Non costituiscono domande nuove le specificazioni in appello delle singole componenti del danno
11 Dicembre 2024
Inquadramento: la domanda giudiziale Per consolidata giurisprudenza di legittimità, il carattere strutturalmente unitario del diritto al risarcimento del danno si riflette, sul piano processuale, nel principio dell'ordinaria infrazionabilità del procedimento di liquidazione, scaturente dal rispetto dei canoni della concentrazione e della correttezza in giudizio; ne discende che, quando un soggetto agisce giudizialmente per chiedere il ristoro dei danni cagionatigli da una determinata condotta del convenuto, senza ulteriori specificazioni, la domanda si deve riferire a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta (v. Cass. civ., sez. III, 6 agosto 1997, n. 7275, in Giust. civ. Mass. 1997, 1349; id., Cass. civ., sez. III, 18 maggio 2000, n. 6480; Cass. civ., sez. III, 23 novembre 2000, n. 15138; Cass. civ., sez. III, 19dicembre 2000, n. 15950; Cass. civ. sez. III, 2 febbraio 2001, n. 1512; Cass. civ., sez. III, 7dicembre 2004, n. 22987; Cass. civ., sez. II, 30 ottobre 2006, n. 23342; Cass. civ., sez. III, 22 agosto 2007, n. 17873; Cass. civ., sez. lav., 29 gennaio 2008, n. 1985; Cass. civ., sez. II, 21 settembre 2011, n. 19224; Cass. civ., sez. III, 13 ottobre 2016, n. 20643; Cass. civ., sez. II, ord., 28 agosto 2024, n. 23233). La Corte di Cassazione ha avuto modo di ulteriormente chiarire che, «laddove nell'atto introduttivo siano indicate specifiche voci di danno, a tale specificazione deve darsi valore meramente esemplificativo dei vari profili di pregiudizio dei quali si intenda ottenere il ristoro»; questo principio non può trovare applicazione quando «si possa ragionevolmente ricavarne la volontà attorea di escludere dal petitum le voci non menzionate» (Cass. civ., sez. III, 31 agosto 2011, n. 17879, in Giust. civ. Mass. 2011, 9, 1260; in senso conforme, Cass. civ., sez. III, 23 ottobre 2014, n. 22514; Cass. civ., sez. VI, ord., 7 giugno 2019, n. 15523; Cass. civ., sez. III, ord., 4 novembre 2020, n. 24480). Difatti, il processo è altresì retto dal principio della domanda di cui agli artt. 99 c.p.c. e 2907 c.c., espressione del potere dispositivo delle parti, completamento del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in base alla regula juris di cui all'art. 112 c.p.c., ai sensi del quale il giudice «deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa» (cfr., Cons. Stato, sez. IV, 4 settembre 2023, n. 8153, in Redazione Giuffrè amm. 2023; inoltre, Cons. Stato, sez. V, 11 aprile 2016, n. 1419). E così, il Massimo Collegio ha recentemente stabilito che «a fronte di una domanda di risarcimento pure generica, che utilizzi formule: "danni tutti, patrimoniali e non patrimoniali, patiti e patiendi"; danno "subito e subendo", come nel caso di specie, ed in assenza di ulteriori allegazioni, deve riconoscersi anche la voce di danno non patrimoniale. Resta fermo che la domanda introduttiva di un giudizio di risarcimento del danno, poiché ha ad oggetto un diritto c.d. eterodeterminato, esige che l'attore indichi espressamente i fatti materiali che assume essere stati lesivi del proprio diritto, a pena di nullità per violazione dell'art. 163, n. 4, c.p.c.» (Cass. civ., II, 28 agosto 2024, n. 23233 cit., in Giust. civ. Mass. 2024; Dir. e giust. 2024, 29 agosto, nota di M. Genovese. Nel caso di specie, la Cassazione ha escluso, ad opera della decisione impugnata, la violazione dell'art. 163, comma 3, c.p.c., per aver riconosciuto all'attore la possibilità di specificare le voci di danno solo nella comparsa conclusionale). Costituisce altrettanto ius receptum che il giudice di merito, nell'esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, ma deve, piuttosto, tener conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate in corso di causa, nonché del provvedimento in concreto richiesto; in sostanza, nell'interpretare la domanda (ciò che vale anche quando si tratta di stabilire se ritenerla proposta o meno), il giudice di merito non deve fermarsi alla formulazione adottata dalla parte nelle conclusioni, ma deve considerare il contenuto sostanziale dell'atto, compreso ciò che lo supporta (trattasi di principio risalente, cfr. Cass. civ., sez. II, 10 maggio 1980, n. 3082; Cass. civ., sez. III, 29 febbraio 1988, n. 2119; Cass. civ., sez. II, 23 marzo 1995, n. 3370; Cass. civ., sez. III, 4 aprile 1997, n. 2922; Cass. civ., sez. un., 21 febbraio 2000, n. 27; tra la giurisprudenza di merito, Trib. Cuneo, sez. I, 27 gennaio 2021, n. 73; Trib. Torino, sez. VIII, 9 febbraio 2024, n. 934). Il divieto di domande nuove in appello Nel giudizio di appello non è consentito proporre domande nuove (art. 345, comma 1, c.p.c.). Questo divieto normativo è destinato a soddisfare esigenze di ordine pubblico, mirando ad assicurare il rispetto (e la garanzia) del doppio grado di giurisdizione, ragion per cui le domande nuove, se proposte, devono essere dichiarate inammissibili anche ex officio, senza che possa spiegare alcuna influenza l'accettazione del contraddittorio della parte avversaria (sul tema, tra le altre, Cass. civ., sez. III, 10 aprile 1986, n. 2515; Cass. civ., sez. I, 9 giugno 2000, n. 7878; Cass. civ., sez. III, 2 agosto 2000, n. 10129; Cass. civ., sez. II, 26 maggio 2004, n. 10146; Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2005, n. 15213 [link sentenza]; Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2007, n. 383; Cass. civ., sez. I, 26 febbraio 2016, n. 3806; Cass. civ., sez. II, 31 maggio 2017, n. 13769). L'inosservanza del divieto di introdurre domande nuove in appello e, in modo corrispettivo, dell'obbligo del giudice di secondo grado di non esaminare nel merito tali domande, è rilevabile anche d'ufficio in sede di legittimità (così, Cass. civ., sez. I, 21 dicembre 2005, n. 28302; Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2016, n. 4318; Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2021, n. 27287). Secondo costante orientamento giurisprudenziale, si ha domanda «nuova» per modificazione della «causa petendi» quando gli elementi e le circostanze dedotti dinanzi al giudice di appello (non prospettati nel giudizio di primo grado), comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine che alteri l'oggetto sostanziale dell'azione e i termini della controversia (cfr. Cass. civ., sez. III, 25 giugno 2003, n. 10128; Cass. civ., sez. lav., 25 agosto 2003, n. 12460; Cass. civ., sez. lav., 20 ottobre 2005, n. 20265; più recentemente, Cass. civ., sez. trib., 23 luglio 2020, n. 15730; App. Milano, sez. III, 19 maggio 2022, n. 1689). Come affermato dalla Corte di Cassazione, la novità della domanda formulata in giudizio è una questione sottratta alla disponibilità delle parti in virtù del principio secondo cui il thema decidendum è modificabile esclusivamente nei limiti e nei termini a tal fine previsti. Pertanto, se in primo grado tali condizioni non sono state rispettate, l'inammissibilità della domanda può essere fatta valere anche in sede di gravame, non essendo la relativa eccezione annoverabile tra quelle in senso stretto, delle quali l'art. 345 c.p.c. esclude la proponibilità in appello (così, Cass. civ., sez. III, ord., 8 maggio 2024, n. 12633, in Giust. civ. Mass. 2024. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva considerato nuova e, come tale, inammissibile, la domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, ontologicamente diversa da quella originariamente proposta di risarcimento del pregiudizio derivante dal mancato raggiungimento del risultato sperato; in senso conforme, Cass. civ., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24040). Il divieto sancito dall'art. 345 c.p.c. per il giudizio d'appello riguarda, oltre alle domande e alle eccezioni in senso stretto, anche le allegazioni in punto di fatto non esplicate in primo grado: una loro ammissione in sede di gravame trasformerebbe il giudizio d'appello da mera revisio prioris instantiae in iudicium novum, modello estraneo al vigente ordinamento processuale (in questi termini, Cass. civ., sez. III, ord., 22 marzo 2022, n. 9211, in Guida dir. 2022, 23; App. Lecce, sez. I, 2 agosto 2023, n. 669; Trib. Potenza, sez. I, 10 ottobre 2023, n. 1269). È stato, altresì, puntualizzato dalla giurisprudenza di legittimità, che «la domanda nuova o diversa proposta in sede di appello è legittima purché