsi la confisca anche nel caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, a condizione che sia compiutamente accertata la configurabilità del reato in tutti i suoi elementi costitutivi, sulla base del medesimo standard probatorio richiesto per la pronuncia della sentenza di condanna e con il rispetto delle garanzie proprie delle pronunce formali di condanna (Cass. pen., sez. un., 30 gennaio 2020, n. 13539, Perroni).
L'art. 578-bis c.p.p. presuppone dunque, ai fini della sua applicazione, che nel grado precedente sia stata ordinata o la confisca prevista dall'art. 322-ter c.p. in relazione ai delitti contro la pubblica amministrazione in esso indicati o la «confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell'articolo 240-bis del codice penale e da altre disposizioni di legge» che prevedano (naturale sottinteso) la «confisca in casi particolari», vale a dire la c.d. confisca allargata o per sproporzione, come, ad es., l'art. 12-ter in relazione ai reati tributari di cui agli artt. 2,3,8 e 11 del d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74, l'art. 301, comma 5-bis, c.p.p. in relazione ai reati aggravati di contrabbando di cui all'art. 295, comma 2, d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, l'art. 85 in relazione ai reati di produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti previsti dall'art. 73, escluso il comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Ma le Sezioni unite della Corte di cassazione, con una evidente forzatura tradottasi in una lettura sgrammaticata della disposizione e un'inaccettabile omessa valutazione della volontà del legislatore ricavabile dai lavori preparatori e dalla relazione illustrativa, hanno affermato che alle parole «confisca prevista da altre disposizioni di legge» - deve riconoscersi una valenza di carattere generale, capace di ricomprendere, siccome formulato senza ulteriori specificazioni, anche le confische disposte da fonti normative poste al di fuori del codice penale (Cass. pen., sez. un., 30 gennaio 2020, n. 13539, Perroni secondo cui, in caso di declaratoria, all'esito del giudizio di impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per intervenuta prescrizione, il giudice d'appello e la Corte di cassazione sono tenuti, in applicazione dell'art. 578-bis, c.p.p., a decidere sull'impugnazione agli effetti della confisca di cui all'art. 44, comma 2 del d.P.R. n. 380 del 2001; Cass. pen., sez. un., 29 settembre 2022, n. 4145/2023, Esposito, che, con riferimento alla confisca tributaria di cui all'art. 12-bisdel d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ha stabilito che la disposizione di cui all'art. 578-bis c.p.p. ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle «forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria», natura anche sostanziale e, pertanto, è inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore; spunti contrari, non adeguatamente sviluppati, possono vedersi in Cass. pen., sez. V, 15 ottobre 2020, n. 52/2021).
Quanto ad efficacia temporale, l'art. 578-bis c.p.p. deve trovare applicazione in tutti i processi in corso al momento della sua entrata in vigore, se la confisca sia stata disposta in via diretta; in caso, invece, di confisca per equivalente, avendo essa natura sanzionatoria, la previsione in commento non può che trovare applicazione per i solo fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore (Cass. pen., sez. un., 29 settembre 2022, n. 4145/2023, Esposito).
Decisione sulla confisca e sul sequestro nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione (art. 578-ter c.p.p.)
L'art. 578-ter(inserito dall'art. 33, comma 1 del d.lgs. n. 150/2022, con decorrenza dal 30 dicembre 2022, ai sensi di quanto disposto dall'art. 99-bis, comma 1, del medesimo d.lgs.) disciplina i rapporti tra l'improcedibilità dell'azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione e la confisca disposta con la sentenza impugnata.
Il comma 1 stabilisce che il giudice di appello o la Corte di cassazione, nel dichiarare l'azione penale improcedibile devono:
ordinare la confisca «nei casi in cui la legge la prevede obbligatoriamente anche quando non è stata pronunciata condanna»; in altre parole, nei casi di cui agli 240, comma 2, 452-quaterdecies, comma 5, 474-bis, 518-quaterdecies, comma 2, 518-duodevicies, comma 1, 633-bis, comma 2 e 722 c.p., nonché nei casi previsti in leggi speciali: ad es.: art. 3, comma 1, l. 25 gennaio 1982, n. 17 (associazioni segrete); art. 13, comma 3-quater, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (immigrazione); artt. 301, comma 1 e 2 e 342 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (contrabbando); art. 7, comma 3, d.l. 26 aprile 1993, n. 122, conv., con mod., dalla l. 25 giugno 1993, n. 205 (discriminazione razziale, etnica, religiosa); art. 3, comma 1, l. 20 giugno 1952, n. 645 (riorganizzazione del disciolto partito fascista); art. 87, l. 17 luglio 1942, n. 907 (monopolio dei tabacchi e contrabbando); art. 25, comma 3, l. 9 luglio 1990, n. 185 (materiali di armamento); art. 44, comma 1, d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (accise); art. 44, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (lottizzazione abusiva);
disporre, con ordinanza, la trasmissione degli atti al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto o al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, competenti a proporre le misure di prevenzione patrimoniali di cui al titolo II del libro I del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), negli altri casi in cui sia stata ordinata la confisca dei beni in sequestro a seguito di condanna (es. artt. 240, comma 1, 240-bis, 270-bis, comma 4, 270-septies, 322-ter, 416-bis, comma 7, 446, 452-undecies, 452-quaterdecies, comma 4, 466-bis, 493-ter, commi 2 e 3, 493-quater, comma 2, 518-duodevicies, comma 2, 544-sexies, 586-bis, comma 6, 600-septies, 603-bis, comma 2, 640-quater, 644, comma 6, 648-quater, 733, comma 2 c.p., cui si aggiungono numerosi casi previsti da leggi speciali, tra i quali, ad es., oltre a quelli indicati trattando dell'art. 578-bis c.p.p. quelli previsti dagli artt. 4, comma 8 e 23, comma 5, l. 18 aprile 1975, n. 110 (armi ed esplosivi), 2, comma 3, d.lgs. 14 febbraio 1948, n. 43 (associazioni di carattere militare), 12, commi 4-ter e 5-bis d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (disciplina dell'immigrazione), 186, comma 2, lett. c), e 7, 186-bis, comma 6 e 187, comma 1 d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (codice della strada), 2635, comma 6 e 2641 c.c. (reati societari), 187 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (abuso o comunicazione illecita di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato), 3, comma 3, l. 8 agosto 1977, n. 533 (ordine pubblico), 11, l. 16 marzo 2006, n. 146 (reato transnazionale) e 12-bis, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (reati tributari).
Il sequestro perderà efficacia soltanto qualora, entro novanta giorni dall'ordinanza di trasmissione, non sia disposto il sequestro di prevenzione ai sensi degli artt. 20 o 22 del citato d.lgs. n. 159 del 2011.
Il legislatore delegato ha ritenuto di sciogliere il nodo delle statuizioni in essere, non definitive, sui beni in sequestro, prevedendo che la dichiarazione di improcedibilità non vanifichi immediatamente sequestro e confisca. Prima è data al Procuratore la possibilità, sussistendone i presupposti, di disporre entro il termine di novanta giorni (deve presumersi, dalla ricezione dell'ordinanza) il sequestro di prevenzione. Se ciò non accade, non resta che dissequestrare il bene e restituirlo a chi ne ha diritto.
Il legislatore ha, inoltre, creato:
l'art. 165-ter disp. att. c.p.p. (art. 41, comma 1, d.lgs. n. 150 del 2022), ove è previsto che i presidenti della Corte di cassazione e delle Corti di appello adottino i provvedimenti organizzativi per monitorare i termini di durata massima dei giudizi di impugnazione e il rispetto della disposizione di cui all'art. 175-bis disp. att.;
l'art. 175-bis disp. att. c.p.p. (art. 41, comma 1, d.lgs. n. 150 del 2022) che impone alla Corte di cassazione e alle Corti di appello, ai fini di cui agli artt. 578, comma 1-bis e 578-ter, comma 2, c.p.p. di pronunciarsi sulla improcedibilità, nei procedimenti in cui sono costituite parti civili o vi sono beni in sequestro, non oltre il sessantesimo giorno successivo al maturare dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione di cui all'art. 344-bis c.p.p.
Impugnazione di sentenze che dispongono misure di sicurezza (art. 579 c.p.p.)
L'art. 579, comma 1, c.p.p. prevede che è data impugnazione, anche per ciò che concerne le misure di sicurezza, contro le sentenze di condanna o di proscioglimento, se l'impugnazione è proposta per un altro capo della sentenza che non riguardi esclusivamente gli interessi civili.
L'impugnazione contro le sole disposizioni della sentenza che riguardano le misure di sicurezza deve essere proposta a norma dell'art. 680, comma 2, c.p.p. (art. 579, comma 2, c.p.p.) al tribunale di sorveglianza.
A norma dell'art. 579, comma 3, c.p.p., infine, l'impugnazione contro la sola disposizione che riguarda la confisca è proposta con gli stessi mezzi previsti per i capi penali.
Conversione del ricorso in appello (art. 580 c.p.p.)
Alla conversione in senso tecnico già si è accennato (v. sub artt. 568, comma 5 e 569 c.p.p.).
L’art. 580 tratta della conversione del ricorso per cassazione in appello, stabilendo che, quando contro la stessa sentenza sono proposti mezzi di impugnazione diversi, il ricorso per cassazione si converte nell’appello nel caso in cui sussista la connessione di cui all’art. 12 (inciso inserito dall’art. 7 della l. 20 febbraio 2006, n. 46).
L'art. 580 c.p.p. non comporta la modificazione dei contenuti possibili dell'impugnazione, che anche nel caso di conversione restano quelli del ricorso (Cass. pen., sez. un., 18 giugno 1993, n. 7247, Rabiti).
Il ricorso per cassazione mantiene, dunque, ferma la sua natura di impugnazione di legittimità e la corte di appello, conseguentemente, è tenuta a sindacarne l'ammissibilità avvalendosi dei parametri di cui all'art. 606 c.p.p. ed i suoi poteri di cognizione restano circoscritti alle censure di legittimità. Cionondimeno, ritenuta fondata una di tali censure, il giudice di secondo grado riacquista la funzione di giudice del merito che gli è propria, potendo, pertanto, adottare le statuizioni conseguenti, tra le quali anche l'aggravamento della pena, senza essere costretto a dover formalmente annullare la pronuncia di primo grado.
Forma dell'impugnazione (art. 581 c.p.p.)
1. L'impugnazione va proposta con atto scritto.
In essa devono essere indicati il provvedimento impugnato, la data del medesimo e il giudice che lo ha emesso.
Il codice ha unificato in un atto la dichiarazione di impugnazione e la presentazione dei motivi (in ossequio al principio della concentrazione dell'impugnazione).
La dichiarazione di impugnazione e i motivi possano, peraltro, essere formulati con due o più atti distinti, purché tutti presentati entro il termine di legge.
Da qui l'inammissibilità se l'impugnazione è proposta nei termini previsti ma con dichiarazione priva dei motivi o completa di motivi, ma oltre la scadenza fissata.
Impugnazione preventiva
«È inammissibile per genericità l'impugnazione con cui si censuri un provvedimento la cui motivazione non sia stata ancora depositata, in quanto non è consentito che l'ammissibilità di un gravame possa essere valutata ex post, richiedendosi, invece, che i relativi requisiti siano apprezzabili in presenza del provvedimento gravato nel suo insieme e costituito tanto dalla parte dispositiva, quanto da quella motivazionale» (Cass. pen., sez. II, 15 luglio 2020, n. 23938, Aghmour).
Altra parte della giurisprudenza ne afferma l'ammissibilità nel caso in cui «le censure dedotte si riferiscono ad aspetti della decisione inequivocabilmente evincibili dalla conoscenza del solo dispositivo, e a condizione che il vizio denunziato sia apprezzabile senza necessità di fare ricorso alla motivazione» (Cass. pen., sez. II, 15 settembre 2017, n. 50099, Adrario).
In particolare, ne è stata affermata l'ammissibilità qualora:
«non si contesti la decisione del giudice per il suo contenuto, ma le censure si riferiscano a decisioni adottate per un motivo già conosciuto e preesistente alla pronunzia quale, ad esempio, una presunta nullità assoluta che, se esistente, non consentirebbe neanche la instaurazione di un valido rapporto processuale»;
«i motivi del gravame non siano, di per sé, generici ma indichino i punti della sentenza impugnata di cui si chiede il riesame da parte del giudice d'appello, nonché le ragioni a sostegno di tale richiesta»;
«la censura dedotta si riferisca al denegato accoglimento di questioni preliminari proposte dall'imputato e oggetto di ordinanza emessa in dibattimento, impugnabile soltanto con la sentenza».
È da ritenersi inammissibile anche l'impugnazione proposta personalmente dall'imputato con dichiarazione priva dei contestuali motivi qualora questi vengano poi presentati dal difensore senza una nuova dichiarazione d'impugnazione, anche se ciò avvenga prima della scadenza dei termini per impugnare.
Esempio
Atto in lingua straniera
È inammissibile l'atto redatto in lingua straniera, anche in una soltanto delle parti costitutive indicate nell'articolo in esame. Un atto siffatto non è riconoscibile come impugnazione «non essendone percepibile il significato attraverso il mezzo espressivo voluto dalla legge». Il soggetto legittimato che non conosca la lingua italiana potrà, però, esercitare detta facoltà, personale e discrezionale, valendosi dell'assistenza di un proprio interprete di fiducia, a spese dello Stato in caso di indigenza (Cass. pen., sez. un. , 26 giugno 2008, n. 36541, Akimenko).
Il contenuto dell'atto è suddiviso in:
indicazioni: nell'atto vanno indicati il provvedimento impugnato, la data del medesimo, il giudice che lo ha emesso. L'omessa indicazione, tuttavia, non ha rilievo di per sé, ma solo in quanto possa determinare incertezza nell'individuazione dell'atto e solo in tal caso è ipotizzabile l'inammissibilità.
Né costituisce motivo di inammissibilità la circostanza che nell'atto di impugnazione proposto contro la sentenza manchi l'espressa dichiarazione di impugnazione anche dell'ordinanza, quando nello stesso venga denunciata l'illegittimità di questa, con esposizione delle relative ragioni (Cass. pen., sez. un., 12 ottobre 1993, n. 10296, Balestriere).
Tale interpretazione è in linea con quanto già affermato dalla stessa Corte (Cass. pen., sez. un., 6 marzo 1992, n. 3, Glarey), che, con riguardo all'opposizione a decreto penale di condanna, ha ritenuto il carattere puramente indicativo dei requisiti prescritti dall'art. 461, comma 2, c.p.p. (estremi del decreto di condanna, data del medesimo, giudice che lo ha emesso) e la prevalenza degli aspetti sostanziali della norma su quelli meramente letterali;
specifiche enunciazioni: nell'atto di impugnazione vanno specificamente enunciati a pena di inammissibilità (come ha inteso precisare, nel riscrivere l'art. 581 c.p.p.), l'art. 1, comma 55, l. 23 giugno 2017, n. 103, in vigore al 3 agosto 2017, benché la sanzione già fosse espressamente prevista dall'art. 591, comma 1, lett. c), c.p.p.: a) i capi e i punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione; b) le prove delle quali si deduce l'inesistenza, l'omessa assunzione o l'omessa o erronea valutazione (altra novità della legge anzidetta); c) le richieste, anche istruttorie (specificazione frutto anch'essa della legge n. 103); d) i motivi con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Un atto privo dei requisiti anzidetti è – come si è detto – inammissibile; non costituisce, dunque, valida forma d'impugnazione e non può produrre gli effetti introduttivi del giudizio del grado successivo, cui si collega la possibilità di emettere una pronuncia diversa dalla dichiarazione d'inammissibilità.
