La Consulta sul decorso della prescrizione per l’azione di responsabilità del revisore

La Redazione
14 Ottobre 2024

Con una sentenza interpretativa di rigetto, la Corte si pronuncia su una questione di legittimità costituzionale in tema di dies a quo di prescrizione dell'azione di risarcimento nei confronti dei revisori legali e della società di revisione legale per i danni derivati dal loro inadempimento.

La Corte si è pronunciata sul giudizio di legittimità costituzionale, promosso dal tribunale di Milano, dell'art. 15, comma 3, del d.lgs. n. 39/2010, norma che disciplina il termine (quinquennale) di prescrizione dell'azione di risarcimento – della società che ha conferito l'incarico di revisione legale, dei suoi soci e dei terzi – nei confronti dei revisori legali e della società di revisione legale per i danni derivati dall'inadempimento ai loro doveri. La questione era stata sollevata dal tribunale di Milano con riferimento alla parte in cui il suddetto comma 3 fa decorrere il termine di prescrizione delle azioni di responsabilità dalla data della relazione di revisione sul bilancio d'esercizio o consolidato emessa al termine dell'attività di revisione cui si riferisce l'azione di risarcimento.

Il giudice a quo aveva infatti ravvisato un contrasto dell'art. 15, comma 3:

  • con l'art. 3, comma 1, Cost. in quanto: i) comporterebbe una irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina del decorso del termine prescrizionale previsto per le azioni di responsabilità verso amministratori e sindaci; ii) paleserebbe una irragionevolezza intrinseca, nel far decorrere il termine prescrizionale anche «quando il danneggiato non è ancora titolare del diritto risarcitorio o quando non può essere solerte nell'esercizio di quel diritto, perché il diritto non è ancora sorto o perché non può essere a conoscenza del danno che ha subito»;
  • con l'art. 24, comma 1, Cost. in quanto la decorrenza così fissata finirebbe per contribuire significativamente a ostacolare l'esercizio effettivo in giudizio del diritto risarcitorio da parte del danneggiato.

Secondo la Corte, non è fondata la prima questione sollevata in riferimento all'art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento fra i danneggiati che soggiacciono alla regola prevista per le azioni risarcitorie nei confronti dei revisori e quelli che si avvalgono delle azioni risarcitorie nei confronti di amministratori e sindaci. Sul punto, la Corte afferma che dalle disposizioni codicistiche regolanti la prescrizione delle varie azioni risarcitorie nei confronti di amministratori e sindaci emerge un quadro normativo nel quale non viene indicato un unico termine di decorrenza della prescrizione riferito espressamente al momento in cui il danno diviene oggettivamente conoscibile. Inoltre, non risulta formatosi, sulla portata di tali disposizioni, un diritto vivente, che riconduca in via ermeneutica il dies a quo al paradigma della oggettiva conoscibilità del danno.

Non sono fondate nemmeno le questioni sollevate con riferimento all'art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza intrinseca, sia all'art. 24 Cost. per violazione del diritto di difesa. A tal riguardo, la Corte distingue chiaramente tra l'azione risarcitoria che può far valere la società che ha conferito l'incarico di revisione (responsabilità contrattuale) e le pretese creditorie spettanti, quali danneggiati, ai soci o ai terzi (responsabilità aquiliana):

a) «Nel primo caso, l'illecito nei confronti della società si compie con l'inadempimento da parte del revisore, vale a dire con la relazione di revisione che sia erronea o scorretta, sicché il momento del suo deposito integra l'illecito contrattuale, che è già - come si dirà – produttivo di danni nei confronti della società». Rispetto alla decorrenza del termine di prescrizione delle azioni che può far valere la società che ha conferito l'incarico di revisione, pertanto, la Corte non avvisa un contrasto della norma censurata con gli artt. 3 e 24 Cost.

b) «Nell'ipotesi, viceversa, dei danni a soci o a terzi, il deposito di una relazione di revisione erronea o scorretta configura unicamente una condotta che ingenera un affidamento potenzialmente idoneo a sviare la loro libertà negoziale. Pertanto, sino a quando non risulti che siano state compiute scelte direttamente condizionate dalla relazione, i soci e i terzi non hanno alcun interesse a far valere una pretesa, non avendo ancora subito qualsivoglia danno».

Conclude la Corte affermando che il dies a quo della prescrizione dell'azione risarcitoria di soci o di terzi non può essere quello del deposito della relazione, che è antecedente al momento in cui si possono produrre danni e sono, dunque, identificabili i soggetti danneggiati. Ciò posto, per ricondurre l'art. 15, comma 3, del d.lgs. n. 39 del 2010 a una portata normativa che non contrasti in maniera manifesta con il principio di ragionevolezza e con la tutela del danneggiato, è sufficiente limitare il raggio applicativo della disposizione alle sole azioni con cui la società che ha conferito l'incarico di revisione fa valere il danno conseguente all'erronea o inesatta revisione.

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