Inammissibilità del ricorso e doppio grado di giudizio: l’erronea declaratoria da parte del giudice di primo grado comporta una lesione del “diritto di difesa”?
Pierluigi Tonnara
18 Ottobre 2024
Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana ha rimesso all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la seguente questione: se l'erronea declaratoria di inammissibilità o di improcedibilità del ricorso di primo grado comporti una “lesione del diritto di difesa” ex art. 105 c.p.a. con conseguente obbligo di rimessione della causa al TAR, sollecitando un ripensamento della soluzione negativa già affermata dal massimo consesso con le sentenze n. 10, n. 11, n. 14 e n. 15 del 2018.
Il caso
Legittimazione e interesse a ricorrere del terzo contro gli atti ampliativi della sfera giuridica altrui
Un privato aveva impugnato dinanzi al Tar per la Sicilia l'autorizzazione ai lavori di modifica e ripristino di un impianto di distribuzione carburanti; interventi da eseguirsi su un terreno adiacente all'immobile di sua proprietà, posto al piano rialzato e destinato all'esercizio della sua attività professionale.
Il giudice di primo grado aveva dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di legittimazione e interesse. Carenza di legittimazione in quanto non sussisteva in capo all'istante “alcuna situazione giuridica soggettiva tutelata dall'ordinamento giuridico differenziata e giuridicamente rilevante, che [valesse] a differenziare la sua pretesa da quella del quisque de populo, e ciò sia con riferimento alla tutela della corretta circolazione stradale, che con riferimento alla tutela della salute e sicurezza pubblica, e a ben vedere anche con riferimento alla violazione delle disposizione sulla tutela del bene architettonico”; assenza di interesse poiché il ricorrente aveva “allegato un pregiudizio non riconducibile direttamente, con un sufficiente grado di probabilità, al ripristino e/o continuazione della concessione dell'attività di distribuzione ed erogazione di carburanti, né avendo articolato specifiche censure sostanziali, dirette ed effettive sull'illegittimità del distributore”.
Proposto appello, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana ha invece ritenuto che la vicinitas fosse di per sé sufficiente a radicare la legittimazione al ricorso e che fosse altresì innegabile in capo al ricorrente “un concreto e attuale interesse a ottenere l'annullamento dei numerosi atti e provvedimenti che hanno consentito la riattivazione, su un'area prospiciente l'abitazione e lo studio professionale dell'appellante medesimo, di un impianto di distribuzione carburanti, tenuto conto che è fatto notorio che un tale tipo di impianto produce esalazioni e rumori, connessi alle vetture che ivi si recano, che sono ben idonee a ledere la sfera soggettiva del ricorrente, soprattutto perché la sua abitazione (o studio professionale) è posta al piano rialzato, quasi a livello stradale”.
Superate le questioni pregiudiziali e prima di procedere all'esame del merito delle censure reiterate in appello dal privato, il collegio si è quindi chiesto se il mancato scrutinio dei motivi di ricorso articolati in primo grado avesse comportato una violazione del “diritto di difesa” della parte ex art. 105 c.p.a., con conseguente obbligo di rimessione della causa al Tar; ritenuto di non condividere la soluzione negativa già affermata dall'Adunanza plenaria con le sentenze n. 10, n. 11, n. 14 e n. 15 del 2018, la questione è stata rimessa al massimo consesso ex art. 99, co. 3, c.p.a.
La questione
L'erronea declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado tra effetto devolutivo e doppio grado di giudizio
Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana ha dunque rimesso all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la seguente questione di diritto:
“se l'annullamento della sentenza di inammissibilità (o di improcedibilità) del ricorso, disvelando che l'omessa trattazione del merito della causa in primo grado ha determinato una ingiusta compressione e dunque una ‘lesione del diritto di difesa' del ricorrente – lesione che verrebbe ulteriormente perpetrata, per la sottrazione alla sua disponibilità di un grado di giudizio, ove la causa fosse trattata (nel merito) direttamente dal giudice d'appello – non determini la necessità di rimettere la causa, ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., al giudice di primo grado: e ciò, quantomeno, allorché la declaratoria di inammissibilità (o di improcedibilità) del ricorso, nella sua interezza, sia avvenuta ex ante e a prescindere dall'esame, seppur parziale, dei motivi dedotti dalla parte”.