In particolare, la mancanza dei requisiti prescritti:
impedisce di rilevare e dichiarare la sussistenza di eventuali cause di non punibilità (per un quadro completo, con riguardo alla prescrizione del reato, v. Cass. pen., sez. un., 11 novembre 1994, n. 21/95, Cresci; Cass. pen., sez. un., 30 giugno 1999, n. 15, Piepoli; Cass. pen., sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca; Cass. pen., sez. un., 27 giugno 2001, n. 33542, Cavalera; Cass. pen., sez. un., 22 marzo 2005, n. 23428, Bracale; Cass. pen., sez. un., 17 novembre 2015, n. 12602/16, Ricci; Cass. pen., sez. un., 27 maggio 2017, n. 6903, Aiello);
non impedisce la formazione del giudicato allo scadere del termine per impugnare (Cass. pen., sez. un., 24 giugno 1998, n. 11493, Verga). Se si ritenesse il contrario, si perverrebbe ad una conclusione assurda, perché si dovrebbe riconoscere ad una dichiarazione d'impugnazione invalida l'effetto di consentire al giudice una cognizione estesa a tutti i capi della sentenza, mentre lo stesso effetto non potrebbe riconoscersi ad una valida impugnazione riferita solo ad alcuni capi della sentenza, dato che per gli altri capi, e i relativi addebiti, la vicenda processuale dovrebbe ritenersi conclusa (Cass. pen., sez. un., 11 novembre 1994, n. 21/95, Cresci).
Esaminiamo le enunciazioni.
a)La bipartizione capi-punti della sentenza serve a perimetrare, a pena di inammissibilità, l'atto d'impugnazione entro lo stretto ambito del devolutum. Scopo dichiarato di detta enunciazione è quello di delimitare con precisione l'oggetto dell'impugnazione e di scongiurare «impugnazioni generiche e dilatorie», in modo tale che sia lo stesso impugnante a segnare gli esatti confini dell'oggetto del gravame (Cass. pen., sez. un., 17 ottobre 2006, n. 10251/07, Michaeler).
a 1) Per «capo» deve intendersi ciascuna decisione emessa relativamente ad uno dei reati attribuiti all'imputato (Cass. pen., sez. un., 19 gennaio 2000, n. 1, Tuzzolino) ovvero, recependo le tradizionali posizioni dottrinali, il capo corrisponde ad «un atto giuridico completo, tale da poter costituire da solo, anche separatamente, il contenuto di una sentenza».
La nozione di capo è riferita soprattutto alla sentenza plurima o cumulativa, caratterizzata dalla confluenza nell'unico processo dell'esercizio di più azioni penali e dalla costituzione di una pluralità di rapporti processuali, ciascuno dei quali inerisce ad una singola imputazione.
Il giudicato si forma sul capo (e non sul punto), nel senso che la decisione acquista il carattere dell'irrevocabilità soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell'imputato rispetto ad uno dei reati attribuitigli (Cass. pen., sez. un., 17 ottobre 2006, n. 10251/07, Michaeler).
Nel caso di processo relativo ad un solo reato la sentenza passa in giudicato nella sua interezza, mentre nell'ipotesi di processo cumulativo o complesso la cosa giudicata può coprire uno o più capi e il rapporto processuale può proseguire per gli altri, investiti dall'impugnazione.
In caso di sentenza cumulativa relativa a più imputazioni i singoli capi della sentenza sono autonomi ad ogni effetto giuridico e, perciò, anche ai fini dell'impugnazione, stante il principio della pluralità delle azioni penali, tante per quanti sono gli imputati e, per ciascun imputato, tante quante sono le imputazioni; con la conseguenza che, per quanto i diversi capi siano contenuti in una sentenza documentalmente unica con la quale il giudice di merito ha statuito in ordine alle distinte imputazioni, ognuno di essi conserva la propria individualità e passa in cosa giudicata se non investito da impugnazione e con l'ulteriore conseguenza che le cause estintive del reato sono applicabili indipendentemente dai limiti devolutivi dell'impugnazione, tranne l'ipotesi in cui esse attengano ad un capo di sentenza passato in giudicato perché non toccato, nella sua interezza, dalle censure formulate con i motivi di gravame operando in tal caso la preclusione processuale correlata all'effetto devolutivo delle impugnazioni ed al principio della disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni (Cass. pen., sez. un., 27 maggio 2016, n. 6903, Aiello).
a 2) Il concetto di «punto» ha una portata più ristretta, in quanto riguarda tutte le statuizioni suscettibili di autonoma considerazione necessarie per ottenere una decisione completa su un capo (Cass. pen., sez. un., 19 gennaio 2000, n. 1, Tuzzolino), fermo restando che non costituiscono punti del provvedimento impugnato le argomentazioni svolte a sostegno di ciascuna statuizione.
I punti della decisione coincidono, dunque, con le parti della sentenza relative alle statuizioni indispensabili per il giudizio su ciascun reato e, in primo luogo, all'accertamento della responsabilità ed alla determinazione della pena. Ad ogni capo corrisponde una pluralità di punti della decisione, ognuno dei quali segna un passaggio obbligato per la completa definizione di ciascuna imputazione, sulla quale il potere giurisdizionale del giudice non può considerarsi esaurito se non quando siano stati decisi tutti i punti, che costituiscono i presupposti della pronuncia finale su ogni reato, quali l'accertamento del fatto, l'attribuzione di esso all'imputato, la qualificazione giuridica, l'inesistenza di cause di giustificazione, la colpevolezza, e – nel caso di condanna – l'accertamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti e la relativa comparazione, la determinazione della pena, la sospensione condizionale di essa, e le altre eventuali questioni dedotte dalle parti o rilevabili di ufficio (Cass. pen., sez. un., 19 gennaio 2000, n. 1, Tuzzolino).
I punti della sentenza non sono suscettibili di acquistare autonomamente autorità di giudicato, potendo essere oggetto unicamente della preclusione correlata all'effetto devolutivo delle impugnazioni (tantum devolutum quantum appellatum) ed al principio della disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni, da cui consegue che – in mancanza di un motivo di impugnazione afferente una delle varie questioni la cui soluzione è necessaria per la completa definizione del rapporto processuale concernente un reato – il giudice non può spingere la sua cognizione sul relativo punto, a meno che la legge processuale non preveda poteri esercitabili ex officio (Cass. pen., sez. un., 17 ottobre 2006, n. 10251/07, Michaeler).
Ad esempio, la mancata impugnazione della ritenuta responsabilità dell'imputato fa sorgere la preclusione su tale punto, ma non basta a fare acquistare alla relativa statuizione l'autorità di cosa giudicata quando, per quello stesso capo, l'impugnante abbia devoluto al giudice l'indagine riguardante la sussistenza di circostanze e la quantificazione della pena (Cass. pen., sez. un., 17 ottobre, n. 10251/07, Michaeler).
b-c) Nuove disposizioni sono – come si è detto – quelle che richiedono, a pena di inammissibilità, l'enunciazione delle prove delle quali si deduce l'inesistenza, l'omessa assunzione o l'omessa o erronea valutazione (lett. b) e delle richieste, anche istruttorie (lett. c).
La prima disposizione si raccorda con la norma dell'art. 546.1, lett. e) c.p.p., riguardante il modello legale della motivazione «in fatto» della decisione di merito.
Esse traggono spunto dalla constatazione pratica che spesso gli appelli contengono censure in tema di prova e richieste di rinnovazione del tutto aspecifiche o comunque non adeguatamente argomentate al fine di far comprendere l'indispensabilità della nuova finestra istruttoria.
Si tratta di disposizioni che rafforzano l'onere della parte di enunciare specificamente i motivi dell'impugnazione.
La necessità di enunciazione delle richieste, anche istruttorie, era già prevista nella precedente versione dell'articolo.
d) I motivi «con l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono» sono le argomentazioni della parte su capi, punti e questioni, così come la motivazione è l'argomentazione del giudice su capi, punti e questioni.
Va solo ricordato che motivi «nuovi» possono essere presentati nella cancelleria del giudice della impugnazione fino a quindici giorni prima dell'udienza: lo stabilisce l'art. 585, comma 4, c.p.p., aggiungendo che l'inammissibilità dell'impugnazione si estende ad essi.
Sul punto si tornerà più avanti, ricordando sin da ora che i «motivi nuovi» a sostegno dell'impugnazione devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell'originario atto di gravame (Cass. pen., sez. un., 25 febbraio 1998, n. 4683, Bono).
Il requisito della enunciazione specifica si inserisce in quasi tutto l'asse delle prescrizioni richieste dalla norma in esame, dall'indicazione dei capi e dei punti della decisione che si impugna per terminare con le richieste ed i motivi e, non a caso, dall'esame della giurisprudenza il vizio di aspecificità dei motivi risulta quello più frequente, nella vasta gamma del suo manifestarsi (Cass. pen., sez. un., 17 ottobre 2006, n. 10251/07, Michaeler).
d 1) Con riguardo al ricorso per cassazione sono stati elaborati vari principi sul motivo generico.
La giurisprudenza ha portato alla luce forme di genericità estrinseca (o relazionale) e intrinseca.
Appartengono alle prime:
la mancanza di critica, confutazione, confronto con la sentenza impugnata della sentenza impugnata. Non basta indicarne l'oggetto perché si abbia un ricorso; serve la critica, la confutazione, la luce accesa sul punto attaccato.
la ripetizione nei motivi di ricorso di argomentazioni e doglianze già rivoltecon i motivi di appello alla sentenza di primo grado e confutate dalla sentenza d'appello. I motivi di ricorso possono riprodurre totalmente o parzialmente quelli di appello ma solo entro i limiti in cui ciò serva a documentare il vizio enunciato e dedotto con autonoma, specifica ed esaustiva argomentazione che si riferisca al provvedimento impugnato e si confronti con la sua motivazione.
Rientrano invece nel novero della genericità «intrinseca»:
la mancanza di informazioni o argomenti: il requisito della specificità dei motivi implica l'onere [...] di indicare nel ricorso, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime.
il motivo «confuso» o «caotico»: ad es. è confusa l'esposizione delle doglianze e difficoltosa l'individuazione delle questioni sottoposte al vaglio dell'organo della impugnazione e perciò generico il ricorso per cassazione articolato in un numero abnorme di motivi concernenti gli stessi capi d'imputazione e i medesimi punti e questioni della decisione;
È inammissibile il ricorso per cassazione che si sviluppi mediante un'esposizione disordinata, generica, prolissa e caotica, che fuoriesca dai canoni di una ragionata censura del percorso motivazionale della sentenza impugnata, senza consentire un ordinato inquadramento delle ragioni di doglianza nella griglia dei vizi di legittimità deducibili ai sensi dell'art. 606 c.p.p. (fattispecie relativa a un ricorso di 515 pagine, con parti espositive alternate ad atti del giudizio di merito e scritti difensivi dei gradi precedenti, con l'indicazione di 10 motivi aggiunti, corredati da atti e allegazioni documentali e da una memoria difensiva con ulteriori allegazioni) (Cass. pen, sez. II, 29 novembre 2023, n. 3126-24, Vaccaro).
il motivo «perplesso» o «alternativo»: la denunzia cumulativa, promiscua e perplessa della inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché della mancanza, della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione rende i motivi aspecifici ed il ricorso inammissibile, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dai motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio. È onere del ricorrente specificare con precisione se le censure siano riferite alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a più di uno tra tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle parti della motivazione oggetto di gravame.
il motivo «insufficiente»: ad es. la censura è affetta da genericità quando il ricorrente eccepisce la inutilizzabilità di atti a contenuto probatorio, senza dedurne, al tempo stesso, la rilevanza nel contesto degli altri elementi di prova (Cass S.U., 23 aprile 2009, n. 23868, Fruci).
Come è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove siano entrambe autonome ed autosufficienti o il ricorso per cassazione con il quale si eccepisce l'inutilizzabilità di un atto senza indicare specificamente l'atto.
Il necessario confronto con la motivazione della sentenza impugnata impone al ricorrente di non limitare il proprio esame alla sola parte del provvedimento specificamente riferita alla questione posta, ma di considerare anche le argomentazioni contenute in altre parti comunque rilevanti rispetto al giudizio devoluto sul tema.
Un passo oltre la specificità, che – come si è visto – pretende l'indicazione precisa e completa dei dati fattuali e giuridici che mettano il giudice nelle condizioni di decidere (l'art. 606 comma 1, lett. e), c.p.p., precisa, con riguardo al vizio di motivazione, che esso deve risultare dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo «specificamente indicati» nei motivi di gravame) è segnato dall'affermarsi della teoria dell'autosufficienza del ricorso elaborata in sede civile che richiede, a pena di inammissibilità, quando i motivi riguardino specifici atti processuali, l'allegazione o la completa trascrizione del contenuto degli atti specificamente indicati.
d 2) L'appello (al pari del ricorso per cassazione) è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell'impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Cass. pen., sez. un., 27 ottobre 2016, n. 8825/17, Galtelli).
Impugnazione per relationem
È inammissibile l'appello del pubblico ministero che si limiti a rinviare alle censure mosse nell'impugnazione presentata dalla parte civile, senza indicare, nemmeno sommariamente, le ragioni del dissenso sulla sentenza appellata (Cass. pen., sez. VI, 12 novembre 2010, n. 43207, T.).
È inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino a un generico rinvio per relationem a quelli redatti, con separato atto, da altro difensore. (Fattispecie relativa al richiamo, con la formula «che qui si intendono ritrascritti», ai motivi dedotti da altro difensore privo di legittimazione) (Cass. pen., sez. I 15 novembre 2022, n. 778/23, Carella).
L'art. 33, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 150/2022 ha introdotto il comma 1-bis che stabilisce che «L'appello è inammissibile per mancanza di specificità dei motivi quando, per ogni richiesta, non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione».
La collocazione sistematica della disposizione non è impeccabile, dato che la stessa riguarda l'appello, non le impugnazioni in generale.
Il legislatore non è, peraltro, fuoriuscito dai confini tracciati da Cass. pen., sez. un., 27 ottobre 2016, n. 8825/17, Galtelli.
Anche per l'appello è inammissibile sia il motivo intrinsecamente generico, sia il motivo che si caratterizzi per l'omesso confronto argomentativo con la motivazione della sentenza impugnata.
Con questa fondamentale precisazione: che l'onere di specificità dei motivi di impugnazione, proposti con riferimento ai singoli punti della decisione, è «direttamente proporzionale» alla specificità delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, con riferimento ai medesimi punti.
In altri termini: se la sentenza non argomenta sul punto o lo fa in termini generici, anche l'appello generico non è inammissibile; ma se la sentenza è specificamente argomentata sul punto l'appello, per non essere inammissibile, deve criticare specificamente quelle argomentazioni.
Se l'argomento del giudice sul punto o sulla questione (es. diniego attenuanti generiche) manca o è aspecifico, il motivo d'appello sul punto o sulla questione potrà essere legittimamente aspecifico. Il dovere di ragionare è reciproco del giudice che decide e spiega e del difensore che impugna e critica la spiegazione, ed è un dovere correlato proporzionalmente.
Il che non significa che la riproposizione, attraverso l'appello, di questioni già di fatto dedotte in prima istanza sia di per sé causa di inammissibilità; nel giudizio d'appello sono certamente deducibili questioni già prospettate e disattese dal primo giudice, ma l'appello, in quanto soggetto alla disciplina generale delle impugnazioni, deve essere connotato da motivi caratterizzati da specificità, cioè basati su argomenti che siano strettamente collegati agli accertamenti della sentenza di primo grado.
Con riferimento a quanto affermato da Cass. pen., sez. un., 27 ottobre 2016, n. 8825/17, Galtelli, il principio – delineato dalla giurisprudenza civile di legittimità – secondo cui il mutamento non prevedibile della precedente e consolidata interpretazione di una norma processuale da parte della Corte di cassazione non si applica in pregiudizio della parte che abbia incolpevolmente confidato nella precedente interpretazione (cd. overruling), non può essere invocato, avendo detta sentenza semplicemente puntualizzato la corretta interpretazione della norma nell'ambito delle diverse letture, più o meno restrittive, sino ad allora praticate.
Non va confusa con la genericità del motivo la manifesta infondatezza del medesimo che, prevista come causa di inammissibilità del ricorso per cassazione dall'art. 606, comma 3, c.p.p., presuppone una valutazione della censura nel suo contenuto e consiste in una valutazione di evidente intrinseca inidoneità delle ragioni dedotte a fondare la conclusione che si intende perseguire con l'impugnazione, in relazione al contenuto del provvedimento impugnato.
Nessuna norma tra quelle che disciplinano in via generale le impugnazioni e in modo specifico il giudizio penale d'appello prevede la possibilità per il giudice del secondo grado di merito di anticipare una valutazione di infondatezza dell'atto di appello, pur quando essa sia evidente, a un momento antecedente la sentenza.
