Accantonamenti obbligatori per i debiti fiscali nel concordato
04 Dicembre 2024
La disciplina contabile dei debiti contestati Il Tribunale di Ferrara (sul medesimo provvedimento cfr. G. Andreani, in dirittodellacrisi.it, 2 luglio 2024) ha affrontato in modo molto chiaro e sulla scorta di precedenti della Cassazione alcuni temi connessi con il trattamento, nell'ambito del concordato preventivo, dei debiti fiscali in contenzioso, la cui disciplina presenta differenze significative rispetto alle regole che presiedono altre poste del passivo analogamente incerte. L'esame della fattispecie deve muovere dal tema di carattere generale circa la modalità di appostazione contabile dei debiti contestati. Facendo riferimento ai principi contabili nazionali OIC 31, che riprendono in larga parte anche le prescrizioni internazionali, nonché al contenuto dell'art. 2424-bis, comma 3, c.c., si possono distinguere fondi per oneri e fondi per rischi. I fondi rischi vanno iscritti in funzione di passività potenziali, cioè a situazioni già esistenti alla data di bilancio, ma con esito pendente in quanto si risolveranno in futuro (Principio contabile OIC 31, par. 10). I fondi per oneri vanno iscritti, invece, in relazione a passività di natura determinata ed esistenza certa, relative ad obbligazioni già assunte alla data di bilancio, ma incerte nell'ammontare o nel momento di realizzazione. Se ne deduce, innanzitutto, che l'iscrizione in apposito fondo deve essere collegato ad un evento individuato e noto al momento della chiusura del bilancio. Vanno, quindi, ricomprese ipotesi in cui il fatto generativo è venuto a conoscenza dell'impresa entro la scadenza del bilancio di esercizio in relazione a circostanze precise; ad esempio, richieste di risarcimento per vendite difettose, ovvero verificazione di fatti che sono, nella prospettiva del presunto creditore, generativi di responsabilità contrattuale o extra contrattuale; non basta, però, il (mero) verificarsi dell'evento, ma occorre, ulteriormente, che sia stata già formulata una specifica richiesta (anche se ancora non compiutamente determinata nell'ammontare). Relativamente, pertanto, ad eventi che siano suscettibili di divenire fonte di obbligazione di pagamento, occorre che il potenziale debito sia stato oggetto di una qualche istanza anche se non necessariamente sfociata in un'iniziativa giudiziaria, ma che, comunque, contenga, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l'esplicitazione di una pretesa e l'intimazione o la richiesta di adempimento, che - sebbene non richieda l'uso di formule solenni né l'osservanza di particolari adempimenti - sia idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto (Cass. 14 giugno 2018, n.15714, in tema dei requisiti della messa in mora). In linea di massima, pertanto, occorre – quanto meno – il verificarsi di circostanze che consentano di apprezzare, con una relativa attendibilità, la sussistenza, anche soltanto potenziale, del credito in ragione della richiesta formulata da taluno. Ovviamente occorre che la pretesa non sia riconosciuta fondata. Vi devono essere, perciò, ragioni serie di contestazione, poiché l'assoluta pretestuosità dell'opposizione alla pretesa imporrebbe, invece, l'iscrizione in contabilità secondo le regole ordinarie. La contestazione sul solo quantum (o l'incertezza sul momento di insorgenza dell'obbligo di estinzione) potrebbe essere sufficiente per non procedere direttamente all'iscrizione della posta debitoria, ma in tal caso risulta necessario un fondo oneri perché si tratterebbe di passività certe, ma solo non definibili nell'ammontare o nella data di insorgenza. Merita di essere, peraltro, ricordato che l'iscrizione di un debito in un bilancio (di società di capitali, oggetto di pubblicazione nel registro delle imprese) non necessariamente comporta l'automatico suo pieno riconoscimento nei confronti del creditore, se non quando dal medesimo documento emerga in modo inequivoco, oltre all'entità, anche la causale ed il soggetto creditore, non essendo, invece, sufficiente quando si limiti a riportare l'ammontare complessivo del debito stesso (senza che sia possibile, a detto fine, integrare il bilancio con la contabilità interna: Cass. 7 febbraio 