Provvedimento di restituzione di beni sequestrati e decreto di ispezione per una nuova acquisizione

Cesare Parodi
19 Settembre 2024

Criticità e profili problematici.

Massima

E' illegittimo il decreto di ispezione informatica con il quale il pubblico ministero, prima di disporre la restituzione della “copia forense” dei dati acquisiti tramite il sequestro probatorio di telefoni cellulari, annullato dal tribunale del riesame, acquisisca nuovamente i medesimi dati, trattandosi di provvedimento inosservante della decisione giurisdizionale con conseguente venir meno del potere dell'organo inquirente di incidere ulteriormente sul bene, neppure soggetto a confisca obbligatoria, sicché l'acquisizione di tali dati configura la violazione della sfera di libertà e segretezza della corrispondenza, al di fuori dei presupposti stabiliti dall'art. 15 Cost. (In motivazione, la Corte ha precisato che le “chat” in tal modo acquisite, affette da “inutilizzabilità patologica”, non sono utilizzabili nella fase delle indagini e a fini cautelari).

Il caso

La S.C. è stata chiamata a pronunciarsi in un procedimento avente ad oggetto reati contro la p.a.; in particolare, la Procura della Repubblica, dopo l'annullamento ad opera del T.L. di un sequestro di telefoni cellulari (la cui analisi aveva consentito di individuare elementi di prova posti a fondamento di misure cautelari) avendo quest'ultimo organo annullato, per carenza di motivazione, il provvedimento di sequestro con conseguente restituzione agli aventi diritto, disponeva ispezione telematica dei cellulari, prima di procedere alla restituzione della copia forense. In esito all'ispezione veniva acquisito nuovamente il contenuto dei device.

La questione

Con il ricorso, la difesa eccepiva – tra l'altro – la palese violazione del provvedimento del riesame con conseguente inutilizzabilità "patologica" degli elementi indiziari acquisiti con l'ispezione e – conseguentemente – rilevava il venir meno della piattaforma indiziaria legittimante l'applicazione della misura custodiale. Rilevava, inoltre che la l'ordinanza impugnata non aveva considerato la corretta natura della messaggistica whatsapp, da considerarsi – ai sensi della sentenza della Corte cost. n. 170/2023 – non già come mero "documento" (art. 234 c.p.p., come erroneamente ritenuto dal Tribunale del riesame) ma quale corrispondenza informatica, assoggettata quindi alla disciplina del sequestro ex art. 254 c.p.p. che non era stato però disposto. Rilevava, inoltre, come la motivazione del provvedimento di sequestro originariamente disposto risultasse del tutto carente e incongrua e che tale criticità si rifletteva sul successivo decreto di ispezione.

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso è stato accolto, con conseguente annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale del riesame per una nuova valutazione sulla sussistenza dei presupposti dell'ordinanza cautelare personale, tenuto conto dei non utilizzabilità di alcuni elementi indiziari (contenuto dei cellulari). In concreto, la S.C. non si è occupata della patologia legata all'originario decreto di sequestro – giudicato nullo per carenza di motivazione – ritenendo assorbente al riguardo il motivo di ricorso legato alla sostanziale “reiterazione” dell'atto di apprensione dei dati attraverso lo strumento del decreto di ispezione.

Rileva la S.C., al proposito, che il provvedimento di ispezione disposto dal P.M. ha integrato una violazione del provvedimento giurisdizionale, "neutralizzandone" gli effetti attraverso l'utilizzo – improprio – di un atto di ricerca della prova, che era stato ritenuto, dal tribunale del riesame reale, nullo per carenza di motivazione. Un decreto, pertanto, destinato a elidere gli effetti- in concreto- del provvedimento del T.L.