Il sindacato del giudice di appello sull'ammissibilità dei motivi proposti non può estendersi – a differenza di quanto accade nel giudizio di legittimità e nell'appello civile – alla valutazione della manifesta infondatezza dei motivi stessi (Cass. pen., sez. un., 27 ottobre 2016, n. 8825/17, Galtelli).
È, peraltro, inammissibile, per carenza d'interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile ab origine per manifesta infondatezza, in quanto l'eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio.
2. Il legislatore, con l'art. 33, comma 1, lett. d), del d.lgs. 10.10.2022, n. 150 ha aggiunto, nell'art. 581, i commi 1-ter e 1-quater, che, ai sensi dell'art. 89, comma 3, del d.lgs. medesimo, si applicano per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva al 30 dicembre 2022.
Il termine va riferito al momento della lettura del dispositivo e non a quello del momento del deposito della motivazione (Cass. pen., sez. V, 3 luglio 2023, n. 37789, Mohammad)
La legge 9 agosto 2024, n. 114, in vigore dal 25 agosto, ha, peraltro, abrogato il c. 1-ter e modificato il c. 1-quater.
Il c.1-ter prevedeva che, «con l’atto d’impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena d’inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio».
È opportuno, in ogni caso, dar conto delle decisioni e delle discussioni che hanno alimentato la breve vita dei commi originari.
a) La Corte di cassazione ha già in più occasioni dichiarato manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione ai comma 1-ter e 1-quater.
Tali disposizioni, laddove richiedono che unitamente all'atto di impugnazione siano depositati, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o l'elezione di domicilio e, quando si sia proceduto in assenza dell'imputato, lo specifico mandato ad impugnare rilasciato successivamente alla sentenza, non comportano alcuna limitazione all'esercizio del potere di impugnazione spettante personalmente all'imputato, ma solo regolano le modalità di esercizio della concorrente e accessoria facoltà riconosciuta al suo difensore, sicché essi non collidono né con il principio della inviolabilità del diritto di difesa, né con la presunzione di non colpevolezza operante fino alla definitività della condanna, né con il diritto ad impugnare le sentenze con il ricorso per cassazione per il vizio di violazione di legge (Cass. pen., sez. VI, 20 dicembre 2023, n. 3365/24, Terrasi).
Si tratta di scelta legislativa non manifestamente irragionevole, volta a limitare le impugnazioni che non derivano da un'opzione ponderata e personale della parte, da rinnovarsi in limine impugnationis ed essendo stati comunque previsti i correttivi dell'ampliamento del termine per impugnare e dell'estensione della restituzione nel termine (Cass. pen., sez. IV, 11 ottobre 2023, n. 43718, Ben Khalifa).
b) La disposizione, ispirata all'idea di snellire il lavoro delle cancellerie, è stata limitata ad uno specifico atto introduttivo del giudizio di impugnazione, il decreto di citazione a giudizio.
Presuppone, in altre parole, che la legge preveda un decreto di citazione a giudizio e che esso debba essere notificato alla «parte privata», recte all'imputato se si considera che l'art. 100, comma 5, c.p.p., stabilisce che il domicilio della parte civile, del responsabile civile e del civilmente obbligato per la pena pecuniaria si intende «per ogni effetto processuale» eletto presso il difensore e, presso il difensore, deve essere eseguita la notificazione, a norma dell'art. 154, comma 4, c.p.p. (Cass. pen., sez. V, 13 novembre 2023, n. 6993/24, Gambino secondo cui non trova applicazione nei confronti della parte civile, del responsabile civile e del soggetto civilmente obbligato per la pena pecuniaria, adempimento che risulterebbe inutile ed eccessivamente formalistico, in ragione dello statuto processuale di tali parti).
c) La nuova disposizione riguarda, dunque, certamente l'appello e l'imputato appellante (come può desumersi dall'art. 601 c.p.p. che disciplina gli atti preliminari al giudizio d'appello e contiene più volte le parole «citazione» o «decreto di citazione»); non anche l'imputato non appellante benché, in caso di appello del pubblico ministero, di appello proposto per i soli interessi civili e di possibile estensione dell'impugnazione ex art. 587, c.p.p., vada citato.
d) Il comma 1-ter non sembra riguardare il ricorso per cassazione la cui disciplina non prevede la notificazione di un decreto di citazione a giudizio dell'imputato e delle altre parti private.
Gli atti preliminari al giudizio di cassazione (art. 610, commi 1 e 3) prevedono, invero, soltanto l'avviso ai difensori della data dell'udienza in cui è fissata la trattazione del ricorso. Nessun avviso è dato all'imputato se non nel caso in cui il medesimo non sia assistito da difensore di fiducia o da difensore iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione (art. 613, comma 4, c.p.p.); caso in cui all'imputato è designato un difensore di ufficio abilitato al quale dovrà essere dato l'avviso.
Se così è, mai un ricorso per cassazione potrà essere dichiarato inammissibile per non avere la parte privata depositato, con il ricorso, la dichiarazione o elezione di domicilio.
Se così è, mai un ricorso per cassazione potrà essere dichiarato inammissibile per non avere la parte privata depositato, con il ricorso, la dichiarazione o elezione di domicilio.
Il tema è, tuttavia, attualmente oggetto di contrasto giurisprudenziale.
La parte prevalente della giurisprudenza ritiene che gli oneri formali stabiliti - a pena di inammissibilità - dai c. 1-ter e (dichiarazione o elezione di domicilio) 1-quater (deposito di specifico mandato ad impugnare rilasciato successivamente alla sentenza; dichiarazione o elezione di domicilio da parte dell'imputato assente) dell'art. 581, introdotti nell'ambito delle norme che regolano in generale il sistema delle impugnazioni, sono applicabili anche al ricorso per cassazione, in quanto funzionali a garantire l'effettiva conoscenza della pendenza del processo (Cass. pen., sez. VI, 10 gennaio 2024, n. 6264, Hassan; Cass. pen., sez. IV, 11 ottobre 2023, n. 43718, Ben Khalifa; Cass. pen., sez. VI, 20 settembre 2023, n. 41309, S.; Cass. pen., sez. V, 4 luglio 2023, n. 39166, N.).
Per l’inapplicabilità al ricorso per cassazione dell’onere della dichiarazione o elezione di domicilio sia con riguardo al c. 1-ter sia in relazione al c. 1-quater si sono pronunciate Cass. pen., sez. VI, 7 dicembre 2023, n. 2323/24, Marini, che ha affermato che non è necessaria la contestuale dichiarazione o elezione di domicilio dell'imputato, ove il ricorso sia proposto da un difensore di fiducia abilitato alla difesa davanti alla Corte di cassazione, perché in tal caso all'imputato non è dovuta la notificazione dell'avviso di udienza; Cass. pen., sez. II, 13 settembre 2023, n. 40824, Karaj che ha, pronunciandosi sul c. 1-quater, affermato che nella parte in cui è stabilito che il prescritto specifico mandato a impugnare deve contenere "la dichiarazione o l'elezione di domicilio dell'imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio", non si applica al ricorso per cassazione posto che nel giudizio di legittimità non è prevista la notificazione del decreto di citazione a giudizio dell'imputato; Cass. pen., sez. I, 28 giugno 2023, n. 43523, Cop; Cass. pen., sez. II, 20 ottobre 2023, n. 47927, Giuliano.
E va detto che, da ultimo, Cass. pen., sez. VI, 25 settembre 2024, n. 35850 ha escluso l’inammissibilità dell’appello in caso di omesso deposito della dichiarazione o elezione di domicilio, richiamandosi alla necessità di applicare il principio di proporzionalità per evitare interpretazione delle regole processuali eccessivamente formalistiche che privano alle parti di accedere alla giustizia; in altre parole, vi deve essere «congruenza tra il meccanismo sanzionatorio che consegue alla violazione della regola posta a tutela degli interessi sottostanti al processo e l’effettività della esigenza di tutela degli interessi».
e) È dubbio se si applichi nel caso di opposizione a decreto di condanna.
L'opposizione è considerata, dalla prevalente giurisprudenza, un mezzo ordinario di impugnazione e ad essa deve, di conseguenza, ritenersi applicabile la disciplina generale delle impugnazioni, compresa quella delle cause di inammissibilità che concorrono con quelle prevedute dall'art. 461 c.p.p. Ciò porterebbe a ritenere che dichiarazione o elezione di domicilio vadano depositate, quantomeno se la volontà dell'imputato è diretta a far sì che venga emesso decreto di citazione a giudizio (immediato).
Nondimeno la giurisprudenza sembra diversamente orientata.
In tema di opposizione a decreto penale di condanna, non sono applicabili le disposizioni di cui all'art. 581 c.p.p., comma 1-ter e 1-quater, in quanto l'art. 461, comma 1, c.p.p., richiama esclusivamente le modalità di presentazione dell'atto di impugnazione previste dall'art. 582, c.p.p. e non anche la forma dell'impugnazione e i requisiti di ammissibilità previsti dall'art. 581, c.p.p. La Corte ha precisato che osta all'estensione della disciplina delle impugnazioni sia il principio di tassatività delle cause di inammissibilità, sia l'equiparazione dell'opposizione all'atto di impugnazione, che va operata in quanto compatibile con il favor oppositionis (Cass. pen., sez. V, 9 gennaio 2024, n. 4613, Pullerio).
La nuova disposizione non si applica all'impugnazione della sentenza di non luogo a procedere(artt. 425 e 554-quater c.p.p.) e delle ordinanze emesse dal giudice dell'esecuzione (Cass. pen., sez. I, 28 giugno 2023, n. 43523, Cop).
La nuova disposizione non riguarda, inoltre, le impugnazioni in materia di misure cautelari personali e reali (artt. 309 – 311 c.p.p., 324 – 325 c.p.p., ecc.).
Cass. pen., sez. I, 7 giugno 2023, n. 29321, Pacifico, che ritiene il comma 1-ter disposizione di stretta interpretazione e, pertanto, non applicabile analogicamente alle impugnazioni cautelari; Cass. pen., sez. IV, 3 maggio 2023, n. 22140, En Naji, che pone l'accento sul fatto che i commi 1-ter e 1-quater stabiliscono adempimenti specificamente riferiti alla celebrazione della fase processuale del giudizio di merito di secondo grado e, pertanto, non sono astrattamente inquadrabili nel novero dei principi generali che regolano il sistema impugnatorio.
Poiché l'art. 581 c.p.p. contiene disposizioni applicabili, in quanto compatibili, a tutte le impugnazioni previste dal libro IX del codice (se si esclude – come si è detto – il comma 1-bis dedicato specificamente all'appello), può ritenersi che il comma 1-ter si applichi – come si desume dall'art. 636, comma 1, c.p.p., che rinvia all'art. 601 c.p.p. – anche alla revisione.
Non si applica, invece, alla revisione europea (l'art. 628-bis, comma 4, c.p.p. prevede che sulla richiesta la Corte di cassazione decide in camera di consiglio a norma dell'art. 611 c.p.p.), alla rescissione del giudicato e al ricorso straordinario per errore materiale o di fatto (gli artt. 629-bis, comma 3, e 625-bis, comma 4, c.p.p. rinviano espressamente all'art. 127 c.p.p. che non prevede decreto di citazione).
f) La disposizione non opera nel caso in cui l'imputato impugnante sia detenuto.
L'art. 156, comma 1, c.p.p. stabilisce, invero, che le notificazioni all'imputato detenuto, «anche successive alla prima», sono «sempre» eseguite nel luogo di detenzione mediante consegna di copia alla persona (le parole tra virgolette sono state inserite dall'art. 10, comma 1, lett. b), n. 1, d.lgs. n. 150/2022). E l'art. 581, comma 1-ter, non deroga a tale disposizione.
In questo senso Cass. pen., sez. II, 10 novembre 2023, n. 51273, Savoia; Cass. pen., sez. II, 13 settembre 2023, n. 38442, Toure, che ritiene che il deposito, unitamente all'atto di impugnazione, della dichiarazione o elezione di domicilio della parte privata, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio risulterebbe privo di effetto in ragione della vigenza dell'obbligo di procedere alla notificazione a mani proprie dell'imputato detenuto e comporterebbe la violazione del diritto all'accesso effettivo alla giustizia sancito dall'art. 6 CEDU; Cass. pen., sez. II, 28 giugno 2023, n. 33355, Quattrocchi.
È attualmente controverso, invece, che la disposizione non operi se l'imputato impugnante è detenuto per altra causa.
Ne escludono l'applicazione Cass. pen., sez. IV, 9 gennaio 2024, n. 4342, Shala; Cass. pen., sez. II, 8 novembre 2023, n. 46232, Benlarbi.
Ne afferma. l'applicazione Cass. pen., sez. V, 28 novembre 2023, n. 4606/24, D'Amuri, «stante la riferibilità dell'art. 161, comma 3, c.p.p., al solo procedimento in relazione al quale è intervenuta la carcerazione».
Cass. pen., sez. II, 17 maggio 2024, n. 24902, Pompizii, ha, tuttavia, precisato che la disposizione si applica se l'impregnante e detenuto per altra causa non nota al giudice
Decisioni contrastanti si rilevano anche in relazione all'appellante sottoposto agli arresti domiciliari.
Nega l'applicazione della disposizione Cass. pen., sez. III, 16 gennaio 2023, n. 4233/24, Esam, sulla scia della motivazione di Cass. pen., sez. II, 28 giugno 2023, n. 33355, Quattrocchi e richiamandosi al principio enunciato da Cass. pen., sez. un., 27 febbraio 2020, n. 12778, S. secondo cui «le notificazioni all'imputato detenuto vanno sempre eseguite, mediante consegna di copia alla persona, nel luogo di detenzione, anche in presenza di dichiarazione od elezione di domicilio» (in motivazione la Corte precisa che il principio si applica anche nei confronti dell'imputato detenuto in luogo diverso da un istituto penitenziario e, qualora lo stato di detenzione risulti dagli atti, anche nei confronti del detenuto per altra causa).
Afferma che la disposizione si applica Cass. pen., sez. IV, 20 marzo 2024, n. 14895, Shaqiri, richiamandosi all'unico precedente Cass. pen., sez. IV, 8 giugno 2023, n. 41858, Andreoli e spiegando che, in considerazione del fatto che al detenuto agli arresti domiciliari non si applica l'art. 161, comma 3, c.p.p., e che «tra la presentazione dell'impugnazione e la notifica della citazione a giudizio intercorre ragionevolmente un lasso temporale, nelle more, ove l'impugnante venga scarcerato, proprio perché non tenuto ad eleggere o dichiarare il domicilio (non valendo neppure l'eventuale elezione/dichiarazione fatta in precedenza, stante il disposto dell'art. 164 c.p.p.», se non si applicasse l'art. 581, comma 1-ter, c.p.p., risulterebbe vanificata la sua ratio, «quella cioè di semplificare il procedimento notificatorio e accelerare i tempi del processo». Ne deriva che «l'onere di eleggere (o dichiarare) domicilio incombente sull'impugnante, detenuto agli arresti domiciliari, non può ritenersi adempimento inutile corredato da una sanzione processuale vessatoria, in contrasto quindi con i principi del giusto processo».
g) Per non incorrere nell'inammissibilità la dichiarazione o la elezione di domicilio deve essere "depositata"
La questione [«Se la previsione, a pena di inammissibilità del deposito, con l'atto di impugnazione delle parti private e dei difensori, della dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio, debba essere interpretata nel senso che, ai fini indicati, sia sufficiente la sola presenza in atti della dichiarazione o elezione di domicilio, benché non richiamata nell'atto di impugnazione od allegata al medesimo»] sarà risolta dalle Sezioni Unite all'udienza del 24 ottobre 2024.
A differenza di quanto stabilito nel comma 1-quater [v. infra], non è previsto che la dichiarazione o la elezione debba essere successiva al provvedimento impugnato.
Potrebbe, dunque, essere allegata anche una dichiarazione o elezione di domicilio anteriore al provvedimento impugnato e, d'altra parte, l'art. 164, comma 1, c.p.p., stabilisce che la determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida per le notificazioni degli atti di citazione in giudizio ai sensi dell'art. 601 c.p.p., salvo quanto previsto dal sopra citato art. 156, comma 1, c.p.p.
