Codice di Procedura Civile art. 96 - Responsabilità aggravata 1 .

Nicola Gargano
Luca Sileni
Giuseppe Vitrani

Responsabilità aggravata1.

[I]. Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza.

[II]. Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare [669-duodecies], o trascritta domanda giudiziaria [2652 ss., 2690 ss. c.c.], o iscritta ipoteca giudiziale [2818 c.c.], oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente.

[III]. In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata2 .

[IV]. Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.0003.

 

[1] In tema di equa riparazione, v. art. 2, comma 2-quinquies lett. a), l. 24 marzo 2001, n. 89, ai sensi del quale, in favore della parte soccombente condannata a norma del presente articolo, non è riconosciuto alcun indennizzo.

[2] Comma inserito dall'art. 45, comma 12, della l. 18 giugno 2009, n. 69 (legge di riforma 2009), con effetto a decorrere dal 4 luglio 2009, per i giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore.

[3] Comma aggiunto dall'art. 3, comma 6, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022, il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale) . Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo sostituito dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n. 197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

Copia di cortesia

Il collegamento tra l'art. 96 c.p.c. e il processo civile telematico sussiste — ad oggi — in un unico caso, relativo al mancato deposito della copia di cortesia.

Non entrando nel merito del provvedimento emesso dal Tribunale di Milano sezione seconda in data 15 gennaio 2015, basterà analizzare le poche righe che condannano la parte che aveva presentato opposizione allo stato passivo di un fallimento al pagamento di cinquemila euro ex art. 96, comma 3, c.p.c.

Rileva infatti il giudicante « come parte opponente abbia depositato la memoria conclusiva autorizzata solo in forma telematica, senza la predisposizione delle copie di “cortesia” di cui al Protocollo d'Intesa tra il Tribunale di Milano e l'Ordine degli Avvocati di Milano del 26 giugno 2014 rendendo più gravoso per il Collegio esaminare le difese. Tale circostanza comporta l'applicazione dell'art. 96, comma 3, c.p.c. come da dispositivo ».

Per i giudici della seconda sezione del Tribunale di Milano e, nella specie, per il Collegio composto dai dott. Bruno, Mammone e D'Aquino, il mancato deposito della copia di cortesia deve essere sanzionato con la condanna al versamento della somma di cinquemila euro a titolo, appunto, di responsabilità aggravata.

Tale condanna, in realtà, non trova alcuna giustificazione nell'articolo in commento e, lo stesso protocollo di intesa citato nella sentenza, non pone alcuna sanzione per l'omesso successivo deposito cartaceo a carico dell'avvocato che deposita telematicamente un proprio scritto difensivo.

Non si vede, in effetti, come si possa anche solo lontanamente pensare di invocare l'applicazione dell'art. 96 c.p.c., norma di legge fondamentale, per tutelare un esclusivo interesse del giudicante che, peraltro, è obbligato da una norma di legge a prendere visione degli atti processuali depositati dagli avvocati mediante strumenti telematici.

Obbligo di depositare telematicamente gli atti: imperativo o no?

Peraltro, non si può non evidenziare come l'obbligo imposto all'avvocato di depositare telematicamente alcune tipologie di atto derivi, in realtà, dalla legge (nella specie l'art. 16-bis, d.l. n. 179/2012), mentre lo stesso non potrà certo dirsi per il versamento nel fascicolo — oltretutto in via informale e senza depositato del cancelliere — di copie cartacee del medesimo atto trasmesso in via digitale.

È d'obbligo ricordare che, in virtù del sopra citato art. 16-bis d.l. n. 179/2012 l'obbligo di deposito telematico « degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche,” e che il deposito si «  ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia » ed ancora, l'art. 44, d.l. n. 90/2014 dispone altresì che: « per i procedimenti iniziati prima del 30 giugno 2014, le predette disposizioni (obbligo di deposito telematico) si applicano a decorrere dal 31 dicembre 2014 »; prevedendo altresì che «  fino a quest'ultima data, nei casi previsti dai commi 1, 2 e 3 dell'art. 16-bis, d.l. n. 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221/2012, gli atti processuali ed i documenti possono essere depositati con modalità telematiche e in tal caso il deposito si perfeziona esclusivamente con tali modalità ».

È quindi evidente che, l'utilizzo dell'avverbio “esclusivamente” da parte del nostro legislatore, sia sufficiente di per sé ad escludere la necessità di un ulteriore deposito cartaceo, che non potrà che essere rimesso alla “cortesia” del difensore per agevolare il magistrato nell'esame dei propri scritti difensivi.

Pertanto, la domanda a cui dovrebbe fornirsi risposta è: come si possa riscontrare la “mala fede” richiesta per l'applicazione dell'art. 96 c.p.c. nell'ipotesi in cui l'avvocato non sia “cortese” nei confronti del Giudice.

Un interrogativo, quest'ultimo, che non può certo trovare risposta invocando un “protocollo di intesa” tra Tribunale e Consiglio dell'Ordine degli Avvocati ove si preveda il “deposito di cortesia”.

Occorre purtroppo porsi domande come queste di fronte ad una normativa confusa e frammentata come quella sul Processo Civile Telematico, normativa che spesso viene interpretata in maniera diversa da tribunale a tribunale e che addirittura è contraddetta e disapplicata dai numerosi protocolli di intesa presenti sul territorio.

Il protocollo applicativo di un tribunale, dunque, non sarebbe più solo uno strumento per fornire una guida all'avvocato, magistrato o cancelliere in caso di difficoltà, ma rischierebbe di divenire una fonte di diritto autonoma e idonea a giustificare pronunce assolutamente censurabili come lo è quella in commento.

A ciò si aggiunga che, il protocollo del Tribunale di Milano, contiene delle modalità assolutamente vaghe di deposito della “copia di cortesia”, non prevedendo alcuna “certificazione” della procedura di deposito, che avviene in maniera assolutamente informale e non documentata da timbri.

Si aggiunga infine che la stessa circolare ministeriale del 23 ottobre 2015 precisa che, « la messa a disposizione del Giudice della copia di cortesia, ad opera delle parti o degli ausiliari, costituisce soluzione o prassi organizzativa sovente adottata a livello locale e non può essere oggetto di statuizioni imperative, né, in generale, di eterodeterminazione ». La stessa circolare sottolinea poi che « tale prassi, libera da qualsiasi vincolo di forma, non sostituisce né si aggiunge al deposito telematico, costituendo soltanto una modalità pratica di messa a disposizione del Giudice di atti processuali trasposti su carta ».

Tale documento ministeriale, infine, chiarisce come le copie cartacee non debbano essere formalmente inserite nel fascicolo processuale, e qualora vengano comunque depositate, il cancelliere non dovrà apporvi il timbro di deposito o altro equivalente, onde non ingenerare confusione.

È evidente, dunque, come il provvedimento meneghino sia probabilmente destinato a rimanere un caso isolato, posto anche che, in una lettera del 19 febbraio, il Presidente del Tribunale di Milano dott.ssa Pomodoro prendeva le distanze dal provvedimento, rimarcando anche la rinuncia della parte processuale di avvalersi della statuizione relativa la condanna, di cui veniva dato atto già in una nota della medesima Presidenza.

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