Codice di Procedura Civile art. 153 - Improrogabilità dei termini perentori.Improrogabilità dei termini perentori. [I]. I termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull'accordo delle parti. [II]. La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini. Il giudice provvede a norma dell’articolo 294, secondo e terzo comma1.
[1] Comma inserito dall'art. 45, comma 19, della l. 18 giugno 2009, n. 69 (legge di riforma 2009), con effetto a decorrere dal 4 luglio 2009, per i giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore. Inquadramento generaleL'articolo in commento è certamente tra i più applicati e invocati fin dall'istituzione del processo civile telematico. Al momento in cui si scrive l'istituto della rimessione in termini nel processo telematico, oltre a essere supportato da una copiosa giurisprudenza formatasi nel corso degli anni, è accompagnato anche da un'importante novità normativa introdotta con la riforma Cartabia, infatti l'art. 46 delle disposizioni di attuazione prevede oggi che, il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico e dei criteri e limiti di redazione dell'atto non comporta invalidità, ma può essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo. Quest'ultima previsione rappresenta senza dubbio una conquista nella definitiva e incontrovertibile applicazione del principio del raggiungimento dello scopo, oramai ampiamente confermato dalla giurisprudenza, anche in relazione alle violazioni in tema di processo civile telematico. Tuttavia, non si può non tener conto della dottrina e giurisprudenza sin qui formatasi, dovendosi prestare attenzione al fatto che non tutti gli errori in fase di deposito possono condurre a una violazione delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico nonché sui criteri e limiti di redazione dell'atto. A ogni buon conto l'istituto della rimessione in termini, secondo la maggior parte della dottrina, costituisce il rimedio naturale e privilegiato per la parte incorsa in decadenza a causa del mancato perfezionamento della procedura di deposito di atti o documenti in via telematica. Presupposto per la rimessione in termini, ex art. 153 c.p.c., come già ex art. 184-bis c.p.c., è che la decadenza dipenda da causa non imputabile alla parte, perché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà (Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2011, n. 23561), occorrendo peraltro che il rimedio sia azionato senza ritardo, non appena acquisita la consapevolezza di aver violato il termine stabilito (Cass. civ, sez. II, 26 marzo 2012, n. 4841) (cfr. Spagnoletti, Rimessione in termini (PCT), in IUS Processo Telematico su ius.giuffrefl.it, 2016). Inoltre, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, sussiste in capo al depositante un “dovere di precauzione” che, se disatteso, esclude l'affidamento incolpevole, cosicché non potrà farsi luogo alla rimessione in termini, ad esempio per la notificazione di un ricorso tardivamente proposto (cfr. Cass. civ., n. 4687/2011, App. Bologna, sent., 3 novembre 2015 n. 1826). La Suprema Corte ha dunque tracciato i confini dell'applicabilità dell'istituto in commento ben prima dell'avvento del processo civile telematico e, su tali basi, i giudici di merito hanno, a seconda dei casi, concesso la rimessione in termini. Sul punto proprio con una recentissima ordinanza resa dalla Suprema Corte in data 3 gennaio 2025, n. 69 la Corte ha sancito che, l'applicazione dell'istituto della rimessione in termini presuppone l'espletamento di due necessarie verifiche ovvero l'accertamento della presenza di un fatto ostativo oggettivamente estraneo alla volontà della parte istante e l'immediatezza della reazione, intesa come prontezza per porvi rimedio. La Corte richiama in tal senso un orientamento già prescritto con la sentenza n. 11706 del 02.5.2024 secondo cui ai fini della rimessione in termini devono essere presenti due condizioni: •presenza, di un fatto ostativo che risulti oggettivamente estraneo alla volontà della parte e che dalla stessa non risulti governabile, riferibile, più esattamente, ad un evento che presenti il carattere dell'assolutezza, e non già un'impossibilità relativa, né tantomeno una mera difficoltà •cd. "immediatezza della reazione", da intendere come tempestività del comportamento della parte di fronte al verificarsi del "fatto ostativo" in sé rilevante: nella prontezza dell'attivarsi, appunto, per superarlo o comunque per porre rimedio alla situazione che si è così venuta a determinare. Pertanto, in caso di problematiche già rilevate dalla cosiddetta terza PEC la parte depositante ha l'onere di attivarsi anche presso la cancelleria per comprendere la reale natura del problema e, ad ogni buon conto, dovrà farlo in un congruo termine non potendo far trascorrere mesi o anni come nel caso delle due pronunce sopra menzionate. La Suprema Corte, nelle due pronunce sopra richiamate, sancisce che, al fine di accertare la tempestività del deposito occorre fare riferimento al momento in cui viene generata, da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia, la ricevuta di avvenuta consegna (RdAC) e, cioè, la cosiddetta "seconda p.e.c.", la quale attesta l'ingresso della comunicazione nella sfera di conoscibilità del "sistema giustizia"; tuttavia, considerato che la struttura del procedimento di deposito telematico è a fattispecie progressiva, sicché la RdAC consente di ritenere perfezionato il deposito con effetto anticipato, ma pur sempre provvisorio, si è però ritenuto di dover precisare che il definitivo consolidarsi dell'effetto di tempestivo deposito prodottosi, in via anticipata, con la ricezione della ricevuta di avvenuta consegna (RdAC) è subordinato all'esito positivo dei successivi controlli, la cui prova è data dal messaggio di posta elettronica certificata contenente l'esito dell'intervento di accettazione da parte della cancelleria (cd. quarta PEC). Prima di proseguire nella trattazione, può essere utile ripercorrere l'iter di un deposito telematico. Ad una prima fase comune alla semplice spedizione di una normale PEC, ovvero il rilascio della ricevuta di Accettazione (RdA) e ricevuta di consegna (RdAC), ne segue una seconda, ove viene rilasciata una terza ricevuta, che riferisce l'esito dei controlli automatici, a cui seguirà — infine — la quarta ricevuta che notizierà dell'avvenuta accettazione da parte del cancelliere. La data e l'ora del deposito saranno comunque quelle indicate nella seconda ricevuta, ossia, nella PEC di consegna del messaggio. Prima che venga elaborata la terza ricevuta un primissimo controllo viene effettuato dal gestore della posta elettronica certificata del Ministero della giustizia, in grado di segnalare le seguenti anomalie che invalidano il deposito (in tal caso il deposito dovrà essere ripetuto): 1) l'indirizzo del mittente non è censito in ReGIndE; l'avvocato deve verificare l'effettiva presenza dei suoi dati nel ReGIndE ed eventualmente provvedere presso il proprio ordine di appartenenza; 2) il formato del messaggio non è aderente alle specifiche; verificare la versione del redattore utilizzato; 3) la dimensione del messaggio eccede la dimensione massima consentita; ridurre la dimensione degli allegati ripetendo le scansioni utilizzando una risoluzione più bassa. Superata la predetta fase vengono invece effettuati nuovi ed ulteriori controlli automatici che, se positivi, consentiranno senza indugio l'accettazione della busta da parte del cancelliere, e che — diversamente — potrebbero invece restituire errori che si dividono in tre categorie: 1) WARN: anomalia non bloccante, si tratta in sostanza di mere segnalazioni, alcune volte di carattere giuridico (es: atto depositato fuori termine), in altri casi di natura fattuale (es: contributo unificato pagato in eccesso); 2) ERROR: anomalia bloccante, ma lasciata alla determinazione dell'ufficio ricevente, che può decidere di intervenire forzando l'accettazione o rifiutando il deposito (es: certificato di firma scaduto, numero di ruolo errato); 3) FATAL: eccezione non gestita o non gestibile (es: atto principale mancante, busta indecifrabile). Nei primi due casi il deposito verrà inoltrato comunque al tribunale di destinazione che potrà accettarlo o rifiutarlo. Tuttavia, lo stesso Ministero della Giustizia con circolare del 27 giugno 2014 aggiornata il 23 ottobre 2015, ha precisato che le cancellerie, in presenza di anomalie del tipo WARN o ERROR, dovranno, ove possibile, sempre accettare il deposito, avendo cura, tuttavia, di segnalare al giudicante ogni informazione utile in ordine all'anomalia riscontrata. Possiamo dunque, da questa breve analisi, intuire quali possano essere i casi più comuni in cui il depositante abbia necessità di ricorrere ad una richiesta di rimessione in termini, e potremo farlo distinguendo tale casistica in tre macro gruppi a seconda che l'anomalia intervenga per un errore del depositante nel compilare la busta (ad esempio errore sul numero di ruolo), per malfunzionamento dei sistemi ministeriali o, in ultimo, per un malfunzionamento della strumentazione in dotazione al professionista. Ad ogni buon conto per meglio approfondire la normativa sul perfezionamento del deposito telematico si rimanda al commento dell'articolo 196 sexies delle disposizioni di attuazione e dell'articolo 13 delle regole tecniche e 17 delle specifiche tecniche. La rimessione in termini in caso di indicazione di numero di ruolo erratoTra i casi più comuni di rimessione in termini vi è l'inserimento di un numero di ruolo errato in fase di creazione della busta di un deposito endoprocedimentale come, ad esempio, di una memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. Suddividiamo quindi l'analisi in due principali casi di studio: 1) deposito con numero di ruolo errato su fascicolo in cui l'Avvocato depositante non è costituito; 2) deposito con numero di ruolo errato su fascicolo in cui l'Avvocato depositante è costituito o stia depositando comparsa di costituzione. Nel primo caso l'errore emergerà già dai controlli automatici di cui alla terza PEC ricevuta dal depositante, ove — infatti — sarà riportato l'errore “Numero di ruolo non valido: il mittente non ha accesso al fascicolo. Sono necessarie verifiche da parte della cancelleria”. Allo stesso modo la cancelleria del Tribunale riceverà la busta telematica con una segnalazione di errore di cui il personale in servizio sarà in grado quindi di avvedersi. In questo caso il Cancelliere rileverà l'errore di accesso al fascicolo e — auspicabilmente — si preoccuperà di aprire l'atto principale della busta telematica per comprendere da quale vizio sia affetto il deposito. Qualora sia agevole per la cancelleria rilevare l'errore di numero di ruolo (quando per esempio sia indicato il numero di R.G. corretto nell'incipit dell'atto) la cancelleria stessa potrà manualmente provvedere alla correzione dell'errore, inserendolo nel fascicolo telematico corretto. Quando però tale identificazione non sia così agevole, la busta telematica rischierà di venire rifiutata o, peggio ancora, di essere depositata effettivamente nel fascicolo al quale il Professionista depositante non aveva accesso. Tali casi sono tutt'altro che infrequenti soprattutto in relazione a procedure pendenti presso una ex sezione distaccata e quindi su fascicoli che, come è noto, sono stati trasferiti presso il tribunale accorpante con l'attribuzione di un nuovo numero di R.G. I messaggi di errore sopra evidenziati, però, non si manifesteranno qualora l'Avvocato depositante sia — per ragioni meramente fortuite — costituito anche nel fascicolo di cui al numero di ruolo errato oppure qualora depositi una comparsa di costituzione, unico caso in cui il sistema informatico ministeriale non effettua alcun controllo sull'associazione del fascicolo al depositante. In questi casi, difatti, il sistema non rileverà l'incongruenza fra le parti costituite nel fascicolo ed il Professionista depositante, e lo considererà un normale deposito da effettuarsi a tutti gli effetti in quel determinato fascicolo telematico. Non solo i controlli automatici ministeriali, quindi, non rileveranno errori nella busta, ma