Nel senso della necessità del deposito di una nuova dichiarazione o elezione unitamente all'atto di impugnazione v., tra le altre Cass. pen., sez. II, 11 gennaio 2024, n. 8014, El Janati, ha affermato che la dichiarazione o l'elezione di domicilio possono essere effettuate anche nel corso del procedimento di primo grado, e non necessariamente in un momento successivo alla pronuncia della sentenza impugnata, a condizione che siano depositate unitamente all'atto di appello, atteso che la contraria interpretazione ostacolerebbe indebitamente l'accesso al giudizio di impugnazione, in violazione dei diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantiti.
Nel senso della sufficienza del richiamo di precedente elezione o dichiarazione nell'atto di impugnazione, v. Cass. pen., sez. II, 29 febbraio 2024, n. 16480, Miraoiui: «Non viola il disposto dell'art. 581.1-ter, la puntuale allegazione difensiva, nell'intestazione dell'atto di appello, della ricorrenza dell'elezione di domicilio, già effettuata dall'appellante presso il difensore di fiducia nel corso dell'udienza di convalida dell'arresto e richiamata dal patrocinatore in adempimento del dovere di leale collaborazione tra le parti, al fine della citazione nel giudizio di secondo grado (In motivazione, la Corte ha evidenziato la lettura costituzionalmente orientata data alla disciplina in esame, funzionale ad assicurare che non sia irragionevolmente limitato "il diritto di accesso" al giudizio di impugnazione, come affermato, peraltro, dalla Corte EDU, 28/10/2021, Succi e altri c. Italia, in sede di valutazione della compatibilità delle restrizioni normative col diritto di accesso al giudice, previsto dall'art. 6 della Convenzione)».
Che la dichiarazione o l'elezione deve essere successiva alla pronuncia della sentenza impugnata è affermato da Cass. pen., sez. V, 10 gennaio 2024, n. 3118, Mohamad, che individua la ragione nella nuova formulazione dell'art. 164, secondo la quale quella effettuata nel precedente grado non ha più durata illimitata; Cass. pen., sez. VI 16 gennaio 2024, n. 7020, Mirabile; Cass. pen., sez. V, 28 novembre 2023, n. 1177/24, Pasquale, che, in tema di impugnazione di sentenza pronunziata nei confronti di imputato assente, ha affermato che lo specifico mandato a impugnare e la dichiarazione o elezione di domicilio in esso contenute devono essere successivi alla sentenza e contestuali all'impugnazione in quanto espressione della necessaria e consapevole volontà dell'imputato all'impugnazione.
Naturalmente, l'imputato presente potrebbe (qualunque sia la ragione) non avere, prima dell'impugnazione, dichiarato o eletto domicilio.
In tal caso assume rilievo il comma 3 dell'art. 157-ter che, per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva al 30 dicembre 2022, impone che, in caso di impugnazione proposta dall'imputato o nel suo interesse, la notificazione dell'atto di citazione a giudizio nei suoi confronti sia eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell'art. 581, comma 1-ter e 1-quater c.p.p.
L'avverbio «esclusivamente» rende inevitabile che la dichiarazione o elezione di domicilio da depositare, per non incorrere nell'inammissibilità dell'appello, sia, in questo caso, successiva alla sentenza impugnata ed esime la cancelleria e il giudice da ogni onere di verifica preliminare, ai fini della citazione a giudizio, in ordine all'effettiva consistenza dei dati comunicati dal difensore mediante l'atto depositato.
In caso di pluralità di dichiarazioni o elezioni di domicilio, va depositata l'ultima in ordine cronologico.
Sul difensore grava l'onere di effettuare questa verifica prima di depositare la dichiarazione o elezione che la cancelleria utilizzerà per la notificazione del decreto di citazione all'imputato.
Non è impossibile ipotizzare un errore (scusabile o non) del difensore. Non è da escludere, in altre parole, che, a causa del deposito di una dichiarazione o elezione di domicilio «superata» da altra, si svolga un giudizio di appello nullo per l'omessa citazione dell'imputato e per essersi, quindi, svolto in assenza del medesimo in violazione dell'art. 598-ter, comma 1, c.p.p., che, a proposito dell'assenza dell'imputato in appello, stabilisce che, soltanto in caso di regolarità delle notificazioni, l'imputato appellante non presente all'udienza di cui agli artt. 599 e 602 c.p.p. «è sempre giudicato in assenza anche fuori dei casi di cui all'articolo 420-bis c.p.p.».
Qualora ciò si dovesse verificare, non resta all'imputato che attivare i rimedi impugnatori, ordinari (ricorso per cassazione) o straordinari (rescissione del giudicato), che gli consentano di dedurre le questioni di nullità o di far valere la mancata conoscenza, a lui non addebitabile, dello svolgimento del giudizio di appello.
3. Il comma 1-quater riguarda l'imputato nei cui confronti si è proceduto in assenza.
Stabilisce che «Nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l'atto d'impugnazione del difensore d’ufficio [le parole «d’ufficio» sono state aggiunte dalla citata legge 9 agosto 2024, n. 114]è depositato, a pena d'inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l'elezione di domicilio dell'imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio»
Già il comma 3 dell'art. 571 c.p.p., soppresso dall'art. 46 della l. 16 dicembre 1999, n. 479 stabiliva che, contro una sentenza contumaciale, il difensore poteva proporre impugnazione solo se munito di specifico mandato, rilasciato con la nomina o anche successivamente nelle forme per questa previste.
L'attuale disposizione si innesta in una rafforzata disciplina dell'assenza i cui spazi sono occupati solo da prove della certezza della conoscenza della pendenza del processo e mira ad escludere la possibilità che siano presentate impugnazioni senza il volere dell'imputato del quale spesso si ignora persino la identità reale e che, dopo il primo impatto con le forze di polizia, sparisce senza lasciare traccia alcuna di sé, così manifestando il proprio assoluto disinteresse verso il processo.
Il comma 1-quater mira ad escludere la possibilità che siano presentate impugnazioni senza il volere dell'imputato, sembra riguardare soltanto l'appello e la revisione (v. quanto detto in relazione al comma 1-ter).
La norma dovrebbe essere, pertanto, inapplicabile al ricorso per cassazione.
A favore della inapplicabilità, depone il riferimento, contenuto nei commi 1-ter e 1-quater, alla strumentalità della dichiarazione o elezione di domicilio nonché del mandato ad impugnare rispetto alla «notificazione del decreto di citazione a giudizio», adempimento estraneo al giudizio di cassazione, nel quale la fissazione di udienza è, ordinariamente, comunicata al procuratore generale ed ai difensori, e non anche alle parti personalmente, mediante un mero avviso. Al riguardo, occorre notare come, in materia di impugnazione, i precetti normativi siano di stretta interpretazione, ciò che preclude l'estensione di regole dettate, a pena di inammissibilità, in vista della notificazione del decreto di citazione a giudizio a contesti procedurali che non contemplano tale adempimento.
Nel mezzo sta l'idea che il «mandato ad impugnare» deve essere rilasciato, a pena di inammissibilità, non solo per la proposizione dell'appello, ma anche per la presentazione del ricorso per cassazione, mentre l'elezione o la dichiarazione di domicilio devono essere, invece, allegate, a pena di inammissibilità, solo quando si propone appello (Cass. pen., sez. II, 13 settembre 2023, n. 40824, Karaj).
Il tema è attualmente oggetto di contrasto giurisprudenziale, come si è avuto modo di dire trattando del comma 1-ter.
Con riguardo all'onere formale del deposito di specifico mandato ad impugnare, nel senso che si applichi al ricorso per cassazione e debba essere rilasciato successivamente alla sentenza si sono espresse Cass. pen., sez. VI, 7 dicembre 2023, n. 2323/24, Marini «stante l'esigenza che anche il giudizio di legittimità si svolga nei confronti di un assente «consapevole», così da limitare lo spazio di applicazione della rescissione del giudicato e dei rimedi restitutori»; Cass. pen., sez. III, 9 novembre 2023, n. 46690, Baum; Cass. pen., sez. II, 3 novembre 2023, n. 47327, Makhatar; Cass. pen., sez. II, 20 ottobre 2023, n. 47927, Giuliano; Cass. pen., sez. V, 4 luglio 2023, n. 39166, N.
Nel caso di ricorso per cassazione proposto da difensore privo di specifico mandato a impugnare rilasciato successivamente alla pronunzia della sentenza, è possibile dichiarare l'inammissibilità dell'impugnazione con procedimento de plano exart. 610, comma 5-bis, c.p.p., posto che il contrasto tra la disposizione che prevede l'anzidetta procedura non partecipata anche per i ricorsi proposti da soggetto non legittimato e quella, egualmente contenuta in tale norma, che la esclude in caso di inosservanza delle previsioni di cui all'art. 581 deve essere risolto accordando la prevalenza alla prima, potendosi ritenere che il riferimento a tale articolo, nella sua interezza, sia rimasto invariato per un difetto di coordinamento (Cass. pen., sez. II, 15 gennaio 2024, n. 4800, Stan).
Alla presentazione dell'impugnazione è dedicato l'art. 582 c.p.p., che contiene disposizioni da osservare a pena di inammissibilità (art. 591, comma 1, lett. c) c.p.p.).
1. Prima delle modifiche apportate all'art. 582, comma 1, c.p.p. dal d.lgs. n. 150/2022, l'atto di impugnazione poteva essere presentato, nella cancelleria del giudice che aveva emesso il provvedimento impugnato, personalmente dalla parte o dal difensore ovvero a mezzo di incaricato (Cass. pen., sez. un., 29 maggio 1992, n. 8141, Caselli; Cass. pen., sez. un., 22 aprile 2010, n. 20300, Lasala avevano precisato che non occorreva l'autenticazione della sottoscrizione nel caso in cui l'atto di impugnazione di una parte privata fosse presentato da un incaricato perché l'art. 582 c.p.p. non richiedeva questa formalità), Il pubblico ufficiale addetto vi apponeva l'indicazione del giorno in cui aveva ricevuto l'atto e della persona che lo aveva presentato, lo sottoscriveva, lo univa agli atti del procedimento e rilasciava, se richiesto, attestazione della ricezione (comma 1).
Le parti private e i difensori potevano presentare l'atto di impugnazione anche nella cancelleria del tribunale (ovvero, ex art. 163-ter disp. att. c.p.p., nella cancelleria della sezione distaccata del tribunale), o del giudice di pace del luogo in cui si trovavano, se tale luogo era diverso da quello in cui era stato emesso il provvedimento, ovvero davanti a un agente consolare all'estero, fermo l'obbligo di immediata trasmissione alla cancelleria del giudice che aveva emesso il provvedimento impugnato [comma 2].
Era fatta salva la possibilità che la legge disponesse altrimenti (comma 1, primo periodo), come, ad es., nel caso della presentazione di impugnazioni da parte di detenuti o internati (art. 123 c.p.p.).
La regola della materiale presentazione dell'atto di impugnazione, in uno dei luoghi prescritti dalla norma, era oggetto di interpretazione restrittiva: l'incertezza sulla provenienza dell'atto, ovvero sull'identità dell'impugnante, erano argomenti addotti dal giudice di legittimità per negare che l'impugnazione potesse essere presentata con modalità tecniche alternative al «materiale» deposito in cancelleria (si veda, ad es., per l'impugnazione proposta a mezzo telefax Cass. pen., sez. un., 5 ottobre 1994, n. 15).
2. Il d.lgs. 150/2022 – articolato normativo volto, al pari di altri, anche alla realizzazione di un «processo penale telematico» – ha modificato la disciplina dettata dall'art. 582 c.p.p. il quale, nella sua vigente formulazione, dispone:
per un verso, che, salva diversa disposizione di legge, l'atto di impugnazione deve essere presentato mediante deposito, con le modalità previste dall'art. 111-bis c.p.p., nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (comma 1);
per altro verso, che, laddove l'impugnazione sia proposta dalla parte privata, essa può essere presentata, in alternativa alle modalità testé riferite, personalmente, anche a mezzo di incaricato, nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (comma 2).
Pertanto, come precisato dalla relazione illustrativa della riforma, si è introdotta, nella disposizione in esame, «una distinzione a seconda che l'impugnazione sia proposta dalla parte o dai difensori, prevedendo l'uso delle modalità telematiche facoltativo nel primo caso e obbligatorio nel secondo, così operandosi anche il raccordo con quanto previsto, in materia di deposito telematico, dal nuovo art. 111-bis c.p.p., introdotto in attuazione del criterio di delega di cui all'art. 1, comma 5, lett. a), della legge delega».
È stato, invece, soppresso, dall'art. 98 del d.lgs. 150/2022, il disposto del comma 2 dell'art. 582 c.p.p. che, nell'attribuire alle parti private ed ai difensori la facoltà di presentare l'atto di impugnazione nella cancelleria del tribunale o del giudice di pace del luogo in cui si trovavano (se tale luogo era diverso da quello in cui era stato emesso il provvedimento), ovvero davanti a un agente consolare all'estero, era norma ritenuta non applicabile alla impugnazione proposta dal pubblico ministero (Cass. pen., sez. un., 28 novembre 2001, n. 3026/02, Caspar Hawke), stante la diversità di condizioni e status che caratterizzano i soggetti privati, da un lato, e i magistrati del pubblico ministero, dall'altro, potendosi questi ultimi avvalere delle strutture del proprio ufficio e risultando, dunque, in concreto agevolati nella presentazione, eventualmente anche a mezzo di incaricato, dell'atto di impugnazione (C. cost., 1° aprile 2003, n. 110).
3. I tempi, non brevi, occorrenti per la predisposizione di quanto necessario alla realizzazione del «processo penale telematico», spiegano le ragioni dell'articolata disciplina transitoria prevista dagli artt. 87 e 87-bis del d.lgs. 150/2022, che hanno dettato, rispettivamente, le disposizioni transitorie in materia di processo penale telematico e in materia di semplificazione delle attività di deposito di atti, documenti e istanze:
la norma, nella sua vigente formulazione, è destinata a trovare applicazione a partire dal 14 gennaio 2024, quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti strumentali a definire i profili tecnici riguardanti le modalità telematiche di deposito (vale a dire il decreto ministeriale, 29 dicembre 2023, n. 217, che ha definito le regole tecniche riguardanti il deposito, la comunicazione e la notificazione con modalità telematiche degli atti del procedimento penale e sono stati individuati gli uffici giudiziari e le tipologie di atti per cui possono essere adottate anche modalità non telematiche di deposito, comunicazione o notificazione, nonché i termini di transizione al nuovo regime di deposito, comunicazione e notificazione);
fino a quella data trova applicazione la disposizione in esame nella formulazione vigente al momento della entrata in vigore del d.lgs. 150/2022 (30 dicembre 2022), con conseguente possibilità di depositare l'impugnazione in forma analogica (ovvero presso un agente consolare estero), oltre che mediante p.e.c., similmente a quanto previsto dalla c.d. “legislazione emergenziale”.
Anche l'art. 10 d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31 ha previsto disposizioni transitorie in materia di presentazione dell'atto di impugnazione del procuratore generale presso la corte di appello. In particolare, fino al 14 gennaio 2024, il procuratore generale presso la corte di appello può depositare l'atto di impugnazione nella cancelleria della corte di appello nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Il personale di cancelleria addetto vi appone l'indicazione del giorno in cui riceve l'atto e della persona che lo presenta, lo sottoscrive, rilascia, se richiesto, attestazione della ricezione e lo unisce agli atti del procedimento trasmessi ai sensi del comma 2 [comma 1]. Dell'avvenuto deposito dell'impugnazione è dato immediato avviso al giudice che ha emesso il provvedimento impugnato che trasmette alla corte di appello, senza ritardo, il provvedimento impugnato e gli atti del procedimento [comma 2]. L'atto di impugnazione è comunicato al pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato e notificato, senza ritardo, alle parti private a cura della cancelleria della corte di appello [comma 3].
