Class action avverso il silenzio della P.A.: è legittima per il ripristino del corretto svolgimento della funzione o erogazione di un servizio pubblico

Redazione Scientifica Processo amministrativo
12 Novembre 2024

La legittimazione a proporre la class action pubblica per il ripristino del corretto svolgimento della funzione o erogazione di un servizio non va commisurata, per valutarne il grado di “estensione” o diffusione, al numero dei ricorrenti (persone fisiche), ma all’oggettiva entità della situazione di inefficienza che è destinata a correggere, tale da incidere sugli “interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei” afferenti ad una “pluralità di utenti e consumatori”.

La sentenza in esame concerne la proposizione della c.d. class action pubblica , prevista dagli artt. 1 ss. d.lgs. 20 dicembre 2009, n. 198, ossia  una speciale  azione esperibile in sede di giurisdizione esclusiva per “ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio”, laddove compromessi dalla “violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo, per i gravi e sistematici ritardi della pubblica amministrazione.

Nel caso in esame veniva proposto ilricorsoda diversi soggetti e da alcune associazioni rappresentative, dopo aver diffidato la Prefettura di Milano, ex art. 3, comma 1, d.lgs. cit., essendo stato violato il termine di 180 giorni, individuato dalla giurisprudenza per concludere le procedure di emersione volta alla domanda di assunzione di cittadini stranieri presenti nel territorio nazionale o per dichiarare i rapporti di lavoro irregolare con lavoratori italiani o stranieri. Il T.A.R. per la Lombardia accoglieva il ricorso. Il Ministero dell'Interno e la Questura di Milano appellavano la sentenza, contestando il rigetto dell'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione ad agire in capo alle associazioni esponenziali ricorrenti. Ciò in quanto nella procedura di emersione non si configura la titolarità di interessi diffusi, di modo che i legittimati ad agire sono solo i soggetti individualmente interessati alla definizione della procedura mediante l'azione ex artt. 31 e 117 c.p.a.

Il Collegio, in primo luogo, ha precisato che la legittimazione ad agire  per l'azione collettiva proposta dagli enti esponenziali è prevista in termini speciali dall'art. 1, comma 4, d.lgs. n. 198/2009, che intercetta una situazione di inefficienza costante e generalizzata, di diffusa e cronicizzata mala gestio amministrativa, che, dunque si pone oltre i limiti di una specifica e circoscritta inerzia, rimediabile con l'azione ex artt. 31 e 117 c.p.a. L'azione predetta non è preordinata alla tutela dell'interesse del singolo promotore del procedimento alla sua tempestiva definizione, ma all'interesse comune a tutti i soggetti coinvolti in analoghe procedure amministrative e, in tal senso, diffuso nel relativo ambito categoriale, alla correzione di una distorsione della “funzione”. Tale interesse proprio perché assume carattere omogeneo, indipendentemente dal numero e dalla specifica posizione procedimentale dei soggetti che ne sono portatori, è legittimamente azionato dalle relative associazioni rappresentative.

Il Collegio ha  rilevato la diversa finalità dell'azione collettiva di specie volta alla correzione di una situazione patologica della “funzione” e, quindi, alla pluralità dei procedimenti amministrativi che ne costituiscono espressione, rispetto all'azione individuale di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a., avente ad oggetto una specifica inerzia procedimentale , e ha ritenuto che il presupposto legittimante per la sua proposizione è riferito all'oggettiva entità della inefficienza amministrativa, che la class action collettiva è destinata a correggere, incidendo sugli “interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei” afferenti ad una “pluralità di utenti e consumatori”.

Quanto alla dedotta carenza di un termine normativo specifico di conclusione del procedimento, per configurare una “violazione di un termine fissato da una legge o da un regolamento,” ex art. 1, comma 1, d.lgs. n. 198/2009, il Collegio ha evidenziato che secondo l'interpretazione giurisprudenziale il superamento del termine perentorio di  180 giorni, quale condizione legittimante del ricorso ex artt. 31 e 117 c.p.a., rileva anche per legittimare la proposizione dell'azione ex art. 1 d.lvo n. 198/2009, differenziandosi le situazioni di inefficienza che sono all'origine dei due rimedi processuali esclusivamente per le implicazioni pregiudizievoli della situazione di inerzia, nell'un caso circoscritta al singolo procedimento e quindi all'interesse individuale coinvolto, nell'altro compromettente la complessiva funzione amministrativa. Né rileva che il termine stabilito è superabile per la rilevante entità numerica delle istanze di emersione e la complessità delle relative istruttorie perché tale profilo attiene al merito del giudizio, ovvero alla eventuale configurazione di una complessiva inefficienza amministrativa nella gestione dei procedimenti.

Ed infatti, quanto al merito il Collegio ha ritenuto che in ragione della finalità dell'azione, volta a ripristinare le condizioni, anche temporali, di corretto svolgimento della funzione pubblica o quelle di regolare erogazione di un servizio pubblico, e della natura collettiva della relativa legittimazione, attribuita non a singoli individui per far  valere il pregiudizio che l'inefficienza amministrativa rechi alla propria sfera giuridica, ma ai “titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori”, deve essere individuata la situazione patologica cui il legislatore ha inteso porre rimedio in tutti quei profili di inefficienza amministrativa, reiterata e generalizzata, tale da inficiare la funzione o il servizio complessivamente considerati, e non i singoli procedimenti o prestazionali. L' accertamento giudiziale della stessa deve essere condotto entro una dimensione esclusivamente amministrativa, ovvero verificando che sia imputabile solo all'Amministrazione interessata e non a fattori esterni, di carattere oggettivo, come la forza maggiore o lato sensu istituzionale, ad esempio, all'insufficiente dotazione di risorse da parte del legislatore o a carenze/farraginosità della normativa primaria.

Nel caso di specie, il Collegio ha rilevato che la situazione di inefficienza contestata dai ricorrenti alla Prefettura attiene al mancato generalizzato rispetto del termine di 180 giorni per la definizione delle procedure di emersione di cui all'art. 103 d.l. 19 maggio 2020, n. 34, conv., con modif., in l. 17 luglio 2020, n. 77. Tuttavia, le deduzioni della parte appellante, pur se idonee ad evidenziare il significativo carico di lavoro connesso alla gestione della procedura di emersione, non dimostrano che la tempestiva introduzione di misure organizzative e gestionali, non avrebbe evitato, o quantomeno ricondotto entro confini tollerabili, i ritardi verificatisi.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale ha respinto l'appello.

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