L'interrogatorio formale tra teoria e pratica

04 Ottobre 2024

Il contributo analizza l'istituto processuale dell'interrogatorio formale, chiarendone le modalità con cui si presenta, come si assume, gli effetti, nonché vagliando le applicazioni pratiche dell'interrogatorio formale affrontate dalla giurisprudenza di legittimità dagli anni '80 ad oggi.

Inquadramento

La normativa processuale disciplina l'interrogatorio formale nell'ambito delle disposizioni dedicate alle prove che è rimesso alle parti di fornire nel processo civile a sostegno delle rispettive domande.

La definizione di “formale” è normativa. Essa è contenuta nell'art. 228 c.p.c. e l'appellativo viene tradizionalmente inteso come elemento che distingue l'interrogatorio in questione dall'interrogatorio giudiziale, una fattispecie, in realtà, del tutto diversa e che rientra nelle attribuzioni discrezionali esercitabili dal giudice: il quale in qualunque stato e grado del processo può risolversi a interrogare liberamente le parti in contraddittorio tra loro sui fatti della causa (art. 117 c.p.c.); a disporne la comparizione per provocarne la conciliazione (art. 185 c.p.c.); e, nel rito unificato per le controversie in materia di persone, di minori e di famiglie, a “sentire le parti”, congiuntamente o separatamente, allo scopo di ascoltarne le ragioni e tentarne la conciliazione (art. 473-bis.21 c.p.c.). La contrapposizione così segnalata, tra l'atto di parte  e l'iniziativa del giudice, evidenzia la necessaria ritualità del primo, in contrapposizione alla libertà di modi e di tempi che contraddistingue l'altra.

Ciò che, tuttavia, caratterizza l'interrogatorio formale è la peculiarità degli effetti cui esso può condurre ed ai quali esso è finalizzato. Se l'interrogatorio giudiziale, proprio perché libero da formalismi, è anche libero nell'apprezzamento dei risultati, l'interrogatorio condotto secondo le forme prescritte dalla normativa trova la sua ragione nel provocare una dichiarazione di verità di fatti, sfavorevoli all'interrogato e favorevoli alla parte deducente, che nel giudizio faccia piena prova (art. 2730 c.c.).

I soggetti. La disponibilità del diritto

L'interrogatorio formale è dedotto da una parte in giudizio ed ha per destinataria la parte avversa.

Per entrambe, il presupposto è costituito dalla pendenza di un procedimento contenzioso del quale sono partecipi; procedimento, per di più, nel quale deve essere ancora svolta, e non oltrepassata, la fase istruttoria. Non determina questo presupposto la proposizione di un atto rispetto al quale il giudizio è soltanto eventuale, come avviene nel caso della presentazione di un decreto ingiuntivo (Cass. civ., sez. I, 4 giugno 2001, n. 7523). La veste processuale di parte non desta questioni per quanto attiene al proponente, cui è sufficiente l'avere acquistato la sua posizione nel processo, anche se in questo viene contestata. L'esperienza ha invece mostrato la sussistenza di possibili problemi per quanto riguarda la parte cui è proposto di rispondere all'interrogatorio.

La veste di parte è necessaria, atteso che ad essa è rivolto per definizione l'interrogatorio formale: e l'assenza di questa qualità ha fatto escludere, ad esempio, l'ammissibilità dell'interrogatorio dedotto al fallito che, dopo l'apertura della procedura concorsuale, non acquista neppure per i rapporti patrimoniali la detta qualità di parte (Cass. civ., sez. I, 8 settembre 2023, n. 26145; Cass. civ., sez. I, 20 gennaio 1995, n. 629).

Ma, poiché si chiede all'interrogato di riferire sulla verità storica di fatti, con conseguenze sulla sorte del diritto azionato in giudizio, la detta veste di parte (che risolve anche i problemi della capacità processuale: Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2019, n. 4509) non risulta sufficiente. Le difficoltà sul piano applicativo riguardano il titolo in base al quale il soggetto è abilitato a rispondere.

