Immobile locato soggetto a vincolo culturale di destinazione d’uso: le conseguenze in caso di sfratto

29 Novembre 2024

Oggetto della pronuncia in commento è se il vincolo artistico e culturale, imposto su un immobile classificato come bene di particolare interesse (ai sensi della L. 1089/1939), comporti per il proprietario un obbligo di conservazione della destinazione d'uso, tale da precludere la facoltà di recedere dal contratto di locazione.

Massima

Qualora un bene immobile, per il quale sia stato stipulato un contratto di locazione ad uso commerciale, risulti classificato, in base ad un provvedimento amministrativo emesso ai sensi degli artt. 1 e 2 L. 1089/1939, quale bene di interesse particolarmente importante, determinandosi in tal modo un vincolo artistico e culturale non soltanto sull'immobile, ma anche sugli arredi, le decorazioni, i cimeli storici e la relativa licenza di esercizio, la sussistenza di tale vincolo non si traduce, per il proprietario, nel divieto di intimare al conduttore la licenza per finita locazione, ma soltanto nell'obbligo di garantire la continuità della destinazione del bene nei termini indicati dal provvedimento istitutivo di quel vincolo.

Il caso

Con ricorso depositato avanti al Tribunale di Roma, l'Ospedale Alfa intimava alla Società Beta s.r.l., licenza per finita locazione alla data del 30 settembre 2017, citandola contestualmente per la convalida, in relazione all'immobile oggetto di locazione ad uso commerciale.

La società intimata si costituiva in giudizio e, evidenziando l'esistenza di un vincolo di natura amministrativa e l'esigenza di tutela dell'esercizio commerciale quale bene di interesse storico, concludeva per il rigetto della domanda svolta dalla ricorrente.

Il Tribunale di Roma – dopo aver emesso l'ordinanza provvisoria di rilascio dell'immobile – disponeva il mutamento del rito.

La società convenuta proponeva domanda riconvenzionale con la quale chiedeva che fosse pronunciata in suo favore la prosecuzione del contratto di locazione in corso.

Il Tribunale accoglieva la domanda dell'Ospedale Alfa e dichiarava cessato il contratto per finita locazione alla data del 30 settembre 2017.

Parte soccombente impugnava la decisione del Tribunale di Roma.

La Corte d'appello di Roma rigettava l'appello e condannava l'appellante alla rifusione delle ulteriori spese del grado. La Corte territoriale riteneva, in particolare, di condividere l'affermazione del Giudice di prime cure secondo cui l'esistenza del vincolo sul bene immobile, da ritenere esteso anche all'attività in esso esercitata, operava sulla destinazione d'uso del bene medesimo, ma non escludeva l'interesse ad agire, in capo al proprietario, per ottenerne il rilascio alla data di scadenza della locazione.

La Società Beta s.r.l. proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello.

Resisteva con controricorso l'Ospedale Alfa.

La questione

Il quesito al quale la Suprema Corte è stata chiamata a rispondere è se il vincolo artistico e culturale su un immobile e sull'attività in esso esercitata, conseguente alla sua classificazione, quale bene di interesse particolarmente importante, in base ad un provvedimento amministrativo emesso ai sensi degli artt. 1 e 2 L. 1089/1939, si traduca, per il proprietario, nel semplice obbligo di garantire la continuità della destinazione del bene nei termini indicati dal provvedimento istitutivo di quel vincolo oppure in un vero e proprio divieto di intimare al conduttore la licenza per finita locazione.

Le soluzioni giuridiche

Secondo i giudici di legittimità, la sussistenza del vincolo culturale di destinazione d'uso non si traduce, per il proprietario, nel divieto di intimare al conduttore la licenza per finita locazione, ma soltanto nell'obbligo di garantire la continuità della destinazione del bene nei termini indicati dal provvedimento istitutivo del vincolo.

Osservazioni

Con la pronuncia in commento, la Corte di Cassazione ricorda anzitutto come la materia in questione sia stata sottoposta ad un'ampia rielaborazione da parte della giurisprudenza amministrativa, grazie alla sentenza dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 2023 (C.Stato 13 febbraio 2023 n. 5).

L'Adunanza plenaria – dopo aver ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale relativo all'ammissibilità di un vincolo culturale di destinazione d'uso – ha riconosciuto la piena legittimità del potere di imporre limiti all'uso del bene culturale; potere che deriva non soltanto dalle specifiche norme del D.Lgs. 42/2004, ma anche dall'art. 9 Cost., da interpretare alla luce della sentenza C.Cost. 6 marzo 1990 n. 118.

