Mediazione e controversie in tema di concessione abusiva del credito: un istituto in soccorso di banche e curatori

12 Novembre 2024

Le Autrici, fornite le coordinate giurisprudenziali in tema di abusiva concessione del credito e responsabilità della banca, rappresentano la possibilità di utilizzare la mediazione come istituto e metodo per giungere ad un accordo soddisfacente ed esaustivo per entrambe le parti. In ultimo, sono elencati i benefici di natura fiscale portati dal ricorso alla mediazione.

Alla stesura del presente scritto ha preso parte la Dott.ssa Morena La Tanza.

Premessa

Tra le azioni esercitate dal curatore nell’ambito della liquidazione giudiziale, va attribuito particolare rilievo a quella proposta nei riguardi delle banche e degli istituti finanziari per abusiva concessione del credito.

È da tempo, infatti, che la giurisprudenza di merito e di legittimità ha posto la sua attenzione sulla responsabilità della banca nella crisi d’impresa.

In particolare, ci si riferisce alla circostanza che l’appoggio fornito dalla banca all’imprenditore può, da un lato, essere legittimo e foriero di miglioramenti ma, dall’altro, rivelarsi abusivo se lo stato di decozione e di insolvenza sono già presenti e conosciuti.

In altre parole, l’erogazione del credito nella crisi d’impresa è un atto che si muove … sul filo del rasoio. Può essere adottato in modo costruttivo con la finalità di supportare l’impresa in difficoltà nell’ottica di un possibile risanamento ovvero può essere letto come decisione diretta ad aggravarne il dissesto e a peggiorare la situazione in cui questa si dibatte.

Non meno importante, in tale contesto, è anche un’altra vicenda che vede sempre la banca come protagonista. È il caso in cui l’impresa già oggetto di finanziamento giunga al tracollo proprio a causa della traumatica decisione di interrompere l’erogazione del credito da parte della banca. Al riguardo ci si è domandato se e quando possa legittimarsi in tale ipotesi un’azione risarcitoria nei riguardi della banca per abuso del diritto.

Come si può notare, le questioni sopra indicate sono complesse e articolate e, soprattutto, entrano in un campo dai confini evanescenti nel quale la risposta del giudice alla richiesta risarcitoria, al pari dell’ammontare oggetto della pronuncia, possono spaziare ampiamente.

Da qui una naturale e conseguente conclusione: la possibilità di utilizzare la mediazione come istituto e metodo per giungere ad un accordo soddisfacente ed esaustivo per entrambe le parti.

Prima di considerare insieme le valutazioni da effettuare quando il curatore della liquidazione giudiziale e la banca decidono di negoziare in tema di concessione abusiva del credito, è importante conoscere l’attuale indirizzo della giurisprudenza. Sarà da lì che entrambe le parti partiranno in un percorso volto a raggiungere una possibile soluzione conciliativa.

L'abusiva concessione del credito e la responsabilità della banca

Come si diceva, l'abusiva concessione del credito si verifica quando una banca fornisce credito ad un'impresa, avendo la piena consapevolezza, o comunque potendola raggiungere, che questa sia in uno stato di crisi finanziaria irreversibile.

Tale circostanza comporta una serie di conseguenze. Nello specifico, sostenere artificialmente l'impresa in difficoltà può ritardare l'apertura di una procedura concorsuale, aggravando così il dissesto finanziario della stessa.

Si pregiudicano, dunque, da un lato l'impresa, che continua ad esercitare la propria attività accumulando perdite, dall'altro i creditori che, a causa dell'insolvenza, non riusciranno a ottenere quanto loro spettante. A ciò si deve aggiungere l'effetto di ingenerare nei terzi la falsa o erronea convinzione che l'impresa, in quanto finanziata da soggetti qualificati, sia in realtà in buona salute e sia solvibile, inducendoli ad iniziare o proseguire rapporti commerciali che alla fine non saranno soddisfatti.

In questa prospettiva, Il Codice della crisi punisce con l'art. 325 il reato di abusiva concessione del credito, qualificando come soggetti attivi del reato «gli amministratori, i direttori generali, i liquidatori e gli imprenditori esercenti un'attività commerciale che ricorrono o continuano a ricorrere al credito, anche al di fuori dei casi di cui agli articoli 322 e 323, dissimulando il dissesto o lo stato di insolvenza».

Sotto il profilo civile, gli amministratori possono essere citati in responsabilità ai sensi dell'art. 255 c.c.i.i.; la banca potrebbe, a sua volta, essere ritenuta corresponsabile insieme a primi, tenuto conto che la normativa bancaria impone alle banche l'adozione di una sana e prudente gestione, dovendo queste ultime, prima di procedere all'erogazione del finanziamento, verificare il merito creditizio del cliente sulla base di informazioni adeguate.