4. Quando l'impugnazione deve essere presentata in modalità telematica (che è obbligo per il difensore e mera facoltà per la parte privata), l'art. 582 deve essere letto in combinato disposto con l'art. 111-bis c.p.p. [cui vi è espresso rinvio], norma a tenore della quale il deposito (in ogni stato e grado del procedimento) di atti, documenti, richieste e memorie ha luogo, esclusivamente, con modalità telematiche [e nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici], salvo che:
per gli atti ed i documenti che, per loro natura o per specifiche esigenze processuali, non possono essere acquisiti in copia informatica (art. 111-bis, comma 3, c.p.p.);
per gli atti che le parti e la persona offesa dal reato [aggiunta dall'art. 2, comma 1, del d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31, in vigore dal 4 aprile 2024] compiono personalmente: atti che possono essere depositati anche con modalità non telematiche [art. 111-bis, comma 4, c.p.p.].
La regola posta dal citato art. 111-bis c.p.p. è completata da quanto previsto dall'art. 175-bis c.p.p., che, rubricato «Malfunzionamento dei sistemi informatici», disciplina il caso in cui il deposito telematico non possa avvenire per ragioni «tecniche».
5. L'art. 98 del d.lgs.150/2022 ha abrogato l'art. 583 c.p.p., norma che conteneva disposizioni, da osservare a pena di inammissibilità [art. 591, comma 1, lett. c), c.p.p.] sulla spedizione dell'atto di impugnazione.
A norma del comma 1 le parti e i difensori potevano proporre l'impugnazione con telegramma ovvero con atto da trasmettersi a mezzo di raccomandata alla cancelleria del giudice che aveva emesso il provvedimento impugnato.
Il pubblico ufficiale addetto allegava agli atti la busta contenente l'atto di impugnazione e apponeva su quest'ultimo l'indicazione del giorno della ricezione e la propria sottoscrizione.
L'impugnazione si considerava, ai sensi del comma 2, proposta nella data di spedizione della raccomandata o del telegramma.
Se si trattava di parti private (comma 3), la sottoscrizione dell'atto doveva essere autenticata da un notaio, da altra persona autorizzata o dal difensore.
Si era prevista l'autenticazione come meccanismo idoneo a fare individuare con certezza l'autore della spedizione, dato che l'ufficio giudiziario riceveva l'atto dal servizio postale (Cass. pen., sez. un., 29 maggio 1992, n. 8141, Caselli).
Notificazione dell'impugnazione (art. 584 c.p.p.)
Sulla notificazione dell'impugnazione provvede l'art. 584 c.p.p.
L'atto di impugnazione deve essere comunicato al pubblico ministero (v. art. 153 c.p.p.) presso il medesimo giudice.
Deve, inoltre, essere notificato alle parti private senza ritardo, a cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.
La notificazione dell'atto va eseguita alla parte privata non impugnante, non al difensore.
La notificazione è funzionale a consentire l'esercizio del diritto di difesa e a permettere l'appello incidentale (art. 595 c.p.p.) e il ricorso per saltum (art. 569 c.p.p.).
Proprio perché funzionale alla facoltà di proposizione dell'appello incidentale, che è estraneo al sistema delle impugnazioni in materia cautelare, la disposizione non trova applicazione nell'ambito dei procedimenti de libertate (Cass. pen., sez. un., 20 ottobre 2010, n. 1235/11, Giordano).
L'omessa notificazione non dà luogo all'inammissibilità del gravame, ma solo all'obbligo della cancelleria di provvedere alla notifica non eseguita, salvo che risulti altrimenti, in capo al destinatario di essa, la conoscenza dell'atto di impugnazione (Cass. pen., sez. un., 29 gennaio 2003, n. 12878, Innocenti).
L'art. 164 disp. att. c.p.p. (abrogato dal d.lgs. n. 150 del 2022) disciplinava il deposito, ad opera delle parti, delle copie dell'atto di impugnazione occorrenti per la notificazione e per la formazione dei fascicoli che la cancelleria aveva cura di trasmettere al giudice dell'impugnazione.
L'art. 165 disp. att. c.p.p. si occupa, infine, dell'annotazione dell'impugnazione in calce al provvedimento impugnato.
Termini per l'impugnazione (art. 585 c.p.p.)
1. A norma dell'art. 585, comma 1, c.p.p., i termini per proporre impugnazione, stabiliti a pena di decadenza dal comma 5 (e a pena di inammissibilità dell'impugnazione dall'art. 591, comma 1, lett. c), c.p.p., sono:
a) di quindici giorni per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio e nel caso previsto dall'art. 544, comma 1, c.p.p., vale a dire redazione del dispositivo e, subito dopo, della motivazione (per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio v., oltre alla disposizione generale dell'art. 127 c.p.p., gli artt. 3, comma 2, 41, commi 1-3, 263, comma 5, 310, comma 2, 311, comma 5, 315, comma 3, 325, comma 1, 428, comma 3, 437, 448, comma 1, 469, 599, comma 1, 599-bis, comma 1, 646, comma 3, 666, comma 6, 678, comma 1, 704, comma 2, 718, comma 1, 734, comma 1, 741, comma 2, 743, comma 2, c.p.p.);
b) di trenta giorni, nel caso previsto dall'art. 544, comma 2 c.p.p. (redazione della motivazione non oltre il quindicesimo giorno dalla pronuncia);
c) di quarantacinque giorni, nel caso previsto dall'art. 544, comma 3, c.p.p. (redazione della motivazione non oltre il termine, indicato in dispositivo, superiore ai quindici e non superiore ai 90 giorni dalla pronuncia).
Ai sensi del comma 1-bis, inserito dall'art. 33, comma 1, d.lgs. n. 150/2022, questi termini sono aumentati di quindici giorni per l'impugnazione del difensore dell'imputato giudicato in assenza.
Ai sensi dell'art. 89, comma 3, del medesimo d.lgs. detta disposizione si applica per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva al 30 dicembre 2002, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150.
2. La decorrenza di detti termini è la seguente (art. 585, comma 2, c.p.p.):
a) dalla notificazione o comunicazione dell'avviso di deposito (v. art. 128 c.p.p. del provvedimento emesso in seguito a procedimento in camera di consiglio;
b) dalla lettura del provvedimento in udienza, quando è redatta anche la motivazione, per tutte le parti che sono state o che debbono considerarsi presenti nel giudizio, anche se non sono presenti alla lettura (v. artt. 148, comma 5, 420-bis, comma 3, 424, comma 2, 475, comma 2, 545, comma 3, c.p.p.);
c) dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza (v. artt. 424, comma 4, 544, comma 2, c.p.p.) ovvero, nel caso previsto dall'art. 548, comma 2, c.p.p. (vale a dire, quando la sentenza non è depositata entro il trentesimo giorno dalla pronuncia o entro il diverso termine dalla pronuncia indicato dal giudice), dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione dell'avviso di deposito;
d) dal giorno in cui è stata eseguita la comunicazione dell'avviso di deposito (art. 128 c.p.p.) con l'estratto del provvedimento, per il procuratore generale rispetto ai provvedimenti emessi in udienza da qualsiasi giudice della sua circoscrizione diverso dalla corte di appello.
Quando la decorrenza è diversa per l'imputato e per il suo difensore, opera per entrambi il termine che scade per ultimo (art. 585, comma 3, c.p.p.).
3. Il termine di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, pronunciata all'esito dell'udienza preliminare, è quello di quindici giorni previsto dall'art. 585, comma 1, lett. a), c.p.p., che disciplina in via generale il termine per l'impugnazione dei provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio, tra i quali rientra certamente detta pronuncia.
Detto termine, sulla base di una interpretazione coordinata degli artt. 424 e 585, comma 2, c.p.p., decorre, ove il dispositivo e la contestuale motivazione siano letti in udienza, da tale momento, secondo la previsione di cui alla lett. b) del comma 2 dell'art. 585 c.p.p., equivalendo la lettura a notificazione per le parti presenti o presunte tali.
Ove il Giudice dell'udienza preliminare, nel dare lettura in udienza – alla presenza delle parti – del solo dispositivo della sentenza, opti per il regime della motivazione differita e questa sia depositata, così come previsto dall'art. 424, comma 4, c.p.p., nei trenta giorni successivi alla pronuncia, è dalla scadenza di tale termine legale, non prorogabile, che deve farsi decorrere in via automatica, ai sensi dell'art. 585, comma 2, lett. c), prima parte, c.p.p., il termine iniziale per proporre impugnazione, giacché, in tal caso, per le parti interessate e presenti in udienza opera una forma di presunzione legale di conoscenza e non deve alle stesse essere comunicato o notificato l'avviso di deposito della motivazione (Cass. pen., sez. un., 27 gennaio 2011, n. 21039, Loy).
Non va, dunque, notificato o comunicato avviso di deposito, alle parti presenti alla lettura del dispositivo, della motivazione della sentenza di non luogo a procedere sempre che la stessa sia stata depositata entro il trentesimo giorno (Cass. pen., sez. un., 19 settembre 2002, n. 31312, D'Alterio).
Non è comunque consentito al giudice dell'udienza preliminare fissare un termine più ampio per il deposito della motivazione della sentenza: l'art. 424 c.p.p. non prevede tale facoltà. Ove ciò si verifichi, deve essere comunicato o notificato alle parti legittimate all'impugnazione il relativo avviso di deposito e da tale.
4. Il sistema delineato sulla base del modello legale prefigurato dall'art. 585, comma 1, lett. a), c.p.p., è in generale previsto per tutte i provvedimenti camerali, fatti salvi gli opportuni adattamenti, in relazione alla specifica disciplina, quanto all'individuazione del momento dal quale fare decorrere il termine d'impugnazione.
Ad esempio, può farsi riferimento alle ordinanze emesse dal tribunale all'esito di appello o di riesame proposti avverso provvedimento in materia di misure cautelari reali (con decorrenza dal momento della comunicazione o notificazione dell'avviso di deposito dell'ordinanza: Cass. pen., sez. un., 20 aprile 1994, n. 5, Iorizzo); alla sentenza predibattimentale exart. 469 c.p.p.; con l'eccezione della sentenza pronunciata dopo la chiusura del dibattimento di primo grado ovvero nel giudizio di impugnazione (art. 448, comma 1, c.p.p., ultima parte), alla sentenza di applicazione della pena su richiesta deliberata nel corso delle indagini preliminari, dell'udienza preliminare e nel giudizio ma «prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado» (art. 448, comma 1, c.p.p., prima parte) (Cass. pen., sez. un., 12 ottobre 1993, n. 295/94, Scopel); alla sentenza in materia di estradizione.
In tutti questi casi, il termine per impugnare è quello di quindici giorni di cui all'art. 585, comma 1, lett. a), c.p.p. Quanto alla decorrenza, la stessa deve coincidere con la lettura in udienza del provvedimento contestualmente motivato ovvero con la data di comunicazione o notifica del provvedimento depositato fuori udienza, in assenza di una previsione normativa che consenta il distacco temporale tra decisione e deposito della relativa motivazione.
La motivazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta deve essere depositata contestualmente alla pronuncia; qualora la motivazione non sia depositata contestualmente, anche per l'irrituale indicazione in dispositivo di un termine per il deposito, il termine di quindici giorni per l'impugnazione della sentenza pronunciata in camera di consiglio decorre, esclusa qualsiasi nullità della sentenza stessa ed indipendentemente dal fatto che il termine irritualmente indicato dal giudice sia stato o meno osservato, dall'ultima notificazione o comunicazione dell'avviso di deposito del provvedimento (Cass. pen., sez. un., 19 luglio 2018, n. 40986, P.).
5. Quando il legislatore ha inteso derogare al meccanismo d'impugnazione dei provvedimenti camerali, ha lasciato traccia nel testo normativo di riferimento.
È il caso della sentenza emessa all'esito del rito abbreviato.
In virtù del rinvio operato dall'art. 442, comma 1, c.p.p. agli «artt. 529 e seguenti», tra i quali è ricompreso l'art. 544 c.p.p., al quale fa rinvio, a sua volta, l'art. 585 c.p.p., deve ritenersi che si sia voluto assimilare, per questo specifico aspetto, la sentenza emessa nel giudizio abbreviato a quella dibattimentale, con l'effetto che il termine d'impugnazione varia, secondo le diversificazioni contenute nel comma 1 dell'art. 585 c.p.p., in relazione al tempo impiegato dal giudice per la redazione della sentenza, e decorre dai diversi momenti specificati nelle lett. b), c) e d) del comma 2 dello stesso articolo (Cass. pen., sez. un., 15 dicembre 1992, n. 16/93, Cicero).
6. Qualora il giudice ritardi il deposito della motivazione della sentenza, senza avere preventivamente indicato un termine nel dispositivo letto in udienza, ai sensi dell'art. 544.3, il termine di impugnazione è quello di trenta giorni previsto dall'art. 585, comma 1, lett. b), c.p.p., decorrente dalla data di notificazione o di comunicazione dell'avviso di deposito della sentenza (Cass. pen., sez. un., 30 aprile 1997, n. 5878, Bianco).
7. Nella sua originaria formulazione, l'art. 544, comma 2, c.p.p. stabiliva che nel caso di impossibilità di provvedere alla redazione immediata dei motivi della sentenza in camera di consiglio – il giudice doveva provvedervi non oltre il trentesimo giorno da quello della pronuncia. In coerenza con tale disposto normativo, l'art. 548, comma 2, c.p.p., prevedeva la comunicazione dell'avviso di deposito della sentenza al pubblico ministero e la notificazione dell'avviso stesso alle parti private, nell'ipotesi che il deposito non fosse stato effettuato entro il trentesimo giorno dalla data della pronuncia.
L'art. 585, comma 2, lett. c), c.p.p., fissa, quindi, il dies a quo dalla scadenza del termine stabilito dalla legge per il deposito della sentenza, ovvero, nel caso previsto dall'art. 548, comma 2, c.p.p., nel giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione dell'avviso di deposito.
In siffatta sequenza di norme, ordinatamente dirette a disciplinare i tempi di redazione e di deposito della sentenza non contestualmente motivata, le modalità di informazione alle parti del deposito avvenuto oltre il termine normativamente previsto e l'inizio di decorrenza dei termini per le impugnazioni , si è venuto ad inserire il disposto dell'art. 6 del d.l. 1° marzo 1991, n. 60, convertito dalla l. 22 aprile 1991 n. 133, che, modificando l'art. 544, comma 2, c.p.p., ha ridotto a quindici i giorni per la redazione della motivazione non contestuale. La predetta norma ha lasciato, però, inalterato il termine di trenta giorni previsto dall'art. 548, comma 2, c.p.p., al cui eventuale superamento è collegato l'obbligo di comunicazione e notificazione alle parti dell'avviso di deposito.
Il mancato coordinamento ha posto il problema della necessità, o meno, per il decorso del termine di impugnazione, della notifica e della comunicazione dell'avviso di deposito per le sentenze depositate fra il sedicesimo ed il trentesimo giorno dalla data della pronuncia, allorquando il giudice non abbia fissato un termine maggiore di quindici giorni per il deposito della motivazione.
Per il superamento della disarmonia si è fatto ricorso all'interpretazione logico – sistematica, osservando che, dall'assetto normativo che governa il sistema delle impugnazioni, si deduce come questo sistema sia informato al collegamento del decorso automatico dei termini per proporle, alternativamente, alla data prevista dalla legge o a quella fissata dal giudice, con la conseguenza che il mancato rispetto di una di tali date impone la notifica e la comunicazione di deposito della sentenza per far scattare l'inizio del decorso del termine per impugnare.
Da ciò si è fatto discendere l'obbligo di provvedere alla comunicazione e alla notificazione dell'avviso di deposito alle parti aventi diritto a proporre impugnazione, ogniqualvolta la sentenza non sia depositata entro il quindicesimo giorno dalla pronuncia – che è il termine preventivamente fissato dalla legge –, ovvero entro il diverso termine indicato dal giudice nel dispositivo della sentenza e portato a conoscenza delle parti con la lettura di questo in udienza (Cass. pen., sez. un., 20 aprile 1994, n. 5857, Vigorito).
In tali sensi devono ritenersi coordinati i disposti dall'art. 544, comma 2, c.p.p. e 548 c.p.p., giacché solo tale coordinamento pone le parti in condizione di conoscere con certezza il dies a quo del decorso del predetto termine ed evita – come già riconosciuto dalla Corte Costituzionale nella sentenza interpretativa di rigetto 30 luglio 1993, n. 364 – che possano sorgere condizioni di disparità di trattamento tra parti versanti in una identica situazione processuale.
