Quale polizza per l’odontoiatra libero professionista? Possibili indicazioni alla luce del Decreto attuativo della L. Gelli-Bianco

Daniela Zorzit
16 Ottobre 2024

Si propongono di seguito alcuni spunti di riflessione in merito a talune questioni inerenti la disciplina degli obblighi assicurativi, alla luce del D.M. n. 232/2023 attuativo dell'art. 10, comma 6, l. n. 24/2017

Entrata in vigore della disciplina (art. 18 del D.M. n. 232/2023)

L'art. 18, comma 2, D.M. n. 232/2023 stabilisce: «Entro 24 mesi dall'entrata in vigore del presente decreto, fermo restando quanto previsto dall'articolo 3, comma 8, gli assicuratori adeguano i contratti di assicurazione in conformità ai requisiti minimi di cui al presente decreto nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia».

Si è da taluno sostenuto che i contratti stipulati ex novo dopo l'entrata in vigore del Decreto non sarebbero assoggettati alle nuove regole e ciò perché la norma lascerebbe agli assicuratori «24 mesi» di tempo per uniformarsi ad esse; i requisiti minimi diventerebbero quindi cogenti dal 2026. Questa opinione non pare condivisibile, per almeno due ordini di motivi.

Per un verso, è opportuno notare che la rubrica dell'art. 18 è intitolata «Norme transitorie e di rinvio». L'aggettivo «transitorie» (collegato alla matrice latina, che indica un “attraversare”) induce a pensare che, nel concedere il termine di 24 mesi, il Decreto abbia inteso riferirsi soltanto alle fattispecie che sono “a cavallo” (in questi termini anche, per es., la «Disciplina transitoria» dettata per le locazioni dalla l. n. 392/1978), cioè ai contratti già in corso, che “attraversano” appunto il “confine” segnato dalla sua emanazione.

Del resto, per le “nuove” polizze il Regolatore avrebbe verosimilmente utilizzato il verbo «stipulano» e non «adeguano».

Qualche dubbio potrebbe porsi per il «rinnovo» in caso di mancata disdetta (essendone di per sé discusso l'inquadramento giuridico, tra nuovo contratto o, piuttosto, proroga): facendo leva sulla ratio (anche alla luce del disposto dell'art. 18, commi 4 e 5, D.M. n. 232/2023), pare preferibile ritenere che, dopo la scadenza, il rapporto debba essere regolato dalla disciplina attualmente in vigore.

Ambito della copertura, individuazione dei massimali ed attività in concreto esercitata

Per l'esercente di cui all'art. 10, comma 2, l. n. 24/2017 (ossia per il libero professionista che ha un rapporto contrattuale con il paziente, per come chiarito dall'art. 3, comma 2, D.M. n. 232/2023) resta fermo l'obbligo di copertura per la R.C. terzi previsto dall'art. 3, comma 5, lett. e),  d.l. n. 138/2011 (come modificato dalla cd. Legge concorrenza 124/2017): egli dovrà quindi provvedere in proprio alla stipula di una polizza.

I massimali minimi sono stabiliti dall'art. 4, comma 2, D.M. n. 232/2023 ed occorrerà tener conto del particolare tipo di attività in concreto svolta:

  • così, per l'odontoiatra che non esegue interventi chirurgici (per es. maxillofacciali o implantologia ecc.) varrà il limite indicato dalla lettera a) («non inferiore ad Euro un milione per sinistro ..»);
  • viceversa, per quello che li effettua, si applicherà la regola della lettera b) («non inferiore a 2 milioni per sinistro..»).

Per l'esercente cd. a P. IVA (che cioè collabora con un istituto di cura senza avere alcun rapporto contrattuale con il paziente e che, nel disegno della l. n. 24/2017, si pone sullo stesso piano del dipendente, per i fini di cui all'art. 10), l'obbligo di copertura (con polizza o in autoritenzione) graverà sulla struttura stessa ai sensi dell'art. 10, comma 1, l. n. 24/2017 e dunque si dovrà far riferimento all'art. 4, comma 1, D.M. n. 232/2023.

Si rende qui opportuna una riflessione, con specifico riguardo all'ampiezza ed ai limiti dell'obbligo previsto dall'art. 10, comma 1, l. n. 24/2017.

A parere di chi scrive, la struttura non è tenuta a coprire la colpa grave del dipendente (o del P. IVA) dato che l'art. 10, comma 1 fa salvo «quanto previsto dall'articolo 9» (come a dire: deve restare ferma la possibilità di rivalsa e, dunque, la responsabilità personale per il danno c.d. indiretto.

