Le riprese visive in un garage sono utilizzabili come prova?

05 Dicembre 2024

Si trattava di un processo per traffico illecito di sostanze stupefacenti, occultate nel garage di uno stabile, interessato da un servizio di videosorveglianza realizzato dalla polizia giudiziaria mediante installazione di una telecamera montata sul corsello d'ingresso ai box.

Singolare la vicenda esaminata dalla Suprema Corte

La difesa aveva osservato che le immagini acquisite dalla telecamera installata nel corsello dell'autorimessa a servizio dello stabile avrebbero dovuto essere ritenute inutilizzabili ai fini della decisione in quanto le riprese riguardavano l'interno del garage in uso all'imputato senza essere state previamente autorizzate dal giudice. Assumono i ricorrenti che la telecamera era stata posizionata in un luogo che non poteva essere considerato aperto al pubblico e inoltre il teleobiettivo era direzionato in modo tale da riprendere quello che avveniva all'interno del garage stesso, con grave e indebita intrusione nella sfera privata degli indagati.

Il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite Prisco

La Corte di cassazione risponde che la motivazione dei giudici di merito, che avevano rigettato le eccezioni difensive sul punto, non soffrono dei vizi lamentati dai ricorrenti, avendo la Corte territoriale adeguatamente vagliato le censure mosse in merito alle attività di videoregistrazione con argomentazioni non meritevoli di essere censurate, perché conformi ai criteri ermeneutici enunciati, sul punto, dalle Sezioni unite della Corte di cassazione.

Le videoregistrazioni in luogo pubblico

Le Sezioni Unite Prisco del 2006, a cui occorre fare riferimento per la risoluzione della questione, hanno affermato che le videoregistrazioni in luoghi pubblici ovvero aperti o esposti al pubblico, non effettuate nell'ambito del procedimento penale (si pensi alle registrazioni effettuate dalle numerose telecamere piazzate in ogni città), vanno incluse nella categoria dei "documenti" di cui all'art. 234 c.p.p., mentre le medesime videoregistrazioni eseguite dalla polizia giudiziaria, anche d'iniziativa, vanno incluse nella categoria delle “prove atipiche”, soggette alla disciplina dettata dall'art. 189 c.p.p.

Le videoregistrazioni nel domicilio e nei luoghi riservati

La Corte cost. aveva ammesso le riprese visive nel domicilio purché si tratti di comportamenti di tipo comunicativo, ritenendole costituzionalmente legittime, mentre quelle che non hanno carattere di intercettazione di comunicazioni potranno essere disciplinate soltanto dal legislatore, nel rispetto delle garanzie costituzionali della riserva di legge e di giurisdizione, poste dall'art. 14 Cost. [C. cost. 11 aprile 2002, n. 135].

Perciò, le Sezioni unite Prisco hanno confermato che le riprese video di comportamenti "non comunicativi" non possono essere eseguite all'interno del "domicilio", in quanto lesive dell'art. 14 Cost., con la conseguenza che ne è vietata la loro acquisizione ed utilizzazione e, in quanto prova illecita, non può trovare applicazione la disciplina dettata dall'art. 189 c.p.p.

Invece, le videoregistrazioni eseguite in ambienti in cui è garantita l'intimità e la riservatezza, non riconducibili alla nozione di "domicilio" (si pensi alla toelette di un locale pubblico), sono “prove atipiche”, soggette ad autorizzazione motivata dell'autorità giudiziaria e alla disciplina dettata dall'art. 189 c.p.p.

Nel caso esaminato, le Sezioni unite Prisco chiarirono così che i c.d. "privè" di un locale notturno non possono essere considerati "domicilio", neppure nel tempo in cui sono occupati da persone, in quanto il concetto di domicilio individua un particolare rapporto di stabilità della persona con il luogo in cui si svolge la vita privata, in modo da sottrarre la persona stessa da ingerenze esterne, indipendentemente dalla sua presenza (Cass. pen., sez. un., 28 marzo 2006, n. 26795, Prisco, Rv. 234267 -01 e Rv. 234269 -01).

Le videoregistrazioni di comportamenti "comunicativi" o "non comunicativi"

Le Sezioni unite Prisco stabilirono pertanto il principio di diritto secondo cui il regime delle videoregistrazioni di comportamenti "comunicativi" deve seguire il regime previsto per le intercettazioni ambientali.