non si aggiunga a quella originaria, ma la sostituisca e si ponga, rispetto a quest'ultima, in un rapporto di alternatività. Il fondamento di tale principio sta nel massimizzare l'intervento giurisdizionale e risolvere in maniera tendenzialmente definitiva le questioni che hanno portato le parti dinanzi al giudice, evitando che le stesse ripropongano una nuova causa avente ad oggetto la medesima vicenda sostanziale» (Cass. civ., sez. II, ord., 23 ottobre 2023, n. 29324, , nota di GARZANITI A., L’atto di appello, l’ammissibilità delle domande nuove e la massimizzazione dell’intervento giurisdizionale, in IUS Processo Civile, 14 Dicembre 2023). Specificabilità, in appello, delle singole componenti del danno (Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 2024, n. 2340) La liquidazione del danno deve essere tale da ristorare integralmente il pregiudizio subito. Dall'unitarietà del diritto al risarcimento e dal suo riflesso processuale dell'ordinaria infrazionabilità del giudizio di liquidazione, di cui si è trattato nell'iniziale paragrafo, discende, quale ulteriore corollario, che non possono essere qualificate come domande nuove le specificazioni delle singole componenti del danno subito formulate, in sede di appello, dai congiunti della vittima, allorché la domanda originaria sia comprensiva di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, iure proprio e iure successionis (cfr. Cass. civ., sez. III, 28 novembre 2007, n. 24745). Questo principio è stato riaffermato dalla Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 2024, n. 2340, in Giust. civ. Mass. 2024), pronunciandosi in tema di danni da emotrasfusione. Nella fattispecie, i ricorrenti chiedevano il ristoro dei danni subiti, iure proprio e iure hereditatis, in seguito alla morte della loro congiunta per una patologia epatica insorta in seguito alla trasfusione di sangue infetto. Riconosciuto in appello l'an della responsabilità, erano esclusi dal quantum risarcitorio, per violazione del divieto di «nova» ex art. 345 c.p.c., il danno da perdita del rapporto parentale e il danno terminale e/o catastrofale. Per quanto qui rileva, con il primo motivo i ricorrenti censuravano la sentenza impugnata per non aver tenuto conto dell'effettiva entità dei danni subìti, nella loro integralità e totalità, sia dalla de cuius sia dal suo nucleo familiare, negando e/o limitando il risarcimento, e inoltre omettendo di considerare il contenuto dell'atto di citazione di primo grado e delle memorie ex art. 183 c.p.c. La Corte di legittimità - dando ulteriore seguito al principio sopra richiamato - ha ritenuto fondato detto motivo, «sebbene nella sola parte in cui lamenta la mancata liquidazione del danno parentale, esclusa, invece, dal giudice di appello sul presupposto della sua “novità”», non anche nella restante parte, ove era lamentata «la mancata liquidazione del "danno terminale e/o catastrofale"», atteso che la Corte territoriale, pur non avendo liquidato tale danno in via autonoma, aveva «tenuto conto, comunque, di tale pregiudizio, offrendovi ristoro, all'uopo operando un aumento del 20% del danno biologico patito dalla [omissis], liquidato iure hereditatis» in favore dei suoi congiunti. In conclusione Il principio dell’unità del diritto al risarcimento del danno, dal punto di vista sostanziale, ha come riflesso, sul piano processuale, il principio della c.d. infrazionabilità o inscindibilità del giudizio di liquidazione dei danni derivanti dal medesimo inadempimento o fatto illecito. Allorché un soggetto agisca giudizialmente per il ristoro del danno subito, la domanda si intende riferita a tutte le possibili voci di danno che derivano, eziologicamente, dalla condotta del soggetto danneggiante, fatta salva l’ipotesi che si possa ragionevolmente ricavare una diversa volontà attorea. Ed allora, quando la domanda originaria include tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, iure proprio e iure successionis, è ammissibile, nel corso del giudizio d’appello, la specificazione delle singole componenti in cui si articola il danno subito, senza che ciò costituisca una domanda nuova. Riferimenti
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