Una prima questione sorge dal disposto dell'art. 231 c.p.c., il quale stabilisce che la parte interrogata deve rispondere personalmente.

La disposizione è stata talvolta intesa nel senso che la risposta non possa essere delegata a un soggetto fisicamente diverso da quello che riveste nel processo la qualità di parte. Tuttavia l'art. 2731 c.c. ammette la confessione del rappresentante, purché sia contenuta nei limiti e nei modi in cui egli vincola il rappresentato. In questo limite ristretto è dunque ammissibile l'interrogatorio formale che chiami a  rispondere il rappresentante. La norma fa chiaro riferimento ad un rapporto di rappresentanza di natura sostanziale ed esclude la mera sostituzione processuale. Pertanto, non è abilitato a [rendere confessione] rispondere ad un interrogatorio formale il difensore munito della procura alla lite e neppure il soggetto cui è conferita una procura speciale a rendere l'atto (Cass. civ,. sez. II, 17 luglio 2024, n. 19718).

La legittimazione coincide con la stretta titolarità del diritto conteso, del quale la confessione decide la sorte.

Dubbi possono sorgere a proposito degli enti immateriali che agiscono attraverso l'opera di persone fisiche, attesa la divaricazione tra il rappresentato e l'organo che ne è il legale rappresentante. In proposito, la giurisprudenza ha osservato che l'interrogatorio formale va ritenuto ammissibile anche qualora il soggetto chiamato a rispondere sia il legale rappresentante di un ente collettivo, pur se non sia a conoscenza diretta delle circostanze a contenuto confessorio.

Infatti, l'assunzione dell'interrogatorio formale permette di acquisire sia la prova piena che un principio di prova, idoneo ad aprire la possibilità della prova testimoniale ai sensi dell'art. 2724, n. 1, c.c..; inoltre, reputarne l'inammissibilità determinerebbe un regime derogatorio di sfavore per tutti i soggetti diversi dalla persona fisica, del tutto irragionevole anche sotto il profilo della compatibilità ai parametri degli artt. 3 e 24 Cost. (Cass. civ., sez. I, 25 luglio 2013, n. 18079).

Si desume peraltro dalle pronunce giurisprudenziali che il vero nodo da sciogliere nell'applicazione pratica riguarda l'ulteriore requisito, assai più rilevante, costituito dalla disponibilità del diritto che dalla confessione può risultare negato.

L'art. 2731 c.c. chiarisce che la confessione non è efficace se non proviene da persona capace di disporre del diritto a cui i fatti confessati si riferiscono. La disponibilità del diritto è un requisito riferito con immediatezza alla confessione. Ma se  l'interrogatorio formale  è funzionale ad ottenere una confessione in giudizio, è palese che l'interrogatorio formale della parte non possa essere chiesto e ottenuto dal giudice se non nell'ambito dei diritti disponibili.

La parte - in primis - e l'eventuale suo rappresentante possono dunque essere ammessi all'interrogatorio formale se e in quanto abbiano il potere di disporre del diritto conteso cui i fatti dedotti a prova si riferiscono.

Nel caso specifico della rappresentanza, l'ammissibilità sussiste se il rappresentante è munito del potere sostanziale di dismissione del diritto conteso. Non è questo il caso del commissario liquidatore della procedura di liquidazione coatta amministrativa (Cass. civ., sez. I, 14 marzo 2022, n. 8130); della commissione mandataria di un ente incaricata di vagliare la possibilità di addivenire a un accordo stragiudiziale (Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2019, n. 4509) o, più in generale, del mandatario del titolare (Cass. civ., sez. II, 20 giugno 2013, n. 15538). E non è questo il caso del rappresentante che al momento dell'interrogatorio non è più in carica (Cass. civ., sez. lav., 3 dicembre 2008, n. 28711).