1991, n. 1292). A maggior ragione l'indicazione del debito potenziale tra i fondi rischi non può mai comportare riconoscimento della sussistenza del credito. Il debito, infine, deve avere probabilità di essere esistente; in proposito, secondo il principio contabile OIC 31, gli eventi futuri possono essere classificati come: • probabili: se il loro accadimento è ritenuto verosimile, e quindi realizzabile (si tratta di passività esistenti, ma con esito incerto che si risolveranno in futuro); • possibili: se dipendono da una circostanza che può o meno verificarsi, con un grado di accadimento dell'evento futuro inferiore al probabile (si tratta, dunque, di eventi contraddistinti da una ridotta probabilità di realizzazione); • remoti: se hanno scarsissime possibilità di verificarsi, ovvero se potranno accadere soltanto in situazioni eccezionali. L'iscrizione è, quindi, subordinata all'accertamento della condizione della probabilità; com'è evidente, si tratta del requisito più scivoloso tra quelli previsti dall'art. 2424-bis c.c., perché implica, da parte di chi contesta la pretesa, il riconoscimento che in significativa misura il credito possa effettivamente sorgere. Tale requisito impone, quindi, un tipo di valutazione che deve necessariamente prescindere da una visione unilaterale ed utilitaristica, dovendosi fondare su dati obiettivi, razionali e verificabili (anche dagli organi di controllo interni ed anche da terzi). Gioca un ruolo anche l'obbligo di seguire, ai sensi dell'art. 2423-bis n. 1 c.c., un criterio prudenziale di valutazione delle poste di bilancio (B. Riccio, C. L. Riccio, La problematica dei crediti contestati nel seno della procedura di concordato preventivo, in dirittodellacrisi.it, 23 novembre 2023) per cui occorre iscrivere fondi a copertura di rischi che presentano un grado di verisimiglianza chiaramente apprezzabile. Non viene, quindi, in considerazione la sola prospettazione della presunta debitrice, ma piuttosto l'oggettiva probabilità che venga accertata la sussistenza del credito anche in ragione della convenienza di non proseguire in onerose contestazioni per ragioni del tutto indipendenti dalla fondatezza della pretesa. Queste condizioni si atteggiano, però, in modo diverso in relazione ai crediti di natura fiscale. Bisogna tenere, innanzitutto, in considerazione che l'accertamento dei debiti fiscali avviene attraverso diverse fasi ed attraverso diversi strumenti giuridici. Vi sono atti impositivi che costituiscono mere liquidazioni di imposta (imposta di registro; imposte sul reddito o iva in base alle stesse dichiarazioni dei contribuenti) ovvero accertamenti a seguito di verifiche o controlli operati direttamente dagli Uffici fiscali o dalla Guardia di Finanza. Il grado di probabilità di effettiva insorgenza del debito varia di conseguenza: le liquidazioni di imposta fondate sugli stessi dati denunciati dal contribuente hanno evidentemente un grado di contestabilità assai minore degli accertamenti operati dagli uffici. Ciò implica, altresì, che la valutazione delle condizioni di iscrizione di fondi rischi sopra riportate si atteggi, per i crediti fiscali, in modo diverso rispetto ad altre tipologie di crediti. Anche un verbale della Guardia di Finanza, che non ha di per sé solo alcuna efficacia impositiva, avendo solo una valenza istruttoria per l'assunzione di un eventuale e non automatico accertamento delle Agenzie fiscali, può comportare la necessità di un'appostazione in un adeguato fondo, prima ancora che sia emesso un atto impositivo dal competente ufficio. A maggior ragione, la conclusione di un'ispezione fiscale ed il rilascio del relativo processo verbale di constatazione da parte dell'Amministrazione, ancorché non rappresentino essi stessi atti impositivi, ben possono, però, già costituire la fonte dell'iscrizione in contabilità quanto meno di un adeguato fondo rischi, in ragione dell'elevato grado di probabilità che, a seguito dell'attività istruttoria, gli uffici possano avanzare una specifica richiesta. Attendere l'emissione dell'avviso di accertamento, a meno che si abbiano adeguati ed oggettivamente verificabili motivi per ritenere che non vi siano possibilità di emanazione di atti impositivi, potrebbe, infatti, alterare