Tariffe forensi: si applicano anche agli arbitri non avvocati?

19 Settembre 2024

Se gli arbitri sono tre e non sono tutti avvocati, che parametri si usano per liquidare il loro compenso? Possono usarsi le tabelle forensi anche per il componente del collegio che non sia avvocato? E inoltre: gli importi indicati nelle tabelle in calce al D.M. n. 55/2014 si intendono riferiti all'intero collegio arbitrale o al singolo arbitro?

Massima

In caso di collegio arbitrale a composizione mista (avvocati e non avvocati), se da un lato non sussiste l’obbligo di fare applicazione della tariffa forense (a meno che il collegio arbitrale sia composto da soli avvocati), questa tariffa ben può comunque essere applicata in via equitativa, essendo il giudice libero di scegliere, secondo il suo prudente apprezzamento, i criteri equitativi di valutazione che ritenga più adeguati all’oggetto e al valore della controversia, nonché alla natura e all’importanza dei compiti attribuiti agli arbitri, anche attraverso il ricorso, come utile parametro di riferimento, alle tariffe di alcune categorie professionali; ma una volta scelto di adeguarsi alle tariffe legali, queste devono essere applicate nella loro integrità.

Il caso

Un ingegnere e un architetto rendono dei servizi professionali a un Comune. Non venendo pagati, attivano la clausola compromissoria contenuta nel disciplinare di incarico, che prevede che le controversie debbano essere decise da un collegio arbitrale composto da tre persone. Si giunge così alla nomina del collegio arbitrale, con una composizione mista: un architetto e due avvocati. Viene pronunciato il lodo con il quale si dichiara cessata la materia del contendere per effetto dell'avvenuta composizione amichevole della controversia.

I tre arbitri (come detto: un architetto e due avvocati) chiedono di essere pagati dal Comune e, non riuscendo a essere pagati sulla base della richiesta meramente stragiudiziale, si rivolgono al Presidente del Tribunale di Caltanissetta ai sensi dell'art. 814 c.p.c. Il Presidente del Tribunale determina il compenso degli arbitri nell'importo complessivo di € 7.085, di cui € 2.834 per il presidente del collegio arbitrale e € 2.125,50 per ciascuno degli altri due arbitri.

Gli arbitri propongo reclamo alla Corte di appello di Caltanissetta contro la liquidazione effettuata dal Tribunale di Caltanissetta, sostenendo che l'importo di € 7.085 non debba essere diviso tra gli arbitri, ma spetti per l'intero a ciascuno dei tre arbitri: il compenso complessivo dell'intero collegio, insomma, sarebbe di poco più di € 21.000. La Corte di appello conferma la decisione di primo grado, cosicché gli arbitri si vedono costretti a rivolgersi alla Suprema Corte.

La Corte di cassazione cassa la decisione della Corte di appello di Caltanissetta, affermando che – se il tribunale arbitrale è composto da più persone e tra di esse vi è almeno un avvocato – si possono applicare le tariffe forensi a tutti i componenti del collegio arbitrale. Inoltre, la Suprema Corte stabilisce che ciascuno dei tre arbitri ha diritto di ottenere il pagamento dei compensi nella misura intera prevista dalle tabelle forensi. Non si divide dunque il compenso per tre, ma ciascuno degli arbitri – anche se non avvocato – ha diritto al compenso per intero.

La questione

Le questioni giuridiche trattate dalla Corte di cassazione sono se in caso di collegio arbitrale composto anche da non avvocati si applichino le tariffe forensi e se, in caso di pluralità di arbitri, il compenso previsto dalle tabelle forensi spetti al collegio come organo (e dunque gli importi vadano divisi per tre, essendoci tre arbitri) oppure se spetti a ciascun arbitro individualmente (e dunque gli importi non vadano divisi per tre).

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ritiene che, in caso di collegio arbitrale a composizione mista, all’interno del quale ci sia almeno un avvocato, si possa fare applicazione delle tariffe forensi anche a chi avvocato non è. Inoltre, dal momento che le tariffe forensi prevedono che il compenso spetta per l’intero a ciascun arbitro, il compenso fissato dalle tariffe non può essere diviso per i tre componenti del collegio arbitrale, ma deve essere riconosciuto a ciascuno di essi integralmente.

Osservazioni

Una delle preoccupazioni degli arbitri, una volta nominati e una volta accettato l'incarico, è quella di essere pagati per il lavoro svolto.

Diversamente difatti dai giudici, che vengono pagati dallo Stato, gli arbitri vengono pagati dalle parti.

La base normativa del diritto degli arbitri a essere pagati è l'art. 814 c.p.c., rubricato – quasi pudicamente – «diritti degli arbitri». Si tratta però, all'evidenza, di diritti di natura economica. Il comma 1 di questo articolo prevede che: «gli arbitri hanno diritto al rimborso delle spese e all'onorario per l'opera prestata, se non vi hanno rinunciato al momento dell'accettazione o con atto scritto successivo. Le parti sono tenute solidalmente al pagamento, salvo rivalsa tra loro».

Il rimborso delle spese normalmente non è particolarmente rilevante dal punto di vista economico. Più sentita è invece l'esigenza del pagamento dell'onorario. Da questa disposizione emerge che l'incarico dato agli arbitri è a titolo oneroso. Nulla vieta peraltro di rinunciare, in tutto o in parte, al compenso. Il dovere di pagare gli arbitri è di ambo le parti, tenute in via solidale. Si immagini che il compenso complessivo per l'arbitro sia di € 10.000. Normalmente verranno inviate due distinte note proforma: la prima per € 5.000 all'attore e la seconda per € 5.000 al convenuto. Se però una delle parti non paga spontaneamente, spetta all'altra parte farsi carico – per rimanere all'esempio fatto - degli altri € 5.000 non versati.