nemmeno la cancelleria del Tribunale visualizzerà un messaggio di errore, con la logica conseguenza di un deposito che si perfezionerà nel fascicolo sbagliato. Dell'errore, purtroppo, l'Avvocato potrà accorgersi solo accedendo al fascicolo telematico tramite il proprio punto di accesso. Qualora, quindi, abbia provveduto a depositare il proprio atto difensivo con un certo anticipo, il tutto potrà risolversi con un secondo deposito nel fascicolo corretto, ma qualora il deposito sia stato effettuato l'ultimo giorno utile ed il cancelliere abbia aperto la busta solo il giorno successivo — come da prassi — il deposito non potrà purtroppo perfezionarsi correttamente. Sicuramente prevenire è meglio che curare ed è opportuno precisare che, tali errori, possono essere evitati utilizzando un redattore o software gestionale che preveda lo scarico dei fascicoli in automatico da polisweb, ricordandosi che, se il nostro fascicolo era pendente presso una ex sezione distaccata dovremo provvedere a risincronizzare il fascicolo con il nuovo numero assegnato presso il tribunale accorpante. Qualora, quindi, l'esito dei controlli automatici (c.d. terza PEC), giungesse prima della scadenza dei termini sarà opportuno ripetere il deposito prima della scadenza del termine stesso avendo cura di inserire il numero di ruolo corretto. Nel caso in cui, invece, i termini per effettuare un nuovo invio fossero scaduti sarà opportuno contattare al più presto la cancelleria fornendo il corretto numero di ruolo e specificando che il deposito potrà essere forzato inserendo manualmente tale numero. La procedura potrà essere perfezionata cliccando nella schermata di “intervento manuale” del cancelliere sull'apposita icona contrassegnata da una stellina e denominata “Assegna a fascicolo”. Laddove il deposito venisse comunque rifiutato l'unica strada percorribile sarà la richiesta di rimessione in termini. Sulle conseguenze giuridiche di un errore di questo tipo la giurisprudenza di merito è, come spesso capita, non allineata su un indirizzo comune. Un primissimo orientamento del Tribunale di Torino, enunciato nelle ordinanze emesse rispettivamente in data 26 agosto 2014 e 11 giugno 2015, escludeva la rimessione in termini ritenendo imputabile al depositante l'errore sul numero di ruolo. A parere di chi scrive l'opinione del Tribunale Torinese si pone in netto contrato con quanto stabilito non solo dalla circolare ministeriale sopra richiamata, ma anche dalle stesse norme processuali laddove, lo stesso articolo 111 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, prevede che il cancelliere possa rifiutare il deposito degli atti, solo quando il deposito stesso manchi di uno degli atti giudiziari di parte o qualora la comparsa sia scritta in carattere poco chiaro e non facilmente leggibile. Peraltro, si ritiene come, nel caso di specie, senza neanche scomodare l'istituto della rimessione in termini, il deposito telematico dovesse intendersi perfezionato, ai sensi dell'art. 16-bis, comma 7, d.l. n. 179/2012, al momento della generazione della ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia. Nella fattispecie che ci occupa, invece, il Tribunale di Torino ha ritenuto che, — sulla base degli elementi ricavabili dall'istanza di rimessione in termini —, non vi fosse modo di ritenere che la causa del rifiuto del deposito non potesse essere imputabile all'avvocato depositante. Tale impostazione lascia notevolmente perplessi, e ci si potrebbe comunque chiedere se, con una istanza di rimessione in termini più “determinata” — e comunque più incisiva — il nostro avvocato telematico sarebbe riuscito ad ottenere una meritata rimessione in termini, atteso che l'errore principale è stato commesso dal cancelliere che, pur potendo, non ha corretto l'errore sul numero di ruolo incasellando manualmente il deposito nel giusto fascicolo, numero che ben poteva essere individuato mediante una ricerca più approfondita, magari partendo dalle parti in causa. In particolare, nell'ordinanza dell'11 giugno 2015 il Tribunale Torinese ha affermato che « Il deposito di un atto processuale in un fascicolo non pertinente è affetto da nullità perché mancante dei requisiti indispensabili al raggiungimento dello scopo (art. 156 cpv. c.p.c.). Il deposito in cancelleria ha infatti la funzione di comunicare la memoria alla controparte (art. 170 comma 4 c.p.c.), oltre che al Giudice. Questa funzione viene del tutto a mancare se l'atto non può essere reso accessibile nel pertinente fascicolo telematico perché indirizzato altrove ». A nulla rilevando il fatto che, ex comma 7 art. 16-bis d.l. 179/2012, il deposito si sia perfezionato con la generazione della seconda ricevuta PEC ciò perché — in ogni caso — la « funzione di questa norma è, all'evidenza, quella di esonerare il depositante dal rischio di tardività del deposito in ragione di ritardi di lavorazione a lui non imputabili — ci si riferisce ai controlli automatici effettuati dal dominio giustizia e, soprattutto, a quelli manuali degli operatori di cancelleria che possono avvenire a distanza di giorni — ma non dal rischio di nullità del deposito per carenza dei requisiti indispensabili ». Il Tribunale di Torino, dunque, ha ritenuto inammissibile la rimessione in termini poiché l'errore sul numero di ruolo ha comportato non un deposito intempestivo (come, ad esempio, in caso di mancata apertura della busta telematica da parte del personale di cancelleria) ma un deposito su fascicolo errato che, di conseguenza, è da considerarsi ab origine affetto da nullità. Tale orientamento, oltre ad essere stato confermato dallo stesso Tribunale di Torino in una successiva ordinanza del 22 marzo 2016, è stato ripreso anche dai Tribunali di Milano e Napoli con le rispettive ordinanze dell'8 ottobre 2015 (Giudice Chiarentin) e del 16 dicembre 2015 (Giudice Dott. Lupi). Entrambe le ordinanze appaiono di particolare interesse nel condivisibile orientamento di negare la rimessione in termini per la mancata tempestività dell'istanza, ciò poiché il Difensore della parte non si era attivato per i necessari controlli sui propri applicativi per comprendere le cause della segnalazione della mancanza di accesso a quel fascicolo, segnalazione evidenziata nella terza ricevuta PEC. In particolare, secondo il Tribunale partenopeo il depositante avrebbe potuto riconoscere l'errore già nella terza PEC e ben si sarebbe potuto attivare per comprendere le ragioni dell'errore medesimo. Di simile portata è anche il caso trattato dal Tribunale di Milano dove, all'udienza di discussione ex art. 420 c.p.c., parte attrice in opposizione richiedeva di poter depositare in forma cartacea la propria memoria ex art. 426 c.p.c., non rinvenendo nel fascicolo telematico la propria memoria depositata in via telematica nei termini assegnati dal Giudice. La prova dell'asserito tempestivo deposito veniva fornita depositando la ricevuta di avvenuta consegna proveniente dal gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia che, ai sensi dell'art. 16-bis, comma 7, d.l. n. 179/2012 e dell'art. 13, d.m. n. 44/2011, è sufficiente a provare detta circostanza. Tuttavia il Giudice rilevava il mancato deposito delle successive due ricevute attestanti l'esito dei controlli automatici e l'intervento manuale del cancelliere, dalle quali, secondo il giudicante, si sarebbe potuto evincere il motivo del mancato inserimento della memoria nel fascicolo telematico, che avrebbe potuto essere dipeso tanto da un errore dell'avvocato nella compilazione dei dati essenziali della busta telematica, quanto da un errore imprevisto dovuto ad un malfunzionamento del sistema informatico ministeriale. Preso atto della mancata esibizione delle ulteriori due ricevute, il Giudice milanese — non potendo conoscere la natura dell'errore — ha supposto che lo stesso potesse essere attribuito al sistema oppure all'avvocato nelle fasi di compilazione della busta per avere, ad esempio, inserito un numero di R.G. diverso da quello corretto. Ebbene, il mancato deposito di tali ricevute, nonché la circostanza che la rimessione in termini sia stata richiesta solo all'udienza e dopo ben 3 mesi dal deposito telematico, hanno costituito la motivazione del rigetto dell'istanza della convenuta e il rinvio della causa per discussione orale. Pertanto, nel caso dell'ordinanza meneghina, oltre al condivisibile principio della intempestività della rimessione in termini viene introdotto un non altrettanto condivisibile orientamento circa l'importanza della terza ricevuta del deposito. Si ritiene infatti che, una esaustiva istanza di rimessione in termini, non dovrebbe neanche comportare un‘analisi dell'errore sulla terza ricevuta, posto che a norma di legge (cfr. art. 16-bis, comma 7, d.l. n. 179/2012 e art. 13, d.m. n. 44/2011), il deposito dell'atto telematico si perfeziona nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia. Si sarebbe, quindi, dovuto far leva sulla eventuale tardività nel recapito della terza ricevuta che, se inviata oltre il termine della scadenza, non avrebbe consentito all'avvocato depositante di ripetere il deposito correggendo l'errore. Vi è poi un'ulteriore circostanza non considerata dal Giudice del Tribunale di Milano, il quale — con tutta evidenza — avrebbe potuto verificare il contenuto della ricevuta di consegna del deposito; non si può non rilevare, infatti, che per impostazione predefinita della quasi totalità dei gestori PEC le ricevute di consegna sono della tipologia c.d. “completa” e contengono, pertanto, anche il messaggio originale e l'allegato file “atto.enc” che reca al suo interno l'atto principale, i documenti annessi e il datiatto.xml (contenente i dati strutturati del deposito). Tale file, cifrato con il certificato del Tribunale di destinazione, viene decifrato dai sistemi informatici del tribunale e, in caso di errore, può anche essere aperto ed elaborato manualmente dalla cancelleria con l'adeguato supporto dei tecnici del CISIA. È consigliabile, dunque, configurare sempre la propria PEC con la ricevuta completa; così come è opportuno accertarsi tempestivamente dell'esistenza di eventuali anomalie nei depositi telematici, non lasciando trascorrere troppo tempo prima di chiedere eventualmente la rimessione in termini. Se, infatti, nel caso di specie gli scriventi ritengono di non poter condividere la necessità addotta dal giudicante di esibire le due ulteriori ricevute, tale accertamento ben avrebbe potuto comunque essere effettuato demandando alla cancelleria le verifiche di cui sopra. Sono invece da condividersi, sempre ad avviso di chi scrive, le censure del giudicante nella parte in cui ha ritenuto che l'attrice avrebbe dovuto attivarsi immediatamente per chiedere la rimessione in termini, anziché attendere la data dell'udienza del 7 ottobre 2015. Infatti, se è pur vero che il deposito telematico, come detto, si perfeziona nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia, non ci si può disinteressare dei successivi eventi, atteso che il deposito viene effettivamente posto a conoscenza della controparte nel momento in cui lo stesso è accettato dalla cancelleria. Sarà dunque buona prassi dell'avvocato attivare le soluzioni più opportune al caso di specie, contattando tempestivamente la cancelleria in caso di errori nei controlli automatici comunicati dopo la scadenza dei termini o depositando per tempo la propria istanza di rimessione in termini in caso di rifiuto da parte della cancelleria medesima. Tali orientamenti rigorosi, come si è detto, non sono univoci e spesso sono stati modificati in un'ottica più tollerante e aperta a concedere la rimessione in termini, come ad esempio nel caso del Tribunale di Pescara (ordinanza del 2 ottobre 2015, dott. Carmine di Fulvio) che ha rimesso in termini a seguito del deposito di una memoria in fascicolo errato; errore che veniva però segnalato — con il rifiuto della busta — molti giorni dopo il deposito. Il Tribunale di Pescara ha dunque ritenuto che, poiché « il banale errore materiale di indicazione del numero del fascicolo di destinazione del suddetto atto difensivo è stato segnalato dal sistema telematico solo » in un momento successivo all'invio