E' poi ovvio che, se l'interrogatorio formale contrappone l'una parte all'altra, esso non può essere proposto ad un soggetto terzo. La giurisprudenza, tuttavia, ha avuto occasione e necessità di ribadirlo: Cass. civ., sez. III, 4 novembre 2020, n. 24468 e Cass. civ., sez. lav., 11 dicembre 2003, n. 18987, per il consulente tecnico d'ufficio; e più in generale Cass. civ., sez. VI, 6 dicembre 2021, n. 38626 e Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2011, n. 4486.

Procedimenti con pluralità di parti

Nei procedimenti con pluralità di parti l'interrogatorio formale può essere chiesto e ottenuto nei confronti di una o più di esse mentre altre sono lasciate estranee alla deduzione della prova.

Si è dunque posta la questione degli effetti che la risposta confessoria produce nei confronti di coloro, litisconsorti, che la prova non ha riguardato direttamente.

La regola enunciata dalla giurisprudenza con riguardo al litisconsorzio necessario è nel senso che deve escludersi la possibilità che in forza della prestata confessione si possa giungere  ad un esito del giudizio differenziato per le parti, invece che ad una pronuncia uniforme per tutti i soggetti partecipi del medesimo rapporto: pertanto, la confessione resa da uno di costoro non ha valore di piena prova neppure per il confitente e deve essere liberamente apprezzata dal giudice, in applicazione dell'art. 2733, comma 3, c.c. (Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 2019, n. 25770, per il caso di giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell'assicuratore R.C. e con il responsabile del danno come litisconsorte necessario).

Diverso è il principio enunciato a proposito del litisconsorzio facoltativo, suscettibile di essere volontariamente costituito come di essere volontariamente sciolto. In questo caso, la confessione resa da uno dei litisconsorti a seguito delle domande rivoltegli in sede di interrogatorio formale produce effetti diretti tra il confitente e chi l'ha dedotto ma non acquista valore di prova legale nei confronti delle persone diverse dal confitente, in quanto costui non ha alcun potere di disposizione di situazioni giuridiche facenti capo ad altri soggetti del rapporto processuale (Cass. civ., sez. VI, 2 febbraio 2022, n. 3118; Cass. civ., sez. II, 6 settembre 2002, n. 12980). E pertanto, nel giudizio promosso dalla vittima di un sinistro stradale nei confronti dell'assicuratore del responsabile, la confessione giudiziale resa dal conducente non proprietario del veicolo (che non è litisconsorte necessario) vincola il solo confitente, con la conseguenza che il giudice correttamente può accogliere la domanda nei suoi confronti e rigettarla nei confronti dell'assicuratore della responsabilità civile auto (Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2023, n. 10687).

La regola così da ultimo enunciata incontra un temperamento, posto che ripetutamente si è affermata la possibilità per il giudice di apprezzare liberamente i risultati dell'interrogatorio formale nei confronti dei litisconsorti diversi da colui cui era stato rivolto (Cass. civ., sez. VI, 2 febbraio 2022,  n. 3118/2022; Cass. civ., sez. VI, 29 gennaio 2019, n. 2482; Cass. civ., sez. III, 3 agosto 2017, n. 19327).

L'oggetto dell'interrogatorio formale

L'oggetto delle domande nelle quali l'interrogatorio formale si risolve è desunto con chiarezza dalla disposizione dettata dall'art. 2730 c.c.: esso è costituito dalla rispondenza a verità di fatti e, più precisamente, di fatti potenzialmente sfavorevoli a sé e favorevoli all'altra parte.

Il richiamo a “fatti” sottolinea la loro natura oggettiva, che esclude le opinioni (Cass. civ., sez. III, 18 ottobre 2011, n. 21509), le valutazioni di condizioni ambientali e circostanze (Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 2019, n. 5725; Cass. civ., sez. III, 18 ottobre 2011, n. 21509) e le qualificazioni giuridiche, le quali competono esclusivamente al giudice (Cass. civ., sez. I, 11 gennaio 2019, n. 525; Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 2001, n. 2903).

