Screenshots di messaggi whatsapp: inutilizzabili senza l’acquisizione con le forme dell’art. 254 c.p.p.
09 Dicembre 2024
Massima In tema di mezzi di prova, sono affetti da inutilizzabilità patologica, in considerazione della loro natura di corrispondenza, i messaggi WhatsApp acquisiti, in violazione dell'art. 254 c.p.p., mediante screenshots eseguiti dalla polizia giudiziaria, di propria iniziativa e senza ragioni di urgenza, in assenza di un decreto di sequestro del pubblico ministero. Il caso L'imputato, condannato per il delitto di cui all'art. 73, comma 5, d.p.r. n. 309/1990, ha proposto ricorso in Cassazione eccependo l'inutilizzabilità degli screenshots del telefono cellulare relativi a conversazioni effettuate tramite WhatsApp, trattandosi di una prova acquisita contra legem e in violazione della segretezza della corrispondenza, giacché non era stato disposto il sequestro del dispositivo-contenitore e in assenza di una rituale estrazione del suo contenuto tramite copia forense, con la conseguenza che la riproduzione fotografica dei messaggi non consente di avere la certezza dell'identità del mittente, del destinatario e del contenuto stesso del messaggio. La Corte di cassazione, pur annullando la sentenza limitatamente la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, ha ritenuto fondato tale motivo, muovendo dal presupposto che i messaggi inviati o ricevuti tramite WhatsApp non hanno natura di documenti, dovendo ricondursi al più ampio concetto di corrispondenza tutelata dall'art. 15 Cost., non potendo essere acquisiti attraverso una mera riproduzione fotografica, ma la loro acquisizione deve avvenire secondo le forme previste dall'art. 254 c.p.p. per il sequestro della corrispondenza. La questione La questione in esame è la seguente: quali sono le modalità di acquisizione dei messaggi Whatsapp? Le soluzioni giuridiche La pronuncia in commento ha stabilito che i messaggi di posta elettronica, i messaggi WhatsApp, le e-mail e gli sms conservati nella memoria di un dispositivo elettronico costituiscono corrispondenza anche dopo la ricezione da parte del destinatario, almeno fino a quando, per il decorso del tempo o per altra causa, essi non abbiano perso ogni carattere di attualità, in rapporto all'interesse alla sua riservatezza, trasformandosi in un mero documento “storico”, sicché, fino a quel momento, la loro acquisizione deve avvenire secondo le forme previste dall'articolo 254 c.p.p. per il sequestro della corrispondenza. I giudici di legittimità si muovono seguendo le coordinate individuate dalla Corte di Giustizia e dalla Corte costituzionale. Invero, la recente sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea causa C-548/21, Bezirkshauptmannschaft Landeck, in tema di accesso della polizia ai dati contenuti in un telefono cellulare, ha precisato che è necessaria l'autorizzazione da parte di un giudice e non sono utilizzabili gli screenshots della messaggistica, contenuta dal dispositivo elettronico, eseguiti dalla polizia giudiziaria. La Corte di giustizia ha precisato che l'accesso all'insieme dei dati contenuti in un telefono cellulare può costituire un'ingerenza grave, se non addirittura particolarmente grave, nei diritti fondamentali della persona interessata: tali dati, che possono includere messaggi, foto e la cronologia di navigazione su Internet, possono, se del caso, consentire di trarre conclusioni molto precise riguardo alla vita privata delle persone, essendo taluni di essi particolarmente sensibili. Un simile insieme di dati permette di trarre precise conclusioni sulla vita privata delle persone i cui dati sono stati conservati, come le abitudini di vita quotidiana, i luoghi di soggiorno permanenti o temporanei, gli spostamenti giornalieri o di altro tipo, le attività esercitate, le relazioni sociali di tali persone e gli ambienti sociali da esse frequentati, precisando che per garantire il rispetto del principio di proporzionalità in ciascun caso concreto, il cui esame implica una ponderazione di tutti gli elementi rilevanti del caso di specie, tale accesso deve, inoltre, essere subordinato a una previa autorizzazione da parte di un giudice o di un'autorità indipendente, salvo in casi di urgenza debitamente comprovati. Ma come precisato, l'iter motivazionale seguito dalla pronuncia in commento si sviluppa secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 170/2023, a mente dei quali in tema di mezzi di prova, i messaggi di posta elettronica, i messaggi whatsapp e gli sms custoditi nella memoria di un dispositivo elettronico conservano natura giuridica di corrispondenza anche dopo la ricezione da parte del destinatario, sicché la loro acquisizione deve avvenire secondo le forme previste dall'art. 254 c.p.p. per il sequestro della corrispondenza, salvo che, per il decorso del tempo o altra causa, essi non perdano ogni carattere di attualità, in rapporto all'interesse