della busta telematica (nel caso di specie 5 giorni dopo) « anziché immediatamente, come dovrebbe avvenire se tale sistema fosse ideato e realizzato in modo da funzionare adeguatamente e cioè con efficienza quantomeno pari a quella umana in operazioni automatizzabili » la richiesta di rimessioni in termini fosse certamente da accogliere. Per tale ragione, chiarisce ulteriormente il Tribunale Abruzzese, la parte sarebbe « incorsa in una decadenza per causa imputabile essenzialmente ad un difetto del predetto sistema, inidoneo a segnalare all'interessato un semplice errore materiale, come tale non meritevole di essere sanzionato con una decadenza processuale » e quindi, di fatto, ritenendo che l'impossibilità di una segnalazione immediata dell'errore da parte dei sistemi informatizzati, non possa farsi ricadere sul Professionista depositante che, qualora avesse potuto depositare cartaceamente la medesima memoria, non sarebbe incorso nella medesima decadenza, poiché il personale di cancelleria avrebbe potuto segnalare l'errore all'Avvocato immediatamente consentendo quindi una pronta correzione (cfr. in senso conforme Trib. Grosseto 4 dicembre 2015; Corte App. Bari 21 settembre 2015). In senso conforme alle pronunce di Pescara e Grosseto, troviamo le pronunce del Tribunale di Avellino del 31 maggio 2016 dott. Russolillo e Milano del 23 aprile 2016 dott. Fascilla, che tuttavia ribadiscono la centralità della terza e della quarta ricevuta sostenendo che « la tempestività e la ritualità del deposito telematico è sospensivamente condizionata dall'esito positivo dell'intera procedura », in particolare il Tribunale di Avellino ha sostenuto che « pur essendo tempestivamente eseguito il deposito telematico ove la ricevuta di avvenuta consegna pervenga entro il termine di scadenza, la parte incorre comunque in decadenza nell'ipotesi in cui manchi la successiva accettazione del cancelliere e quindi l'effettivo inserimento dell'atto depositato nel fascicolo telematico ». In particolare, la decadenza non sarebbe imputabile al depositante, con conseguente rimessione in termini, laddove la parte abbia fatto affidamento sulla possibilità di un intervento dell'operatore segnalata nella ricevuta di esito controlli automatici con conseguente impossibilità di ripetere il deposito nei termini, e la cancelleria non abbia comunicato al Giudice le ragioni che impedivano in senso assoluto l'accettazione “forzata” del deposito. L'errore sul numero di ruolo viene dunque in queste più recenti pronunce valutato come “scusabile” e a tal proposito lo stesso Tribunale di Torino con ordinanza del dott. Ciccarelli del 13 maggio 2016, rileva, mutando parzialmente orientamento, che « se si trattasse di deposito in forma cartacea, un tale errore non ingenererebbe alcuna conseguenza, se non quella di una rettifica (“correzione a mano”) dell'atto in fase di deposito, qualora il cancelliere registri e segnali la svista. Nel regime dei depositi telematici invece, qualora il cancelliere non intervenga per forzare l'accettazione, questo errore lieve può produrre effetti rilevanti, perché l'atto, non essendo inserito nel fascicolo telematico, rimane non visibile alla controparte e al Giudice ». Inoltre, sempre secondo il Tribunale torinese, non è neppure corretto parlare — nel caso di specie — di rimessione in termini, atteso che la stessa comporterebbe « l'autorizzazione alla parte a depositare nuovamente l'atto non accettato; e l'atto nuovamente depositato — che “sostituisce” il primo non accettato — potrebbe avere contenuto diverso da quello per primo depositato telematicamente ». Tale orientamento, peraltro ripreso dal Tribunale di Bari con ordinanza dell'8 giugno 2016 della dott.ssa Marina Cavallo, propende pertanto per una soluzione differente dalla rimessione in termini ma avente le medesime conseguenze, ovvero, inserire nel fascicolo telematico l'atto avendo cura però, tramite specifico ordine alla cancelleria, di accettare la busta retrodatando la data di accettazione a quella riportata sulla ricevuta di avvenuta consegna di cui all'articolo 16-bis comma 7 d.l. 179/2012, data nella quale il deposito si sarebbe effettivamente perfezionato. Tale operazione, secondo il giudicante, sarebbe percorribile mutando lo stato del deposito da “rigettato” ad “in attesta di accettazione”, ciò mediante apposita richiesta al servizio di assistenza del CISIA. È indubbio che, tale modo di procedere, non comporterebbe effetti pregiudizievoli per la controparte che verrebbe rimessa in termini riallineando la decorrenza dei termini successivi alla data in cui il deposito è stato effettivamente accettato. L'evidente contrasto della giurisprudenza di merito sul punto è stato tuttavia risolto dalla Suprema Corte che con sentenza dell'11 giugno 2019 n. 15662, che ha riformato una pronuncia di Corte di merito in cui veniva rigettata l'istanza di remissione in termini e veniva dichiarata inammissibile l'opposizione proposta avverso un decreto che aveva rigettato — anche qui per inammissibilità — un'istanza di equo indennizzo ex l. n. 89/2001. In particolare, nel caso di specie, l'istanza veniva depositata telematicamente nello stesso procedimento in cui era stato emesso il decreto impugnato (ritenuto definito), anziché in un nuovo fascicolo telematico. Il ricorso alla Suprema Corte, quindi, veniva proposto facendo leva sul principio di affidamento da parte del ricorrente circa il perfezionamento della procedura di deposito, posto che al regolare esito dei controlli automatici seguiva però il rifiuto manuale del deposito da parte della cancelleria, avvenuto oltretutto con molti giorni di ritardo rispetto all'invio della busta telematica. La Suprema Corte, nel caso di specie, rilevava che trattasi di mera irregolarità, stabilendo inoltre che nella fattispecie il redattore atti in uso all'avvocato non ha inibito il deposito all'interno di un fascicolo ormai definito. La Suprema Corte, con la medesima pronuncia, ha poi richiamato il noto principio del raggiungimento dello scopo e la numerosa giurisprudenza che ritenuto meramente irregolari depositi telematici irrituali (cfr. Cass. n. 22479/2016; Cass. n. 9772/2016; Cass. n. 20625/2017), stabilendo che « deve ritenersi perfezionata la fattispecie del deposito, connotata solo da mera irregolarità quanto all'identità del fascicolo di destinazione (...) e da raggiungimento dello scopo, consistente nel portare a conoscenza dell'ufficio di cancelleria dell'avvenuto deposito ». Tale orientamento trova conferma in una ulteriore pronuncia degli Ermellini (Cass. n. 11726/2019) in cui si ribadisce che, il perfezionamento del deposito telematico, coincide con il rilascio della ricevuta di avvenuta consegna generata dal gestore PEC del Ministero della Giustizia di cui all'art. 16-bis, comma 7, d.l. n. 179/2012. Secondo la Corte la ratio di tale norma risponde all'obiettivo “di prevenire il rischio di ritardi o decadenze incolpevoli a carico della parte per cause alla medesima non imputabili, che possano ricondursi agli eventuali ritardi nella lavorazione degli atti oggetto di invio telematico da parte della cancelleria. Tale rischio — prosegue la Corte — non si pone nel caso di tradizionale deposito cartaceo, posto che la ricezione dell'atto da parte della cancelleria implica la contestuale iscrizione a ruolo; ciò potrebbe non verificarsi, invece, nel caso di deposito telematico, non essendovi necessaria coincidenza cronologica tra l'attività compiuta dalla parte e la successiva lavorazione dell'atto ad opera del personale di cancelleria”. All'ipotesi di errore sul numero di ruolo, si può poi accumunare l'ipotesi di deposito telematico di un atto endoprocedimentale come atto introduttivo. Sul punto la giurisprudenza di merito, e in particolare il Tribunale di Bari con ordinanza del 12 febbraio 2021, ha rimesso in termini l'attore che era incorso in un errore di tipo WARN o ERROR (cd. “Errore non fatale”) nel deposito telematico, laddove l'errore stesso non aveva impedito alla Cancelleria l'accettazione dell'atto; vi è da precisare che — nel caso di specie — l'attore medesimo si era tempestivamente attivato per la richiesta di rimessione in termini. In particolare, entrando più approfonditamente nel merito della vicenda in commento, la parte ricorrente in riassunzione aveva eseguito tempestivamente il deposito telematico dell'atto di riassunzione, deposito che non era andato a buon fine per essere stato inoltrato come “atto introduttivo di nuovo giudizio” e non come “atto endoprocessuale” diretto alla prosecuzione del giudizio già instaurato. La parte ricorrente in riassunzione aveva, in un primo momento, ricevuto la PEC di “Esito 1” (terza PEC), dalla quale emergeva che, i “controlli automatici” eseguiti dalla Cancelleria, erano avvenuti con successo, e, in un secondo momento, aveva ricevuto la PEC di “Esito-2” (quarta PEC) che dava atto del rifiuto del deposito da parte della Cancelleria, con codice di Errore di tipo WARN o ERROR. La parte ricorrente si era poi “tempestivamente attivata” depositando istanza di rimessione in termini in data 24 febbraio 2020 a fronte della ricezione della PEC di rifiuto ai “primi di febbraio 2020”. Il Tribunale rilevava altresì che la problematica riscontrata non impediva l'accettazione dell'atto da parte della Cancelleria, che, come da Circolare del 23 ottobre 2015 del Ministero della Giustizia, avrebbe dovuto riqualificare e inserire il deposito nel relativo fascicolo telematico. La rimessione in termini in caso di inserimento di registro erratoUn caso particolare, rispetto all'errore che intervenga sul numero di ruolo, è invece l'errata indicazione del registro di destinazione (ad es. Lavoro piuttosto che Civile), in questi casi la circolare ministeriale del 23 ottobre 2015 rammenta che il sistema informatico non consente ancora il trasferimento del fascicolo telematico dall'uno all'altro registro. La circolare de qua, in questo caso, non fornisce ulteriori soluzioni per la problematica segnalata salvo prevedere, nell'ipotesi di atto introduttivo, l'impossibilità da parte della cancelleria di richiedere il versamento di un nuovo contributo unificato per la inevitabile seconda iscrizione al ruolo. Cosa accade però se l'atto erroneamente depositato è in scadenza? Ancora una volta, prima di esaminare i casi specifici su cui si è pronunciata la giurisprudenza, sarà opportuno partire dal principio sancito dall'articolo 16bis comma 7 del d.l. 179/2012 e ribadito anche dalla Suprema Corte nella giurisprudenza richiamata nel paragrafo precedente ed, ex multis, anche nell'ordinanza del 27 giugno 2019 n. 17328, secondo la quale “Nel processo civile telematico, il deposito, di cui risulti positivo il successivo controllo da parte della cancelleria, si perfeziona quando viene emessa la seconda pec, ovvero la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia, come disposto dall'art. 16-bis, comma 7 D.L. 18 ottobre 2012 n. 179, convertito in L. 17 dicembre 2012 n. 221, inserito dall'art. 1, comma 19, n. 2), della L. 24 dicembre 2012 n. 228”. Si sottolinea poi come la più recente giurisprudenza di merito tenda, comunque, a far salvo il deposito di un atto all'interno di un fascicolo diverso da quello in cui l'atto stesso avrebbe dovuto essere depositato, si veda ad esempio l'ordinanza del Trib. Roma del 21 marzo 2017 relativa ad un'azione ex art. 669-terdecies c.p.c. in cui il reclamante aveva effettuato il deposito nel giudizio di opposizione all'esecuzione e non con autonoma iscrizione a ruolo nel registro contenzioso. Di particolare interesse poi, nello specifico caso di errore sul registro, è l'ordinanza del Tribunale di Catania del 28 gennaio 2015 che ha ritenuto come la comunicazione inviata dalla cancelleria sia senz'altro idonea a generare un legittimo affidamento sull'avvenuto deposito degli atti. Infatti, pur non essendo tecnicamente possibile, il tribunale ritiene che « la cancelleria a fronte dell'errata accettazione dell'atto avrebbe dovuto trasmetterlo alla sezione competente (evitando che la parte incorresse in preclusioni) ovvero informare compiutamente la parte dell'errata ricezione (come peraltro suggerito dal cd. “vademecum