In particolare, poi, la decisione richiama la sentenza della Corte cost. n. 170/2023 nonché quanto precisato dalla S.U. nelle due pronunce che si sono occupate dell'utilizzo della messaggistica "Sky ECC" (Cass. pen., sez. un., nn. 23755 e 23756/2024), per ribadire che le chat costituiscono non mera documentazione acquisibile ex art. 234 c.p.p., ma "corrispondenza informatica" che quindi doveva essere acquisita attraverso un provvedimento di sequestro ex art. 254 c.p.p., nella specie non intervenuto. Al riguardo, la S.C. dimostra di non condividere la prospettazione della P.G., che ha sostenuto che il principio di cui sopra si riferirebbe esclusivamente all'ambito applicativo delle guarentigie apprestate dall'art. 68 Cost. in favore del parlamentare. La decisione ripropone così, in via integrale, l'argomentazione della Corte cost. sul punto:

«In linea generale, che lo scambio di messaggi elettronici – e-mail, SMS, WhatsApp e simili – rappresenti, di per sé, una forma di corrispondenza agli effetti degli artt. 15 e 68, comma 3, Cost. non può essere revocato in dubbio. Posto che quello di «corrispondenza» è concetto ampiamente comprensivo, atto ad abbracciare ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) tra due o più persone determinate, attuata in modo diverso dalla conversazione in presenza, questa Corte ha ripetutamente affermato che la tutela accordata dall'art. 15 Cost. – che assicura a tutti i consociati la libertà e la segretezza «della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione», consentendone la limitazione «soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge» – prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato ai fini della trasmissione del pensiero, «aprendo così il testo costituzionale alla possibile emersione di nuovi mezzi e forme della comunicazione riservata» (sentenza n. 2/2023). La garanzia si estende, quindi, ad ogni strumento che l'evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini comunicativi, compresi quelli elettronici e informatici, ignoti al momento del varo della Carta costituzionale (sentenza n. 20/2017; già in precedenza, con riguardo agli apparecchi ricetrasmittenti di debole potenza, sentenza n. 1030/1988; sulla libertà del titolare del diritto di scegliere liberamente il mezzo con cui corrispondere, sentenza n. 81/1993). Posta elettronica e messaggi inviati tramite l'applicazione WhatsApp (appartenente ai sistemi di cosiddetta messaggistica istantanea) rientrano, dunque, a pieno titolo nella sfera di protezione dell'art. 15 Cost., apparendo del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi. La riservatezza della comunicazione, che nella tradizionale corrispondenza epistolare è garantita dall'inserimento del plico cartaceo o del biglietto in una busta chiusa, è qui assicurata dal fatto che la posta elettronica viene inviata a una specifica casella di posta, accessibile solo al destinatario tramite procedure che prevedono l'utilizzo di codici personali; mentre il messaggio WhatsApp, spedito tramite tecniche che assicurano la riservatezza, è accessibile solo al soggetto che abbia la disponibilità del dispositivo elettronico di destinazione, normalmente protetto anch'esso da codici di accesso o altri meccanismi di identificazione».

Il percorso logico sviluppato dalla decisione si completa attraverso l'analisi di due ulteriori aspetti, il primo dei quali di specifico interesse. La S.C. considera il principio di carattere generale (c.d. male captum, bene retentum) per il quale, un atto illegittimo di perquisizione compiuto ad opera della polizia giudiziaria non comporterebbe effetti invalidanti sul successivo sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, trattandosi di atto dovuto a norma dell'art. 253, comma 1, c.p.p. (Cass. pen., sez. un., n. 5021/1996, Rv. 204644, e da ultimo, v. Cass. pen., n. 16065/2020, Rv. 278996-01). Nondimeno, la sentenza precisa che il decreto di ispezione determina comunque acquisizione di dati illegittima, in quanto effettuata in violazione del provvedimento del Tribunale del riesame che, «avendo annullato il sequestro e disposto la restituzione del telefono all'avente diritto, ha privato il Pubblico ministero del potere di ulteriormente incidere sul bene che – non avendo natura intrinsecamente criminosa, ma essendo stato, eventualmente, utilizzato per commettere il reato – non è neppure soggetto a confisca obbligatoria».