Non potrebbe essere deferito un interrogatorio per far dichiarare alla parte se essa è - oppure no - proprietaria del bene conteso in giudizio; mentre esso può essere proposto per far risultare se la parte si è comportata come si comporta un proprietario, usando del bene e provvedendo alla sua manutenzione.

La confessione ha natura di dichiarazione di scienza e riguarda la conoscenza che si ha di fatti e circostanze appresa direttamente. Il suo elemento essenziale è l'affermazione inequivoca in ordine a un fatto storico che necessita di prova; resa la quale, gli effetti che ne derivano sono stabiliti dalla legge.

Questi effetti non sono quelli, dirimenti della sorte del giudizio, del giuramento decisorio ma quelli di acquisizione al processo di circostanze di fatto rilevanti, sia perché sono costitutivi della domanda giudiziale sia perché di essa accertano aspetti che necessitano di essere dimostrati (ad esempio, i patti aggiunti a un documento).

L'interrogatorio formale e la prova scritta

L'interrogatorio formale non incontra alcuni dei limiti che il codice civile stabilisce per l'ammissibilità della prova testimoniale.

La giurisprudenza ne ha fatto affermazione a proposito della prova contraria al contenuto di un documento. La quietanza di pagamento, si è affermato, può utilmente essere contrastata dalla controdichiarazione resa in sede confessoria dalla parte che ammette di non avere pagato (Cass. civ., sez. VI, 15 giugno 2022, n. 19283; Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2013, n. 23971; Cass. civ., sez. III, 7 settembre 1985, n. 4651). Le pronunce sul tema hanno avuto ad oggetto soprattutto le questioni in tema di simulazione del contratto.

In proposito Cass. civ., sez. III, 15 luglio 2008, n. 19435 ebbe ad affermare che la legge, mentre vieta (tranne determinati casi) la prova per testimoni e per presunzioni, non vieta, invece, l'interrogatorio formale che abbia per oggetto negozi per i quali non sia richiesto l'atto scritto ad substantiam. Infatti, le limitazioni poste - nei rapporti anzidetti - dal secondo comma dell'art 1417 c.c. riguardano soltanto la prova testimoniale e, correlativamente (ai sensi dell'art. 2729, comma 2, c.c.), quella per presunzioni e non anche il suddetto mezzo istruttorio volto a provocare la confessione giudiziale della controparte, attesi il carattere di piena prova legale della confessione e l'inesistenza, per questa, di una disposizione corrispondente a quella della simulazione, diretta non ad accertare un patto aggiunto o contrario al contenuto di un documento, bensì a ricercare la verità reale contro quella formale risultante dall'atto scritto. Peraltro, attraverso le risposte date dall'interessato in sede di interrogatorio formale, può essere utilmente acquisita sia la prova piena che un principio di prova, nel caso in cui le risposte siano tali da rendere verosimile la simulazione, con la conseguenza di rendere ammissibile la prova testimoniale in deroga al normale divieto.

Resta, anche per la confessione e, prima ancora, per l'interrogatorio formale, il limite costituito dalla necessità della forma ad substantiam per gli atti giuridici che la richiedono. Ma, anche in questi casi, la confessione può essere cercata con l'interrogatorio per dimostrare la simulazione assoluta del contratto, perché in questo caso l'oggetto della prova è l'inesistenza dell'atto (Cass. civ., sez. II, 10 marzo 2017, n. 6262; Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 2004, n. 3869; Cass. civ., sez. II, 17 dicembre 1991, n. 13584). Regola diversa vale per la simulazione relativa: in ordine alla quale, se per l'atto dissimulato occorre l'atto scritto ad substantiam, l'unica prova ammessa è costituita dalla controdichiarazione scritta (Cass. civ., sez. II, 5 aprile 2022, n. 10933; Cass. civ., sez. II, 10 marzo 2017, n. 6262).

