La delibera condominiale che autorizza l'amministratore a promuovere un giudizio vale per tutti i gradi

24 Settembre 2024

Confermando l'orientamento espresso in precedenza dai giudici di legittimità, sia pure con i doverosi distinguo all'interno delle attribuzioni di competenza o meno dell'amministratore, la Cassazione, con l'ordinanza in commento, ha dichiarato infondata l'eccezione di inammissibilità del controricorso per cassazione, proposto da un amministratore di condominio, la cui legittimazione processuale non era stata mai contestata nei gradi di merito, riguardo ad una fattispecie relativa ad una causa, promossa da un condomino, per vedersi risarcito il danno correlato all'infortunio occorsogli mentre scivolava dalle scale dell'edificio.

Massima

La delibera dell'assemblea condominiale, con la quale si autorizza l'amministratore a promuovere un giudizio, vale per tutti i gradi del giudizio stesso e conferisce, implicitamente, la facoltà di proporre ogni genere di impugnazione, compreso il ricorso per cassazione.

Il caso

Il giudizio - giunto all'esame del Supremo Collegio e deciso con l'ordinanza in commento - originava da una domanda, proposta da un condomino nei confronti del suo Condominio, volta al risarcimento dei danni subiti a causa del sinistro occorsogli allorquando, nel discendere le scale esterne dell'edificio condominiale, causa (in tesi difensiva) l'assenza di un corrimano e l'insidia determinata dall'incavo di alloggiamento dello zerbino, era caduto rovinosamente a terra, riportando lesioni che documentava.

Si costituiva in giudizio il Condominio, contestando qualsivoglia sua responsabilità nel determinismo del sinistro e chiedendo, comunque, l'autorizzazione a chiamare in causa la Compagnia assicurativa, affinché, in ipotesi di condanna, fosse dalla stessa garantita.

Si costituiva, altresì, la Compagnia terza chiamata, la quale si associava alle difese svolte dal proprio assicurato.

Il giudizio veniva istruito mediante l'acquisizione di documenti, audizione di testi, interrogatorio formale dell'amministratore condominiale, nonché mediante conferimento di incarico peritale.

Depositata la relazione di consulenza tecnica d'ufficio, il Tribunale rigettava la domanda, dichiarando integralmente compensate tra le parti le spese processuali.

Avverso la sentenza del giudice di primo grado, proponeva appello il condomino soccombente, deducendo la contraddittorietà della motivazione, la violazione ed errata applicazione degli artt. 2051 e 2043 c.c., nonché violazione dell'art. 112 c.p.c. per mancata considerazione e liquidazione delle pretese risarcitorie e delle spese processuali sostenute da parte attrice.

Si costituiva in giudizio il Condominio appellato, il quale, oltre a contestare l'impugnazione avversaria, proponeva appello incidentale avverso il capo concernente la compensazione delle spese processuali.

Anche la Compagnia assicurativa si costituiva in grado di appello, contestando a sua volta l'impugnazione avversaria e proponendo, a sua volta, appello incidentale avverso il capo concernente la compensazione delle spese processuali.

La Corte territoriale respingeva sia l'appello principale che quello incidentale, confermando la sentenza di primo grado e condannando il condomino appellante alla rifusione delle spese relative al grado in favore del Condominio.

Avverso la sentenza del giudice distrettuale, il soccombente proponeva, quindi, ricorso per cassazione.

La questione

Per quel che interessa queste brevi note - che non entrano nel merito della pretesa risarcitoria di cui sopra - si trattava, in via preliminare, di verificare l'eccezione di inammissibilità del controricorso spiegato dal Condominio sollevata dalla parte ricorrente in sede di memoria.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto tale eccezione infondata.

Invero, come si è avuto modo di precisare (Cass. civ., sez. II, 20 marzo 2017, n. 7095; Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 2014, n. 1451; Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 2005, n. 27292), in tema di condominio di edifici, l'amministratore in nome del condominio può agire in giudizio e proporre impugnazioni, nell'ambito delle attribuzioni conferitegli dall'art. 1130 c.c., anche senza apposita autorizzazione - e tale potere perdura anche nel caso di cessazione dalla carica, fino alla sostituzione - e, in particolare, l'esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientra fra le attribuzioni proprie dello stesso.