Di particolare rilievo è stata, su questo tema, la sentenza della Cassazione 30 giugno 2021, n. 18610, cui sono seguite altre sentenze di legittimità e di merito nello stesso senso, che, trattando del tema della concessione abusiva del credito, ha delineato, in primo luogo, i doveri degli operatori creditizi e le conseguenze loro riferibili. Dopo aver precisato che l'obbligo di una prudente e sana gestione è alla base di numerosi articoli del TUB ed è posto nell'interesse della stabilità del sistema economico e finanziario, ha evidenziato la responsabilità della banca, in caso di sua violazione, per il danno prodotto al patrimonio del soggetto inappropriatamente finanziato. Si tratta, in particolare, del danno rappresentato dalla diminuita consistenza del patrimonio sociale e dall'aggravamento delle perdite favorite dalla continuazione dell'attività d'impresa. Non di meno – si sottolinea nella sentenza – è da segnalare l'atteggiamento di favore assunto nel tempo da parte del legislatore verso il sostegno finanziario dell'impresa in difficoltà; basti pensare ai tanti interventi normativi previsti prima dalla legge fallimentare e ora dal Codice della crisi. Ne consegue, pertanto, che non ogni erogazione di credito ad un soggetto in crisi implica un illecito suscettibile di responsabilità per la banca; tale fattispecie è infatti da circoscrivere ai casi in cui il finanziatore abbia agito con imprudenza, negligenza, violando leggi, regolamenti, ordini o discipline ovvero abbia adottato una condotta priva di cautela. In particolare, la fattispecie di abusiva concessione del credito non sussiste quando la banca, pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell'impresa, abbia assunto un rischio non irragionevole e ciò si verifica quando opera nell'intento del risanamento aziendale ed eroga credito ad un'impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di una proficua permanenza sul mercato. Il tutto, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata desunta in buona fede la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito a tali scopi.

In altre parole, la Cassazione, con la pronuncia sopra indicata, evidenzia che i finanziamenti non sono tutti uguali, poiché si distinguono in finanziamenti meritevoli e in finanziamenti abusivi. In tale prospettiva «quel che rileva non è più il fatto in sé che l'impresa finanziata sia in stato di crisi o d'insolvenza, pur noto al finanziatore, onde questi abbia così cagionato un ritardo nella dichiarazione di fallimento: quel che rileva è unicamente l'insussistenza di fondate prospettive, in base a ragionevolezza ed a una valutazione ex ante, di superamento della crisi».

Spetta dunque al giudice di merito stabilire, secondo il suo prudente apprezzamento, in modo rigoroso e tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, se la banca abbia (a parte il caso di dolo) agito con cautela o meno. Nel singolo caso di specie il giudice dovrà infatti individuare lo spazio ammissibile per il finanziamento lecito ed effettuare ogni valutazione circa la presenza di ragionevoli prospettive di risanamento. La sentenza offre anche un criterio di riferimento e in proposito afferma che «un criterio di diritto positivo può essere rinvenuto nell'art 67 L. Fall: il quale, similmente al D.lgs. n. 14 del 2019, artt. 56 e 284, menziona il piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria».

 Applicando, dunque, tale criterio al caso di un finanziamento ad un'impresa in crisi, il giudice stabilirà se la banca abbia proceduto prima di erogare il credito a valutare ex ante se questo apparisse utile al risanamento o al riequilibrio del soggetto finanziato. Nell'ipotesi di esito positivo, il finanziamento dovrà essere ritenuto lecito e non potrà qualificarsi come abusiva concessione di credito (nel medesimo senso si vedano anche Cass. 27 ottobre 2023, n. 29840; Cass. 14 settembre 2021, n. 24725; e, per la giurisprudenza di merito, Trib. Palermo 10 agosto 2021, n. 3308, Trib. Vicenza 7 dicembre 2021, n. 2265 e Trib. Spoleto 6 luglio 2023, n. 529).

Il ricorso alla mediazione

In presenza di sentenze che lasciano al giudice, secondo il suo prudente apprezzamento e in base ad una valutazione ex ante, la distinzione tra finanziamento abusivo e finanziamento lecito, è altamente probabile che il finanziatore chiamato in mediazione obbligatoria dal curatore della liquidazione giudiziale, pur aderendo e presentandosi unitamente al proprio legale, decida di non procedere per la via negoziale. In realtà lo stesso atteggiamento potrebbe essere adottato anche dal curatore e dal suo legale che non abbiano ancora apprezzato, al pari dell'istituto di credito, le potenzialità della mediazione.