l'attendibilità del bilancio, quando tra il momento della conoscenza degli esiti dell'ispezione e quello dell'emanazione dell'accertamento vi fosse il termine di chiusura dell'esercizio, comportando l'ingiustificata postergazione dell'evidenziazione contabile del potenziale rischio. L'appostazione di un fondo rischi rappresenta ovviamente una valutazione discrezionale affidata agli amministratori, ma che non può prescindere dalle ragioni esplicitate nell'atto e dal fondamento della contestazione che si intende far valere e dai precedenti sulla questione (consultabili liberamente anche a mezzo del servizio Documentazione Economica e Finanziaria del Dipartimento Giustizia Tributaria del Ministero dell' Economia e delle Finanze ed anche, oramai, attraverso sistemi di valutazione effettuati con l'ausilio dell'AI) e che non può essere basata, come spesso accade, su molto deboli e strumentali argomentazioni reiteratamente disattese dalla giurisprudenza strumentalmente dirette, soltanto, alla posticipazione dell'iscrizione del debito. Ma è anche vero che nel sistema fiscale la non definitività dell'atto impositivo non esclude la sua esecutività (parziale, nella normalità dei casi, ma anche totale in casi particolari) con effetti diversi anche sulla contabilità dell'impresa. Non vi è, però, necessaria corrispondenza tra l'entità del provvisorio pagamento e l'ammontare del fondo rischi da iscrivere in contabilità in ragione dell'inizio del contenzioso; il fondo rischi è collegato, infatti, alla ragionevole previsione sull'ammontare finale effettivo del debito fiscale, mentre l'obbligo di pagamento provvisorio è connesso ad una percentuale predeterminata per legge e che non tiene neppure conto, normalmente, di alcune voci quali le sanzioni). I crediti contestati nel concordato La determinazione del passivo concordatario, anche potenziale, deve essere assolutamente completa e chiara per permettere una consapevole e approfondita valutazione della proposta da parte dei creditori. Ai fini del fabbisogno concordatario si devono pertanto necessariamente tenere in considerazione anche il rischio derivante dai debiti che si presentano solo eventuali. L'esposizione dell'influenza sulla proposta concordataria dei debiti in contestazione segue sostanzialmente i criteri che presiedono l'appostazione del fondo rischi. La proposta deve contenere un'illustrazione completa della natura del debito potenziale, le ragioni della contestazione nonché gli elementi fattuali e giuridici su cui essa si fonda al fine di rendere edotti i creditori degli effettivi rischi di dover fare fronte al pagamento di un debito che si ritiene non sussistente in tutto od in parte (ovviamente tenendo conto della percentuale offerta ai creditori). Come correttamente indicato nel provvedimento del tribunale di Ferrara, «a fronte di debiti contestati, a prescindere da quale sia la loro natura, il debitore che voglia perseguire la via concordataria non può evitare di trattare la questione nel proprio piano: è vero che l'accantonamento, in assenza di norma specifica, non è obbligatorio nel concordato, ma la presenza di crediti contestati ed in relazione ai quali pende un contenzioso, va ovviamente fatta oggetto di trattazione nella proposta, prima di tutto al fine di fornire ai creditori una informazione il più possibile completa della situazione debitoria, sia pure non stabilizzata essendo stato del tutto condivisibilmente affermato dalla Cassazione, che sebbene non sia contemplata espressamente dalla legge la classe di "presunti creditori", non è possibile escluderli dalla procedura, non solo perché pregiudicherebbe senza alcun motivo gli interessi di coloro che non dispongono ancora dell'accertamento definitivo dei loro diritti, ma perché falsa le previsioni del piano di soddisfo dei crediti certi e non consente agli ammessi al voto di esprimere valutazioni prognostiche corrette, in difetto della conoscenza dell'area completa delle passività, comprese quelle sub iudice (Cass. 26/07/2012 n. 13284)». La contestazione dei crediti da parte del debitore che ritenga infondata (in tutto) la pretesa, quindi, deve essere esplicitata e giustificata e può portare a diverse conseguenze. La prima e più radicale è