PCT-II edizione”, all'art. 13) ». Ebbene, al di là del curioso richiamo al “vademecum” catanese — richiamo che deve far riflettere su quanto spesso i numerosi protocolli sul PCT possano creare realtà divergenti rispetto ad altri Tribunali — la tesi del Tribunale siciliano si sposa con quanto espresso fino ad ora dalle ordinanze che hanno concesso la rimessione in termini a causa di numero di ruolo errato. Uno degli elementi fondamentali che consente la rimessione in termini, infatti, è proprio la carenza di un'adeguata e tempestiva segnalazione dell'errore, segnalazione che, se inoltrata entro il termine di scadenza, avrebbe consentito all'avvocato di ripetere il deposito. Alle stesse conclusioni del Tribunale di Catania giunge il Tribunale di Torino che, con ordinanza del 23 dicembre 2016 ha rimesso in termini il convenuto in un procedimento ex art. 702-bis c.p.c., il quale depositava la propria comparsa nel registro “Lavoro” anziché nel registro “Contenzioso Civile”, con conseguente rifiuto del deposito da parte della Cancelleria (in data 3 febbraio 2016). Il Tribunale (nella persona del Giudice assegnatario della causa nelle prime fasi del giudizio) rimetteva in termini il convenuto, rilevata la tempestività del primo deposito sulla base della ricevuta di avvenuta consegna prodotta. A giudizio del Tribunale del capoluogo piemontese « l'accettazione dell'atto da parte della cancelleria non concorre a integrare la fattispecie del deposito, ma riguarda il mero inserimento dell'atto nel fascicolo digitale », non potendosi ammettere che « anomalie che bloccano l'inserimento nel fascicolo sortiscano l'effetto di travolgere retroattivamente il deposito ». Tale interpretazione, sempre secondo detto Tribunale, nasce dall'opportunità di « evitare per gli atti telematici che meri errori materiali, anche di piccola entità e privi di rilevanza negli atti analogici, comportino gravi conseguenze processuali, in ipotesi in cui potrebbe non applicarsi l'istituto della rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., che presuppone la non imputabilità della causa della decadenza ». Il Tribunale rilevava altresì, come indicato al punto 7.1 della Circolare ministeriale del 23 ottobre 2015, che l'azione di trasferimento del fascicolo da un registro ad un altro non è ancora consentita, e come « il nuovo invio della comparsa di risposta [avesse] esclusivamente comportato l'eliminazione dell'errore materiale che impediva l'inserimento nel fascicolo di un atto già ritualmente depositato ». Proprio sulla scorta di tale nuovo invio veniva revocata l'ordinanza di rimessione in termini originariamente emanata (cfr. P. Calorio, Deposito telematico su registro errato valido anche in caso di rifiuto da parte della Cancelleria, in ilprocessotelematico.it, Giuffrè, 2016). Di diverso avviso è invece il Tribunale di Bologna che, con ordinanza del 4 luglio 2016, negava la rimessione in termini all'Avvocato che depositava l'ultimo giorno utile una opposizione allo stato passivo sul registro fallimenti anziché contenzioso e, dopo aver ottenuto il messaggio di rifiuto, inoltrava nuovamente il deposito il giorno successivo alla scadenza del termine. La stessa ordinanza bolognese richiama poi i precedenti negativi di Torino e Milano, sopra già ricordati, sostenendo che: « con riferimento al deposito di atto processuale in registro non pertinente, la giurisprudenza di merito ha addirittura applicato la sanzione della nullità dell'atto, affermando che “il deposito di un atto processuale in un fascicolo non pertinente è affetto da nullità perché mancante dei requisiti indispensabili al raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c. Il deposito in cancelleria, infatti, ha la funzione di comunicare la memoria alla controparte (art. 170 comma 4 c.p.c.), oltre che al Giudice. Questa funzione viene del tutto a mancare se l'atto non può essere reso accessibile nel pertinente fascicolo telematico perché indirizzato altrove. Se, dunque, la RdAC è generata entro il giorno di scadenza del deposito il termine decadenziale è rispettato e non rileva che la cancelleria accetti il deposito fuori termine. Ma se il deposito è nullo, non vale a far salvo il rispetto del termine la circostanza che la RdAC sia stata generata entro la fine del giorno di scadenza ». Secondo parte della dottrina tale orientamento si giustificherebbe adeguando le ordinarie regole processuali con le regole tecniche. Queste ultime prevedono infatti, per quanto di rilievo, che le informazioni relative alla nota di iscrizione a ruolo siano contenute nei dati strutturati previsti dall'art. 11 del d.m. 21 febbraio 2011 n. 44 (in G.U. n. 89 del 18 aprile 2011); e d'altra parte l'art. 12, comma 1, lett. e) del provvedimento del DGSIA del 16 aprile 2014, prevede altresì che l'atto del processo in forma di documento informatico, da depositare telematicamente, sia corredato da un file in formato XML che contenga le informazioni strutturate nonché tutti i dati della nota di iscrizione a ruolo. Tra queste va ritenuto compreso il numero di ruolo (cfr. M. Nardelli, Deposito telematico ed errore di registro di destinazione, in IUS Processo Telematico (ius.giuffrefl.it), Giuffrè, 2016). Lo stesso Nardelli, però, si chiede se l'errata indicazione del numero di ruolo, o del registro, o anche l'omessa indicazione del numero di ruolo, o del registro, possano portare ad una sanzione processuale, che sia addirittura tale da precludere la stessa ammissibilità del deposito dell'atto. Ebbene secondo detto Commentatore tale tesi non è condivisibile sia da un punto di vista formale, non essendovi una previsione normativa specifica che colleghi all'errore o alla omissione della indicazione del numero di ruolo o del registro una sanzione processuale, quanto da un punto di vista sostanziale, poiché dall'errore del depositante non consegue alcun reale pregiudizio al diritto di difesa della controparte e nessuna conseguenza sul ruolo processuale del Giudice laddove venisse concessa una rimessione in termini alla controparte per poter eventualmente replicare alle difese. Sempre secondo Nardelli, infine, l'errore della parte non dovrebbe rimanere privo di sanzioni ma le stesse dovrebbero essere però specificatamente individuate, ove ne ricorrano le condizioni, nella violazione del generale dovere di lealtà e probità (art. 88 c.p.c.), da sanzionare ai sensi dell'art. 92 c.p.c. Tuttavia, anche nell'ipotesi di deposito in registro errato, vi è un interessante precedente della Suprema Corte che, con Ordinanza n. 31999 depositata il 6 dicembre 2019, ha accolto le doglianze del ricorrente avverso il diniego della rimessione in termini da parte del giudice di prime cure. Nella fattispecie il giudice riteneva tardiva l'opposizione, rilevando che il provvedimento impugnato era stato comunicato il 14 dicembre 2016, mentre il ricorso risultava iscritto in data 5 luglio 2017, quindi oltre il termine di 30 giorni di cui al d.lgs. n. 115 del 2002, art. 15 (applicabile all'opposizione ex art. 170 Testo unico sulle spese di giustizia, in virtù del rinvio contenuto in detta disposizione e dell'assimilazione del decreto all'ordinanza che definisce il giudizio ex art. 702-bis c.p.c.: cfr. Corte Cost. n. 106/2016). Dall'esame diretto degli atti si evinceva che però il ricorso era stato effettivamente depositato in via telematica in data 9 gennaio 2017 ed era stato iscritto al ruolo della volontaria giurisdizione nel termine di legge. Il Presidente del Tribunale, con provvedimento del 10 gennaio 2017, si era dunque limitato a disporre l'iscrizione della causa al ruolo ordinario, avvenuta in data 5 luglio 2017, dando peraltro atto del deposito del ricorso in data 9 gennaio 2017. Il suddetto provvedimento presidenziale, a detta della Suprema Corte, aveva — quindi — “una valenza meramente interna di una causa già ritualmente instaurata, ed aveva sanato una mera irregolarità non idonea a travolgere gli effetti dell'originaria iscrizione e del deposito tempestivo del ricorso, essendo stata assicurata la presa di contratto tra l'opponente e l'ufficio giudiziario, con pieno conseguimento dello scopo del deposito stesso anche agli effetti della tempestività dell'opposizione” (cfr., per l'applicazione del principio, Cass. n. 15662/2018; Cass. n. 9772/2016; Cass. n. 22479/2016). Sul punto, tuttavia, una recentissima ordinanza della Suprema Corte del 24 ottobre 2022 n. 31371 ha ritenuto possibile la rimessione in termini in caso di deposito in registro errato. Nel caso di specie veniva infatti sanato il deposito di un ricorso in appello erroneamente incardinato nel registro “contenzioso” anziché nel registro “lavoro”. La corte ha ritenuto che il deposito telematico effettuato presso un registro errato non comporti alcuna nullità, bensì una mera irregolarità. Infatti, secondo la Corte, non solo non vi è alcuna espressa norma di legge che preveda al riguardo una nullità processuale, ma al contrario il nostro ordinamento processuale civile prevede espressamente la salvaguardia degli atti per raggiungimento dello scopo. La Corte richiama sul punto un proprio precedente assunto d (Cass. civ., 12 maggio 2022, n. 15243), relativo a fattispecie di iscrizione di un ricorso in opposizione allo stato passivo fallimentare inviato al registro di volontaria giurisdizione. Nel caso di specie secondo la Corte, pur in presenza di una quarta pec recante il rifiuto dell'atto di iscrizione, lo stesso era comunque pervenuto a conoscenza dell'ufficio di cancelleria, e integrando quindi una mera irregolarità che non avrebbe impedito alla cancelleria medesima di iscrivere a ruolo la procedura. La rimessione in termini in caso di malfunzionamento dei sistemi ministeriali o di errori fataliUn altro possibile caso di rimessione in termini è quello dovuto a problematiche intervenute lato ufficio giudiziario, ed in particolare in caso di malfunzionamento dei sistemi ministeriali (quali ad esempio gli errori fatali) e, in alcuni casi, di errori nel caricamento dei dati da parte della cancelleria. In questi casi si può affermare con certezza che la giurisprudenza nota è sostanzialmente univoca nel concedere la rimessione in termini, sempre a patto che la stessa venga richiesta con tempestività come suggerito nell'inquadramento generale dell'articolo in commento. A tal proposito, una delle prime pronunce in ordine cronologico appartenenti a questa categoria, è quella del Tribunale di Milano del 27 giugno 2013. Nel caso di specie il difensore di parte attrice non veniva correttamente inserito nell'anagrafica del Tribunale. Com'è noto, tale mancato inserimento, non consentirà al difensore di ricevere biglietti di cancelleria a mezzo PEC e neppure di accedere al fascicolo telematico attraverso il Punto di Accesso o tramite PST (cfr. commento articolo 16 d.l. n. 179/2012 par. 2). In conseguenza di tale mancato inserimento il Difensore non poteva prendere tempestiva visione del decreto di fissazione d'udienza depositato nel fascicolo telematico e, per tale ragione, il Tribunale meneghino accoglieva l'istanza di rimessione in termini formulata. Può accadere poi che l'atto non giunga a destinazione a causa di errori imprevedibili meglio definiti, come si è detto in premessa, “errori fatali”. In tali ipotesi si segnala che, nei primi casi posti all'attenzione dei giudici di merito, il magistrato ha accordato la rimessione in termini come stabilito, ad esempio, da un'ordinanza del Tribunale di Bari, sez. lav., del 30 aprile 2014 (dott.ssa Procoli). Nel caso di specie il Giudice « rilevato che parte resistente presentava in data 2 aprile 2014 istanza di rimessione in termini; osservato che all'udienza fissata per il giorno 4 aprile 2014, la resistente a fronte della tardività della costituzione eccepita da parte ricorrente, ribadiva le ragioni già esposte con la predetta istanza, sostenendo la tempestività della propria costituzione; considerato che, alla luce della documentazione allegata dalla resistente, sussistono i presupposti previsti dall'art. 153 comma 2 c.p.c. per la rimessione in termini del resistente, essendo state adeguatamente comprovate le ragioni giustificative dell'intempestiva