È da ritenere infatti che ciascuna parte, verificata la condizione di procedibilità senza esito positivo, desideri prima capire l'andamento della causa e lasciare del tempo alla valutazione circa le possibilità di vittoria o di soccombenza. Anche il giudice, del resto, dopo aver letto l'atto di citazione con la richiesta di risarcimento del danno da parte del curatore e la comparsa di costituzione e risposta della banca potrà cominciare ad avere un'idea circa l'oggetto della controversia e le posizioni assunte in fatto e in diritto dalle parti.

È anche possibile che il curatore si munisca già di consulenza, allegandola all'atto di citazione, per motivare adeguatamente la propria richiesta.

La banca, conosciute la documentazione, le prove e la domanda al giudice nonché la forza argomentativa della curatela cercherà di contestare ogni aspetto contrario (anche quelli indicati nella consulenza di parte) e riporterà quei fatti, dati e notizie che dimostrino il “rischio non irragionevole” assunto nell'erogazione del credito e dai quali in buona fede si possa desumere “la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito ricevuto a scopi di risanamento”.

È probabile poi che il giudice disponga la consulenza tecnica d'ufficio che di fatto andrà a risolvere la controversia.

È proprio a questo punto che torna in gioco la mediazione; niente vieta infatti che ciascuna parte, valutata la possibilità di vittoria o di soccombenza, preferisca avviare la strada di una formale negoziazione stante l'incertezza che governa, come si diceva, la questione dell'abusiva concessione del credito.

A seguito della CTU, la curatela potrebbe non veder riconosciuta la pretesa risarcitoria in quanto insussistente nel caso in cui il professionista incaricato evidenzi, motivandola, la liceità del finanziamento erogato all'impresa in liquidazione giudiziale. Anche la banca potrebbe, però, essere alla fine condannata al risarcimento del danno: la pronuncia del giudice rappresenterebbe in questo caso un precedente non gradito, quale punto di inizio di possibili future controversie che la vedrebbero citata da altri curatori.

La circostanza che all'inizio la banca sia stata chiamata obbligatoriamente in mediazione e le conclusioni negative della stessa non escludono comunque che il giudice possa disporre “fino al momento della precisazione delle conclusioni, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione, il comportamento delle parti e ogni altra circostanza” l'esperimento della mediazione delegata.

Niente vieta, del resto, che una delle parti o entrambe lo richiedano di propria iniziativa al giudice stesso.

In tal caso, se curatore e banca entrano in negoziazione, dovranno agire in modo efficace. Ciò significa procedere in un ambito delicato e complesso che richiede una comprensione approfondita delle dinamiche giuridiche, finanziarie e relazionali coinvolte.

La negoziazione tra un curatore della liquidazione giudiziale e una banca su un caso di concessione abusiva del credito richiede infatti un approccio strategico e flessibile. Entrambe le parti devono essere preparate, disposte ad esplorare tutte le opzioni disponibili e pronte a trovare un compromesso vantaggioso.

Nel contesto di una negoziazione tra i soggetti sopra indicati, come in tutte le negoziazioni, passare dalle posizioni agli interessi è fondamentale per trovare una soluzione soddisfacente. Questo processo aiuta a superare l'impasse derivante da richieste rigide e apparentemente inconciliabili, facilitando un dialogo più costruttivo e aperto alla cooperazione.

Le posizioni dichiarate dalle parti potrebbero essere:

  • per il curatore, la richiesta di un risarcimento significativo per il danno subito dal patrimonio dell'impresa a causa della concessione abusiva del credito da parte della banca, che ha aggravato il dissesto economico e danneggiato i creditori;
  • per la banca, la negazione della concessione di un credito in modo abusivo e la resistenza alla richiesta di risarcimento, sostenendo che il credito è stato concesso in buona fede, seguendo le pratiche bancarie standard e basandosi su una valutazione ragionevole delle prospettive economiche dell'impresa.

In realtà, le parti, al di là delle posizioni manifestate esteriormente con l'atto di citazione e la comparsa di risposta, hanno sottostanti interessi che devono emergere ed essere soddisfatti per poter arrivare ad un accordo negoziale. Così, il curatore potrebbe avere la necessità di massimizzare il valore recuperabile per i creditori dell'impresa nel più breve tempo possibile, evitando un lungo e costoso contenzioso oltre a poter dimostrare di aver agito con diligenza e nell'interesse dei creditori, tutelando il loro diritto al risarcimento. A sua volta, la banca, probabilmente, avrà la necessità di limitare le perdite finanziarie legate a un risarcimento ed evitare danni reputazionali che potrebbero ledere la sua immagine di istituzione finanziaria affidabile verso i clienti e verso il mercato. Inoltre, potrebbe avere l'interesse a prevenire la creazione di un precedente giudiziario che potrebbe incoraggiare ulteriori cause legali da parte di altri clienti o curatori.  