Sul punto sia consentito rinviare a ZORZIT D., Cosa è cambiato nella responsabilità sanitaria? Rilettura di un caso alla luce della Legge Gelli e del Decreto attuativo n.232/2023, in questa Rivista, IUS Responsabilità civile - RIDARE, 28 agosto 2024).

Resta in ogni caso il fatto che la tesi qui sostenuta non tutela il terzo il quale, ove decida di rivolgere le proprie richieste nei soli confronti dell'esercente (responsabile per colpa grave), resterebbe esposto al rischio di una sua possibile insolvenza.

In ragione di ciò,  per quanto la l. n. 24/2017 non lo preveda, parrebbe necessario, al fine di soddisfare le esigenze di protezione (della vittima di malpractice e del professionista stesso) che il dipendente o P. IVA stipuli, a proprie spese, una polizza che lo garantisca per la colpa grave non solo nei rapporti interni (azione ex art. 9 in collegamento con l'art. 10, comma 3, l. n. 24/2017), ma anche verso l'esterno, con riguardo cioè alla sua responsabilità civile nei confronti del paziente, dato che questi potrebbe anche decidere di aggredirlo personalmente (fermo restando che in tal caso non vi sarebbe azione diretta ex art. 12 l. n. 24/2017).

Per il libero professionista di cui all'art. 10, comma 2, l. n. 24/2017, che è tenuto ad assicurarsi in proprio, l'estensione della copertura è invece già definita dall'art. 3, comma 2, D.M. n. 232/2023, avendo ad oggetto i danni «colposamente cagionati a terzi» (e dunque lieve o grave che sia il grado di rimprovero della condotta).

Per le polizze «di cui all'art. 10, comma 3», l'art. 4, D.M. n. 232/2023 rimanda «agli importi previsti dall'articolo 9, commi 5 e 6 della Legge», specificando altresì che i limiti quantitativi ivi stabiliti «non si applicano nei confronti degli esercenti attività libero professionale di cui all'art. 3, comma 2» (ossia quelli che hanno un rapporto contrattuale con il paziente, di cui all'art. 10, comma 2, l. n. 24/2017).

La norma ha senso se riferita alla garanzia della rivalsa per colpa grave prevista dall'art. 9, l. n. 24/2017 (da parte della struttura o dell'assicuratore in surroga ex art. 1916 cc. in sede civile ovvero del PM contabile), mentre non sembra poter riguardare l'azione ex art. 12, comma 3, l. n. 24/2017, ossia quella che l'impresa può proporre contro il professionista per il caso di eccezioni inopponibili al danneggiato.

In tale ipotesi, parrebbe potersi dire che il massimale minimo deve essere lo stesso valevole per la R.C. terzi.

Regime temporale: retro, postuma, problema del fatto noto

Per quanto il tema abbia formato oggetto di ampio dibattito (e continui a sollevare qualche dissenso), il D.M. n. 232/2023 parrebbe aver superato i contrasti chiarendo, all'art. 1, lett. o) ed all'art. 5, che l'efficacia temporale della garanzia obbedisce alla formula claim's made.

La polizza deve dunque prevedere una copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta nel periodo di vigenza del contratto e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi in tale arco temporale e nei dieci anni antecedenti.

L'art. 5 contiene una precisazione importante perché chiarisce che «In caso di rinnovo, la garanzia assicurativa opera fin dalla decorrenza della prima polizza». Questo significa che, ove il rapporto nasca e prosegua con lo stesso assicuratore, tutte le richieste che dovessero pervenire dopo ogni singolo rinnovo (se rientranti nei limiti temporali previsti) saranno in garanzia; in altri termini, nel passaggio da un periodo di copertura all'altro (es. da una annualità a quella successiva) non si potrà prevedere alcuna “esclusione” dei cd. “fatti noti” (ossia delle circostanze conosciute in corso di contratto che potrebbero dare origine ad una futura richiesta di risarcimento).

Qui si pongono alcuni profili problematici: cosa si intende per rinnovo?

Se si guarda alla ratio, parrebbe più corretto ritenere che la norma comprenda non solo il caso in cui è previsto il tacito rinnovo (ove non intervenga disdetta), ma anche quello in cui, cessata la prima polizza, se ne stipuli un'altra per lo stesso rischio con il medesimo assicuratore. La giustificazione che sorregge il disposto sembrerebbe infatti essere la continuità del rapporto.