costituzione, dipese da una causa non imputabile alla parte richiedente (cfr. doc. 20, mail del servizio assistenza Software House spa allegato al fascicolo di parte resistente in cui si afferma che il rifiuto dell'atto è risultato “essere dipendente da un malfunzionamento del software delle cancellerie (sistemi SICID o SIECIC) che non riesce ad interpretare correttamente l'atto depositato”); considerato altresì che con decreto del Ministero della Giustizia ex art. 35 d.m. 44/2011 è stato riconosciuto il valore legale del deposito degli atti di parte in forma telematica a partire dal 15 luglio 2013 »; rimetteva in termini la parte resistente ai sensi dell'art. 153 comma 2 c.p.c. per la propria costituzione nei termini di legge e rinviava la causa a nuova udienza di discussione. Ad identica conclusione giunge il Tribunale di Milano sezione lavoro che, con ordinanza del 10 maggio 2016 (dott.ssa Maria Grazia Cassia), che ha rimesso in termini l'avvocato depositante poiché, dalla terza PEC di esito dei controlli automatici, non era possibile comprendere la natura dell'errore occorso e se il deposito potesse o meno essere effettivamente lavorato dalla cancelleria. In particolare, la rimessione in termini, doveva essere concessa poiché la dicitura « sono necessarie verifiche da parte dell'ufficio ricevente » induce nell'avvocato l'aspettativa di accettazione del deposito. Nel caso di specie, il rifiuto da parte della cancelleria della busta telematica, che pur specificando la natura dell'errore qualificato come “fatale” interveniva a termini ormai spirati, non consentiva l'inserimento della comparsa nel fascicolo telematico e non lasciava all'Avvocato altra strada se non quella di depositare istanza di rimessione in termini. Si chiede dunque il giudicante se possa essere o meno accolta l'istanza di rimessione in termini, dovendosi valutare nel caso di specie anche la diligenza dell'avvocato nell'interpretare le segnalazioni di errori, non sempre chiare e intellegibili. Particolarmente interessante, quindi, è la motivazione del Giudice meneghino poiché la rimessione in termini è stata concessa dopo aver compiuto un'approfondita disertazione sia della sopracitata circolare del 23 ottobre 2015 — che avrebbe imposto alla cancelleria di lavorare il deposito nelle successive 24 ore lavorative — sia di eventuali negligenze dell'Avvocato nel valutare il contenuto della terza ricevuta. In particolare, il Giudice de quo non ha ritenuto esigibile che il legale, dopo aver ricevuto l'avviso di avvenuta consegna del messaggio PEC in epoca idonea a considerare il deposito tempestivamente eseguito ex art. 16-bis, comma 7, d.l. n. 179/2012, dovesse eseguire nuovamente il deposito senza aver ricevuto alcuna segnalazione circa l'impossibilità di lavorare lo stesso da parte della cancelleria. Secondo il giudicante, infatti, la dicitura contenuta nella terza PEC « sono necessarie verifiche da parte dell'ufficio » giustifica l'inerzia dell'Avvocato nel non effettuare un nuovo deposito e nel non attivarsi presso la cancelleria per ulteriori verifiche, proprio perché lo stesso può ragionevolmente confidare nel corretto intervento della cancelleria stessa. Rileva, inoltre, che solo in presenza di un chiaro e tempestivo avviso di errore fatale la diligenza dell'avvocato può essere valutata con maggior rigore. Tale ultimo assunto appare di particolare interesse proprio per la valutazione effettuata sulla diligenza dell'Avvocato depositante, che deve essere necessariamente parametrata ad un sistema che spesso non è in grado di far comprendere al Difensore le cause di possibili anomalie presenti negli invii telematici. Nel caso di specie la terza PEC non conteneva, come quasi sempre accade, alcuna specificazione circa la tipologia di errore che, com'è noto, si suddivide in tre categorie (Warn, Error e Fatal). È evidente, dunque, che, almeno sino a quando non saranno rese più chiare le segnalazioni di anomalie nei depositi telematici, non si potrà chiedere all'avvocato di effettuare un nuovo deposito telematico “al buio” o meglio senza sapere quali potranno essere le sorti del precedente deposito viziato. Tuttavia, l'ordinanza in parola rimarca ancora una volta l'attenzione sulla diligenza del Difensore che, in fase di invio telematico, non potrà comunque disinteressarsi delle ricevute successive a quella di consegna poiché, laddove le stesse fossero chiare e il legale fosse nei termini per effettuare un nuovo deposito, la diligenza dovrà valutarsi con estremo rigore. Il concetto di “affidamento”, da parte del difensore, nei confronti dei messaggi PEC informativi sull'iter del deposito telematico è stato, inoltre, ripreso dalla Suprema Corte che, con sentenza del 18 ottobre 2022, n. 30514, ha chiarito come, la serie di messaggi PEC che scandisce il deposito telematico di atti, così come le indicazioni date dalla cancelleria alle parti, sono considerate come “istruzioni” che l'amministrazione della giustizia fornisce alle parti e che pertanto sono fonti di affidamento qualificato, meritevole di essere considerato nell'ambito del giudizio ex art. 294, comma 2 c.p.c. sul presupposto della rimessione in termini, laddove — a cagione dei loro difetti — s'inseriscano con ruolo determinante nella catena causale sfociata nella decadenza, fermo rimanendo che l'apprezzamento circa la non imputabilità alla parte nel caso concreto deve comunque essere affidato al giudice del merito. Si deve pertanto ritenere che, le istruzioni presenti nella terza PEC, nonché le rassicurazioni orali “informali” ricevute dai cancellieri, possano ingenerare nella parte la convinzione che il deposito si perfezionerà correttamente e indurlo a non effettuarne uno nuovo. La Suprema Corte è inoltre intervenuta nel concedere la rimessione in termini anche laddove l'istanza di rimessione in termini, pur non essendo tempestiva, è giustificata da una erronea indicazione dell'intestazione della quarta PEC. Infatti, nel caso di specie, la Corte d'Appello di Palermo aveva dichiarato inammissibile il gravame proposto dalla parte basandosi sul rilievo per cui il ricorso era stato depositato tardivamente. Parte ricorrente chiedeva, al contrario, la rimessione in termini fondando la propria richiesta sulla circostanza che il deposito intempestivo non poteva esserli ascritto in via di responsabilità, poiché — detto ritardo — sarebbe derivato da un errore del sistema: dopo un primo deposito (provato tramite il deposito delle ricevute di accettazione e avvenuta consegna) la parte non riceveva la mail di avvenuta accettazione, indispensabile per il perfezionamento (art. 16-bis, comma 7, del d.l. n. 179/2012, conv. con modif. in l. n. 221/2012), cosicché il ricorrente aveva chiesto delucidazione alla cancelleria, dalla quale era stato rassicurato e invitato ad attendere la c.d. quarta PEC, alla fine arrivata e avente ad oggetto “ACCETTAZIONE DEPOSITO”, per completezza si rammenta che tale oggetto è sempre presente nella quarta PEC indipendentemente dall'avvenuto perfezionamento del deposito). Effettivamente, nelle settimane successive, il ricorrente si era poi accorto che gli atti erano stati di fatto rifiutati a causa di un “errore fatale” intervenuto nel sistema, ciò secondo quanto riferito dalla cancelleria dopo la richiesta di ulteriori chiarimenti. Tuttavia, la Corte territoriale non aveva ritenuto sussistenti le condizioni per accogliere l'istanza di rimessione in termini, in quanto il difensore avrebbe dovuto avvedersi del reale contenuto della quarta PEC e rinnovare tempestivamente il deposito. La Corte di Cassazione si è, invece, pronunciata favorevolmente in ordine al ricorso, ciò alla luce della circostanza per cui l'errore fatale, causa del mancato deposito, non poteva essere imputabile al depositante, anche alla luce del fatto che la quarta PEC — la quale recava l'erronea dicitura e forviante dicitura “accettazione deposito” e che questa era pervenuta al ricorrente con un solo giorno di margine sulla scadenza del termine per impugnare. Pertanto, la Suprema Corte nell'accogliere il ricorso, ha ribadito che, il perfezionamento del deposito telematico coincide con la ricezione della ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore PEC del Ministero della giustizia, e che l'errore in oggetto non poteva essere ascritto a una negligenza del depositante. (cfr. Cass. civ., 13 dicembre 2022, n. 36445) Pur ritenendo ormai la problematica abbondantemente chiarita dalla Corte di Cassazione, può apparire utile citare anche ulteriori precedenti di merito e in particolare le conformi ordinanze del Tribunale di Ravenna dell'8 maggio 2017 e del Tribunale di Bologna del 12 dicembre 2016, le quali stabiliscono, che il deposito debba ritenersi tempestivo se la parte, dopo aver presentato telematicamente la propria comparsa e ricevuto in termini la c.d. seconda PEC, si veda rifiutare il deposito dalla cancelleria per un errore fatale incolpevole e spontaneamente provveda alla rinnovazione del deposito. Appare inoltre opportuno chiarire che, anche in questa ipotesi, la giurisprudenza di merito prima e la Suprema Corte dopo, hanno ribadito la rilevanza della ricevuta di consegna del deposito ai fini della rimessione in termini. In particolare, il Tribunale di Milano con ordinanza del 2 giugno 2017 (Pres. rel. Riva Crugnola), ha ritenuto tempestivo il deposito di un reclamo, avendo il reclamante documentato che tale atto era stato inoltrato telematicamente al Tribunale nel termine ex art. 669-terdecies c.p.c. il 3 maggio 2017 e, nella medesima data, accettato dal sistema e consegnato alla casella del Tribunale come da ricevuta di consegna allegata all'istanza di rimessione in termini. Alla stessa conclusione giungeva il Tribunale di Torino, sez. I, che, con ordinanza del 10 febbraio 2017 (est. Sburlati), riteneva irrilevante il rifiuto della cancelleria, attribuendo — così come previsto dall'art. 16-bis c. 7 d.l. n. 179/2012 — valore di “depositato” alla ricevuta di avvenuta consegna. Nel caso di specie inoltre la sentenza evidenzia che “l'istituto di cui all'art. 153, comma 2, c.p.c. appare applicabile all'ipotesi in esame in quanto espressione di un principio regolatore per cui chi non ha colpa in omissioni processuali non deve subire conseguenze negative; in questo senso non restrittivo è anche il dato letterale, che parla di “decadenze”, con una significativa spia letterale, nonché la circostanza che l'istituto, essendo previsto da norma racchiusa nel libro primo, è istituto generale del processo; d'altro canto l'inspiegabilità dell'errore fatale di cui si discute, riferita dalla cancelleria che a sua volta si è consultata con i tecnici informatici, comporta la non imputabilità alla parte istante dell'omesso perfezionamento del suo deposito”. Sempre il Tribunale di Torino poi, con ordinanza del 23 febbraio 2017 (est. Bosco), “esonera” da qualsiasi responsabilità il difensore, rimettendolo in termini e stabilendo che “la terza PEC della cancelleria in data 3 febbraio 2017 — cioè quella relativa all'esito dei controlli automatici deposito (ossia l'informativa circa l'esito dei controlli informatici, meramente formali, che il sistema effettua sul messaggio o sulla busta telematica — non ha evidenziato un errore fatale, come invece sostenuto dall'avv. S. Nella PEC infatti si legge: “Errore imprevisto nel deposito, sono necessarie verifiche da parte dell'apposito ufficio ricevente.”; a fronte di questa dicitura, l'avv. R. non avrebbe potuto evidentemente rendersi conto se si trattava di un errore warning o error che possono essere forzati dalla cancelleria con intervento manuale o piuttosto di un errore fatal. Solo ove fosse emerso che l'errore era fatal, il difensore avrebbe dovuto capire che il deposito non era andato a buon fine ed avrebbe avuto quindi l'onere di ritentarlo immediatamente; Solo con la quarta PEC pervenuta il 6 febbraio 2017, il sistema ha evidenziato l'errore fatal legato al documento 4 per firma non integra. Si precisa che il documento in oggetto era un provvedimento giurisdizionale della dott.ssa Ferrero firmato telematicamente; La scoperta incolpevole dell'errore fatal dopo la scadenza del termine utile per la