Le soluzioni giuridiche
Il diritto di difesa come pretesa a una effettiva cognizione nel merito della domanda nei due gradi di giurisdizione amministrativa
La premessa da cui muove il provvedimento di rimessione è che la costituzionalizzazione del doppio grado nel processo amministrativo – si richiamano Corte cost., 12 marzo 1975, n. 61, 1° febbraio 1982, n. 8, 31 marzo 1988, n. 395 – ha comportato che i casi di giurisdizione in unico grado dinanzi al Consiglio di Stato costituiscono una eccezione e devono quindi essere individuati espressamente e tassativamente dal legislatore. Sicché, salvo le deroghe previste per legge, i tribunali amministrativi regionali devono necessariamente esaminare le questioni affidate alla loro cognizione, dovendosi escludere che esse possano essere affrontate in unico grado nel giudizio di appello.
Da ciò consegue, ad avviso del giudice a quo, che l'erronea declaratoria di inammissibilità del ricorso da parte del giudice di primo grado comporta una lesione del “diritto di difesa” con il correlato obbligo di rimessione della causa al Tar, giacché: la mancata trattazione del merito rappresenta una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato; l'esame dei motivi di ricorso direttamente in appello priverebbe le parti di ogni possibilità di fruire nella sostanza della revisio causae, con l'inaccettabile effetto che il secondo grado diverrebbe di fatto l'unica parentesi giurisdizionale in cui vi sia stata una cognizione sul merito della vicenda dedotta in giudizio.
Agli argomenti di segno contrario già valorizzati dall'Adunanza plenaria nei precedenti sopra richiamati (“il giudice di primo grado ha esercitato e consumato comunque il suo potere, anche con la semplice pronunzia di rito”; “l'interessato ha comunque avuto la possibilità di esperire entrambi i gradi di giudizio”; “il carattere devolutivo dell'appello impone una interpretazione restrittiva delle ipotesi di rimessione al primo giudice”; “l'estensione delle ipotesi di rimessione al primo giudice pregiudicherebbe il principio di ragionevole durata del processo”), la pronuncia in commento replica che essi sono manifestazione di una visione “rigidamente formalistica della tutela giurisdizionale”. Invero, se il giudice dichiara inammissibile o irricevibile il ricorso nella sua interezza è come se avesse “deciso di non decidere”; e se tale valutazione risulta errata, il principio del doppio grado di giurisdizione impone che la causa sia rimessa dinanzi al giudice naturale precostituito per legge, ossia il Tar, così salvaguardando la prerogativa della parte di ottenere una pronuncia sul merito da ciascuno degli organi giurisdizionali aditi.
Né l'esigenza di celerità può essere considerata, secondo il giudice rimettente, un valore idoneo a comprimere quello, declinato con pari forza dalla Costituzione, del rispetto delle regole del “giusto processo”; regole che comportano che il contraddittorio sia sempre assicurato e che il processo non si traduca in uno strumento di giustizia tanto veloce quanto sommario (ossia ingiusto, anche ai sensi e per gli effetti dell'art. 111 Cost.) o, comunque, tale da consentire la compressione di diritti di difesa.
Discrezionalità legislativa e interpretazione giudiziale
L'operazione ermeneutica del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana risulta particolarmente interessante, perché, con un pregevole iter motivazionale, tenta di valorizzare il doppio grado di giurisdizione al punto da prospettare che il ricorrente avrebbe sempre diritto nella giurisdizione amministrativa a due giudizi sul merito, ad eccezione dei casi eccezionali in cui il legislatore attribuisca al Consiglio di Stato una competenza in unico grado. Sicché, se tale diritto è leso in primo grado, l'unico modo per sanare il vizio in appello sarebbe quello di annullare la decisione con rinvio.
La tesi, a ben vedere, è così dirompente che la stessa pronuncia tenta subito di depotenziarne la portata. Il principio troverebbe applicazione soltanto nei casi in cui il Tar si sia limitato a dichiarare ex ante il ricorso integralmente inammissibile; non quando, invece, abbia comunque scrutinato alcuni motivi, dichiarando il ricorso solo parzialmente non decidibile nel merito.