Mancata risposta. Dichiarazioni aggiunte

L'interrogatorio formale dedotto e rimasto senza risposte, se inadatto a condurre ad una confessione, produce comunque alcuni effetti.

Quando la parte non si presenta  o rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, il giudicante può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio. La disposizione non ricollega alla mancata risposta, per quanto ingiustificata, l'effetto proprio alla confessione ma attribuisce al giudice decidente il potere di ritenere come veri, per ammissione, i fatti dedotti con il mezzo di prova: e ciò nel contesto di tutti gli altri elementi probatori raccolti (Cass. civ., sez. VI, 27 dicembre 2021, n. 41643).

L'efficacia probatoria, in assenza di confessione, è soggetta al libero apprezzamento del giudice, nel necessario coordinamento con le altre risultanze utili al convincimento. Il principio è stato applicato anche nel caso di dichiarazioni di contenuto reticente ed elusivo, considerate alla stregua di una mancata risposta (Cass. civ., sez. III, 31 marzo 2010, n. 7783).

Dispone l'art. 2734 c.c. che, quando alla dichiarazione confessoria si accompagna quella di altri fatti o circostanze tendenti a infirmare l'efficacia del fatto confessato ovvero a modificarne o a estinguerne gli effetti, è rimesso al giudice di valutare, secondo le circostanze, l'efficacia probatoria di quanto dichiarato. Soltanto se l'altra parte non contesta la verità dei fatti o delle circostanze aggiunte, le dichiarazioni rese fanno piena prova nel loro complesso. In questo caso l'interrogatorio formale può condurre ad un risultato per taluni aspetti controproducente: mettere il deducente di fronte alla scelta di ammettere a propria volta l'oggettiva verità di fatti a sé sfavorevoli oppure farne contestazione esplicita.

Proposizione e assunzione della prova per interrogatorio formale

L'interrogatorio deve essere dedotto per articoli separati e specifici. La disposizione in tal senso, di cui all'art. 230 c.p.c., riecheggia quella dettata dal successivo art. 244 c.p.c. a proposito della prova testimoniale. In entrambi i casi, si chiede che la deduzione esponga in modo definito i fatti e le circostanze che costituiscono altrettanti oggetti delle domande da rivolgere al destinatario dell'esame. Ma, mentre ai testimoni si può chiedere la narrazione degli avvenimenti cui sono stati presenti, la parte deve rispondere sulla sussistenza di fatti, oggettivi e storicamente individuati. Tanto si desume dal testo del già ricordato art. 2730 c.c.

Anche la deduzione dell'interrogatorio formale deve osservare le regole stabilite per le forme degli atti di parte.

Essi sono redatti in modo chiaro e sintetico (art. 121 c.p.c.) e devono rispettare i criteri dettati dal D.M. n. 110/2023, il quale più ampiamente esige l'esposizione distinta e specifica, in parti separate e rubricate, dei fatti rilevanti per la causa. La deduzione è effettuata per quelli che la prassi ha definito “capitoli di prova”, preceduti dalle parole: “Vero che…”. Questa forma è preferibile all'altra, spesso usata “Vero che non …”, atteso che l'interrogatorio è finalizzato a far dichiarare che determinati fatti sono veri.

Nella pratica, si era posta la questione di una graduazione delle prove, nel senso che alcune di esse dovessero avere precedenza di esperimento in quanto, se assunte positivamente rispetto alla tesi sostenuta dal deducente, avrebbero reso superflua l'assunzione delle altre.

Questo poteva essere il caso dell'interrogatorio formale, posto che la confessione eventualmente con esso raggiunta avrebbe di per sé potuto fornire la prova piena dell'assunto sostenuto in giudizio (Cass. civ., sez. III, 8 maggio 1979, n. 2638).

La questione ha progressivamente perduto di attualità. In assonanza a quanto ritenuto a proposito del giuramento (Cass. civ., sez. II, 13 dicembre 1994, n. 10653), può ammettersi l'interrogatorio formale dedotto in via di subordine.

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