costituzione ai sensi dell'art. 165 c.p.c., giustifica il deposito tardivo della comparsa di costituzione. Peraltro, si osserva che il deposito della comparsa ha reso necessario accertare con quali modalità poteva essere depositato il documento 4 che aveva bloccato il deposito della comparsa. In proposito l'ufficio PCT ha suggerito di scansionare il provvedimento, autenticarlo e ridepositarlo con la firma dell'avvocato”. Ad ogni buon conto, anche in relazione a tale fattispecie, si è pronunciata la Suprema Corte la quale, con Ordinanza 28 novembre 2019 n. 31197, ha ritenuto di dover cassare una sentenza del giudice di prime cure, resa senza tener conto della legittima richiesta di rimessione in termini presentata dal ricorrente. Nel caso di specie il ricorrente deduceva di avere provveduto al deposito telematico l'ultimo giorno utile e precisamente di aver ricevuto alle ore 20,12 dello stesso giorno la ricevuta di consegna del deposito, cui seguiva, alle ore 20,14, l'esito dei controlli automatici del deposito, recante la seguente dicitura: « Codice esito. — Descrizione esito: — Errore imprevisto nel deposito, sono necessarie verifiche da parte dell'apos, ufficio ricevente ». Solo a termini scaduti il ricorrente riceveva la quarta PEC — che a prescindere dall'esito positivo o negativo contiene sempre nell'oggetto la dicitura “accettazione deposito” — riportante esito negativo con la seguente motivazione: « Altro. Errore fatale. Atti rifiutati il 27/04/2018” In data 30 aprile 2018 il ricorrente depositava nuovamente il ricorso, allegando istanza di rimessione in termini oltre a tutte le predette ricevute telematiche, dalle quali risultava che il ricorso era stato depositato in data 26 aprile 2018, ossia nei termini di legge, come da ricevuta generata dal sistema, « ma che il deposito non si era perfezionato per problemi relativi al sistema telematico ». La Suprema Corte ha quindi stabilito come “ai sensi dell'art. 16 bis, comma 7, del d.l. n. 179 del 2012, convertita dalla legge n. 221 del 2012, il deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia. Il deposito è tempestivamente eseguito quando la ricevuta di avvenuta consegna è generata entro la fine del giorno di scadenza e si applicano le disposizioni di cui all'art. 155, quarto e quinto comma, del codice di procedura civile; pertanto, ai fini della verifica della tempestività, il ricorso deve intendersi proposto nel momento in cui viene generata la ricevuta di consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia, ai sensi dell'art. 16-bis, comma 7, del d.l. n. 179 del 2012, convertito dalla legge n. 221 del 2012, e non in quello successivo in cui il ricorso è stato depositato nei registri informatici della cancelleria, essendo l'intento del legislatore proprio quello di prevenire il rischio di ritardi o decadenze incolpevoli a carico della parte (Cass., 19/01/2018, n. 1366); pertanto nel caso di specie — anche a prescindere dall'istanza di rimessione in termini, sulla quale, peraltro, il Tribunale non ha speso una sola parola — il ricorso avrebbe dovuto essere considerato tempestivo dal Tribunale, in quanto proposto nei termini di legge, essendo stata la ricevuta di consegna del deposito generata dal sistema entro i trenta giorni dalla notifica del provvedimento della Commissione territoriale, ai sensi dell'art. 35-bis del d.lgs. n. 25 del 2008”. A ogni buon conto, in tema di errori fatali e rimessione in termini, si è recentemente espressa la Suprema Corte concedendo l'applicazione dell'art. 153 c.p.c. all'avvocato che, pur avendo tempestivamente notificato il proprio ricorso incidentale alla controparte, aveva effettuato il deposito entro i termini di cui all'art. 370 c.p.c., salvo poi ricevere l'“errore fatale”. La Corte ha ritenuto raggiunto lo scopo, in quanto il controricorso era stato notificato a chi doveva difendersi in giudizio e altresì il Collegio era stato in grado di conoscere, attraverso il sistema telematico di cancelleria, i dati rilevanti per decidere. Ciò impediva dunque di attribuire all'errore fatale, manifestatosi dopo il realizzarsi dei presupposti giuridici di validità dal deposito, una qualche concreta rilevanza. La Suprema Corte ha affermato pertanto che « la presenza di un “errore fatale” nel deposito di un atto in forma telematica, oltre a consentire l'eventuale rinnovazione per rimessione in termini, non permette di ragionare in termini di effetti invalidanti, quando vi sia il pieno raggiungimento dello scopo, ai sensi dell'art. 156 c.p.c., comma 3 » (cfr. Cass. civ., sez. VI-L, 5 gennaio 2023, n. 238). Sempre la Suprema Corte con una pronuncia del 23 agosto 2022, n. 25177, ha ritenuto sussistenti i presupposti per la rimessione in termini in ordine al tardivo deposito del ricorso dovuto a problemi tecnici del gestore dei servizi telematici, causa non imputabile al ricorrente. Nel caso di specie, un elemento determinante ai fini della rimessione in termini, è stata la tempestiva attività del ricorrente stesso che ha provveduto autonomamente a effettuare un nuovo deposito. Infine, un ulteriore caso relativo al malfunzionamento lato cancelleria è quello dell'interruzione delle funzionalità dei sistemi ministeriali. Tale pur rara circostanza è espressamente prevista sia dal comma 4 dell'art. 16-bis del d.l. n. 179/2012, che dal quarto comma che qui si ritrascrive (entrambe le norme sono state ora abrogate): « A decorrere dal 30 giugno 2014, per il procedimento davanti al tribunale di cui al libro IV, titolo I, capo I del codice di procedura civile, escluso il giudizio di opposizione, il deposito dei provvedimenti, degli atti di parte e dei documenti ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Il presidente del tribunale può autorizzare il deposito di cui al periodo precedente con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste una indifferibile urgenza. Resta ferma l'applicazione della disposizione di cui al comma 1 al giudizio di opposizione al decreto d'ingiunzione ». Si rileva, per la verità, che l'autorizzazione richiamata nel quarto comma sembra riferirsi solo all'indifferibile urgenza del deposito di un decreto ingiuntivo, dovendosi invece — in tutti gli altri casi — applicarsi l'ottavo comma del medesimo articolo che stabilisce, fermo quanto disposto al comma 4 secondo periodo, come il Giudice possa autorizzare il deposito degli atti processuali e dei documenti di cui ai commi che precedono con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non siano funzionanti. Ne consegue dunque che in tali circostanze, ovvero in caso di deposito telematico di atti endoprocedimentali, il deposito cartaceo debba essere autorizzato dal Giudice istruttore o possa essere concessa la rimessione in termini, com'è avvenuto in numerosi precedenti tra cui, i più noti, sono le ordinanze emesse rispettivamente dal Tribunale di Milano, sezione IX civile, Ordinanza 12 gennaio 2015 e dal Tribunale di Trento, decr. 30 gennaio 2015, nelle quali si ritiene che il difettoso funzionamento del sistema possa desumersi anche dall'essere pervenute, nel medesimo giorno, più istanze di autorizzazione al deposito analogico. Tuttavia, vi è da chiedersi quali possano essere le conseguenze qualora il Giudice istruttore non possa tempestivamente provvedere a causa dell'imminenza della scadenza dei termini. Appare evidente che, in quest'ultima ipotesi, si dovrà sopperire con una rimessione in termini, come avvenuto nella richiamata ordinanza del Tribunale di Trento oppure nella sentenza del 18 luglio 2014 del Tribunale di Ivrea in cui il giudicante, in sentenza, accoglieva preliminarmente l'istanza del procuratore di parte attrice di retrodatazione del deposito telematico avvenuto in data 16 maggio 2014 ritenendo che lo stesso avesse debitamente documentato il malfunzionamento che non aveva consentito il deposito entro il giorno di scadenza del termine (15 maggio 2014). Ordinanza di simile tenore, ma di portata più ampia, è quella del Tribunale di Torino che con ordinanza del 21 gennaio 2015 dott.ssa Rigoletti in occasione del noto blocco del gestore PEC del ministero avvenuto tra il 17 e il 19 gennaio 2015 disponeva la retrodatazione dei depositi pervenuti oltre il termine della scadenza ma la cui ricevuta di accettazione era giunta tempestivamente. Inoltre, proprio in occasione del citato blocco, il presidente del Tribunale di Torino con un provvedimento di portata generale del 19 gennaio 2015 autorizzava il deposito cartaceo dei ricorsi per ingiunzione e invitava i giudici alla solerte applicazione del comma 8 dell'art. 16-bis per quanto concernente gli atti endoprocessuali. Sempre a proposito di malfunzionamento del gestore PEC si segnala che, oltre ai sopracitati precedenti del Tribunale Piemontese, in una sentenza del 3 febbraio 2017, anche il Tribunale di Rovigo ha disposto la rimessione in termini, ritenendo valido il deposito che annoverava solo la ricevuta di accettazione come tempestiva, ossia generata alle ore 18 e 33 del giorno della scadenza, e non anche la ricevuta di consegna che, per un ritardo non certamente imputabile al depositante, giungeva solo il giorno successivo (cfr. Trib. Rovigo, sent., 3 febbraio 2017 n. 110). In particolare, ha rilevato il Tribunale, « la circostanza che il sistema abbia emesso la ricevuta di avvenuta consegna (c.d. R.A.C.) oltre sette ore dopo il deposito dell'atto di cui si tratta, non può essere imputabile alla parte, non avendo questa il controllo del sistema. De resto, se si imputasse il ritardo del sistema nella emissione di detta ricevuta alla parte, si arriverebbe a sostenere che il limite concreto di costituzione del convenuto non è quello previsto dall'art. 166 c.p.c., ovvero di venti giorni prima dell'udienza, ma inferiore, con un evidente violazione del dettato normativo. In sostanza, se, da un lato, è pacifico che il deposito telematico si perfeziona solo con la ricezione della ricevuta di avvenuta consegna (R.A.C.); dall'altro, qualora il deposito sia andato a buon fine, ancorché tardivamente, e la parte abbia effettuato lo stesso entro l'ultimo giorno utile, non si può imputare a quest'ultima un ritardo del sistema nell'emettere la ricevuta sopra menzionata [...] poiché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà ». In senso conforme si segnala anche l'ordinanza del 18 maggio 2017 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. L'istituto della rimessione in termini continuerà certamente a giocare un ruolo fondamentale anche dopo l'entrata in vigore della riforma Cartabia. Come noto (e come si commenterà più avanti) l'art. 196 quater disp. att. c.p.c. prevede che, in caso di malfunzionamento dei sistemi informatici, il capo dell'ufficio giudiziario possa autorizzare il deposito degli atti processuali con modalità non telematiche, laddove sussista una situazione d'urgenza. È evidente che di tale possibilità potrà beneficiare l'avvocato in grado di raggiungere facilmente la cancelleria entro l'orario di apertura; colui che invece non potrà recarsi fisicamente presso l'ufficio giudiziario a causa della distanza eccessiva, a fronte di un deposito tardivo, potrà chiedere la rimessione in termini proprio sulla base del provvedimento in questione, che funge da constatazione dell'indisponibilità dei servizi telematici e, in ultima analisi, di non imputabilità dell'eventuale decadenza in cui fosse incorso il depositante. Visti i discorsi che precedono, non ci si può tuttavia non domandare quali siano le reali motivazioni tecniche che portino ad eventi di tale tipologia, e se sia sempre da ritenersi corretta la regola secondo la quale un qualsiasi malfunzionamento dell'infrastruttura ministeriale renda impossibile il deposito telematico. Per rispondere a questa domanda occorre prima di tutto dare una definizione di quello che, nell'art. 16-bis commi 4 e 8 è denominato “dominio giustizia”. L'art. 2, lett. a), d.m. n. 44/2011 definisce il dominio giustizia come l'insieme delle risorse hardware e software, mediante il quale il Ministero della Giustizia tratta in via informatica e telematica qualsiasi tipo di attività, di dato, di servizio, di comunicazione e di procedura. Una definizione fortunatamente