quella della negazione in radice di ogni previsione di pagamento. In tal caso, però, il tribunale potrebbe ritenere non sussistente le condizioni per l'omologazione quando l'inesistenza del credito fosse giudicata inconsistente e soltanto strumentale. Tale questione si collega al tema, assai importante, dell'accertamento dei crediti nel concordato. Contrariamente a quanto accade nella liquidazione giudiziale, nelle procedure di composizione della crisi non è prevista una fase endoprocedimentale giudiziale di accertamento dei crediti, ma ciò non significa che non vi siano forme di indiretto accertamento (S. F. Marzo, I crediti contestati nel concordato preventivo, in Dir. fall., 3-4/2021). Anche se non contemplati nella proposta (ma pur sempre oggetto di specifica considerazione e valutazione), il giudice delegato potrebbe, comunque, ammettere al voto il debitore contestato (quindi attribuendogli il potere di concorrere nella determinazione delle maggioranze per l'approvazione) ed il tribunale, se condividesse la scelta del giudice delegato, potrebbe ritenere non omologabile la proposta se non vi fossero accantonamenti prudenziali idonei a farvi fronte. La proposta potrebbe, però, alternativamente prevedere che i debiti contestati siano collocati o in una delle classi già previste dal debitore, ovvero in una classe loro riservata anche quando l'ipotesi di un loro riconoscimento possa considerarsi del tutto remota (Cass. 7 marzo 2017, n. 5689 e Cass. 4 febbraio 2020, n. 2424). Si tratta di un'affermazione che, però, va doverosamente approfondita; se infatti, l'inserimento dei crediti contestati in un'apposita classe o in una delle classi ordinarie è indifferente ai fini della corretta illustrazione ai creditori della complessiva posizione del debitore, è anche vero che non uguali sono gli effetti; se il credito contestato confluisse in una delle classi già previste dalla proposta, esso, una volta conclusa la fase di determinazione (giudiziale o stragiudiziale) verrebbe trattato negli stessi termini previsti per tutta la classe; invece, la previsione di una classe speciale per crediti contestati (che però, per tutte le altre caratteristiche, fossero omogenei agli altri inseriti in altre classi) potrebbe portare all'ingiustificato deteriore trattamento di tale credito per mera scelta del debitore in violazione delle regole che presiedono la formazione delle classi. Occorre ricordare che in giurisprudenza si è affermato che la suddivisione in classi deve necessariamente conformarsi ai due criteri fissati dal legislatore, oggi, nell'art. 2, lett. r), c.c.i.i., costituiti dall'omogeneità delle posizioni giuridiche (che riguardano la natura del credito, le sue qualità intrinseche, il carattere chirografario o privilegiato, l'eventuale esistenza di contestazioni, ovvero la presenza o meno di garanzie prestate da terzi o di un titolo esecutivo) e degli interessi economici (riferiti alla fonte e alla tipologia socio-economica del credito, ovvero al peculiare tornaconto vantato dal suo titolare) (Cass. 16 aprile 2018, n. 9378). Sebbene l'eventuale sussistenza di contestazioni sia considerata una delle circostanze valutabili ai fini dell'inserimento di un credito in una classe apposita, risulta necessario osservare che l'inserimento in un'unitaria classe genericamente caratterizzata dalla “contestazione” non possa reputarsi conforme ai criteri di legge quando i crediti, inseriti in tale classe, avessero tra loro posizioni giuridiche e interessi economici diversi; un credito privilegiato contestato non potrà mai essere equiparato ad un credito chirografario contestato e trattato in modo analogo, così come il trattamento riservato ai crediti contestati non potrebbe mai essere differente e deteriore rispetto a quelli ad essi omogenei inseriti nelle classi dei creditori non contestati; se così non fosse, la mera contestazione finirebbe per permettere una significativa e del tutto ingiustificata riduzione del passivo e renderebbe del tutto inutile l'inizio o la prosecuzione del contenzioso per il creditore. La funzione dell'inserimento in apposita classe dei crediti contestati può essere solo quella di consentire, in taluni casi, un'illustrazione più chiara delle ragioni