E' valida la clausola compromissoria per arbitrato estero contenuta nello statuto di una società italiana?

09 Settembre 2024

In assenza di precedenti di legittimità, la Cassazione è chiamata a decidere se se sia valida - o meno - la clausola compromissoria contenuta nello statuto di una società italiana che devolve ad arbitri stranieri la soluzione delle eventuali liti tra la società e i suoi organi.

Massima

In tema di validità della devoluzione ad arbitrato estero, mediante clausola compromissoria contenuta nello statuto di una società italiana, delle eventuali controversie tra società e suoi organi, la Corte di cassazione ha dato atto della sussistenza sul punto di contrastanti opinioni della dottrina e, rilevando che sulla questione giuridica non esistano precedenti di legittimità, ha rimesso la questione alla pubblica udienza.

Il caso

Tizio ha impugnato per cassazione la sentenza della Corte di appello che ha respinto l'opposizione da lui proposta, ai sensi dell'art. 840 c.p.c., avverso il decreto ex art. 839 c.p.c. con cui il Presidente di quella Corte aveva dichiarato efficace in Italia il lodo finale pronunciato dal Tribunale Arbitrale di Ginevra in una controversia avente per oggetto l'accertamento della responsabilità degli organi amministrativi di una società per azioni italiana di cui l'attore era socio.

La questione

La questione in esame è la seguente: se sia valida, o meno, la clausola compromissoria contenuta nello statuto di una società italiana che devolve ad arbitri stranieri la soluzione delle insorgende liti tra la società e i suoi organi.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione, nell’ordinanza in commento, ha ritenuto che sulla questione giuridica non vi siano precedenti e sussistano, invece, contrastanti opinioni della dottrina e, pertanto, ha rimesso la questione alla pubblica udienza.

Osservazioni

La questione che la Prima sezione della Corte di cassazione, in una prossima pubblica udienza, sarà chiamata a risolvere per effetto dell'ordinanza interlocutoria in commento, riguarda la validità della clausola compromissoria contenuta nello statuto di una società italiana che devolve le controversie tra la stessa società e i suoi organi a un arbitrato estero.

La questione più generale, inerente alla validità dell'arbitrato estero oggetto di compromesso nell'ambito di un contratto stipulato in Italia, è stata affrontata da lungo tempo dalla giurisprudenza della Corte di cassazione e, generalmente, risolta in senso positivo.

La Corte Suprema, infatti, già con la sentenza n. 470 del 1970 ha statuito che «l'art 11 della Convenzione di New York del 10 giugno 1958 per il riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, resa esecutiva in Italia con la l. n. 62/1968, nel riconoscere validità alle clausole compromissorie per arbitrato estero, riconosce la giurisdizione esclusiva a favore dell'arbitro straniero, in quanto fa obbligo al giudice nazionale, investito della cognizione di una controversia cosi compromessa, di rinviare la controversia stessa allo arbitro su istanza anche di una sola delle parti». Un'affermazione che si basa sul presupposto che, una volta acclarato che il diritto di cui si è disposto nel compromesso è di natura disponibile, la relativa clausola di devoluzione va giudicata valida e meritevole di tutela, siccome espressione del principio di libertà e di autonomia contrattuale che il nostro ordinamento generalmente riconosce ai privati nell'art. 1322 c.c.

Un'ipotesi ricostruttiva che la Corte ha mantenuto immutata nel tempo, essendosi di recente ribadito, con la pronuncia delle Sezioni Unite Cass. civ., sez. un., 27 maggio 2022, n. 17244, che «il fondamento di qualsiasi arbitrato – e quindi anche di quello internazionale – è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti, la quale soltanto consente di derogare al precetto contenuto nell'art. 102 Cost., costituendo uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all'art. 24, comma 1, Cost.; con la conseguente impossibilità di individuare la fonte dell'arbitrato in una volontà autoritativa, e la necessità di attribuire alla norma di cui all'art. 806 c.p.c. il carattere di principio generale, costituzionalmente garantito, dell'intero ordinamento».

Un principio di disponibilità del diritto che rende, pertanto, legittima la clausola devolutiva della risoluzione della controversia a un arbitrato, anche estero, ma che, proprio in ragione del suo carattere derogabile, consente anche di ritenere – come nella fattispecie decisa dalle citate Sezioni Unite – che la clausola compromissoria possa essere resa inoperante dalle stesse parti per fatti concludenti ovvero attraverso la rinuncia ad eccepirne l'operatività, accettando che sulla questione si pronunci quindi l'autorità giudiziaria ordinaria italiana.

Non vanno, quindi, confusi i due piani di indagine che si pongono in presenza di un arbitrato estero che abbia deciso una lite insorta tra due o più soggetti italiani.