Per altro verso, pare a chi scrive che sarebbe contrario a buona fede se l'impresa, venuta a conoscenza di un “fatto noto” verificatosi in corso di polizza con tacito rinnovo, decida di dare la disdetta alla scadenza (val la pena osservare che l'art. 6, comma 2, D.M. n. 232/2023 stabilisce il divieto di recesso, che è cosa diversa dal rifiuto di rinnovo).

Al di fuori di questi casi il problema, però, resta: così per es., l'esercente che intenda rivolgersi ad altra compagnia si troverà verosimilmente in difficoltà perché per la copertura delle eventuali future pretese risarcitorie derivanti dal “fatto noto” verificatosi nel corso della polizza cessata potrebbe essergli richiesto un premio molto elevato. Né è da escludere l'eventualità che nessun assicuratore sia disposto ad assumere il rischio (salvo restando il dettato dell'art. 14 ,comma 7-bis, l. n. 24/2017, che prevede un intervento “agevolatore” del Fondo di garanzia).

Per altro verso, poi, occorre considerare che il professionista potrebbe vedersi negare l'indennizzo, in applicazione gli art. 1892 c.c. e art. 1893 c.c., laddove abbia omesso di riferire, in presenza di specifiche e dettagliate domande poste nel questionario, le circostanze rilevanti per la valutazione dell'alea (per es. l'aver ricevuto una querela o un avviso di garanzia, dato che ai sensi dell'art. 1, lett. o) del Decreto tali atti non costituiscono «sinistro»).

In simili ipotesi, l'esigenza di tutela (del terzo danneggiato anzitutto - che dovrebbe poter contare su una “tasca capiente” - e dello stesso esercente) risulterebbe gravemente vulnerata.

In ragione di ciò, la soluzione maggiormente cautelativa (anche nell'ottica della «adeguatezza» ex art. 119-ter CAP) parrebbe quella di prevedere, nella polizza R.C. del libero professionista che ha un rapporto contrattuale con il paziente, anche una postuma, a garanzia delle richieste che dovessero pervenire dopo la cessazione del contratto (per il caso in cui per es. il rapporto non prosegua con la stessa impresa), in relazione a fatti commessi prima (nel limite del decennio). (Per fare una comparazione, si può osservare che l'esercente dipendente o P. IVA può sempre contare sulla copertura in autoritenzione che la struttura gli deve dare, che è continua, per come si evince dall'art. 14 D.M. n. 232/2023).

Ciò anche se, a rigore, la legge non lo prevede (la l. n. 24/2017 non impone una “postuma” se non nel caso di cessata attività; d'altro canto, la l. n. 24/2017 (cd. concorrenza), che ha modificato l'art. 3, comma 5, lett. e), d.l. n. 138/2011, conv. dalla l. n. 148/2011, valevole per i soli liberi professionisti che hanno un rapporto contrattuale con il paziente ex art. 10, comma 2, l. n. 24/2017, stabilisce solo l'obbligo, per l'assicuratore, di proporre l'ultrattività lasciando però ferma la libertà contrattuale delle parti).  

Un'alternativa potrebbe anche essere quella di inserire una cd. deeming che tenga in copertura tutti i sinistri correlati alle circostanze “denunciate” dall'assicurato in corso di polizza (anche se la richiesta dovesse sopraggiungere dopo la scadenza).

Franchigie

Il D.M. n. 232/2023 non detta alcuna regola specifica in merito alle franchigie né prevede per esse un limite massimo; l'unica norma che se ne occupa (a parte l'art. 1 lett. r), che ne dà la definizione) è l'art. 8 lett. c), a mente del quale «sono opponibili al danneggiato, previa sottoscrizione di clausola contrattuale da approvare specificamente per iscritto (…), le limitazioni del contratto assicurativo di cui all’articolo 1, comma 1, lettere q) [ndr. SIR] ed r) [ndr. franchigie], con riferimento alle coperture assicurative di cui al comma 1 dell’articolo 10 della Legge».

La parte finale della disposizione (letta a contrario) consente di mettere subito in chiaro che eventuali franchigie previste nelle polizze dei liberi professionisti che hanno un rapporto contrattuale con il paziente (art. 10, comma 2, l. n. 24/2017) non sono opponibili al terzo (l'impresa avrà dunque rivalsa a mente dell'art. 12 comma 3).