della scelta del debitore di opporsi al loro riconoscimento e per la eventuale creazione di un fondo rischi complessivamente adeguato, ma non può permettere un'alterazione ingiustificata del trattamento dei creditori contestati, che, in caso di riconoscimento, deve essere sempre uguale a quella degli analoghi crediti inseriti tra le ordinarie poste debitorie (Cass. 22 dicembre 2006, n. 27489, per la quale «la procedura di concordato preventivo non preclude al creditore l'accertamento dell'esistenza e entità del credito nell'ambito di un autonomo giudizio di cognizione, anteriore alla procedura o instaurato nel corso di essa, e la quantificazione dell'importo originariamente dovuto, contenuto nella sentenza che lo conclude, costituisce la base su cui deve operarsi la c.d. falcidia concordataria»). Il trattamento dei debiti fiscali nel concordato L'art. 90 del d.P.R. n. 602/1973 prevede al secondo comma che, se sulle somme iscritte a ruolo sorgono contestazioni, il credito è comunque inserito in via provvisoria ai fini previsti dagli artt. 176, comma 1, e 181, comma 3, della legge fallimentare. A seguito dell'entrata in vigore del codice della crisi e dell'insolvenza i suddetti richiami vanno riferiti rispettivamente all'art. 108 e 112, comma 6, c.c.i.i., che prevedono, come le disposizioni della legge fallimentare, l'ammissione in via provvisoria del creditore ai fini del voto e l'accantonamento delle somme spettanti ai creditori contestati. La ragione di tale previsione deriva prevalentemente ma non esclusivamente, come correttamente sottolineato dal tribunale, dalla carenza di giurisdizione della magistratura ordinaria in materia tributaria, che non permette al giudice delegato e poi al tribunale di valutare adeguatamente il fumus della fondatezza della pretesa azionata dall'Agenzia delle Entrate Riscossione. Conseguentemente la previsione di inserimento obbligatorio del creditore fiscale contestato tra i soggetti ammessi al voto determina anche l'obbligatorio inserimento del creditore fiscale tra i creditori contestati, per i quali deve essere disposto, sempre obbligatoriamente, il deposito delle somme idonee a far fronte ai pagamenti. In sostanza, il legislatore fiscale esclude ogni potere valutativo dell'Autorità giudiziaria ordinaria sulla contestazione formulata sui crediti fiscali, mettendo a riparo l'Amministrazione fiscale da rischi dipendenti da una valutazione non corretta della contestazione (magari dovuta dall'insufficiente conoscenza della complessa materia fiscale). In relazione ai crediti fiscali, dunque, il debitore in concordato non ha lo stesso margine di manovra prima individuato in relazione ai crediti non fiscali, non potendo in alcun modo fare a meno di prevedere gli opportuni accantonamenti, né correlativamente il tribunale escluderne l'appostazione. Alcune precisazioni, però, si impongono. La disciplina sopradescritta è relativa, peraltro, ai soli crediti fiscali iscritti a ruolo. Ma come in precedenza ricordato la necessità di valutare la sussistenza di un debito fiscale potrebbe essere indipendente dall'iscrizione a ruolo, ancorché in giurisprudenza si sia affermato che la sola apertura del concordato potrebbe legittimare l'iscrizione a ruolo straordinario dell'intero debito non ancora definitivamente accertato. (Cass. 19 luglio 1999, n. 7654; C.T.P. Milano 31 gennaio 2011 n. 18; C.T.P. Milano 9 gennaio 2015, n. 88). Tuttavia, così come i crediti fiscali contestati presentano caratteristiche peculiari rispetto agli ordinari crediti contestati, anche nel concordato preventivo il trattamento dei debiti fiscali, ancorchè ancora non iscritti a ruolo, dovrebbe seguire regole in parte diverse; quindi, già il rilascio di un processo verbale di constatazione da parte della Guardia di Finanza, che pur non costituisce atto impositivo, dovrebbe essere oggetto di specifica trattazione e determinare un apposito accantonamento in vista del più che probabile recepimento delle sue conclusioni in un atto impositivo emesso dalle Agenzie competenti. Ovviamente, ed a maggior ragione, l'emissione di un atto impositivo che non sia stato ancora iscritto a ruolo, ovvero per la parte ancora non iscritta a ruolo (in relazione alle regole che presiedono la