Un primo piano di indagine è inerente alla validità della clausola di deroga alla giurisdizione italiana, in relazione alla quale va valutato, come visto, il profilo della natura del diritto di cui si è disposto, se disponibile o meno.

Un secondo piano di indagine attiene alla delibazione del lodo reso dagli arbitri stranieri, in relazione al quale va valutato se, ed eventualmente in che limiti, la decisione resa abbia violato i principi generali dell'ordine pubblico e, più in generale, le norme inderogabili che presidiano ogni giudizio di exequatur.

La prima analisi, quindi, attiene in astratto alla validità della deroga alla giurisdizione italiana e alla legittimità dell'applicazione del diritto straniero identificato ai fini della soluzione della controversia.

La seconda analisi attiene al “merito” della controversia decisa e indaga la compatibilità del procedimento seguito dagli arbitri per emanare il lodo con le “regole minime inderogabili” che ogni decisione straniera deve rispettare per poter ottenere riconoscimento nel nostro ordinamento.

Tenendo ben presente questa distinzione, l'indagine sulla prima delle due questioni, che è oggetto della rimessione in commento, non trova effettivamente precedenti specifici in sede di legittimità, non essendosi mai la Corte Suprema pronunciata sul tema della validità di una clausola compromissoria per arbitrato estero contenuta nello statuto di una società italiana.

La questione risulta invece affrontata dalla giurisprudenza di merito.

La Corte app. Genova, sez. I, 9 luglio 2020, n. 650, si è pronunciata dichiarando la validità della clausola, secondo tre diversi argomenti (riassunti da Bertoldi, op. cit. in Riferimenti):

  1. la clausola arbitrale da cui aveva tratto origine il giudizio arbitrale consente di distinguere tra legge sostanziale applicabile al merito della controversia (nella specie, quella italiana, esplicitamente indicata dalle parti) e legge processuale cui risulta assoggettato il procedimento, coincidente con quella della sede dell'arbitrato (qui, il diritto svizzero);
  2. la convenzione di arbitrato è un negozio di diritto sostanziale e la sua validità deve essere valutata alla stregua delle sole norme sostanziali proprie dell'ordinamento scelto dalle parti quale legge applicabile all'oggetto litigioso e alla decisione di merito;
  3. gli artt. 34 e ss. d.lgs. n. 5/2003, consentono di distinguere tra disposizioni di tipo sostanziale che regolano la clausola compromissoria statutaria, da osservarsi, a pena di invalidità della convenzione, anche nel caso di arbitrato non italiano, e norme meramente attinenti al procedimento, di cui le parti potrebbero escludere l'applicazione tramite la localizzazione all'estero della sede dell'arbitrato.

La pronuncia evidenzia, quindi, che l'inderogabilità prevista dal d.lgs. n. 5/2003 si riferisce solo alla disciplina nazionale applicabile, ma non escluderebbe in alcun modo che le parti possano liberamente pattuire che la risoluzione delle controversie nascente dal patto sia affidata a un ordinamento estero.

Una volta affermata la validità della clausola compromissoria, con ogni evidenza in sede di exequatur l'autorità giudiziaria nazionale sarebbe comunque chiamata a verificare la riconoscibilità della pronuncia e, quindi, l'assenza di violazione di quei principi generali che costituiscono il minimo inderogabile per poter riconoscere efficacia in Italia a una pronuncia resa da giudici (professionali e non) stranieri.

L'orientamento della dottrina sul punto, come correttamente afferma l'ordinanza in commento, non è unanime, essendovi chi (Benedettelli, op. cit. in Riferimenti), sulla base dell'impostazione tradizionale dell'arbitrato estero, aderisce all'ipotesi ricostruttiva delle disposizioni del d.lgs. n. 5/2003 propugnata dalla Corte genovese e chi (Bertoldi, op. cit. in Riferimenti), invece, sottopone a critica tale interpretazione, propugnando una lettura estensiva dell'inderogabilità, che abbracci anche l'invalidità della stipulazione di clausole di deroga preventiva alla territorialità dello Stato italiano anche per la sede dell'arbitrato cui è devoluta la competenza a decidere.

Va, infine, ricordata l'autorevole opinion di chi (Rordorf op. cit. in Riferimenti) ha di recente lamentato che la c.d. Riforma Cartabia abbia perso l'occasione di sciogliere i dubbi che in tema di arbitrato societario sono sorti in questi venti anni dalla sua introduzione e che, tuttavia, sullo specifico tema oggetto della presente riflessione, appare propendere per la validità delle clausole in questione siccome rinveniente dalla libera disponibilità dei diritti compromessi in arbitri.

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