La differenza di disciplina si spiega probabilmente in considerazione del fatto che, nel caso delle polizze stipulate a garanzia della responsabilità delle strutture, il terzo può, verosimilmente, contare sull'autoritenzione e, quindi, (almeno in teoria), non corre il rischio di rimanere insoddisfatto per la parte di risarcimento non coperta dall'assicurazione (viceversa, il libero professionista di cui all'art. 10, comma 2, l. n. 24/2017 non può ricorrere alle altre analoghe misure, ragion per cui l'opponibilità delle franchigie si tradurrebbe in un vulnus per il danneggiato).

Vale la pena precisare che il problema della opponibilità/inopponibilità delle eccezioni non si pone per le polizze stipulate a favore degli esercenti di cui all'art. 10, comma 1, l. n. 24/2017, cioè a copertura delle loro responsabilità (perché per queste non è prevista l'azione diretta, ex art. 12, comma 1 l. n. 24/2017).

Più in generale, è opportuno sottolineare che il libero professionista che presta l'attività all'interno della struttura senza avere rapporto contrattuale con il paziente dovrà (al pari del dipendente) essere garantito dall'ente stesso (con polizza o in autoritenzione) senza limiti “quantitativi”, ferma solo, a parere di chi scrive, l'esclusione della colpa grave (ciò ai sensi dell'art. 10, comma 1, l. n. 24/2017, per come si è detto supra); la parte di danno corrispondente alla franchigia eventualmente prevista dal contratto di assicurazione (stipulato ex art. 1891 cc. per la R.C. del professionista stesso) dovrà pertanto essere “coperta” dalla struttura con i propri fondi.

Responsabilità solidale

L'art. 3, comma 6, D.M. n. 232/2023 stabilisce che in caso di responsabilità solidale dell'assicurato la garanzia debba avere ad oggetto l'intero, salva la surrogazione dell'impresa nel diritto di regresso nei confronti dei condebitori.

La norma mira a “mettere fuori gioco” le clausole (diffuse nella prassi) che limitano la copertura della R.C. del professionista alla sola quota parte nel caso in cui questi sia tenuto in solido con altri soggetti.

Del resto, tali pattuizioni sono viste con sfavore dalla stessa giurisprudenza che, sin dal 2012, ne ha evidenziato il contrasto con la «funzione del contratto di assicurazione, come oggettivata nella lettera dell'art. 1917 c.c., che consiste nel liberare il patrimonio dell'assicurato dall'obbligazione di risarcimento» (Cass. civ., sez. lav., 31 maggio 2012, n. 8686; Cass. civ., sez. III, 20 novembre 2012, n. 20322).

In coerenza con tale quadro, il Decreto impone dunque di estendere la garanzia alla totalità delle somme che potrebbero essere poste a carico dell'esercente (ex art. 2055 c.c.), salva la surrogazione dell'impresa nel diritto di regresso spettante all'assicurato contro i coobbligati.

Bonus/malus?

L'art. 3, comma 7, D.M. n. 232/2023, nel prevedere un meccanismo di bonus/malus, appare di difficile applicazione: la lungo latenza propria della med-mal risulta incompatibile con una corretta osservazione della condotta del medico in un dato periodo temporale (annuale?) di riferimento (i sinistri ben possono essere denunciati a distanza di anni dal fatto generatore e quindi non riflettere in termini attuali la propensione al rischio del soggetto in questione).

La formulazione sembra poi ambigua perché la variazione del premio è correlata, per un verso, «al verificarsi di sinistri nel corso della durata contrattuale» - dunque alla ricezione delle richieste di risarcimento, stando alle Definizioni dell’art. 1, lett. o), ma è declinata ulteriormente «con specifico riferimento» a quelli "chiusi" (il sinistro potrebbe essere chiuso molti anni dopo il suo verificarsi).

E dunque: se l’esercente ha ricevuto una richiesta di risarcimento nel corso della durata contrattuale, senza che il relativo sinistro risulti “chiuso” al momento della scadenza della polizza, si dovrà riconoscere un bonus?

E, per altro verso, se l’esercente non riceve alcuna richiesta nel corso della durata contrattuale e tuttavia la compagnia “chiude”, prima della scadenza della polizza, un sinistro relativo al periodo di copertura precedente, scatterà il malus

Oppure si deve ritenere che sia la richiesta che la chiusura debbano intervenire in corso di polizza per far scattare la variazione in peius del premio? (Il che renderebbe sostanzialmente lettera morta la norma).

Ovviamente quelle sin qui tratteggiate non hanno la pretesa di essere linee di indirizzo, ma solo “letture”, per quanto possibile ragionate: di fronte ai dubbi che pur residuano, sarà compito dei Giudici indicare le coordinate di riferimento.

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