8. In tema di computo dei termini processuali, la regola posta dall'art. 172, comma 3, c.p.p., secondo cui il termine stabilito a giorni, che cade in giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno successivo non festivo, si applica anche agli atti e ai provvedimenti del giudice, e si riferisce, pertanto, anche al termine per la redazione della sentenza.
Nelle ipotesi in cui è previsto, come nell'art. 585, comma 2, lett. c), c.p.p., che il termine assegnato per il compimento di un'attività processuale decorra dalla scadenza del termine assegnato per altra attività processuale, la proroga di diritto del giorno festivo – in cui il precedente termine venga a cadere – al primo giorno successivo non festivo, determina altresì lo spostamento della decorrenza del termine successivo con esso coincidente. Tale situazione, tuttavia, non si verifica ove ricorrano cause di sospensione quale quella prevista per il periodo feriale che, diversamente operando per i due termini, comportino una discontinuità in base al calendario comune tra il giorno in cui il primo termine scade e il giorno da cui deve invece calcolarsi l'inizio del secondo (Cass. pen., sez. un., 29 settembre 2011, n. 155/12, Rossi).
9. Le disposizioni del codice di rito concernenti i termini per la proposizione dell'impugnazione operano anche con riferimento al ricorso per cassazione avverso gli atti abnormi.
Nell'art. 585 c.p.p., non è dato cogliere alcun elemento che possa fare ipotizzare l'eventualità di deroghe. La soluzione opposta si tradurrebbe in una non consentita deviazione dal canone della res iudicata e, di riflesso, in una grave e ingiustificata lacerazione dell'ordinamento processuale.
L'unico caso in cui può escludersi l'operatività del principio del giudicato corrisponde a quello della inesistenza giuridica del provvedimento del giudice, che si riduce a mera apparenza ed è assolutamente privo di effetti giuridici a causa della presenza di un'anomalia genetica così radicale (di macro-anomalie parla un autorevole esponente della dottrina processualistica) da escludere o l'esistenza materiale o l'esistenza giuridica dell'atto (emblematica è l'ipotesi della sentenza emessa a non iudice) (Cass. pen., sez. un., 9 luglio 1997, n. 11, Quarantelli).
Il termine per proporre ricorso per cassazione avverso provvedimento abnorme decorre dal momento in cui l'interessato ne abbia avuto effettiva conoscenza, che, in difetto di prova contraria, va identificato in quello indicato dal ricorrente (Cass. pen., sez. un., 11 luglio 2001, n. 34536, Chirico).
10. È importante rammentare che il termine per la redazione della sentenza di cui all'art. 544 c.p.p. – alla scadenza del quale decorre l'ulteriore termine per l'impugnazione, ai sensi dell'art. 585 c.p.p. – non è soggetto alla sospensione nel periodo feriale prevista dall'art. 1 legge 7 ottobre 1969, n. 742; con la conseguenza che, ove venga a cadere in detto periodo, l'ulteriore termine per proporre impugnazione comincia a decorrere dalla fine del periodo di sospensione (Cass. pen., sez. un., 19 giugno 1996, n. 7478, Giacomini).
I termini non sono soggetti a sospensione nel periodo feriale, anche dopo le modifiche introdotte dal d.l. n. 132 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, che all'art. 16 ha ridotto il periodo annuale di ferie dei magistrati da 45 a 30 giorni (Cass. pen., sez. un., 20 luglio 2017, n. 42361, D'Arcangelo).
11. L'art. 585, comma 4, c.p.p., tratta dei «motivi nuovi», che possono essere presentati, «con le forme previste dall'articolo 582» (parole introdotte dal d.lgs. n. 150 del 2022 in sostituzione delle precedenti «nel numero di copie necessarie per tutte le parti»), fino a quindici giorni prima dell'udienza nella cancelleria del giudice della impugnazione.
I motivi «nuovi» sono strettamente vincolati ai motivi dell'impugnazione al punto che l'inammissibilità dell'impugnazione si estende ad essi.
I motivi nuovi, previsti tanto nella disposizione di ordine generale contenuta nell'art. 585, comma 4, c.p.p., quanto nelle norme concernenti il ricorso per cassazione in materia cautelare (art. 311, comma 4, c.p.p.) ed il procedimento in camera di consiglio nel giudizio di legittimità (art. 611, comma 1, c.p.p.), devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell'originario atto di gravame ai sensi dell'art. 581, comma 1, lett. a) c.p.p. (v. art. 167 disp. att. c.p.p.) (Cass. pen., sez. un., 25 febbraio 1998, n. 4683, Bono).
Nessun significato valido può, dunque, attribuirsi alla diversa aggettivazione adottata rispetto al passato («nuovi» anziché «aggiunti»); all'argomento di ordine letterale non può attribuirsi alcun valore innovativo dato che il nuovo codice di rito ha unificato in un unico atto di impugnazione i due momenti –nel codice abrogato ontologicamente e temporalmente diversi– della dichiarazione e della presentazione dei motivi, sotto il controllo del giudice ad quem cui vanno trasmessi gli atti del procedimento e l'atto di impugnazione. Ove si addivenisse a diversa conclusione, dovrebbe ammettersi che il sistema delle impugnazioni creato dal legislatore del 1988 che ha voluto la concentrazione del gravame in unico atto onde rendere più rigido e snello il sistema stesso, ne verrebbe sostanzialmente sconvolto, determinandosi una non consentita elusione del termine iniziale di cui all'art. 585 c.p.p. stabilito a pena di inammissibilità.
Impugnazione di ordinanze emesse nel dibattimento (art. 586 c.p.p.)
Quando non è diversamente stabilito dalla legge, l'impugnazione contro le ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari ovvero nel dibattimento può essere proposta, a pena di inammissibilità, soltanto con l'impugnazione contro la sentenza (art. 586, comma 1, c.p.p.).
Questa disposizione intende evitare che lo svolgimento del processo si frantumi in continui procedimenti di impugnazione di singole ordinanze interlocutorie.
Non è necessaria un'espressa autonoma impugnazione dell'ordinanza, potendo le censure avverso tale provvedimento essere contenute anche nell'apparato motivazionale del gravame presentato avverso la sentenza medesima (Cass. pen., sez. un., 12 ottobre 1993, n. 10296, Balestriere).
ESEMPI
L'ordinanza con la quale il giudice nel rinviare l'udienza fissa la prosecuzione del processo, e pone a carico del pubblico ministero l'onere di curare la rinnovata citazione dei testimoni non comparsi inseriti nella sua lista, non è impugnabile autonomamente, ma solo congiuntamente alla sentenza e, conseguentemente, il ricorso per cassazione (per abnormità) proposto direttamente avverso di essa è inammissibile (Cass. pen., sez. un., 31 gennaio 2001, n. 4, Romano)
L'ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova non è immediatamente impugnabile, ma è appellabile unitamente alla sentenza di primo grado in quanto l'art. 464-quater, comma 7, c.p.p., nel prevedere il ricorso per cassazione, si riferisce unicamente al provvedimento con cui il giudice, in accoglimento della richiesta dell'imputato, abbia disposto la sospensione del procedimento con la messa alla prova (Cass. pen., sez. un., 31 marzo 2016, n. 33216, Rigacci)
Sono inoppugnabili le ordinanze dibattimentali di esclusione della parte civile, mentre sono impugnabili, purché unitamente alla sentenza, le ordinanze con le quali sia dichiarata l'inammissibilità o sia rigettata la richiesta di esclusione della medesima parte civile (Cass. pen., sez. un., 19 maggio 1999, n. 12, Pediconi)
L'impugnazione è ammissibile anche se la sentenza è impugnata soltanto per connessione con l'ordinanza e l'impugnazione dell'ordinanza è giudicata congiuntamente a quella contro la sentenza, salvo che la legge disponga altrimenti (art. 586, comma 2, c.p.p.).
L'art. 586, comma 2, c.p.p., coordinato con il principio di tassatività di cui all'art. 568, comma 1, c.p.p., svolge la funzione di individuare direttamente il tipo dei provvedimenti impugnabili unitamente all'impugnazione contro la sentenza di merito: cioè, tutte «le ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari ovvero nel dibattimento», per le quali non sia altrimenti ammesso un mezzo di gravame immediato «indipendentemente dall'impugnazione contro la sentenza» (ad esempio, quelle in materia di libertà personale ex art. 586, comma 3, c.p.p.) (Cass. pen., sez. un., 19 maggio 1999, n. 12, Pediconi; Cass. pen., sez. un., 31 gennaio 2001, n. 4, Romano).
Contro le ordinanze in materia di libertà personale è, invece, ammessa l'impugnazione immediata, indipendentemente dall'impugnazione contro la sentenza (art. 586, comma 3, c.p.p.).
In particolare, i rimedi del riesame e dell'appello dinanzi al tribunale del capoluogo di provincia sono esperibili contro tutti le ordinanze comunque adottate da qualsiasi giudice, sia nella fase delle indagini preliminari che in quelle successive (Cass. pen., sez. un., 23 novembre 1990, n. 11/91. Santucci).
Estensione dell'impugnazione (art. 587 c.p.p.)
1. L'effetto estensivo favorevole di un'impugnazione è espresso in quattro proposizioni:
l'impugnazione proposta da uno degli imputati concorrenti nel reato, se non è fondata su motivi esclusivamente personali, giova anche agli altri imputati concorrenti (art. 587, comma 1, c.p.p.);
l'impugnazione proposta da un imputato, in un processo per più reati, giova agli altri imputati, se i motivi riguardano violazioni della legge processuale e non sono esclusivamente personali (art. 587, comma 2, c.p.p.);
l'impugnazione proposta dall'imputato giova anche al responsabile civile e alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (art. 587, comma 3, c.p.p.);
l'impugnazione proposta dal responsabile civile o dalla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria giova, anche agli effetti penali, all'imputato purché non sia fondata su motivi esclusivamente personali (art. 587, comma 4, c.p.p.).
Dette disposizioni sono dettate dall'esigenza di evitare disarmonie di trattamento tra soggetti in identica posizione, taluno dei quali abbia con esito favorevole proposto valida impugnazione.
Sulla finalità di evitare giudicati contraddittori in causa unica ha insistito la giurisprudenza. In particolare, nel processo con più imputati, la valida impugnazione proposta da un imputato – ancorché sostenuta da motivo non esclusivamente personale – non impedisce che diventi irrevocabile la sentenza relativamente al rapporto concernente l'imputato non impugnante (o l'impugnazione del quale sia stata dichiarata inammissibile). Rimane ferma, dunque, l'esecutorietà delle statuizioni ivi contenute e non può sospendersi il relativo procedimento esecutivo nell'attesa del verificarsi dell'eventuale effetto risolutivo straordinario di cui all'art. 587 c.p.p., in mancanza di disposizioni che attribuiscono un simile potere al giudice dell'esecuzione, né potendosene altrimenti trarne l'esistenza dal sistema penale (Cass. pen., sez. un., 24 marzo 1995, n. 9, Cacciapuoti).
In definitiva, nei confronti dell'imputato non impugnante si forma il giudicato, che potrà essere revocato solo al momento dell'accoglimento della impugnazione non strettamente personale svolta da altro imputato. L'estensione costituisce, dunque, un rimedio straordinario, che, solo al verificarsi dell'evento consistente nel riconoscimento, in sede di giudizio conclusivo del gravame, del motivo non esclusivamente personale dedotto dall'imputato diligente, è idoneo a revocare il giudicato in favore del non impugnante, rendendo questi partecipe del beneficio conseguito dall'impugnante; con la conseguenza che, fino a quando non si sia verificato tale effetto risolutivo, l'impugnazione altrui non spiega influenza alcuna sulla esecutorietà della sentenza relativa al rapporto processuale concernente il non impugnante.
Si tratta all'evidenza di casi in cui i motivi di impugnazione sono «non esclusivamente personali», perché investono questioni comuni e ugualmente incidenti su più imputati, che l'ordinamento esige siano risolte in maniera conforme per ragioni di giustizia sostanziale e di uniforme applicazione delle regole processuali; si giustifica così l'effetto estensivo delle impugnazioni: si pensi, ad esempio, alla valutazione dell'attendibilità o meno di una prova dichiarativa riguardante in modo identico più imputati, alla decisione sulla utilizzabilità o meno di una intercettazione riguardante nello stesso modo più imputati o al giudizio su un vizio processuale incidente su più imputati in modo identico (Cass. pen., sez. un., 24 marzo 1995, n. 9, Cacciapuoti).
Seguendo questi principi si è, ad es., affermato che l'effetto estensivo dell'impugnazione, in caso di accoglimento di un motivo di ricorso per cassazione non esclusivamente personale perché relativo all'oggettiva inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni telefoniche, su cui la sentenza impugnata ha fondato il giudizio di responsabilità per i concorrenti in un medesimo reato, giova agli altri imputati che non hanno proposto ricorso (estensione dell'impugnazione), ivi compresi coloro che hanno concordato la pena in appello, o che hanno proposto un ricorso originariamente inammissibile, o ancora che al ricorso hanno successivamente rinunciato (estensione della sentenza favorevole) (Cass. pen., sez. un., 12 luglio 2007, n. 30347, Aguneche).
2. L'effetto favorevole della declaratoria di estinzione del reato per prescrizione non opera in favore del coimputato concorrente nello stesso reato non impugnante se detta causa estintiva è maturata dopo la irrevocabilità della sentenza emessa nei confronti del medesimo (Cass. pen., sez. un., 26 ottobre 2017, n. 3391/18, Visconti; nello stesso senso Cass. pen., sez. un., 24 marzo 1995, n. 9, Cacciapuoti e successivamente Cass. pen., sez. un., 20 dicembre 2012, n. 19054/13, Vattani).
L'effetto estensivo riguarda questioni o situazioni oggettive concernenti il processo, sostanzialmente uguali («comuni») per tutti gli imputati coinvolti. Si tratta – come si è detto – di casi in cui i motivi di impugnazione sono «non esclusivamente personali». Diverso è il caso della prescrizione del reato, il cui verificarsi nel corso del processo dipende da scelte individuali (sul rito o inerenti la proposizione di mezzi di impugnazione) ed è legato anche alle situazioni personali degli imputati (si pensi alla presenza della recidiva solo per alcuni di essi). Inoltre, il decorso del termine di prescrizione si sostanzia nella relazione tra un imputato, il reato da lui commesso e il tempo trascorso, relazione che cessa definitivamente e perde ogni ragion d'essere quando nei confronti dell'imputato sia intervenuta sentenza irrevocabile.
Anche l'uso da parte del legislatore del termine «imputati» e non «condannati», con riferimento ai non impugnanti, porta ad escludere che l'effetto estensivo possa riguardare i coimputati non impugnanti per i quali la causa estintiva sia maturata dopo l'irrevocabilità della sentenza di condanna pronunciata nei loro confronti.
Solo quando l'effetto estensivo della prescrizione si sia verificato prima del passaggio in giudicato della sentenza nei confronti del coimputato non impugnante si può sostenere che la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione operi in suo favore. In tal caso, infatti, non è intervenuta la cesura della sentenza irrevocabile che segna il limite di ogni possibile computo del tempo di prescrizione e la relazione tra imputazione e tempo di prescrizione è ancora in atto per il coimputato non impugnante. Ne discende che su una tale situazione possono utilmente riverberarsi gli effetti di una impugnazione altrui che porti ad una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, in quanto in tale ipotesi la causa estintiva appare oggettiva (e quindi non esclusivamente personale) poiché svincolata rispetto alla scelta processuale del singolo coimputato non impugnante.
3. L'art. 601, comma 1, c.p.p., stabilisce che in presenza di una delle situazioni descritte dall'art. 587 c.p.p. va, in appello, ordinata la citazione anche dell'imputato non appellante.
Nel caso di omessa citazione e conseguente applicazione dell'effetto estensivo favorevole, non resta all'imputato non appellante che rivolgersi al giudice dell'esecuzione, che interverrà sul titolo esecutivo, eliminando la contraddittorietà dei giudicati.