Tuttavia, l'amministratore, allorquando la causa esorbita dai limiti di attribuzione stabiliti dall'art. 1130 c.c., in caso di contestazione, deve dare la prova di essere autorizzato a promuovere l'azione contro i singoli condomini o terzi, mediante la produzione della delibera dell'assemblea condominiale dalla quale risulti che egli è l'amministratore e che gli è stato conferito mandato a promuovere l'azione giudiziaria.

A questa ipotesi, si riferisce la sentenza delle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 6 agosto 2010, n. 18331) che ha esplicitato la regola della necessità dell'autorizzazione assembleare, sia pure in sede di successiva ratifica.

Fermo restando che la persona fisica costituita in giudizio, che rilasci il mandato al difensore nella qualità di legale rappresentante dell'ente di gestione, in caso di mancata contestazione, non ha l'onere di dimostrare tale veste (Cass. civ., sez. II, 28 maggio 2003, n. 8520).

Ricordano in proposito i magistrati del Palazzaccio, sul solco di tale giurisprudenza, che:

a) la delibera condominiale con la quale si autorizza l'amministratore a promuovere un giudizio vale per tutti i gradi dello stesso, con implicito conferimento della facoltà di proporre impugnazione (Cass. civ., sez. II, 18 agosto 2005, n. 16983; Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 1987, n. 1416);

b) in considerazione della sua valenza generale, si è esteso tale principio, affermato con riferimento al giudizio di merito, anche al promovimento del giudizio di cassazione (Cass. civ., sez. V, 4 febbraio 2010, n. 2584).

In conformità ai suddetti principi, in forza dei cui presupposti essi senz'altro possono agevolmente comprendere i casi di costituzioni in qualità di convenuto a vario titolo nei gradi successivi - ad avviso degli ermellini - è evidente che, nel caso di specie, la legittimazione processuale dell'amministratore non risultava essere stata contestata in sede di giudizio di merito, sicché deve ritenersi che legittimamente l'amministratore aveva dato mandato al difensore ai fini della presentazione del controricorso de quo.

Osservazioni

Si prende spunto, dalla decisione in commento, per analizzare la tematica della legittimazione attiva dell'amministratore di condominio (in realtà, la massima ufficiale si riferisce al “promovimento del giudizio”, laddove invece il condominio era stato convenuto, e alla “facoltà di proporre ricorso per cassazione”, laddove, invece, il condominio aveva resistito con il controricorso).

Orbene, ai sensi dell'art. 1131, comma 1, c.c., i poteri processuali dell'amministratore, dal lato attivo, coincidono con la sfera delle sue attribuzioni, salvo che più ampi poteri non gli derivino dal regolamento condominiale o da un'apposita delibera assembleare.

Quindi, nella maggior parte dei casi, l'àmbito della predetta legittimazione attiva viene delimitato in relazione alla generale previsione dell'art. 1130 c.c. (v., ex multis Cass. civ., sez. III, 16 luglio 2002, n. 10274): in altri termini, l'amministratore è legittimato al promovimento del giudizio soltanto con riferimento a quelle azioni che costituiscono diretta esplicazione delle sue attribuzioni ordinarie.

D'altronde, se l'amministratore è abilitato a svolgere una serie di attività connaturali alle sue funzioni, appare coerente che sia autorizzato ad esercitare anche le azioni giudiziarie dirette allo svolgimento delle stesse; in buona sostanza, ai poteri di gestione si accompagna sempre la rappresentanza attiva in giudizio e, dunque, sussiste una perfetta coincidenza tra poteri di ordine sostanziale e processuale, in linea con quanto disposto dall'art. 77 c.p.c. secondo cui la rappresentanza nel processo può essere conferita solo a chi sia titolare del medesimo potere con riferimento al rapporto sostanziale controverso e dedotto in giudizio.