In riferimento, invece, alle videoregistrazioni di comportamenti "non comunicativi", le S.U. Prisco operarono una diversificazione in relazione al luogo in cui l'attività di captazione si è svolta:

a) se le videoriprese sono eseguite in luoghi pubblici, ovvero aperti o esposti al pubblico, possono essere effettuate dalla polizia giudiziaria, anche d'iniziativa (senza che occorra un provvedimento motivato dell'Autorità giudiziaria) ed esse rientrano nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall'art. 189 c.p.p.;

b) se le videoriprese sono eseguite in ambienti non riconducibili alla nozione di “domicilio” ma nei quali debba essere garantita l'intimità e la riservatezza, rientrano nell'ambito delle “prove atipiche”, soggette perciò alla disciplina dettata dall'art. 189 c.p.p. ma necessitano dell'autorizzazione motivata dell'autorità giudiziaria (quindi anche del P.M.), ma deve essere precisato lo scopo perseguito ovvero gli elementi probatori suscettibili di essere acquisiti attraverso l'atto intrusivo e deve esservi una giustificazione congrua rispetto alla invasività dell'atto e alle esigenze dell'indagine;

c) se sono eseguite all'interno del domicilio, vanno qualificate come prove illecite in quanto lesive dell'art. 14 Cost.

La soluzione della Corte di cassazione

Nel caso in esame, è pacifico che le videoriprese avessero ad oggetto comportamenti non comunicativi (il traffico di stupefacenti) e che la telecamera fosse stata posizionata nel corsello dei box di uno stabile condominiale (zona nella quale insiste la corsia percorribile a piedi o in auto che consente gli ingressi ai singoli box auto). Tale corsia è ritenuta dalla Corte di cassazione un luogo aperto al pubblico, essendo accessibile ai condomini dello stabile e ad un numero indeterminato di persone, sia pure appartenenti ad individuate categorie, che hanno la possibilità di introdursi legittimamente al suo interno (familiari e amici dei condomini, manutentori, addetti alle pulizie), rispetto alle quali non vige uno ius excludendi omnes alios in capo al proprietario del singolo garage.

Pertanto, secondo la suprema Corte, le videoriprese realizzate nella corsia dei garages e nella zona d'ingresso del box condominiale monitorato, nelle quali sono registrati i movimenti degli imputati che entravano ed uscivano, trattandosi di luoghi aperti al pubblico, potevano essere effettuate dalla polizia giudiziaria anche d'iniziativa, senza necessità di autorizzazione.

Quanto all'ulteriore rilievo mosso dai difensori, concernente il fatto che le riprese abbiano riguardato anche le scene avvenute all'interno del garage, secondo la Corte di cassazione, si tratta di mozione puntualmente esclusa dal giudice di merito, il quale ha sottolineato in sentenza che i comportamenti attenzionati e valutati nell'ambito delle indagini sono tutti quelli avvenuti all'ingresso del garage e non al suo interno. Ne consegue che le risultanze di tali riprese debbano ritenersi legittimamente utilizzate come prove (atipiche) nel giudizio abbreviato celebrato.

Conclusioni

La soluzione adottata dalla Corte di cassazione merita qualche ulteriore riflessione.

Infatti, secondo il costante insegnamento della Suprema Corte la valutazione sulla ritualità o meno dell'attività di captazione di immagini deve essere effettuata facendo riferimento non tanto al luogo in cui è stata montata la telecamera, ma alle immagini che sono state in concreto acquisite.

Essendo stato il teleobiettivo direzionato in maniera tale da riprendere l'interno del garage, risulta del tutto irrilevante che la telecamera fosse stata montata in un luogo parzialmente aperto al pubblico, come sostenuto dalla Corte di cassazione. È noto che il garage utilizzato dagli imputati è assimilabile ad una privata abitazione sotto il profilo del diritto all'inviolabilità del domicilio, ma anche il corsello del garage condominiale avrebbe egualmente richiesto un decreto motivato dell'autorità̀ giudiziaria ai fini dello svolgimento delle riprese, essendo un luogo riservato ai condomini.

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