Il giudice dell'esecuzione può rivedere la condanna, eliminandola o ridimensionandola sulla scorta dell'effetto estensivo della più favorevole decisione assunta (Cass. pen., sez. III, 19 aprile 2001, n. 21085, Laratta)
Né l'art. 585 c.p.p., né altra disposizione, in ogni caso, attribuiscono all'imputato non appellante il diritto a proporre ricorso per cassazione, nell'ipotesi di mancato accoglimento dei motivi presentati dall'imputato appellante.
4. Nei procedimenti de libertate, che si instaurano a norma degli artt. 309 c.p.p., 310 c.p.p. e 311 c.p.p., è escluso l'effetto estensivo dell'impugnazione proposta dal coindagato diligente ai coindagati rimasti estranei al procedimento, ferma restando la possibilità, sulla base dei principi propri dell'ordinamento processuale, di estendere, ove ne ricorrano i presupposti, gli effetti favorevoli della decisione, purché non fondata su motivi personali di uno degli impugnanti, ad altro coindagato nello stesso procedimento (Cass. pen., sez. un., 22.11.1995, n. 41/96, Ventura).
La frammentazione e l'autonomia dei i procedimenti incidentali scaturenti da un iniziale provvedimento cautelare a struttura plurima permette per il margine di discrezionalità concessa al giudicante nella valutazione delle singole posizioni, una diversità di valutazioni e di decisioni che, pur avendo natura provvisoria e strumentale, impedisce l'applicabilità dell'art. 587 c.p.p.
L'autonomia e le caratteristiche del rito incidentale – improntato a specialità, semplicità e tempestività – non consentono l'applicabilità del principio estensivo dell'impugnazione ai rimedi previsti negli articoli citati.
Nell'ipotesi di procedimento incidentale che sorga e si svolga in modo unitario e cumulativo, è comunque sempre possibile, sulla base dei principi propri dell'ordinamento processuale, estendere, ove ne ricorrano i presupposti, gli effetti favorevoli della decisione stessa, purché non fondata su motivi personali di uno degli impugnanti, ad altro coindagato nello stesso procedimento.
I principi dettati da Cass. pen., sez. un., 22.11.1995, n. 41/96, Ventura sono applicabili anche ai provvedimenti che impongono misure cautelari reali, versandosi pur sempre in tema di procedimenti incidentali scaturenti da un iniziale provvedimento cautelare (Cass. pen., sez. un., 26 giugno 2002, n. 34623, Di Donato).
Sospensione dell'esecuzione (art. 588 c.p.p.)
La regola in materia è che l'esecuzione del provvedimento impugnato è sospesa dal momento della pronuncia, durante i termini per impugnare e fino all'esito del giudizio di impugnazione (art. 588, comma 1, c.p.p.).
La disposizione intende evitare che sia data esecuzione ad un provvedimento che potrebbe essere errato e che, per questa ragione, è stato messo in discussione dalla parte impugnante.
L'effetto sospensivo è, in sostanza, estrinsecazione della presunzione di non colpevolezza di cui all'art. 27, comma 2, Cost.
La legge può disporre altrimenti.
Casi in cui la legge dispone altrimenti
art. 127 c.p.p.(Procedimento in camera di consiglio)
7. Il giudice provvede con ordinanza comunicata o notificata senza ritardo ai soggetti indicati nel comma 1, che possono proporre ricorso per cassazione [606].
8. Il ricorso non sospende l'esecuzione dell'ordinanza, a meno che il giudice che l'ha emessa disponga diversamente con decreto motivato.
2. La richiesta di riesame non sospende l'esecuzione del provvedimento.
art. 322-bis c.p.p.(Appello c. ordinanze sequestro preventivo e c. decreto revoca sequestro emesso dal p.m.
2. L'appello non sospende l'esecuzione del provvedimento.
art. 325 c.p.p.(Ricorso per cassazione contro ordinanze emesse a norma degli artt. 322-bis e 324 c.p.p.
4. Il ricorso non sospende l'esecuzione della ordinanza.
art. 355 c.p.p.(Convalida sequestro e riesame)
4. La richiesta di riesame non sospende l'esecuzione del provvedimento.
art. 464-quater c.p.p. (Provvedimento giudice ed effetti pronuncia)
7. Contro l'ordinanza che decide sull'istanza di messa alla prova possono ricorrere per cassazione l'imputato e il pubblico ministero, anche su istanza della persona offesa. La persona offesa può impugnare autonomamente per omesso avviso dell'udienza o perché, pur essendo comparsa, non è stata sentita ai sensi del comma 1. L'impugnazione non sospende il procedimento.
art. 479 c.p.p.(Questioni civili o amministrative)
2. La sospensione [del dibattimento] è disposta con ordinanza, contro la quale può essere proposto ricorso per cassazione. Il ricorso non ha effetto sospensivo.
1. La condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno è dichiarata provvisoriamente esecutiva, a richiesta della parte civile, quando ricorrono giustificati motivi.
2. La condanna al pagamento della provvisionale è immediatamente esecutiva.
art. 573 c.p.p.(Impugnazione per i soli interessi civili)
2. L'impugnazione per i soli interessi civili non sospende l'esecuzione delle disposizioni penali del provvedimento impugnato.
art. 605 c.p.p.(Sentenza)
2. Le pronunce del giudice di appello sull'azione civile sono immediatamente esecutive.
art. 666 c.p.p.(Procedimento di esecuzione)
7. Il ricorso non sospende l'esecuzione dell'ordinanza, a meno che il giudice che l'ha emessa disponga diversamente
art. 680 c.p.p. (Impugnazione provvedimenti misure di sicurezza)
3. Si osservano le disposizioni generali sulle impugnazioni, ma l'appello non ha effetto sospensivo, salvo che il tribunale disponga altrimenti.
Non hanno, per contro, in alcun caso effetto sospensivo le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale (art. 588, comma 2, c.p.p.).
Rinuncia all'impugnazione (art. 589 c.p.p.)
Può essere effettuata dichiarazione di rinuncia all'impugnazione (che determina la sopravvenuta inammissibilità dell'impugnazione):
dal pubblico ministero presso il giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato fino all'apertura del dibattimento (v. artt. 492,602,614 c.p.p.);
dal pubblico ministero presso il giudice della impugnazione prima dell'inizio della discussione, anche se l'impugnazione è stata proposta da altro pubblico ministero (art. 589.1);
dalle parti private anche per mezzo di procuratore speciale (art. 589, comma 2, c.p.p.).
La dichiarazione di rinuncia è presentata a uno degli organi competenti a ricevere l'impugnazione nelle forme e nei modi previsti dagli artt. 581 e 582 c.p.p. (il richiamo all'art. 583 c.p.p. è stato soppresso dal d.lgs. n. 150 del 2022) ovvero, in dibattimento, prima dell'inizio della discussione (art. 589, comma 3, c.p.p.).
Quando l'impugnazione è trattata e decisa in camera di consiglio (come ad es. nei casi di cui agli artt. 599, comma 1 e 611 c.p.p.), la dichiarazione di rinuncia può essere effettuata, prima dell'udienza, dal pubblico ministero che ha proposto l'impugnazione e, successivamente, dal pubblico ministero presso il giudice dell'impugnazione, anche se la stessa è stata proposta da altro pubblico ministero (art. 589, comma 4, c.p.p.).
Al difensore che non agisce quale procuratore speciale non compete la facoltà di rinunciare all'impugnazione, anche quando egli stesso abbia proposto il gravame (Cass. pen., sez. un., 31 maggio 1991, n. 6, Catalano), a meno che il rappresentato sia presente alla dichiarazione di rinuncia fatta in udienza e non vi si opponga (Cass. pen., sez. un., 24 novembre 2015, n. 12603/16, Celso).
La rinuncia all'impugnazione può essere parziale, riguardare cioè quelle parti dell'impugnazione con cui si contesti e si chieda la riforma o l'annullamento di uno o più capi o punti del provvedimento impugnato. Anch'essa, trattandosi di atto abdicativo di diritti e facoltà processuali già acquisiti, sia pure con effetti più limitati rispetto a quella totale, non può essere effettuata dal difensore, di fiducia o di ufficio, che sia privo di procura speciale (Cass. pen., sez. un., 24 novembre 2015, n. 12603/16, Celso, che ha chiarito che la rinuncia all'impugnazione, per quanto parziale, non è ricompresa nella discrezionalità tecnica del difensore, a differenza della mera rinuncia ad una o più argomentazioni o motivazioni su cui si fondano le diverse parti dell'impugnazione relative ai diversi capi impugnati).
La rinuncia al ricorso per cassazione validamente proposto determina l'immediata estinzione del rapporto processuale, cui consegue l'immediato passaggio in giudicato della sentenza all'atto della dichiarazione di sopravvenuta inammissibilità dell'impugnazione (Cass. pen., sez. un., 17 dicembre 2015, n. 12602/16, Ricci).
Trasmissione di atti in seguito all'impugnazione (art. 590 c.p.p.)
Il provvedimento impugnato, l'atto di impugnazione e gli atti del procedimento vanno trasmessi senza ritardo al giudice della impugnazione (art. 590 c.p.p.).
La trasmissione di detti atti è comunicata alla segreteria del pubblico ministero (art. 15, comma 2, reg. esec.).
Agli atti da trasmettere al giudice dell'impugnazione va allegato, un documento, che deve essere formato, a cura del giudice o del presidente del collegio che ha emesso il provvedimento impugnato, subito dopo la presentazione dell'atto di impugnazione, e che deve contenere:
a) i nominativi dei difensori, di fiducia o d'ufficio, con indicazione della data di nomina;
b) le dichiarazioni o elezioni o determinazioni di domicilio, con indicazione delle relative date;
c) i termini di prescrizione riferiti a ciascun reato, con indicazione degli atti interruttivi e delle specifiche cause di sospensione del relativo corso, ovvero eventuali dichiarazioni di rinuncia alla prescrizione;
d) i termini di scadenza delle misure cautelari in atto, con indicazione della data di inizio e di eventuali periodi di sospensione o proroga (art. 165-bis, comma 1, disp. att. c.p.p.).
1. L'art. 591, comma 1, c.p.p., elenca i casi di inammissibilità dell'impugnazione. L'impugnazione è inammissibile (fermo restando che, ai sensi dell'art. 568, comma 5, c.p.p., l'impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione a essa data dalla parte che l'ha proposta):
a) quando è proposta da chi non è legittimato (v. il commento all'art. 568, comma 3, c.p.p.) o non ha interesse (v. il commento all'art. 568, comma 4, c.p.p.);
b) quando il provvedimento non è impugnabile (v., oltre agli artt. 428, comma 3-quater, 443, commi 1 e 3, 448, comma 2, 469, comma 1, 593, commi 2 e 3, 656, comma 1, c.p.p., i commenti agli artt. 568, commi 1 e 2, 586, comma 1, c.p.p.
c) quando non sono osservate le disposizioni degli artt. 581 c.p.p., 582 c.p.p., 585 c.p.p. e 586 c.p.p. (v. i commenti a detti articoli e all'art. 583 c.p.p., abrogato dal d.lgs. n. 150/2022, che ha soppresso anche il richiamo contenuto nell'articolo in esame);
d) quando vi è rinuncia all'impugnazione (v. commento all'art. 589 c.p.p.).
L'elenco contenuto nella disposizione non esaurisce i casi di inammissibilità delle impugnazioni, essendone previsti altri sia nel codice con riguardo a singoli mezzi d'impugnazione (si pensi, ad es., alle cause di inammissibilità del ricorso per cassazione di cui all'art. 606, comma 3, c.p.p.) sia in alcune leggi speciali (si vedano, ad es., le ipotesi di inammissibilità di cui alla disposizione transitoria prevista dall'art. 87-bis, comma 7, c.p.p. del d.lgs. n. 150/2022 per il caso in cui il deposito dell'atto di impugnazione avvenga tramite PEC e alle ipotesi di inammissibilità, con riguardo alla disciplina emergenziale pandemica da Covid-19, di cui all'art. 24.6-sexies, d.l. n. 137/2020, conv., con modif., in l. n. 176/2020).
Va aggiunto:
che la totale assenza dei motivi nell'atto di impugnazione è causa di inammissibilità che prevale su quella della sopravvenuta carenza di interesse alla decisione, perché integra una carenza originaria dell'atto, direttamente imputabile alla volontà della parte;
che il sopravvenuto difetto di interesse all'impugnazione è una causa di inammissibilità che prevale su quella della rinuncia all'impugnazione, eventualmente concorrente, perché più favorevole, non comportando la condanna al pagamento delle spese.
2. L'impugnazione inammissibile non può produrre gli effetti introduttivi del giudizio del grado successivo. In particolare, l'inammissibilità impedisce di rilevare e dichiarare la sussistenza di eventuali cause di non punibilità (Cass. pen., sez. un., 26 giugno 1998, n. 11493, Verga).
Tuttavia, anche in presenza di impugnazione inammissibile è possibile rilevare anche d'ufficio:
l'avvenuta abolizione o dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice formante oggetto dell'imputazione (Cass. pen., sez. un., 22 novembre 2000, n. 32/01, De Luca che precisa che provvederebbe, altrimenti, il giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 673 c.p.p.; v. Cass. pen., sez. un., 29 ottobre 2015, n. 26259/16, Mraidi);
Tuttavia, la tardività del ricorso in cassazione non consente la rilevabilità d'ufficio della sopravvenuta abolitio criminis, la quale potrà essere dedotta esclusivamente dinanzi al giudice dell'esecuzione, ferma restando l'eventuale condanna risarcitoria riguardante l'azione civile (Cass. V 3 aprile n. 21923/18, Esposito).
Si noti, inoltre, che, in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti per più reati unificati dalla continuazione, qualora sia sopravvenuta per uno dei reati satellite abolitio criminis, la Corte di cassazione, senza annullare l'intera sentenza, può procedere alla eliminazione della porzione di pena inflitta per il reato abrogato nella misura determinata dall'accordo (Cass. pen., sez. un., 19 luglio 2018, n. 40526, F.)
nel caso di ricorso inammissibile per qualunque ragione e con il quale non vengano proposti motivi riguardanti il trattamento sanzionatorio, la sopravvenuta introduzione di nuovo e più favorevole trattamento sanzionatorio per l'imputato, con conseguente annullamento sul punto, ai sensi dell'art. 609, della sentenza impugnata (Cass. pen., sez. un., 26 giugno 2015, n. 46653, Della Fazia);
l'estinzione del reato per morte dell'imputato a norma dell'art. 150 c.p. (Cass. pen., sez. un., 22 novembre 2000, n. 32/01, De Luca);
l'estinzione del reato per remissione della querela, ritualmente accettata, purché l'impugnazione sia stata tempestivamente proposta (Cass. pen., sez. un., 25 febbraio 2004, n. 24246, Chiasserini): dalle connotazioni peculiari di tale causa estintiva – «che si collega direttamente all'esercizio dell'azione penale, in forza dell'esercizio di un diritto potestativo del querelante diretto, attraverso un contrarius actus, a porre nel nulla la condizione per l'inizio dell'azione penale» – deriva la «necessità di conferire alla voluntas del remittente la massima valenza sul piano del possibile giuridico»;
l'illegalità della pena, tranne nel caso di ricorso tardivo (Cass. pen., sez. un., 26 giugno 2015, n. 47776, Butera; Cass. pen., sez. un., 26 febbraio 2015, n. 33040, Jazouli):
a) conseguente a dichiarazione di incostituzionalità di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio (Cass. pen., sez. un., 26 febbraio 2015, n. 33040, Jazouli: la dichiarazione di incostituzionalità (Corte cost. n. 32 del 2014) riguardava il trattamento sanzionatorio introdotto per le c.d. “droghe leggere” dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, conv., con modif., dalla l. 21 febbraio 2006, n. 49;
b) determinata dall'applicazione di sanzione ab origine contraria all'assetto normativo vigente perché di specie diversa da quella di legge o irrogata in misura superiore al massimo edittale (nella specie, irrogazione di pena detentiva per il reato di cui all'art. 582 c.p. anziché delle pene previste, per i reati di competenza del giudice di pace, dall'art. 52, d.lgs. n. 274/2000) (Cass. pen., sez. un., 31 marzo 2022 n. 38809, Miraglia);
c) nel caso in cui, a seguito dell'erronea applicazione del giudizio di comparazione tra circostanze eterogenee concorrenti, ecceda i limiti edittali generali previsti dagli artt. 23 e seguenti, nonché 65 e 71 e seguenti, c.p., oppure i limiti edittali previsti per le singole fattispecie di reato, a nulla rilevando il fatto che i passaggi intermedi che portano alla sua determinazione siano computati in violazione di legge (Cass. pen., sez. un., 14 luglio 2022, n. 877/23, Sacchettino).