Pertanto, quando l'amministratore può agire in giudizio in difetto di una statuizione assembleare, poiché tale potere inerisce alla sua qualità, resta irrilevante accertare se sussista una delibera autorizzativa o se l'assemblea, con la quale egli sia stato eventualmente autorizzato a promuovere l'azione, sia stata o meno validamente costituita ed abbia o meno validamente deliberato.

Posto che l'assemblea possa ampliare i poteri processuali dell'amministratore, ci si è chiesti se la stessa possa introdurre limiti alla sfera di legittimazione attiva del suo rappresentante, quale delimitata dall'art. 1131 c.c.

Tenuto conto, però, che tale disposto è espressamente dichiarato inderogabile dal successivo art. 1138 c.c., sembra corretto concludere che le azioni che l'amministratore del condominio è legittimato a proporre in virtù delle sue normali attribuzioni non possano essere limitate dalla volontà assembleare (Cass. civ., sez. II, 13 giugno 1991 n. 6697), perciò la volontà della maggioranza di desistere dall'azione intrapresa dall'amministratore per la conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio condominiale non importa il dovere dell'amministratore di rinunciarvi, tanto più quando siano intervenuti in giudizio alcuni dei condomini dissenzienti (Cass. civ., sez. II, 10 luglio 1971, n. 2229).

Al riguardo, in un primo tempo, si era affermato che, se l'amministratore, per imperfetta conoscenza dei limiti della sua potestà di rappresentanza o per motivi di prudenza o di deferenza verso l'assemblea, avesse ritenuto necessario provocare il voto dell'assemblea medesima sull'opportunità di intentare il giudizio, si sarebbe imposto volontariamente una limitazione alla propria condotta, condizionando l'effettiva proposizione dell'azione al voto favorevole dell'assemblea, impegnandosi a rispettarlo, con la conseguenza che, se quest'ultima non avesse deliberato in tal senso, l'amministratore non avrebbe potuto più iniziare il giudizio sulla sola base del potere di rappresentanza attiva del condominio, oggetto invece di rinuncia (Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1958, n. 65).

In un secondo tempo, invece, si è ritenuto che l'amministratore possa agire in giudizio per la conservazione delle parti comuni e per l'osservanza del regolamento, anche se, sull'opportunità di esperire tale azione, abbia chiesto il voto favorevole dell'assemblea e questo gli sia stato negato, in quanto se la legge ha inteso conferire all'amministratore determinati poteri, non è concepibile che egli vi rinunci o demandi ad un altro organo l'esercizio dei poteri medesimi; la conservazione delle cose comuni o la disciplina del loro uso, infatti, è essenziale ai fini dell'esistenza del condominio, e non può essere rimessa ad una delibera dell'assemblea, nella quale, per contingenti circostanze, potrebbe formarsi una maggioranza che persegua un determinato interesse, contrario a quello della collettività condominiale (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 2 agosto 1989, n. 3646; Cass. civ., sez. II, 11 dicembre 1972, n. 3561; Cass. civ., sez. II, 9 aprile 1968, n. 1608).

Seguendo tale tesi, che appare maggiormente condivisibile, ai condomini non rimarrebbe altro rimedio, in casi del genere - salvo sottrarre all'amministratore una parte della gestione prevista dall'art. 1130 c.c. e poi su questa attribuire la rappresentanza ad un altro - se non provvedere alla revoca dell'amministratore o chiedergli il risarcimento dei danni che, in conseguenza della sua attività, abbiano risentito (anche se va riconosciuto che, se si conferisce all'amministratore - legato al condominio da un rapporto di mandato, come sancito, di recente, dal penultimo comma del novellato art. 1129 c.c. - il potere di disattendere il deliberato dell'assemblea, non si comprende a quel titolo lo si potrebbe ritenere responsabile dei danni conseguenti allo svolgimento di un'attività legittima).