molto ampia, che non sembra ricomprendere solo l'infrastruttura di trasmissione degli atti ma qualsiasi anello della catena, con la conseguenza che, tanto un malfunzionamento del gestore PEC ministeriale quanto un malfunzionamento dell'infrastruttura del singolo tribunale possa dar luogo ad una sospensione del regime telematico obbligatorio, consentendo un transitorio ritorno alla carta. In tale situazione, però, appare evidente la necessità di predisporre un tempestivo sistema di segnalazioni, accompagnato da indispensabili procedure di Disaster Recovery, che possano garantire comunque la continuità del sistema. In assenza, infatti, di una adeguata e preventiva informazione circa i blocchi di sistema, ci si dovrà affidare ad una valutazione delle circostanze caso per caso, che potrà portare ad una pericolosa incertezza sulle sorti del proprio deposito. Le stesse ordinanze di Milano e Trento lasciano intendere che non vi sia stata alcuna segnalazione del disservizio ma — almeno per il caso milanese — il giudicante ha ritenuto che « il difetto di funzionamento del sistema possa desumersi anche dall'essere prevenute, nel medesimo giorno, più istanze di autorizzazione al deposito analogico, come è accaduto nel caso di specie ». Il Tribunale di Trento, invece, posto che la richiesta di deposito cartaceo era evidentemente pervenuta dopo la scadenza del termine, concedeva la rimessione in termini senza citare alcuna fonte diretta circa l'interruzione dei sistemi, limitandosi a rilevare che « laddove risulti notorio che esiste una situazione di blocco del sistema telematico dell'Ufficio giudiziario, di fatto, coincidente con la scadenza del termine utile per il deposito della memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c., va concessa la rimessione in termini per il deposito della suddetta memoria, ed il rinvio del termine per il deposito della successiva memoria n. 3ex art. 183, comma 6, c.p.c., a tutela dei diritti della controparte rispetto a quella che ha fatto istanza di rimessione in termini ». Tornando però alla prima domanda, ovvero se tutti i blocchi di sistema possano essere impeditivi del deposito telematico, non si può non rimarcare come, il sistema PEC, consenta l'invio delle buste telematiche anche in presenza di disservizi locali con l'unico limite che, l'Avvocato depositante, riceverà esclusivamente le prime 2 ricevute (accettazione e consegna) mentre si vedrà recapitare le successive 2 ricevute (esito controlli automatici ed intervento manuale) nel momento in cui il disservizio del tribunale locale verrà risolto, probabilmente con qualche ritardo in più dovuto allo smaltimento delle code di depositi. Riassumendo, quindi, possiamo dunque distinguere 2 fasi del deposito telematico: la prima dipendente dal gestore PEC del Ministero, sottoposto ai sensi dell'art. 13, d.P.R. n. 68/2005 a rigidissimi livelli minimi di funzionalità del servizio, come previsto dalle regole tecniche di cui all'art. 17 del medesimo decreto; mentre una seconda fase dipendente dai gestori locali dei singoli Tribunali. Ma quali sono questi livelli minimi di servizio? L'art. 12 delle regole tecniche (decreto 2 novembre 2005 “Regole tecniche per la formazione, la trasmissione e la validazione, anche temporale, della posta elettronica certificata” in G.U. 15 novembre 2005, n. 266) prevede rispettivamente ai commi 3, 4 e 5 quanto di seguito riportato: « La disponibilità nel tempo del servizio di posta elettronica certificata deve essere maggiore o uguale al 99,8% del periodo temporale di riferimento. Il periodo temporale di riferimento, per il calcolo della disponibilità del servizio di posta elettronica certificata, è pari ad un quadrimestre. La durata massima di ogni evento di indisponibilità del servizio di posta elettronica certificata deve essere minore, o uguale, al 50% del totale previsto per l'intervallo di tempo di riferimento ». Ciò cosa può significare in termini di effettiva applicazione temporale? Calcolando che un quadrimestre è composto da 120 giorni e quindi 2880 ore, dovrà calcolarsi lo 0,2% di tale tempo, che equivale a circa 6 ore. Ma vi è di più, poiché il comma 5 prevede che il periodo di ogni evento di indisponibilità non possa superare il 50% del totale, la reale fascia temporale di disservizio sarà di sole 3 ore. Ciò specificato, si rileva come i blocchi di tale tipologia siano stati del tutto sporadici da quando il processo telematico è stato basato sul sistema PEC — 19 novembre 2011 — ossia sul sistema attuale di trasmissione dei dati, e si sono verificati in data 27 novembre 2014 e in data 19 maggio 2015 in occasione del “trasloco” dei server alla nuova sede centrale. Quanto alla seconda fase, invece, si segnala che i blocchi locali sono sicuramente più frequenti ma non inficiano la tempestività dei depositi in quanto il combinato disposto dell'art. 16-bis, comma 7, d.l. n. 179/2012 e dell'art. 13, d.m. n. 44/2011 stabilisce che gli atti del processo in forma di documenti informatici, si intendono ricevuti dal dominio giustizia nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia. Ne consegue che, anche in caso di malfunzionamento del gestore locale, come nel caso di cui ci si occupa, nulla impedirebbe all'avvocato di depositare comunque il proprio atto, salvo il rischio di vederselo accettare con molto ritardo da parte della cancelleria pregiudicando dunque il corretto contraddittorio, atteso che, tanto la controparte quanto il Giudice, non potranno visionare quell'atto sino a quanto la cancelleria non provvederà ad accettarlo. Proprio tale circostanza ha portato la giurisprudenza di merito ad abbandonare l'iniziale orientamento volto a concedere tout court la rimessione in termini in caso di blocchi ministeriali, accertando invece caso per caso le natura dell'impedimento. Ne è un esempio il decreto emesso dal Tribunale di Firenze in data 8 novembre 2017 che, proprio in caso di fermo tecnico dei sistemi ministeriali, negava la rimessione in termini essendo indicato espressamente, nell'avviso di interruzione comparso sul Portale dei servizi telematici, che, nonostante l'attività di manutenzione, i servizi di deposito telematico sarebbero rimasti attivi. Ebbene, il provvedimento del Tribunale di Firenze, per quanto telegrafico, parte proprio dall'analisi dell'incontrovertibile dato contenuto nella nota diramata sul sito pst.giustizia.it in data 27 ottobre 2017. Il provvedimento, infatti, riporta integralmente il testo della suddetta nota e il Giudice rimarca come fosse espressamente specificato che, nonostante l'attività di manutenzione, i servizi di deposito telematico sarebbero rimasti attivi. È opportuno tuttavia precisare che, in passato, le note apparse sul sito pst.giustizia.it non riportavano sempre la precisazione circa la possibilità di effettuare depositi telematici in costanza di sospensione dei servizi ministeriali, né la possibilità concessa dall'art. 16-bis, commi 4 e 8, d.l. n. 179/2012, di autorizzare il deposito cartaceo in caso di malfunzionamenti del dominio giustizia, ciò ha lasciato ampio spazio alla flessibilità. Tale provvedimento ha dunque il pregio di constatare, come detto in precedenza, che non tutti i blocchi di sistema sono impeditivi del deposito telematico. Appare dunque indispensabile invitare gli avvocati telematici a non “fidarsi” delle facili rimessioni in termini a seguito di malfunzionamenti dei sistemi ministeriali e a tentare sempre il deposito telematico, anche in costanza di avvisi di imminenti interruzioni. Sarà inoltre opportuno scaricare sempre una copia in locale o sul proprio software gestionale, dei fascicoli telematici ed in particolare degli atti di controparte e dei provvedimenti del giudice. Infatti, non potendo sempre contare sulla disponibilità dei sistemi, potrebbe non essere sempre possibile prendere visione di un atto di controparte a ridosso della scadenza di una eventuale replica. La rimessione in termini in caso di malfunzionamento dei sistemi a disposizione del difensore depositanteInfine, tra i casi possibili di rimessione in termini emerge quello del malfunzionamento dei sistemi informatici in dotazione al professionista. In tal senso in giurisprudenza si rilevano due orientamenti contrastanti il cui ultimo, almeno in ordine di tempo, è quello del Tribunale di Locri che, con ordinanza del 12 luglio 2016, ha stabilito come il malfunzionamento della firma digitale del legale della parte non possa costituire un motivo valido per l'autorizzazione al deposito cartaceo il quale, pertanto, sarà inammissibile e/o comunque irricevibile. Nel caso di specie parte attrice aveva provveduto a depositare le seconde memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c. in via cartacea, e quindi in palese violazione dell'articolo 16-bis del d.l. 179/2012, con contestuale richiesta di autorizzazione al deposito cartaceo stesso. Tale scelta veniva operata a causa di un asserito malfunzionamento del dispositivo di firma digitale, verificatosi nel giorno della scadenza del termine per il deposito della memoria. Parte convenuta, all'udienza di ammissione dei mezzi istruttori, eccepiva l'irritualità del deposito cartaceo effettuato da controparte. Il Giudice, sciogliendo la riserva assunta a detta udienza, dichiarava « inammissibile e/o irricevibile la memoria 183, comma 6 n. 2 c.p.c. con i documenti allegati, depositata in modalità cartacea il 30 novembre 2015 dell'attrice ............, con conseguente decadenza della stessa dalle richieste istruttorie in essa contenute ». Tale pronuncia si pone in contrasto con un precedente orientamento del Tribunale di Perugia che, con ordinanza del 15 giugno 2016, concedeva la rimessione in termini per un deposito tardivo causato da « un eccezionale e perdurante — quanto illegittimo — “distacco” della linea telefonica e connessione ADSL operata dal gestore di telefonia scelto dal difensore ». La pronuncia del Tribunale di Locri esprime, in realtà, due diversi principi estremamente interessanti, il primo riguardante il deposito degli atti in forma telematica, ed il secondo relativo alla possibilità di ottenere l'autorizzazione al deposito cartaceo dell'atto di causa in caso di malfunzionamento dei sistemi informatici del Difensore depositante, nonché la conseguente responsabilità di tale Difensore nella gestione degli strumenti professionali. In primis il Tribunale di Locri analizza, anche e soprattutto a livello letterale, la prima parte dell'art. 16-bis d.l. n. 179/2012: « Salvo quanto previsto dal comma 5, a decorrere dal 30 giugno 2014 nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici ». Ad avviso del Tribunale calabrese l'avverbio “esclusivamente”, utilizzato dal legislatore nel testo dell'articolo appena citato, porta all'inevitabile inammissibilità e/o irricevibilità dell'atto giudiziario che, pur rientrando all'interno dell'obbligo di trasmissione telematica, venga depositato in forma cartacea. Tale orientamento si è fatto strada in molte Corti di merito nell'arco degli ultimi 18 mesi e trae origine da una pronuncia — oramai divenuta storica — del Tribunale di Torino del 6 marzo 2015 nella quale (riprendendo l'orientamento dottrinario dell'Avv. Calorio) si evidenziava — appunto — la non sanabilità ex art. 156 c.p.c. dell'atto depositato cartaceamente in vigenza di obbligo di trasmissione telematica, ciò in virtù — proprio come sostenuto anche dal Tribunale di Locri — dell'avverbio “esclusivamente”, utilizzato dal legislatore non tanto per descrivere la forma dell'atto — cartaceo o digitale — ma quanto le modalità di deposito e/o di trasmissione all'ufficio dell'atto stesso. Per tale ragione il Difensore che non provveda a trasmettere con le modalità prescritte l'atto di causa, rende automaticamente il deposito inammissibile o comunque irricevibile. Tale orientamento è certamente da condividersi poiché sostenuto da un'analisi puntuale della normativa di riferimento. Il secondo principio contenuto nella pronuncia in commento riguarda, invece, l'autorizzazione al deposito in forma cartacea in caso di malfunzionamento dei sistemi informatici del Difensore depositante. Nel caso di specie il professionista aveva lamentato un