Il Consiglio di Stato ha rilevato come non sia estranea al sistema dei vincoli per la tutela delle cose di interesse storico o artistico la previsione del potere amministrativo di porre limiti alla loro destinazione, quando la misura imposta miri a salvaguardare l'integrità o la conservazione del bene.

Sulla base di queste premesse, l'Adunanza plenaria ha affermato che:

  1. i vincoli culturali hanno natura conformativa e non espropriativa;
  2. la tutela del bene si estende anche al suo uso, quando esso contribuisca alla sua rilevanza culturale;
  3. il vincolo di destinazione non deve imporre «alcun obbligo di esercizio o prosecuzione dell'attività commerciale e imprenditoriale, né attribuire una “riserva di attività” in favore di un determinato gestore, al quale non può essere attribuita una sorta di “rendita di posizione”»;
  4. così inteso, il vincolo non viola la libertà di iniziativa economica privata e limita in modo ragionevole il diritto di proprietà.

La sentenza ha, peraltro, precisato che il provvedimento di imposizione di un vincolo il quale, lungi dal mirare alla conservazione del valore storico e culturale connesso col bene, si spingesse fino al punto di «far continuare la prosecuzione di una specifica attività commerciale o imprenditoriale» sarebbe illegittimo per sviamento di potere; in quanto «quel che può essere imposto è un divieto di usi diversi da quello attuale, a tutela tanto del bene culturale quanto dei valori in esso incorporati» (C.Stato 13 febbraio 2023 n. 5).

Dopo la pronuncia dell'Adunanza plenaria, la causa è tornata alla Sezione competente la quale, pronunciandosi nel merito, ha confermato che il vincolo di destinazione d'uso non comporta l'obbligo di esercizio o prosecuzione dell'attività o una sorta di riserva di attività, ma preclude ogni uso incompatibile con la conservazione materiale del bene.

Anche nella giurisprudenza della Corte di Cassazione si traggono indicazioni che sono pienamente in linea con la giurisprudenza amministrativa.

La sentenza Cass. 17 febbraio 1995 n. 1737, ha per esempio affermato che il vincolo di destinazione sui beni è irrilevante ai fini dell'esecuzione del provvedimento di rilascio per scadenza del termine della locazione. Nella motivazione si legge che il provvedimento amministrativo di vincolo intanto può spiegare effetti, in una controversia avente ad oggetto l'immobile vincolato, in quanto l'oggetto della lite attenga specificamente alla predetta destinazione, ma non anche quando esso riguardi facoltà di godimento e/o di disposizione del bene diverse, ovvero diritti nascenti da un rapporto obbligatorio ed estranei alla destinazione stessa.

Con la sentenza Cass. 18 maggio 2001 n. 6814 la Suprema Corte ha poi affermato che l'impossibilità di dare esecuzione al provvedimento di rilascio derivante dalla mancata autorizzazione amministrativa alla rimozione dei beni culturali esistenti nell'immobile «non potrebbe mai impedire la pronuncia del provvedimento di condanna al rilascio nella situazione di accertata cessazione del contratto di locazione». In tal caso, sussisterebbe certamente l'interesse del locatore ad ottenere un a simile pronuncia, e la presunta impossibilità di rimozione dei beni potrebbe al massimo comportare che i beni medesimi debbano essere considerati quali addizioni non separabili dall'immobile, assoggettati, quindi, alla disciplina di cui agli artt. 1592 e 1593 c.c.

Sulla base della predetta giurisprudenza, secondo i giudici di legittimità, la portata del vincolo culturale imposto sui locali dell'esercizio commerciale e sulla licenza di esercizio deve essere intesa nel senso che il locatore non potrebbe sottrarre il bene (con gli annessi arredi e cimeli storici, tanto se anch'essi di sua pertinenza, quanto in caso contrario) alla destinazione a suo tempo imposta dall'Autorità amministrativa e mai revocata.

Detto altrimenti, il vincolo non comporta l'obbligo di esercizio o prosecuzione dell'attività o l'attribuzione di una riserva di attività, valendo, piuttosto, a precludere, in negativo, ogni uso incompatibile con la conservazione materiale della res, nonché ad imporre, specularmente, in positivo, la continuità del suo uso attuale.

Osserva, da ultimo, la Corte che l'accoglimento della tesi della società ricorrente verrebbe a determinare una sorta di espropriazione del diritto di proprietà in assenza di una deliberazione della P.A. e in mancanza di ogni indennizzo (salvo, ovviamente, il corrispettivo del canone locativo), evidentemente inammissibile perché illegittima.

La Suprema Corte rigetta dunque il ricorso.

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