L'art. 814, comma 2 c.p.c. specifica che «quando gli arbitri provvedono direttamente alla liquidazione delle spese e dell'onorario, tale liquidazione non è vincolante per le parti se esse non l'accettano. In tal caso, l'ammontare delle spese e dell'onorario è determinato con ordinanza dal presidente del tribunale indicato nell'articolo 810, secondo comma, su ricorso degli arbitri e sentite le parti».

Il comma 2 dell'art. 814 c.p.c. ha trovato applicazione proprio nella ordinanza della Corte di cassazione oggetto di questo breve commento. Poiché il Comune non pagava gli arbitri, questi si sono rivolti al presidente del tribunale.

Entrando nel merito della vicenda, la prima questione trattata dalla Corte di cassazione è quali tariffe applicare nel caso il collegio arbitrale sia composto non da soli avvocati, ma anche da professionisti diversi.

Si ricorderà che, nel caso di specie, dei tre arbitri due erano avvocati, ma un terzo arbitro era un architetto. Ora, verrebbe naturale affermare che le tariffe forensi non possano applicarsi a un architetto. Del resto, vale anche il contrario: appare difficile che il compenso di un avvocato possa essere liquidato in base alle tariffe vigenti per gli architetti. La Corte di cassazione parte però dalla considerazione che il compenso degli arbitri può essere liquidato equitativamente dal giudice e la liquidazione equitativa non è, di per sé, legata all'applicazione di determinate tabelle. Ne consegue che, prendendo come parametro di equità le tariffe valevoli per gli avvocati, nulla vieta di usare detti parametri anche per professionisti diversi. Del resto, il lavoro svolto dai due avvocati e dall'architetto nel caso di specie è esattamente il medesimo: in qualità di arbitri, decidere la controversia insorta tra le parti. Ma se il lavoro svolto è il medesimo, non ci sono ragioni per distinguere in relazione all'ammontare dei compensi. Semmai, la distinzione utile è quella tra presidente del collegio arbitrale, cui spettano i compiti più gravosi (come condurre il procedimento arbitrale e scrivere la bozza di lodo), e gli altri due arbitri.

Il D.M. n. 55/2014 definisce le tariffe per gli onorari degli avvocati e una parte delle tabelle concerne proprio i procedimenti arbitrali.

Più precisamente, la tabella n. 26 in calce al D.M. n. 55/2014 riguarda l'arbitrato, prevedendo un compenso che varia - com'è logico che sia - a seconda dal valore della controversia. La tabella n. 26 non si sofferma però in alcun modo sulla differente situazione che si ha in presenza di un solo arbitro oppure di un collegio arbitrale composto di tre arbitri.

L'art. 23, comma 1, D.M. n. 55/2014 spiega che «se più avvocati sono stati incaricati di prestare la loro opera nel medesimo affare, a ciascuno di essi si liquidano i compensi per l'opera prestata». Applicando questo principio anche agli avvocati che svolgono il ruolo di arbitro, ecco allora che gli importi elencati nella tabella n. 26 spettano sì certamente all'arbitro unico, ma anche - nel caso vi siano più arbitri - a ciascuno di essi singolarmente.

Con le modifiche alle tariffe forensi in vigore dall'aprile 2018, questa tematica è stata peraltro chiarita in modo espresso dal decreto ministeriale.

L'art. 10, comma 1, D.M. n. 55/2014 prevede che «per i procedimenti arbitrali rituali e irrituali, a ciascun arbitro è dovuto il compenso previsto sulla base dei parametri numerici di cui alla tabella allegata». Non sussistono dunque più dubbi che tutti e tre gli arbitri abbiano diritto di essere pagati nella misura intera indicata dalle tabelle, senza dover dividere per tre gli importi.

Secondo la Corte di cassazione quanto ora risulta in modo espresso dal decreto ministeriale si applica anche ai procedimenti arbitrali anteriori all'aprile 2018, come quello oggetto dell'ordinanza della Suprema Corte in commento. La riforma del 2018 ha difatti anche la funzione di rimuovere alcuni dubbi interpretativi generati dalla vecchia versione delle tariffe forensi.

La Corte di cassazione conclude il suo ragionamento chiarendo che se tutti i componenti del collegio arbitrale sono avvocati si devono obbligatoriamente applicare le tariffe forensi quali risultanti dal D.M. n. 55/2014.

In questo senso la Corte di cassazione si era peraltro già espressa un paio di anni prima (Cass. civ., sez. I, 13 aprile 2022, n. 11963) statuendo che agli arbitri che siano anche avvocati il compenso deve essere liquidato in base alla tariffa professionale forense, senza possibilità per il presidente del tribunale che procede alla liquidazione di fare ricorso a criteri equitativi. Se però uno (o due) dei componenti del collegio arbitrale non è un avvocato, la liquidazione dei compensi può seguire criteri equitativi. E le tabelle forensi possono essere usate come base di una valutazione equitativa di quanto sia giusto pagare gli arbitri, anche quello tra essi che avvocato non è.

Del resto sono persone che, seppure con professionalità diverse, hanno svolto il medesimo lavoro.

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