Appare, quindi, discutibile l'affermazione secondo cui il regolamento condominiale (approvato per contratto o anche in virtù di delibera assembleare) possa legittimamente sottrarre all'amministratore il potere di decidere autonomamente in ordine al compimento di eventuali atti conservativi dei diritti inerenti le parti comuni dell'edificio, per conferirlo esclusivamente all'assemblea, subordinandolo alla delibera di questa l'esercizio da parte dell'amministratore della relativa azione giudiziaria, attesa la derogabilità da parte del regolamento condominiale della norma di cui all'art. 1130 c.c. sulle attribuzioni dell'amministratore, che ha carattere suppletivo e non imperativo (Cass. civ., sez. II, 8 settembre 1997, n. 8719).

Dunque, si deve ritenere che l'amministratore, nell'esplicazione delle sue attribuzioni, agisca nell'interesse di tutti i condomini, e che la tutela di tali interessi e le relative azioni non possano essere impedite da una delibera dell'assemblea adottata a maggioranza, sicché deve escludersi ogni ingerenza da parte dell'assemblea nell'àmbito del giudizio, salvo che il deliberato assembleare non sia rappresentativo dell'unanimità dei condomini, i quali intervengano nel processo determinando il correlativo venir meno del potere di rappresentanza dell'amministratore (nel senso che la facoltà dell'amministratore di rappresentare il condominio nell'ambito delle attribuzioni conferitegli dall'art. 1130 c.c. non sarebbe limitabile nemmeno per volontà dello stesso amministratore, v. Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1985, n. 1131, e Cass. civ., sez. II, 9 aprile 1968, n. 1068).

Anche se trattasi di iniziative processuali correlate, per lo più, alla posizione di convenuto nel giudizio, vale la pena accennare alla possibilità, per l'amministratore di condominio, di proporre la domanda riconvenzionale e la chiamata del terzo, in quanto situazioni connesse alla tematica in esame.

Con riferimento alla domanda riconvenzionale, la questione della relativa proponibilità va, infatti, risolta con riferimento ai generali criteri in materia di legittimazione attiva, conseguendone che l'amministratore, che rappresenta il condominio nel rapporto processuale instauratosi a seguito della citazione di quest'ultimo, non possa formulare domande riconvenzionali in relazione a situazioni giuridiche estranee alla sfera delle sue funzioni istituzionali, senza l'autorizzazione dell'assemblea (Cass. civ., sez. II, 20 ottobre 1969, n. 3432).

In altri termini, gli stessi limiti che incontra l'amministratore nel promovimento del giudizio trovano applicazione anche nell'ipotesi della riconvenzionale, stante che colui che agisce in riconvenzionale utilizza il processo assumendo la veste di attore (Cass. civ., sez. II, 24 ottobre 1978 n. 4807).

Così, ad esempio, nel caso di un'impugnativa, da parte di un condomino, di una delibera assembleare avente ad oggetto l'approvazione del bilancio consuntivo, l'amministratore convenuto, senza che sia necessaria alcuna delibera autorizzativa da parte dell'assemblea, se vuole ottenere giudizialmente la condanna dell'opponente al pagamento delle somme dal condomino medesimo dovute in base al relativo stato di riparto, deve spiegare l'apposita domanda riconvenzionale nei termini concessigli per la costituzione in giudizio, pena la preclusione dalla stessa pretesa in questo giudizio (salva sempre la possibilità di riscossione delle somme in questione autonomamente in un separato processo o in via monitoria).

Per quanto riguarda, poi, la chiamata del terzo su istanza del convenuto - che è quella statisticamente più frequente (come quella oggetto dell'ordinanza in commento) - si pensi al caso del condominio convenuto in giudizio da un condomino per sentire accertare la responsabilità in ordine alle infiltrazioni di umidità verificatesi a danno dell'immobile di proprietà dell'attore: se l'amministratore, per conto del suddetto condominio, intende farsi manlevare dal terzo, deve dichiarare la propria volontà di chiamare in garanzia la ditta appaltatrice dei lavori di impermeabilizzazione del terrazzo condominiale in ordine ad eventuali condanne al risarcimento dei danni subiti dal proprietario dell'appartamento sottostante a tale terrazzo (salva sempre, anche qui, la possibilità di agire in via autonoma nei confronti del terzo in una causa separata).