Cass. pen., sez. un., 31 marzo 2022, n. 47182, Savini, ha, invece, ritenuto che, qualora la pena concretamente irrogata rientri nei limiti edittali, l'erronea applicazione da parte del giudice di merito della misura della diminuente, prevista per un reato contravvenzionale giudicato con rito abbreviato, integra un'ipotesi di pena illegittima e non già di pena illegale (NdA: in altre parole la diminuente fissa in caso di condanna in giudizio abbreviato non è componente della pena legale), con la conseguenza che la relativa questione è da ritenersi preclusa, ai sensi dell'art. 606, comma 3, c.p.p. se non dedotta con i motivi di appello, quindi non rilevabile d'ufficio dalla Corte di cassazione.
3. Soprattutto con riguardo alla prescrizione del reato si sono susseguite fondamentali decisioni delle Sezioni Unite della S.C.
In una prima decisione (Cass. pen., sez. un., 11 novembre 1994, n. 21, Cresci) si era affermato che soltanto le cause di inammissibilità originaria dell'impugnazione (tutte quelle previste dall'art. 591, c.p.p., ad esclusione della rinuncia; nella specie, si trattava della genericità dei motivi) impedivano di rilevare e dichiarare, ai sensi dell'art. 129, c.p.p., eventuali cause di non punibilità, segnatamente la prescrizione del reato. Per contro, le cause di inammissibilità sopravvenute (ad es., con riguardo al ricorso per cassazione, la manifesta infondatezza dei motivi ovvero l'enunciazione di motivi non consentiti o non dedotti in appello: art. 606, comma 3, c.p.p.) non erano ostative all'operatività della disposizione dell'art. 129 c.p.p.
Una successiva decisione (Cass. pen., sez. un., 30 giugno 1999, n. 15, Piepoli) aveva circoscritto ulteriormente il numero delle cause di inammissibilità sopravvenute, individuando anche all'interno del citato art. 606, comma 3, c.p.p., cause di inammissibilità originaria del ricorso, segnatamente i motivi «non consentiti» e quelli non dedotti nel giudizio di appello. Restava, dunque, al di fuori della categoria delle cause di inammissibilità originarie, oltre alla rinuncia all'impugnazione, la manifesta infondatezza dei motivi.
Ci ha pensato una ulteriore pronuncia ad annoverare anche il ricorso contrassegnato da motivi manifestamente infondati fra le cause originarie di inammissibilità (Cass. pen., sez. un., 22 novembre 2000, n. 32/01, De Luca).
Va solo aggiunto, per concludere sul punto, che le tre decisioni da ultimo citate riguardavano tutte ipotesi in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla pronuncia della sentenza di appello. È rimasta, dunque, come causa sopravvenuta la sola rinuncia al gravame, ma sin tratta di vicenda del tutto diversa dalle altre cause di inammissibilità, discendendo un simile effetto dall'esercizio di un diritto potestativo dell'interessato.
Quanto alla prescrizione maturata prima della pronuncia della sentenza d'appello, la S.C. ha chiarito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevarla d'ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609 comma 2, c.p.p., se non rilevata né eccepita in sede d'appello e neppure dedotta con i motivi di ricorso (Cass. pen., sez. un., 17 novembre 2015, n. 12602/16, Ricci; Cass. pen., sez. un., 25 marzo 2005, n. 23428, Bracale).
Successivamente, Cass. pen., sez. un., 27 maggio 2016, n. 6903/17, Aiello, ha affermato che, in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l'ammissibilità dell'impugnazione per uno dei reati possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello.
Cass. pen. sez. V, 16 maggio 2019, n. 28328, Bernardo, ha, peraltro, precisato affermato che la Corte di cassazione deve rilevare la prescrizione del reato maturata dopo la pronuncia della sentenza impugnata, anche in relazione ai capi di imputazione che, sebbene non direttamente investiti da motivi ammissibili di ricorso, siano collegati a questi ultimi da un vincolo di connessione essenziale logico-giuridica.
In tema di condizioni di procedibilità, si è affermato che, con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36 e ai giudizi pendenti in sede di legittimità, l'inammissibilità del ricorso esclude che debba darsi alla persona offesa l'avviso previsto dall'art. 12, comma 2, c.p.p., del predetto decreto per l'eventuale esercizio del diritto di querela (Cass. pen., sez. un., 21 giugno 2018, n. 40150, Salatino).
In continuità con questo indirizzo si sono espresse Cass. pen., sez. IV, 11 aprile 2023, n. 2658, Saitta, Cass. IV 15 novembre 2023, n. 49513, Pagano, Cass. pen, sez. IV, 15 novembre 2023, n. 49499, Platon, in relazione ai reati divenuti procedibili a querela a seguito del d.lgs. n. 150/2022, che hanno escluso la necessità di attendere i tre mesi, previsti dall'art. 85 del medesimo d.lgs., per verificare la volontà della persona offesa dal reato di proporre querela.
4. La competenza a dichiarare l'inammissibilità è del giudice dell'impugnazione. La disposizione in esame si limita ad affermare che «il giudice dell'impugnazione, anche di ufficio, dichiara con ordinanza l'inammissibilità».
La pronuncia di inammissibilità assumerà, peraltro, la forma dell'ordinanza o quella della sentenza a seconda dello stato processuale in cui venga assunta.
Affinché sia dichiarata l'inammissibilità dell'impugnazione, la legge non richiede che il procedimento debba svolgersi nelle forme previste dall'art. 127 c.p.p.
È, pertanto, legittima la declaratoria di inammissibilità dell'appello pronunciata de plano, senza l'instaurazione del contraddittorio nelle forme previste per il procedimento camerale dall'art. 127, non richiamato dall'art. 591, comma 2, c.p.p., che si limita – come si è detto – a disporre che il giudice adotta la pronuncia anche d'ufficio
Con l'ordinanza (o con la sentenza) il giudice dell'impugnazione deve anche disporre l'esecuzione del provvedimento impugnato.
Va ricordato, poi, che, a norma dell'art. 610, comma 5-bis, c.p.p., la Corte di cassazione dichiara l'inammissibilità, senza formalità di procedura, del ricorso nei casi previsti dall'art. 591, comma 1, lett. a), – limitatamente al difetto di legittimazione – lett. b), lett. c), c.p.p., esclusa l'inosservanza delle disposizioni dell'art. 581, e lett. d), c.p.p., nonché del ricorso contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti e contro la sentenza di concordato in appello pronunciata a norma dell'art. 599-bis, c.p.p.
Anche la declaratoria di inammissibilità per rinuncia può essere effettuata de plano ai sensi dell'art. 610, comma 5-bis, c.p.p., come modificato dalla l. 23 giugno 2017, n. 103, anche se l'atto impugnato rientri, ratione temporis, sotto il vigore della previgente disciplina che non prevedeva tale rito, trattandosi di causa di inammissibilità già prevista e riferendosi il novum introdotto nella disposizione citata, solo al procedimento dinanzi alla Corte di Cassazione e non al regime delle impugnazioni.
5. L'ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità va notificata all'autore dell'impugnazione e, nel caso di presentazione da parte dell'imputato, anche al difensore di questo. La notifica al difensore del provvedimento dichiarativo dell'inammissibilità è imposta solo quando questo assume la forma dell'ordinanza camerale, non quando assume la forma della sentenza dibattimentale. In quest'ultimo caso, infatti, il difensore presente all'udienza ha notizia dell'inammissibilità dalla pubblicazione del dispositivo ex art. 545 c.p.p. e comunque non ha diritto alla notifica, giacché ai sensi dell'art. 585, comma 2, lett. c), c.p.p., il termine per impugnare decorre per lui automaticamente dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o dal giudice per il deposito della sentenza.
La notificazione dell'ordinanza di inammissibilità dell'impugnazione proposta non attribuisce a questa giuridica esistenza ma rappresenta un adempimento esteriore, autonomo e successivo, che assolve alla funzione di dare notizia ai soggetti interessati della esistenza del provvedimento agli effetti della decorrenza del termine per presentare contro di esso ricorso per cassazione. Gli eventuali vizi di notifica dell'ordinanza, pertanto, non possono dedursi come motivi di nullità della stessa, attenendo il suddetto incombente al momento conoscitivo dell'atto e non al suo perfezionamento.
6. L'ordinanza è ricorribile per cassazione (non quindi revocabile dallo stesso giudice), mezzo con il quale, ad esempio, l'interessato può fare valere un errore di verifica in ordine all'esistenza della causa di inammissibilità.
Con il ricorso sono deducibili esclusivamente i vizi concernenti la stessa ordinanza, e non già i vizi relativi al provvedimento la cui impugnazione è stata dichiarata inammissibile. All'annullamento, da parte della Corte di cassazione, del provvedimento di inammissibilità dell'impugnazione, ancorché emesso con sentenza, consegue il rinvio allo stesso giudice che lo ha pronunciato, poiché si tratta di un provvedimento per il quale è normalmente prevista la forma dell'ordinanza e che, impedendo la prosecuzione del processo, richiede, in caso di sua invalidità, l'annullamento senza rinvio con la trasmissione degli atti al giudice che avrebbe dovuto conoscere dell'impugnazione.
7. L'inammissibilità, quando non è stata rilevata dal giudice dell'impugnazione, può essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento (comma 4).
Nel giudizio di rinvio non possono tuttavia rilevarsi inammissibilità verificatesi nei precedenti giudizi (v. art. 627, comma 4, c.p.p.). Costituisce caso di ricorso per cassazione il motivo concernente l'inosservanza di norme previste a pena di inammissibilità (art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p.).
Condanna alle spese nei giudizi di impugnazione (art. 592 c.p.p.)
L'art. 592 c.p.p. disciplina la condanna alle spese.
1. Con il provvedimento che rigetta o dichiara inammissibile l'impugnazione, la parte privata che l'ha proposta è condannata alle spese del procedimento (art. 592, comma 1, c.p.p.).
Esempi
Morte dell'imputato
La morte del ricorrente, intervenuta nel corso del giudizio di legittimità, rende inammissibile l'impugnazione ed esclude la possibilità della condanna alle spese e alla sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende (Cass. pen., sez. I, 11 novembre 2010, n. 42313, Di Marco)
Allorché l'appello della parte civile sia stato dichiarato inammissibile per la morte dell'imputato assolto in primo grado, non può essere pronunciata condanna alle spese processuali nei confronti di tale soggetto, qualora l'impugnazione sia stata proposta quando l'imputato era ancora in vita (Cass. pen., sez. I, 29 settembre 2010, n. 36220, Grasso)
La parte pubblica è per principio esonerato dalla responsabilità per le spese.
Non può essere condannato alle spese il difensore.
Il minorenne è esonerato dal pagamento delle spese processuali (Cass. pen., sez. un., 31 maggio 2000, n. 15, Radulovic, che, anche con riguardo alla sanzione pecuniaria in caso di inammissibilità del ricorso per cassazione, così interpreta l'espressione «sentenza di condanna» contenuta nell'art. 29 d.lgs. 28 luglio 1989, n. 272).
Al parziale accoglimento dell'impugnazione dell'imputato deve conseguire l'esclusione della sua condanna alle spese del procedimento di impugnazione. Il parziale accoglimento dell'impugnazione dell'imputato non elimina la condanna, sicché – pur impedita la sua condanna al pagamento delle spese processuali – è consentita la condanna dello stesso alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di impugnazione, in base alla decisiva circostanza della mancata esclusione del diritto della parte civile, salvo che il giudice non ritenga di disporne, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale, sulla base di un potere discrezionale attribuito dalla legge e il cui esercizio non è censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (Cass. pen., sez. un., 30 aprile 1997, n. 6402, Dessimone).
Quando il ricorso dell'imputato viene dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, ne va disposta la condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, anche se i motivi di ricorso da lui proposti riguardino esclusivamente la pena inflitta, purché la domanda di restituzione o risarcimento del danno sia stata accolta in sede di merito e, in sede di legittimità, la stessa parte civile abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un'attività diretta a contrastare la pretesa dell'imputato per la tutela dei propri interessi (Cass. pen., sez. un., 28 gennaio 2004, n. 5466, Gallo con riguardo al procedimento che si svolge dinanzi alla Corte di cassazione in camera di consiglio nelle forme previste dagli artt. 610 e 611 c.p.p.).
Il tenore letterale dell'art. 592, comma 1, c.p.p., non lascia dubbi in ordine alla responsabilità per le spese processuali della parte civile che abbia proposto una impugnazione rigettata o dichiarata inammissibile, senza possibilità di distinguere il caso in cui l'impugnazione della parte civile sia o no accompagnata anche dalla impugnazione del pubblico ministero (Cass. pen., sez. un., 25 ottobre 2005, n. 41476, P.G. e p.c. in proc. Misiano).
2. I coimputati che hanno partecipato al giudizio a norma dell'art. 587 c.p.p. sono condannati alle spese in solido con l'imputato che ha proposto l'impugnazione (art. 592, comma 2, c.p.p.).
E', dunque, stabilita la responsabilità solidale per le spese processuali anche a carico dei coimputati che hanno partecipato attivamente al giudizio in conseguenza dell'effetto estensivo della impugnazione, quando questa sia stata rigettata o dichiarata inammissibile. Ciò significa che il legislatore pone a carico solidale dell'imputato le spese del giudizio di impugnazione, anche quando questi non promuove il giudizio, ma si limita a partecipare ad esso in virtù dell'effetto estensivo dell'impugnazione. Si può dire a rigore che in tal caso l'imputato è responsabile delle spese processuali non perché ha dato causa al giudizio, ma perché è stato causa (o concausa) delle spese del giudizio.
3. L'imputato che nel giudizio di impugnazione riporta condanna penale è condannato alle spese dei precedenti giudizi, anche se in questi sia stato prosciolto (art. 592, comma 3, c.p.p.).
Nei giudizi di impugnazione per i soli interessi civili la parte privata soccombente è condannata alle spese (art. 592, comma 4, c.p.p.).
Per emendare la sentenza che abbia erroneamente statuito in tema di condanna al pagamento delle spese processuali (e della sanzione pecuniaria per l'inammissibilità del ricorso per cassazione) può farsi ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui all'art. 130 c.p.p., trattandosi di rettifica che non incide sul contenuto intrinseco della decisione ma su una pronuncia consequenziale ed accessoria ad essa, non implicante alcuna valutazione discrezionale da parte del giudice (Cass. pen., sez. un., 31 maggio 2000, n. 15, Radulovic).
Anche in caso di omissione, nella sentenza di applicazione concordata della pena, di condanna dell'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, è possibile fare ricorso alla procedura di correzione dell'errore materiale, sempre che non emergano specifiche circostanze idonee a giustificare l'esercizio della facoltà di compensazione, totale o parziale, delle stesse (Cass. pen., sez. un., 31 gennaio 2008, n. 7945, Boccia).
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Sommario
Regole generali (art. 568 c.p.p.)
Ricorso immediato per cassazione (art. 569 c.p.p.)
Impugnazione del pubblico ministero (art. 570 c.p.p.)
Impugnazione dell'imputato (art. 571 c.p.p.)
Richiesta della parte civile o della persona offesa (art. 572 c.p.p.)
Impugnazione per gli interessi civili (artt. 573 – 575 c.p.p.)
Impugnazione della parte civile e del querelante (artt. 576 e 572 c.p.p.)
Impugnazione della persona offesa per i reati di ingiuria e diffamazione (art. 577 c.p.p.)
Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione e nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione (art. 578 c.p.p.)
Decisione sulla confisca in casi particolari nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione (art. 578-bis c.p.p.)
Decisione sulla confisca e sul sequestro nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione (art. 578-ter c.p.p.)
Impugnazione di sentenze che dispongono misure di sicurezza (art. 579 c.p.p.)
Conversione del ricorso in appello (art. 580 c.p.p.)