Infine, la decisione affronta il tema della utilizzabilità di elementi acquisiti in modo illegittimo nella fase delle indagini e a fini cautelari, riconducendo, nel caso di specie, tali elementi nell'alveo della c.d. “inutilizzabilità patologica" (al riguardo. Cass. pen., sez. un., n. 16/2000 e, recentemente Cass. pen., sez. III, n. 44926/2023, Rv. 285316-02) da rilevarsi anche in sede cautelare.

Si tratterebbe, in particolare, non solo di "prove oggettivamente vietate", quanto formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati dalla "legge”, specie laddove acquisite in violazione dei diritti tutelati in modo specifico dalla Costituzione. La decisione rammenta che la Corte costituzionale con la sentenza n. 34/1973 ha ravvisato «l'esistenza di "divieti" probatori ricavabili in modo diretto dal dettato costituzionale, enunciando il principio per cui attività compiute in dispregio dei fondamentali diritti del cittadino non possono essere assunte di per sé a giustificazione e fondamento di atti processuali a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito". Il suddetto principio – come già detto – ha consentito l'elaborazione della categoria delle prove cosiddette incostituzionali, cioè di prove ottenute attraverso modalità, metodi e comportamenti realizzati in violazione dei

fondamentali diritti del Cittadino garantiti dalla Costituzione, da considerarsi perciò inutilizzabili nel processo».

Nel caso specie si è trattato di una violazione illegittima della sfera di riservatezza in contrasto con il principio di cui all'art. 15 Cost., con oggetto la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, la cui “compressione” può avvenire solo per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge, laddove, al contrario, il decreto di ispezione è stato destinato a “svuotare” di contenuto il provvedimento del Tribunale del riesame, che già aveva rilevato l'assenza di idonea motivazione a fondamento  del sequestro probatorio, cosi ponendosi al di fuori del perimetro delle garanzie derivanti dall'art. 15 cit.

Osservazioni

Restano sullo sfondo della presente decisione, pur non avendola Corte ritenuto di ribadire i principi già enunciati in precedenti decisioni, le indicazioni fornite con riguardo alla proporzionalità necessaria per ritenere in qualche modo legittimo il provvedimento di sequestro da parte del pubblico ministero. Sul punto, la S.C. ha precisato che il sequestro probatorio di dispositivi informatici o telematici che comporti l'acquisizione indiscriminata di un'intera categoria di informazioni ivi contenute, deve rispondere a criteri di adeguatezza e proporzionalità e deve essere, pertanto adottato con provvedimento che contenga a) le ragioni per cui è necessario disporre un sequestro esteso e onnicomprensivo o, in alternativa le specifiche informazioni oggetto di ricerca; b) i criteri che devono presiedere alla selezione dei materiale informatico archiviato nel dispositivo, giustificando, altresì, l'eventuale perimetrazione temporale dei dati di interesse in termini sensibilmente difformi dal perimetro temporale dell'imputazione provvisoria; c) i tempi entro cui verrà effettuata tale selezione con conseguente restituzione anche della copia informatica dei dati non rilevanti (sul tema v. Cass. pen., sez. VI, 15 febbraio 2024, n. 17312, ivi, 20 maggio 2024).

Nel caso di specie la decisione della Corte si ferma ad un passaggio immediatamente precedente alla riaffermazione dei principi sopraesposti, in quanto sottolinea la necessità per il pubblico ministero di rispettare il provvedimento del tribunale della libertà, precisando non solo che le criticità del provvedimento originario non possono essere “accantonate” attraverso un decreto di ispezione. Il dubbio che l'interprete deve porsi riguardo, tuttavia, la valutazione astratta di una differente scelta da parte dell'ufficio requirente. Quid iuris se il P.M. avesse disposto un nuovo provvedimento di sequestro in totale adesione dei principi enucleati dalla S.C.? La decisione della S.C. sarebbe stata differente? Sarebbe stato comunque riconosciuto uno “svuotamento” degli effetti del provvedimento del T.L. o un eventuale ricorso avrebbe dovuto verificare la rispondenza del nuovo sequestro al quadro delineato in termini generali dalle indicazioni ermeneutiche della S.C.?

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