In ordine alla legittimazione dell'amministratore con riferimento alla chiamata in causa del terzo, si è orientati a riconoscere allo stesso amministratore tutte le facoltà che competono normalmente ad ogni convenuto - ivi compreso, ad esempio, l'esercizio dell'azione di rivalsa o di garanzia contro l'appaltatore dei lavori a cui è stata commessa la costruzione o la ristrutturazione dell'edificio - in modo che la tutela degli interessi condominiali risulti effettiva e completa.

In altri termini, si tratterà di volta in volta di verificare se la domanda nei confronti del terzo spiegata dall'amministratore sia da considerarsi come una pretesa distinta ed autonoma da quella proposta dall'attore - in tal caso, richiedendosi un'apposita procura al difensore, traducendosi in un'estensione dell'oggetto iniziale del giudizio - oppure sia semplicemente finalizzata a far valere un diritto ulteriore rispetto al thema decidendum già introdotto con la domanda principale.

In conclusione, in relazione alla legittimazione attiva dell'amministratore, si possono distinguere due situazioni:

a) azioni per le quali l'amministratore è legittimato ex se in forza degli artt. 1130 e 1131, comma 1, c.c.;

b) azioni la cui esperibilità è condizionata dall'ampliamento dei poteri rappresentativi dell'amministratore, a seguito di una previsione del regolamento di condominio o di una delibera dell'assemblea autorizzativa in tal senso.

Resta inteso - come ribadito dall'ordinanza in commento - che la delibera condominiale con cui si autorizza l'amministratore a promuovere un giudizio, sul presupposto che trattasi di controversie esulante le sue attribuzioni, vale per tutti i gradi del giudizio stesso e conferisce, implicitamente, la facoltà di proporre ogni genere di gravame, compreso il ricorso per cassazione; in quest'ottica, va dichiarata, quindi, l'inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dall'amministratore del condominio senza la preventiva autorizzazione assembleare, eventualmente richiesta anche in via di ratifica del suo operato, in ordine ad una controversia riguardante i crediti contestati del precedente amministratore revocato, in quanto non rientrante tra quelle per le quali è autonomamente legittimato ad agire ai sensi degli artt. 1130 e 1131, comma 1, c.c. (v., da ultimo, Cass. civ., sez. II, 21 maggio 2018, n. 12525).

Riferimenti

Monegat, Legittimazione attiva dell'amministratore, in Immob. & proprietà, 2014, 188;

De Tilla, Non occorre l'autorizzazione dell'assemblea per l'azione dell'amministratore per il rispetto del divieto regolamentare di parcheggio nel cortile, in Riv. giur. edil., 2012, I, 1407;

Poli, Limiti della legittimazione processuale dell'amministratore condominiale nelle cause che non potrebbe autonomamente proporre, in Riv. dir. proc., 2012, 504;

Scarpa, Rappresentanza dell'amministratore e legittimazione processuale, in Immob. & proprietà, 2012, 297;

Petrone, Sulla legittimazione processuale dell'amministratore di condominio il contrasto interpretativo persiste, in Giur. it., 2012, 310;

Salciarini, La legittimazione processuale dell'amministratore di condominio, in Immob. & diritto, 2011, fasc. 2, 28;

Vidiri, I poteri e la legittimazione processuale dell'amministratore di condominio: risoluzione di un contrasto e certezza del diritto, in Corr. giur., 2011, 193;

Piombo, L'incerta sorte dei poteri rappresentativi processuali dell'amministratore di condominio, dopo l'intervento delle Sezioni Unite della Cassazione, in Foro it., 2010, I, 3364;

Guida, Amministratore, legittimazione ad agire e limiti alla rappresentanza in giudizio, in Immob. & diritto, 2007, fasc. 4, 31;

Terzago, Attribuzioni e legittimazione dell'amministratore condominiale, in Immob. & diritto, 2006, fasc. 8, 118

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