Istanza del creditore pignoratizio al giudice delegato per la vendita del bene gravato da pegno ex art. 152 c.c.i.i.

Giuseppina Ivone

Inquadramento

La sezione III del capo III del c.c.i.i. si apre con la previsione del divieto di azioni esecutive individuali sui beni compresi nella liquidazione giudiziale (in analogia con la sezione III, capo III della legge fallimentare) e con l'affermazione del principio secondo cui con l'apertura della liquidazione giudiziale apre il concorso dei creditori sul patrimonio del debitore sottoposto a procedura.

Il concorso dei creditori nella procedura di liquidazione giudiziale si distingue rispetto alla regola generale sancita nell'art. 2741 c.c. per cui i creditori hanno eguale diritto di soddisfarsi su tali beni, fatte salve le cause legittime di prelazione (art. 2741 c.c.), per il «carattere della universalità intesa sia in senso soggettivo (partecipazione allo stesso da parte di tutti i creditori) sia in senso obiettivo (realizzazione dei diritti su tutti i beni del debitore)». Tuttavia, per quanto qui interessa, tutti i creditori possono soddisfarsi sull'intero patrimonio a differenti condizioni: giacché i creditori forniti di cause di prelazione non solo concorrono con tutti gli altri creditori sul patrimonio del debitore, ma hanno per di più diritto di soddisfarsi sui beni che costituiscono oggetto della causa di prelazione con preferenza sugli altri creditori, i quali, rispetto ai primi restano subordinati. Ne discende che la parità di trattamento dei creditori, e cioè il loro «eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore» è derogata quando sussiste una causa legittima di prelazione. La legge enumera tre cause di prelazione, ossia il privilegio, il pegno e l'ipoteca, che hanno in comune il carattere di assicurare al creditore la legittima pretesa di ottenere soddisfazione con priorità in confronto agli altri creditori (che vengono qualificati come chirografari) e a veder rispettata la graduatoria fissata dalla legge tra gli stessi creditori assistiti da prelazione.

L'art. 152 c.c.i.i. prevede un'eccezione al divieto di agire singolarmente sui beni del debitore per i crediti assistiti da pegno o da privilegio speciale ai sensi degli artt. 2756 c.c. (crediti per spese di conservazione e miglioramento di beni mobili con privilegio sugli stessi purché si trovino presso chi ha fatto la prestazione o la spesa) e 2761 del codice civile (crediti del vettore, del mandatario, del depositario e del sequestratario con privilegio rispettivamente sulle cose trasportate e ancora detenute per le spese di imposta anticipate, per le spese di esecuzione del mandato sulle cose del mandante detenute per l'esecuzione, per i crediti derivanti dal deposito o dal sequestro convenzionale con privilegio sulle cose detenute per effetto del deposito o del sequestro). Il creditore ammesso al passivo può infatti essere autorizzato dal giudice delegato a procedere egli stesso alla vendita dei beni su cui insiste il privilegio, se la liquidazione a cura del creditore appare più vantaggiosa. Pertanto, nell'ambito delle procedure concorsuali il soddisfacimento del creditore prelatizio sul bene oggetto della garanzia si realizza al di fuori del concorso con gli altri creditori, con la conseguenza che la capienza del bene oggetto di garanzia esclude l'interesse del creditore garantito a concorrere con gli altri sui beni restanti del debitore, e dunque l'interesse alla procedura in cui tale concorso è disciplinato: liquidazione giudiziale o concordato.

Il c.c.i.i. ha introdotto all'art. 152, comma 2 la possibilità per il creditore garantito di presentare istanza al Giudice delegato per l'assegnazione dei beni sui quali grava la garanzia; il quale provvederà previa valutazione del bene. Nel successivo comma 3 della medesima norma, è stato inoltre previsto che laddove il ricavato dalla vendita del bene ovvero il valore di stima sia superiore all'importo del credito ammesso al passivo con prelazione, il creditore versi l'eccedenza al curatore.

Formula

TRIBUNALE DI ...

PROCEDURA DI LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE DI ... (N. ... / ... )

GIUDICE DELEGATO: DOTT. ...

CURATORE: ...

ISTANZA AL GIUDICE DELEGATO DA PARTE DEL CREDITORE PIGNORATIZIO PER LA VENDITA DEL BENE GRAVATO DA PEGNO EX ART. 152 C.C.I.I.