alla riservatezza, trasformandosi in un mero documento “storico”. In particolare, il giudice delle leggi, ha preliminarmente affrontato il tema della differenza tra il sequestro di corrispondenza e le intercettazioni di comunicazioni di conversazioni e, a tal fine, in assenza di una definizione di queste ultime contenuta nel codice di procedura penale, ha richiamato la sentenza delle Sezioni Unite penali n. 36747/2003, che ha chiarito che le intercettazioni consistono nella “apprensione occulta, in tempo reale, del contenuto di una conversazione o di una comunicazione in corso tra due o più persone da parte di altri soggetti estranei al colloquio”. Da tale premessa consegue che per aversi intercettazione debbono ricorrere due condizioni: --a) la prima delle quali è di ordine temporale, giacché la comunicazione deve essere in corso nel momento della sua captazione da parte dell'estraneo, ossia deve essere colta nel suo momento “dinamico”, con la conseguente estraneità a tale nozione dell'attività di acquisizione del supporto fisico contenente la memoria d una comunicazione già avvenuta e, quindi, oramai quiescente nel suo momento “statico”; --b) la seconda condizione attiene alle modalità di esecuzione, l'apprensione del messaggio comunicativo da parte del terzo deve avvenire in maniera occulta, ossia all'insaputa dei soggetti tra i quali intercorre la comunicazione. Nel caso dell'acquisizione dei messaggi custoditi nella memoria del dispositivo mancano entrambe tali condizioni, con la conseguenza che non può parlarsi di intercettazioni con riguardo alla loro acquisizione. Così escluso che l'acquisizione dei messaggi di che trattasi possa considerarsi un'intercettazione, la Corte costituzionale ha poi rimarcato che essi rientrano senz'altro nell'amplissima nozione di corrispondenza, che abbraccia ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) e che prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato ai fini della trasmissione del pensiero. Con l'ulteriore precisazione che la garanzia di cui all'art. 15 Cost. – che assicura a tutti i consociati la libertà e la segretezza della “della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione”, consentendone la limitazione “soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria” – si estende “a ogni strumento che l'evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini educativi, compresi quelli elettronici e informatici”. Il Giudice delle leggi (par. 4.2 del Considerato in diritto) si è così espresso: “in linea generale, che lo scambio di messaggi elettronici – e-mail, sms, WhatsApp e simili – rappresenti, di per sé, una forma di corrispondenza agli effetti degli artt. 15 e 68, comma 3, Cost. non può essere revocato in dubbio. Posto che quello di “corrispondenza” è concetto ampiamente comprensivo, atto ad abbracciare ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) tra due o più persone determinate, attuata in modo diverso dalla conversazione in presenza, questa Corte ha ripetutamente affermato che la tutela accordata dall'art. 15 Cost. – che assicura a tutti i consociati la libertà e la segretezza “della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione”, consentendone la limitazione “soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge” prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato ai fini della trasmissione del pensiero, “aprendo così il testo costituzionale alla possibile emersione di nuovi mezzi e forme della comunicazione riservata” (sentenza n. 2 del 2023). La garanzia si estende, quindi, ad ogni strumento che l'evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini comunicativi, compresi quelli elettronici e informatici, ignoti al momento del varo della Carta costituzionale (sentenza n. 20 del 2017; già in precedenza, con riguardo agli apparecchi ricetrasmittenti di debole potenza, sentenza n. 1030 del 1988; sulla libertà del titolare del diritto di scegliere liberamente il mezzo con cui corrispondere, sentenza n. 81 del 1993)”. Da qui la certa riconducibilità alla nozione di corrispondenza della posta elettronica, dei messaggi WhatsApp e più in generale della messaggistica istantanea, che – quindi – rientrano nella sfera di protezione dell'art. 15 Cost., “apparendo del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi”. La Corte ha sottolineato ulteriormente che “soccorre, peraltro, nella direzione considerata anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, la quale non ha avuto incertezze nel ricondurre sotto il cono di protezione dell'art. 8 CEDU – ove pure si fa riferimento alla “corrispondenza” tout court – i messaggi di posta elettronica (Corte EDU, grande camera, sentenza 5 settembre 2017, Barbulescu contro Romania, paragrafo 72; Corte EDU, sezione quarta, sentenza 3 aprile 2007, Copland contro Regno Unito, paragrafo 41), gli SMS (Corte EDU, sezione quinta, sentenza 17 