Si potrebbe però obiettare che la differenza a questo punto sarebbe soltanto quantitativa. La “violazione del diritto di difesa” ex art. 105 c.p.a., se inteso come diritto delle parti a vedere esaminato nel merito il thema decidendum in due diversi gradi, ricorrerebbe anche nel secondo caso. Si pensi, ad esempio, a un assorbimento improprio di motivi, qualora il giudice si sia limitato ad accogliere una censura di carattere meramente formale, omettendo di scrutinare tutte le altre doglianze che avrebbero potuto far emergere un vizio più radicale; anche in questo caso le questioni (invero centrali per la tutela piena ed effettiva del ricorrente) verrebbero esaminate in unico grado in appello, senza che le parti abbiano potuto fruire nella sostanza della revisio causae.
A livello sistematico, poi, se il diritto di difesa dovesse essere inteso con tale latitudine, sarebbe difficile spiegare perché l'art. 105 c.p.a. menziona espressamente e in senso limitativo (si noti il “soltanto” che regge l'elenco) diverse ipotesi che sarebbero già riconducibili alla violazione del diritto di difesa nell'interpretazione offertane nella presente decisione. Così, per esempio, è chiaro che l'erronea declaratoria del difetto di giurisdizione in primo grado comporta in assoluto il mancato scrutinio nel merito della vicenda dedotta in giudizio, e dunque una “lesione del diritto di difesa” nel significato prospettato dalla pronuncia in commento. Similmente, l'erronea declaratoria di estinzione e di perenzione.
Con ciò non si vuole di certo negare che è difficile comprendere fino in fondo perché mai il legislatore nell'art. 105 c.p.a. – ciò vale anche per gli artt. 353 e 354 c.p.c. – abbia riservato un trattamento diverso a situazioni che sembrano invece simili (l'inammissibilità per difetto di giurisdizione oppure per carenza di interesse frustra il bisogno di tutela del ricorrente allo stesso modo). Tuttavia, forse è più corretto ritenere che: o si taccia la scelta del legislatore di incostituzionalità, rimettendo la questione alla relativa Corte (per presunta irragionevolezza e violazione degli artt. 24 e 125, co. 2, Cost.), oppure il tutto si risolve e dissolve (come sembra più probabile) nella scelta politica cristallizzata (de jure condito) nel Codice, ancorata all'assunto che è sufficiente nell'attuale sistema consentire sempre l'appellabilità delle pronunce di primo grado e fare sì che il giudice del gravame possa rimediare all'errore commesso dal Tar (così fornendo una risposta effettiva alla domanda di giustizia).
Del resto, giova soggiungere, l'appello ha carattere generalmente devolutivo e sostitutivo. Di norma, il giudice dell'appello ha gli stessi poteri del giudice di primo grado. Sicché se il vizio della sentenza gravata si è verificato nella fase decisoria, sembra del tutto fisiologico che la causa sia decisa direttamente in appello e che non si verifichi un arretramento del processo; arretramento che risulta invece davvero necessario soltanto quando l'illecito processuale è compiuto prima della fase decisoria, derivandone la necessità di “rifare il processo” da quel momento in poi.
Guida all'approfondimento
In dottrina si segnala: A. CASSATELLA, La Plenaria limita i casi di rinvio al giudice di primo grado, in Giornale di diritto amministrativo, n. 2, 1 marzo 2019, p. 207; C. COMMANDATORE, La rimessione al primo giudice: il giusto processo d'appello nel giudizio civile e amministrativo, in Rivista di Diritto Processuale, n. 3, 1 luglio 2020, p. 1214; R. DE NICTOLIS, Codice del processo amministrativo commentato, V ed., Milano, 2023, 1510 ss.; F.P. LUISO, Le impugnazioni, ne Il codice del processo amministrativo(a cura di B. Sassani - R. Villata), Torino, 2012, 1214 ss.; F.P. LUISO, Diritto processuale civile, Giuffrè Editore, 2015, vol. 2, 417 ss.; A. TRAVI nota a Cons. Stato, Ad. plen., 28 settembre 2018, n. 15, in Foro it., 2018, III, 545; M. TRIMARCHI, Omessa pronuncia in primo grado e regime dell'appello (sull'alternativa tra ritenzione della causa e annullamento con rinvio), in Dir. proc. amm., 2, 2020, 340 e ss.
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Discrezionalità legislativa e interpretazione giudiziale