Un altro aspetto cruciale per un negoziato efficace è la comprensione e l'identificazione delle proprie alternative e del margine di accordo possibile. Tre concetti chiave guidano questo processo:

  • BATNA (Best Alternative to a Negotiated Agreement). E' la migliore alternativa che ciascuna parte può perseguire se la negoziazione fallisce. Aiuta a determinare quando è meglio non raggiungere un accordo e a definire il punto in cui conviene interrompere le trattative;
  • WATNA (Worst Alternative to a Negotiated Agreement). Si tratta della peggiore alternativa che ciascuna parte potrebbe affrontare se la negoziazione non dovesse concludersi positivamente. Questa valutazione aiuta a capire quali sono i rischi massimi in caso di fallimento della negoziazione;
  • ZOPA (Zone of Possible Agreement). L'area in cui le proposte di entrambe le parti si sovrappongono, definendo l'intervallo in cui è possibile trovare un accordo reciprocamente vantaggioso.

I primi due concetti fanno parte della preparazione alla negoziazione e le parti li devono conoscere ed essere consapevoli dell'influenza che possono avere sul tavolo di negoziazione; il terzo si sviluppa e deve essere percepito durante il negoziato.

Nella negoziazione diretta, le parti hanno un controllo diretto e totale sul processo di tentativo d'accordo e decidono autonomamente le modalità, i tempi e le strategie da utilizzare. Al riguardo, è opportuno segnalare che la negoziazione tra il curatore e la banca si sviluppa in un contesto caratterizzato da diverse problematiche legate alla complessità della materia e all'asimmetria di potere e di disponibilità economiche, a cui si aggiungono le tensioni emotive generate dalle posizioni antagonistiche e dalle pressioni che entrambe le parti percepiscono dal contesto esterno in cui si muovono.

 Questi elementi possono costituire ostacoli insormontabili nella ricerca di un accordo, portando a situazioni di blocco o all'inasprirsi dei conflitti esistenti ed è basilare avere una competenza negoziale approfondita per poter evitare le situazioni di stallo o di esito negativo.

Per riuscire a conoscere gli interessi dell'altro e per applicare i concetti cui sopra si è accennato, entrambe le parti devono adottare strategie avanzate che facilitino l'esplorazione delle motivazioni sottostanti e promuovano un approccio collaborativo. Ciò è possibile solo se si possiedono competenze specifiche.

Perché entrare in mediazione

 Entrare in mediazione, anziché negoziare direttamente tra le parti, dà luogo ad una serie di vantaggi connessi a tale istituto che spesso non sono conosciuti, nonostante la più che decennale operatività del d.lgs. n. 28/2010.

Consideriamoli insieme.

Rispetto alla negoziazione diretta tra le parti, la mediazione prevede la figura del mediatore, un professionista specializzato che, da terzo neutrale e imparziale, assiste le parti coinvolte in un conflitto e dialoga con loro aiutandole a raggiungere un accordo volontario e reciprocamente accettabile.

Il mediatore ha una formazione specifica nelle tecniche di negoziazione; è tenuto, per espressa previsione normativa, ad essere formato e costantemente aggiornato, all'imparzialità nei confronti delle parti e alla neutralità rispetto all'oggetto della controversia; deve inoltre comportarsi secondo canoni di riservatezza circa le informazioni di cui viene a conoscenza durante la procedura di mediazione.

Dunque, il mediatore non si limita a conoscere le tecniche, ma ha una vera formazione in materia di capacità negoziali, di terzietà e di neutralità.

La mediazione si basa, poi, sul consenso delle parti. In tale ambito, il mediatore non impone una soluzione, ma facilita la comunicazione, aiuta a chiarire i punti di disaccordo e guida le parti nella ricerca di soluzioni creative che soddisfino gli interessi di entrambe.

La mediazione può quindi accelerare in modo significativo la risoluzione delle controversie in tema di concessione abusiva del credito. A differenza dei procedimenti giudiziari, che possono durare mesi o anni a causa della complessità delle prove e dei continui rinvii, la mediazione permette alle parti di raggiungere un accordo in tempi molto più brevi. Questo vantaggio è particolarmente rilevante in un contesto in cui il curatore ha bisogno di una soluzione rapida e soddisfacente dal punto di vista economico e di accelerazione delle pratiche. I procedimenti giudiziali contro le banche possono essere molto costosi, sia in termini di spese legali vere e proprie che di costi di consulenza per periti, revisori e altri esperti chiamati a fornire valutazioni tecniche. La mediazione, invece, è generalmente meno costosa, poiché evita molti dei passaggi formali e delle perizie tecniche richieste in un contenzioso giudiziario. I costi della mediazione sono in genere limitati alle spese per il mediatore e per eventuali consulenti coinvolti, rendendo questa opzione facilmente accessibile ai soggetti economicamente più deboli.