malfunzionamento del proprio supporto di firma digitale, scoperto solo l'ultimo giorno utile per il deposito telematico dell'atto di causa. In virtù di ciò era stata fatta istanza — unitamente al deposito della seconda memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. — di autorizzazione al deposito cartaceo. Il Tribunale di Locri ha ritenuto non ammissibile e/o comunque irricevibile l'atto trasmetto con modalità cartacee in virtù del combinato disposto dell'art. 16-bis comma 1 d.l. n. 179/2012 (analizzato al punto precedente) e dell'art. 16-bis comma 8 d.l. n. 179/2012, che dispone: « Fermo quanto disposto al comma 4, secondo periodo, il Giudice può autorizzare il deposito degli atti processuali e dei documenti di cui ai commi che precedono con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti ». La norma in parola, quindi, consente al Giudice di autorizzare il deposito cartaceo di atti da trasmettersi obbligatoriamente in via digitale ma, lo si sottolinea, solo a condizione che i sistemi informatici del dominio giustizia non sia funzionanti. Tale condicio sine qua non impedisce di fatto al Magistrato di autorizzare — almeno in virtù di tale norma — il deposito in forma cartacea ogni qual volta il malfunzionamento non sia imputabile ai sistemi ministeriali ma, ad esempio, a problemi legati agli strumenti informatici utilizzati dal difensore depositante. L'orientamento de quo, assolutamente condivisibile, si pone però in contrasto, almeno in linea di principio, con la sopracitata affine pronuncia del Tribunale di Perugia il quale, chiamato a decidere su un'istanza di rimessioni in termini per il deposito di una seconda memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., ha ritento ammissibile la richiesta avanzata poiché la causa che avrebbe determinato il ritardo nel deposito della memoria de qua non sarebbe stato imputabile a colpa e/o negligenza della parte. Tale evento, causa della decadenza, era stato il distacco della linea telefonica e di connessione al web, operata dal gestore della linea stessa. La domanda che, a questo punto, l'interprete deve porsi è: un medesimo evento eterodeterminato ed incidente sulle funzionalità dei sistemi informativi dell'Avvocato, può portare a soluzioni tanto diverse? Certamente ad incidere sulla risposta è la diversità delle fattispecie analizzate, poiché — nel caso di Perugia — il Difensore della parte ha optato per la richiesta di rimessione in termini che — proprio in ragione delle caratteristiche proprie dell'istituto — lascia ampio spazio discrezionale al Giudicante mentre — nel caso di Locri — si è optato per l'istanza di autorizzazione al deposito cartaceo che, trovando il proprio fondamento in una norma dai confini decisamente più stringenti, non lasciava molto spazio al Giudice per operare eventuali valutazioni salvifiche della condotta del Difensore depositante, se non — come extrema ratio — in via di analogia. Detto questo, però, la pronuncia del Tribunale calabrese ha il pregio di mettere in luce la responsabilità dell'Avvocato nella gestione degli strumenti informatici propri della sua attività professionale. Con l'avvento delle procedure di deposito in forma digitale, infatti, non è più pensabile avere a disposizione — contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale di Perugia — un'unica linea per l'accesso al web (come linea di riserva ben potrebbe — ad esempio — utilizzarsi quella di un qualsiasi smartphone) e così anche un unico supporto per l'apposizione della firma digitale, poiché — facendo un parallelismo con l'ambito cartaceo — ciò equivarrebbe ad avere in studio un'unica penna per la sottoscrizione dei propri atti. Sempre sul malfunzionamento dei sistemi in dotazione all'avvocato, la Corte di Appello di Bologna — con sentenza del 3 novembre 2015 — ha escluso la possibilità rimessione in termini in caso di malfunzionamento della casella PEC dell'avvocato notificante. A tal proposito si sottolinea che la rimessione in termini non è stata, nel caso di specie, concessa per due ragioni: in primo luogo la Corte ha rilevato che, la rimessione in termini prevista dall'articolo 153 comma 2 c.p.c., doveva essere domandata dalla parte interessata senza ritardo e non appena la stessa avesse acquisito la consapevolezza di aver violato il termine stabilito dalla legge oppure dal Giudice per il compimento dell'atto (cfr. Cass. civ., n. 4841/2012); in secondo luogo, poi, l'inosservanza del “dovere di precauzione” esclude l'affidamento incolpevole, cosicché non potrà farsi luogo alla rimessione in termini per la notificazione di un ricorso tardivamente proposto (cfr. Cass. civ., n. 4687/2011) Su una simile problematica si è anche pronunciata la Suprema Corte con sentenza del 15 novembre 2019 n. 29757, con la quale gli Ermellini hnno negato la rimessione in termini al ricorrente che invocava la sussistenza dei presupposti per la concessione della rimessione in termini per la notificazione dell'atto di appello, omessa per errore scusabile che a dire del ricorrente era dipeso da causa a lui non imputabile, poiché il mancato ricevimento da parte del difensore della comunicazione del decreto di fissazione dell'udienza si era verificato per la presenza di un virus all'interno della rete del sistema informatico dello studio legale. Sul punto si è infine espressa ancora una volta la Suprema Corte con ordinanza 2 marzo 2022, n. 6912, ribadendo che, l'eventuale mancata conoscenza dell'atto notificato da parte del difensore destinatario della notificazione, dovuta a eventuali malfunzionamenti del sistema, va imputata alla mancanza di diligenza del difensore stesso, il quale, nell'adempimento del proprio mandato, è tenuto a dotarsi dei necessari strumenti informatici, assicurandone il funzionamento. Conforme al predetto principio, è anche l'ordinanza della Suprema Corte dell'11 novembre 2021, n. 33622, la quale ribadisce che, l'eventuale anomalia del sistema informatico del destinatario, che impedisca di ricevere una PEC, di cui il mittente abbia tuttavia regolarmente ricevuto sia l'attestazione di accettazione che di consegna o peggio ancora che gli impedisca la sola consultazione, non è di per sé circostanza idonea a determinare la rimessione in termini. Formule correlate 2. Istanza rimessione in termini — in caso di errori nei controlli automatici TRIBUNALE DI ......... RG:......... G.I. ......... Udienza ......... ISTANZA DI RIMESSIONE IN TERMINI EX ART. 153, CO. 2, C.P.C. .................., rappresentato e difeso dall'avv.......... (C.F. .........) contro ........., con l'Avv. ......... Premesso — che l'istante in data......... depositava per via telematica la (comparsa o memoria...etc...) ......... ottenendo la ricevuta di avvenuta consegna in data......... alle ore ......... ovvero entro il termine della scadenza. (cfr. doc.....) — Che ai sensi dell'art. 196-sexies delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile il deposito telematico si intende perfezionato quando viene generata la ricevuta di avvenuta consegna. — Che, tale circostanza trova altresì conferma nell'art. 13 del d.m. n. 44/2011, il quale dispone che, gli atti del processo in forma di documenti informatici, si intendono ricevuti dal dominio giustizia nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia. — Che il predetto deposito si è perfezionato in data ......... alle ore......... corrispondenti alla generazione della ricevuta di avvenuta consegna della memoria che si allega alla presente. (cfr. doc....) — Che in data ......... alle ore......... l'istante si vedeva recapitare dall'indirizzo PEC ......... il messaggio contenente l'esito dei controlli automatici della cancelleria contenente il seguente errore.......... — Che ad ogni buon conto l'indicazione di un errato numero di ruolo rappresenta un'anomalia del tipo WARN o ERROR consentono in ogni caso alla cancelleria di forzare l'accettazione del deposito. — Che, nel caso di specie, la cancelleria ben poteva accettare il deposito intervenendo manualmente sul proprio sistema informatico e correggendo il numero di ruolo con quello corretto. — Che lo stesso Ministero della Giustizia, con circolare del 23 ottobre 2015, ha disposto che le cancellerie, in presenza di anomalie del tipo WARN o ERROR, dovranno dunque, ove possibile accettare il deposito, avendo cura, tuttavia, di segnalare al giudicante ogni informazione utile in ordine all'anomalia riscontrata. A tal fine è fortemente auspicabile che i capi di ciascun ufficio e i dirigenti di cancelleria concordino tra loro modalità di segnalazione degli errori il più possibile efficaci e complete. (cfr. doc....). — che, tale orientamento non può che trovare conforto nelle stesse disposizioni di attuazione del codice di procedura civile laddove, agli art. 77 e 111, prevedono che il cancelliere può rifiutare il deposito degli atti solo quando il deposito stesso manchi di uno degli atti giudiziari di parte o qualora la comparsa sia scritta in carattere poco chiaro e non facilmente leggibile. — Che pertanto, attesa l'assoluta incolpevolezza della parte istante in ordine all'accaduto tutto ciò premesso, l'istante, ut supra rappresentato e difeso, CHIEDE Che l'Ill.mo Giudice adito, accertata la sussistenza dei presupposti per l'applicabilità al caso di specie dell'art. 153, comma 2, c.p.c., voglia, previo ogni opportuno provvedimento e declaratoria, disporre la rimessione in termini per il deposito della ......... (comparsa o memoria...etc...) nel procedimento RG ......... ritenendo valido e tempestivo il deposito effettuato in data......... alle ore......... All.ti: 1) (comparsa o memoria...etc...) 2) Ricevuta di avvenuta consegna rilasciata in data......... alle ore......... 3) Ricevuta di esito controlli automatici 4) Ricevuta intervento manuale del cancelliere (se presente) 5) Circolare ministeriale del 23 ottobre 2015 con osservanza Data,.................. Avv. ......... 3. Istanza di rimessione in termini in caso di assenza di ricevuta di consegna TRIBUNALE DI ......... RG:......... G.I. ......... Udienza ......... ISTANZA DI RIMESSIONE IN TERMINI EX art. 153, comma. 2, c.p.c. .................., rappresentato e difeso dall'avv.......... (C.F. .........) contro ........., con l'Avv. ......... Premesso — che l'istante in data......... depositava per via telematica la memoria......... ottenendo la ricevuta di avvenuta accettazione in data......... alle ore ......... (cfr. all. 1 memoria e 2 ricevuta di accettazione) — Che l'istante non si vedeva recapitare la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore PEC ministeriale per (inserire eventuali motivazioni di malfunzionamento del gestore PEC e eventuale documentazione di supporto) — Che pur non perfezionandosi il deposito ai sensi dell'art. 196-sexies delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, deve ritenersi che il malfunzionamento non può in alcun modo imputarsi alla parte istante. — Che, in ogni caso la ricevuta di accettazione rilasciata dal gestore PEC dell'istante, generata in un momento antecedente al termine della scadenza, è idonea a provare l'avvenuto invio dell'atto entro i termini. — Che nessuna colpa può essere addebitata all'odierno istante circa il mancato rilascio della ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore PEC del ministero della giustizia. — Che, ai sensi del secondo comma dell'art. 153 del codice di procedura civile, la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al Giudice di essere rimessa in termini. Tutto ciò premesso, l'istante, ut supra rappresentato e difeso, CHIEDE Che l'Ill.mo Giudice adito, accertata la sussistenza dei presupposti per l'applicabilità al caso di specie dell'art. 153, comma 2, c.p.c., voglia, previo ogni opportuno provvedimento e declaratoria, disponga la rimessione in termini per il deposito della ......... nel procedimento RG ......... ritenendo valido e tempestivo il deposito effettuato in data......... alle ore......... All.ti: 1) Comparsa......... 2) Ricevuta di accettazione rilasciata in data......... alle ore......... 3) Eventuale documentazione di supporto attestante il malfunzionamento con osservanza Data,.................. Avv. ......... |