Eccesso nel diritto all’uso delle armi: può incidere la condotta della vittima sul risarcimento?

La Redazione
11 Ottobre 2024

Una questione senza precedenti: se un poliziotto – eccedendo nel legittimo uso delle armi e nella legittima difesa – uccide il suo aggressore, la condotta della vittima può incidere nella quantificazione del risarcimento del danno dovuto ai congiunti?

Una notte Tizio, poliziotto, in servizio con un collega, si era imbattuto in un uomo che vagava per la strada con una valigetta in mano. Fermato dai due poliziotti, l'uomo aveva estratto dalla valigetta una pistola, puntandola contro di loro. I poliziotti, dopo essersi riparati dietro agli sportelli aperti del veicolo di servizio, avevano estratto a propria volta le pistole d'ordinanza, intimando all'aggressore di gettare la pistola. Quest'ultimo, abbagliato dai fari dell'auto della Polizia e senza riparo, si era inginocchiato sulla carreggiata, ma aveva mantenuto la presa dell'arma e il braccio teso verso gli agenti, senza sparare; i poliziotti avevano aperto il fuoco e uno dei proiettili, esploso da Tizio, aveva ucciso l'uomo. Per questi fatti, Tizio era stato condannato in sede penale ex art. 55 e 589 c.p. con sentenza passata in giudicato, quindi la moglie e i figli dell'uomo ucciso avevano convenuto Tizio in sede civile chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti a seguito del decesso del proprio congiunto. Il Tribunale civile, accertata la responsabilità diretta dell'autore dell'illecito e, escludendo che alla produzione dell'evento dannoso letale fosse concorsa la condotta della vittima, condannava Tizio al risarcimento dei danni. Tale sentenza veniva parzialmente riformata dalla Corte d'appello, che riconosceva un concorso di colpa della vittima al 50%, dimezzando quindi il risarcimento. I congiunti della vittima ricorrevano in Cassazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui riteneva sussistente il concorso di colpa della vittima nella produzione dell'evento dannoso letale che aveva subito.

La Suprema Corte ha rilevato che tale motivo pone la questione di diritto, di carattere generale, dell'applicabilità della disciplina di cui all'art. 1227, comma 1, c.c. all'azione violenta o alla condotta di resistenza per vincere o respingere le quali il pubblico ufficiale ricorra alle armi o ad altro mezzo di coazione fisica, eccedendo colposamente in tale uso. Difatti, al di là del rilievo delle circostanze della fattispecie concreta, si pone il problema generale dell'ambito della rilevanza dell'azione violenta o della condotta resistente del danneggiato ai fini della riduzione del risarcimento del danno dovuto dal pubblico ufficiale che abbia colposamente ecceduto i limiti stabiliti dalla legge scriminante ex art. 53 c.p. La Corte ha ravvisato nella questione, rispetto alla quale non sussistono orientamenti giurisprudenziali consolidati, una «questione di diritto di particolare rilevanza» ai sensi dell'art. 375 c.p.c.: di conseguenza, ha disposto l'iscrizione della causa a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza.

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