dicembre 2020, Saber contro Norvegia, paragrafo 48) e la messaggistica istantanea inviata e ricevuta tramite Internet (Corte EDU, Grande Camera, sentenza Barbulescu, paragrafo 74)”. Così escluso che l'acquisizione dei messaggi possa rientrare nella nozione di intercettazione e una volta riconosciuto in via generale che essi rientrano nella nozione di corrispondenza, la Corte costituzionale evidenzia che l'interrogativo principale da risolvere è quello di stabilire se i messaggi di posta elettronica, i messaggi WhatsApp e la messaggistica istantanea in generale mantengano la natura di corrispondenza anche quando siano stati ricevuti e letti dal destinatario e ormai conservati e giacenti nella memoria dei dispositivi elettronici dello stesso destinatario o del mittente. A tale proposito la Corte costituzionale ha evidenziato che su tale tema si fronteggiano due opposte soluzioni. Secondo la prima, la corrispondenza già ricevuta e letta dal destinatario non è più un mezzo di comunicazione, perde la natura di corrispondenza e diventa un semplice documento. Tale concezione assume che la nozione di corrispondenza coincide con l'atto di “corrispondere”, che si esaurisce nel momento in cui il destinatario prende cognizione della comunicazione. Concezione, questa, che trova eco in un orientamento consolidato della Corte di cassazione, che ha definito i confini applicativi della fattispecie del sequestro di corrispondenza delineata dall'art. 254 c.p.p.: ciò, sia con riguardo alla corrispondenza epistolare (Cass. pen., n. 24919/2014; Cass. pen., sez. un., n. 28997/2012), sia in relazione ai messaggi elettronici. Con tale orientamento, invero, la Corte di cassazione ha affermato che i messaggi di posta elettronica, SMS e WhatsApp, già ricevuti e memorizzati nel computer o nel telefono cellulare del mittente o del destinatario, hanno natura di “documenti” ai sensi dell'art. 234 c.p.p. La loro acquisizione processuale, pertanto, non soggiace né alla disciplina delle intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 266-bis c.p.p.), né a quella del sequestro di corrispondenza di cui al citato art. 254 c.p.p., la quale implica una attività di spedizione in corso (in quest'ultimo senso, con riguardo alle singole categorie di messaggi che di volta in volta venivano in rilievo, Cass. pen. n. 39529/2022; Cass. pen. n. 22417/2022). Secondo altro formante, al contrario, la natura di corrispondenza non si esaurisce con la mera ricezione del messaggio e la presa di cognizione del suo contenuto da parte del destinatario, ma permane finché la comunicazione conservi carattere di attualità e di interesse per i corrispondenti, venendo meno solo quando il decorso del tempo o altra causa abbia trasformato il messaggio in documento “storico”, cui può attribuirsi un valore retrospettivo, affettivo, collezionistico, artistico, scientifico o probatorio. La Corte costituzionale ha fatto propria la seconda soluzione, in quanto la degradazione della comunicazione a mero documento quando non più in itinere restringerebbe l'ambito della tutela costituzionale apprestata dall'articolo 15 Cost. alle sole ipotesi – sempre più rare – di corrispondenza cartacea; tutela che sarebbe del tutto assente in relazione alle comunicazioni operate tramite posta elettronica e altri servizi di messaggistica istantanea, in cui all'invio segue la ricezione con caratteri di sostanziale immediatezza. In tal senso osserva ulteriormente: che la Corte europea dei diritti dell'uomo non ha avuto, d'altro canto, esitazioni nel ricondurre nell'alveo della “corrispondenza” tutelata dall'art. 8 CEDU anche i messaggi informatico-telematici nella loro dimensione “statica”, ossia già avvenuti (con riguardo alla posta elettronica, Corte EDU, sentenza Copland, paragrafo 44; con riguardo alla messaggistica istantanea, Corte EDU, sentenza Barbulescu, paragrafo 74; con riguardo a dati memorizzati in floppy disk, Corte EDU, sezione quinta, sentenza 22 maggio 2008, Iliya Stefanov contro Bulgaria, paragrafo 42). Osservazioni Il rapido sviluppo tecnologico e l'aumento dell'uso degli smartphone come strumenti primari di comunicazione e archiviazione di informazioni personali, espressione della propria identità digitale, portano con sé delicati problemi relativi al bilanciamento tra la protezione dei diritti fondamentali e le esigenze di prevenzione e repressione dei reati da parte delle autorità di polizia. La pronuncia in commento segna il definitivo tramonto della tesi secondo cui i messaggi WhatsApp (i messaggi di posta elettronica e la messagistica istantanea) devono considerarsi alla stregua di documenti. Del resto, le Sezioni Unite nelle due pronunce che si sono occupate dell'utilizzo della messaggistica “Sky ECC” (sez. un., nn. 23755 e 23756 del 2024) hanno precisato che le chat costituiscono non mera documentazione acquisibile ex art. 234 c.p.p., ma “corrispondenza informatica” che