Va poi ricordato che la mediazione offre una maggiore flessibilità, permettendo alle parti di esplorare soluzioni creative che vanno oltre la semplice liquidazione economica. L'esplorazione degli interessi e la conseguente valutazione di più alternative per la soluzione della controversia permettono di arricchire il tavolo negoziale creando valore aggiunto all'accordo che può essere non solo di tipo finanziario.

Come prima si accennava, la mediazione ha fra i suoi punti cardine anche la riservatezza. Tutte le informazioni e gli argomenti trattati in mediazione non possono essere divulgati all'esterno e non possono essere utilizzati in sede di giudizio. Tale circostanza può rappresentare un vantaggio significativo per entrambe le parti e in particolare per la banca che, come detto, ha interesse a ridurre il rischio di un giudizio negativo che darebbe origine a un precedente sfavorevole in termini di responsabilità civile. Risolvere la questione attraverso la mediazione consente all'istituto di credito di evitare una sentenza che potrebbe essere utilizzata contro di essa in altri procedimenti simili o essere amplificata dai media. Inoltre, risolvere il conflitto in mediazione riduce la possibilità di ulteriori indagini o sanzioni da parte delle autorità di vigilanza.

In sede di mediazione si possono coinvolgere professionisti nel campo del diritto bancario e finanziario, nonché consulenti economici, per assistere le parti nella comprensione delle domande tecniche complesse e nella valutazione dei rischi e delle opportunità. Questo aiuto può facilitare la negoziazione con soluzioni tecniche specifiche e l'intervento di esperti può migliorare la qualità dell'accordo raggiunto, garantendo che sia equo e sostenibile per entrambe le parti.

Va ancora aggiunto che gli accordi raggiunti attraverso la mediazione tendono ad avere un tasso di conformità più elevato rispetto alle sentenze giudiziarie. Le parti interessate sono infatti attive nella creazione dell'accordo e, con lo scopo di una soluzione condivisa, sono generalmente più motivate a rispettarne i termini. Da qui consegue il minor rischio di prevedere ulteriori interventi giudiziali per l'esecuzione dell'accordo contribuendo così ad una soluzione più stabile e duratura del conflitto.

Nel contempo, con l'istituto della mediazione si contribuisce a prevenire future controversie tra le stesse parti, tenuto conto che il processo di mediazione mira a risolvere non solo la questione immediata, ma anche le eventuali cause sottostanti che potrebbero insorgere a causa del conflitto in essere.

Non vanno dimenticati, infine, due ulteriori aspetti positivi: il primo è di natura processuale, perché l'accordo sottoscritto in mediazione dagli avvocati delle parti costituisce titolo esecutivo e permette, come tale, di dare immediata efficacia alla volontà delle parti; il secondo è di natura fiscale.

Sotto tale ultimo profilo è bene ricordare che:

 - l'accordo di mediazione è esente da imposta di registro fino al valore di euro € 100.000,00; in caso di importo maggiore, l'imposta è dovuta solo sulla parte eccedente. L'esenzione si applica a tutti i tipi di procedure di mediazione, quindi sia all'obbligatoria, alla delegata, alla volontaria e alla contrattuale;

- tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura. L'esenzione si applica per tutti i documenti formati nel procedimento e a tutti i tipi di procedura di mediazione;

- tutte le parti godono di un credito d'imposta fino a € 600,00 sull'indennità pagata all'Organismo in caso di accordo conciliativo, ridotto ad € 300,00 se la procedura si conclude con esito negativo. Tale credito è riconosciuto a tutti i tipi di procedure di mediazione, quindi sia a quelle obbligatorie, sia alle delegate che alle volontarie;

- nel caso di mediazioni obbligatorie o delegate è riconosciuto un credito fino a € 600,00 sul compenso versato al proprio legale in caso di accordo, ridotto a € 300,00 se la procedura si conclude con un mancato accordo, nei limiti previsti dai parametri professionali;

- è riconosciuto alla parte, in caso di giudizio che venga estinto a seguito della conclusione di un accordo raggiunto in mediazione, un credito d'imposta commisurato al contributo unificato versato fino ad un massimo di 518,00 euro.

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