riscossione frazionata dei crediti in contenzioso) dovrebbe essere trattata ai fini della quantificazione del fabbisogno in termini non dissimili rispetto a quelli per i quali vige l'obbligo dell'accantonamento. È certamente vero che un siffatto gravoso onere di accantonamento potrebbe rendere in molti casi semplicemente non praticabile alcuna prospettiva concordataria, ma lo speciale trattamento di favore attribuito dalla legge nell'ambito del concordato ai crediti fiscali non deriva solo dal fatto che la decisione sulla contestazione sia affidata ad un giudice diverso da quello ordinario, ma proprio dalla rilevanza pubblica del credito. Vi sono, infatti, contestazioni su crediti fiscali che non sono affatto attribuite al giudice tributario, ma proprio al giudice ordinario, come accade per quelle vertenze in cui il contribuente, al quale fosse stata regolarmente notificata la cartella di pagamento o una intimazione di pagamento, eccepisca l'intervenuta successiva prescrizione del credito fiscale in sede di azione esecutiva (Cass., sez. un., 14 aprile 2020. n. 7822); tuttavia, il solo fatto che il credito fiscale sia stato iscritto a ruolo impone, come già visto, l'accantonamento senza che il giudice possa escluderlo. Ma uguale trattamento deve essere riconosciuto anche a quei crediti fiscali che, in base alle ordinarie regole contabili, sono soggetti all'obbligo di accantonamento di un adeguato fondo rischi per presentare le condizioni previste dal codice civile. Deve essere chiaro, infatti, che la regola dettata dall'art. 90 del d.P.R. n. 602/1973 non sostituisce l'applicazione delle regole ordinarie ma semplicemente ad esse si affianca; dunque, indipendentemente dalle condizioni previste dalla legislazione fiscale, il credito erariale (persino quando non sia stato ancora consacrato in un atto impositivo che però risulta altamente probabile e prossimo) deve essere trattato alla stregua di tutti gli crediti contestati e quindi soggetto a doverosi accantonamenti. I crediti contestati oggetto di transazione fiscale Come correttamente specificato nel provvedimento del tribunale di Ferrara, anche i crediti fiscali in contestazione possono essere oggetto di transazione fiscale; ciò deriva dalla circostanza che l'attuale normativa non obbliga più il debitore ad accettare la quantificazione del credito effettuato dall'ufficio, trovando pertanto applicazione la regola generale sul trattamento dei debiti contestati. Ne consegue che il debitore dovrà procedere all'appostazione di un adeguato fondo a copertura del rischio derivante dal debito in contenzioso, commisurato alla percentuale offerta (nei limiti previsti dall'art. 88 c.c.i.i.) sul credito come accertato definitivamente. I costi del contenzioso La pur legittima (e talvolta perfino doverosa) scelta di contestare i crediti determina però dei costi ulteriori per la prevedibile insorgenza di un contenzioso. Tali costi ai sensi dell’art. 8 lett. d) c.c.i.i. sono prededucibili essendo sorti in funzione della gestione del patrimonio del debitore e quindi devono essere opportunamente considerati ai fini di una corretta valutazione degli accantonamenti. Il provvedimento fa infine cenno alla possibilità che gli accantonamenti possano essere eseguiti, non solo, con fondi della procedura, ma anche attraverso polizze assicurative o simili. A ben guardare, però, si tratta di un falso rimedio; ancorché possa considerarsi legittima la possibilità di mettere a disposizione dei creditori contestati una qualche garanzia di terzi (come può accadere per ottenere più rapidamente, in taluni casi, il rimborso dell’iva) in luogo di accantonamenti di fondi della procedura, in ultima istanza il debito non può che ricadere sulla procedura che, quindi, non potrebbe certo distribuire quelle somme che potenzialmente potrebbero essere destinate a rimborsare l’eventuale garante (che avrebbe anche diritto alla prededuzione) nonché al compenso per la prestazione di garanzia. Sarebbe oltremodo rischioso e fonte di responsabilità per gli organi della procedura, pertanto, autorizzare i pagamenti previsti nel piano senza comunque tener conto della possibile sussistenza del credito contestato (a meno che sia esclusa ogni rivalsa del garante). |