quindi deve essere acquisita attraverso un provvedimento di sequestro ex art. 254 c.p.p. La soluzione oggi affermata è in linea con quanto affermato dalla Corte di cassazione quando si è trattato di individuare la sfera applicativa del delitto di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza delineato dall'art. 616 c.p. Si è ritenuto che tale disposizione incriminatrice tuteli proprio e soltanto il momento “statico” della comunicazione, cioè il pensiero già fissato su supporto fisico, essendo il profilo “dinamico” oggetto di protezione nei successivi artt. 617 e 617-quater c.p., che salvaguardano le comunicazioni in fase di trasmissione da interferenze esterne, presa di cognizione, impedimento, interruzione, intercettazione (Cass. pen. n. 30735/2020; Cass. pen. n. 12603/2017). In quest'ottica, la giurisprudenza di legittimità ha quindi ripetutamente affermato che integra il delitto di violazione di corrispondenza la condotta di chi prende abusivamente cognizione del contenuto della corrispondenza telematica ad altri diretta e conservata nell'archivio di posta elettronica (Cass. pen. n. 18284/2019; Cass. pen., n. 12603/2017). Posta elettronica e messaggi inviati tramite l'applicazione WhatsApp (appartenente ai sistemi di cosiddetta messaggistica istantanea) rientrano, dunque, a pieno titolo nella sfera di protezione dell'art. 15 Cost., apparendo del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi. La riservatezza della comunicazione, che nella tradizionale corrispondenza epistolare è garantita dall'inserimento del plico cartaceo o del biglietto in una busta chiusa, è qui assicurata dal fatto che la posta elettronica viene inviata a una specifica casella di posta, accessibile solo al destinatario tramite procedure che prevedono l'utilizzo di codici personali; mentre il messaggio WhatsApp, spedito tramite tecniche che assicurano la riservatezza, è accessibile solo al soggetto che abbia la disponibilità del dispositivo elettronico di destinazione, normalmente protetto anch'esso da codici di accesso o altri meccanismi di identificazione. Argomentazioni chiare e in base alle quali si deve concludere che, in linea generale, la messaggistica a mezzo chat costituisce “corrispondenza” rientrando dunque nella disciplina costituzionale dell'art. 15 (Cass. pen. n. 31180/2024). Pertanto, per l'utilizzabilità dei messaggi contenuti nei telefoni cellulari è sempre necessaria l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria. In altri termini, è posto l'accento sul rispetto dei diritti fondamentali, sottolineando che l'accesso ai dati personali non può avvenire senza adeguate garanzie e un controllo rigoroso. I dati acquisiti in modo illegittimo non sono utilizzabili neppure nella fase delle indagini e a fini cautelari, in quanto affetti da “inutilizzabilità patologica”. Invero, si è da tempo affermato che rientrano nella categoria delle prove sanzionate dall'inutilizzabilità, non solo le “prove oggettivamente vietate”, ma anche quelle formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati dalla “legge” e, a maggior ragione quelle acquisite in violazione dei diritti tutelati in modo specifico dalla Costituzione. La Corte costituzionale con la sentenza n. 34 del 1973 ha ravvisato l'esistenza di “divieti” probatori ricavabili in modo diretto dal dettato costituzionale, enunciando il principio per cui “attività compiute in dispregio dei fondamentali diritti del cittadino non possono essere assunte di per sé a giustificazione e fondamento di atti processuali a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito”. Il suddetto principio - come già detto - ha consentito l'elaborazione della categoria delle prove cosiddette incostituzionali, cioè di prove ottenute attraverso modalità, metodi e comportamenti realizzati in violazione dei fondamentali diritti del cittadino garantiti dalla Costituzione, da considerarsi perciò inutilizzabili nel processo. (Cass. pen. n. 15836/2023, che ha affermato il principio secondo cui in tema di acquisizione di dati contenuti in tabulati telefonici, non sono utilizzabili nel giudizio abbreviato i dati di geolocalizzazione relativi a utenze telefoniche o telematiche, contenuti nei tabulati acquisiti dalla polizia giudiziaria in assenza del decreto di autorizzazione dell'Autorità giudiziaria, in violazione dell'art. 132, comma 3, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in quanto prove lesive del diritto alla segretezza delle comunicazioni costituzionalmente tutelate e, pertanto, affette da inutilizzabilità patologica, non sanata dalla richiesta di definizione del giudizio con le forme del rito alternativo). Resta in ogni caso che allorquando la loro estrapolazione sia avvenuta a cura di una delle parti processuali e da questa siano stati prodotti in giudizio, si tratterà di supporti il cui contenuto intrinseco è liberamente valutabile dal giudice. |