PER

La ... in persona del legale rappresentante ... rappresentata

PREMESSO CHE

—la Società ... è creditrice nei confronti della procedura di liquidazione giudiziale di un credito per Euro ... oltre interessi derivante da ... [descrivere la fonte della obbligazione] e garantito da pegno su ... [descrivere l'oggetto su cade la garanzia pignoratizia];

— il credito è stato ammesso nello stato passivo della procedura in epigrafe, dichiarativo esecutivo in data ..., per l'importo di Euro ... con prelazione pignoratizia (all. ... ) [1]

— l'art. 152 comma 1 riconosce al creditore pignoratizio la facoltà di realizzare il credito anche in corso di procedura di liquidazione giudiziale procedendo direttamente alla vendita del bene su cui grava la garanzia pignoratizia, previa autorizzazione del giudice delegato e previa ammissione del credito con collocazione pignoratizia;

— poiché nel caso, come risulta, in via documentale (all.), la Società ... è stata ammessa al passivo per un credito di Euro ..., oltre interessi, con la garanzia sopra descritta, con la presente

SI CHIEDE

all'Ill.mo Giudice delegato, previa acquisizione del parere del comitato dei creditori e del Curatore, di autorizzare la società ... a procedere alla vendita diretta del bene secondo le modalità e i tempi che saranno determinati ai sensi dell'art. 152, comma 2, c.c.i.i. dall'Ill.ma SV.

Luogo e data ...

...

1. Condizioni per l'esercizio dell'autotutela esecutiva poste dall'art. 152, commi 1 e 2 sono l'ammissione al passivo del credito con prelazione e l'autorizzazione degli organi di procedura; in questo modo la norma fa salvo il principio del concorso formale dei crediti sancito dall'art. 151 con la conseguenza che se il credito viene realizzato prima dell'ammissione al passivo del creditore con prelazione e senza autorizzazione la vendita deve considerarsi nulla. Ecco perché nella istanza va chiaramente documentata la ammissione del credito con il riconoscimento della garanzia prelatizia.

COMMENTO

Il principio generale stabilito nell'art. 150 c.c.i.i. – come già l'art. 51 l.fall. - non consente ai creditori di esercitare azioni in contrasto con l'esecuzione concorsuale sul patrimonio del debitore sottoposto a liquidazione giudiziale e impedisce, di conseguenza, l'esercizio dell'azione di ritenzione prevista dall'art. 2756 c.c., con la conseguenza che il creditore è obbligato a consegnare al curatore il bene su cui intende esercitare la prelazione, per poi ottenere il soddisfacimento del credito secondo le regole previste per la ripartizione dell'attivo e la graduazione dei crediti concorsuali.

Una volta che il credito è stato ammesso al passivo l'art. 152 c.c.i.i. consente al creditore pignoratizio o privilegiato di farsi autorizzare dal giudice delegato a vendere direttamente il bene sia pure alla condizioni e nei tempi che il giudice delegato, dopo aver sentito il curatore ed il comitato dei creditori, determinerà; o, in alternativa, presentare istanza per la assegnazione Diviene allora importante per il titolare di garanzia pignoratizia o privilegio speciale su determinati beni, acquisire il provvedimento di ammissione del credito con il riconoscimento della garanzia prelatizia prima di presentare istanza di vendita o di assegnazione.

La disposizione prevista nell'art. 53 l.fall. aveva sollevato in giurisprudenza e dottrina due problemi. Un primo problema ha riguardato la facoltà del creditore, una volta effettuata la vendita del bene oggetto della prelazione, di soddisfarsi immediatamente senza attendere il riparto. La giurisprudenza più recente e consolidata aveva affermato che l'art. 53 l.fall. «se pur riconosce ai creditori privilegiati assistiti dal diritto di ritenzione la possibilità di procedere, pendente la procedura, alla vendita del bene, non la configura come esplicazione di autotutela in senso proprio, come avviene al di fuori del fallimento, perché comporta l'accertamento del credito nelle forme dell'insinuazione allo stato passivo e perché assoggetta la vendita del bene gravato dal privilegio all'autorizzazione ed ai criteri direttivi del giudice delegato, a fronte della concorrente legittimazione del curatore. Il ricavato della vendita, quand'anche il bene gravato sia venduto direttamente dal creditore, non viene immediatamente incassato in via auto satisfattiva dal medesimo, ma ripartito attraverso il piano di riparto, nel rispetto delle cause di prelazione» (Cass. n. 27044/2006). Secondo alcuni autori, tale soluzione sembrava trovare conferma nel primo comma dell'art. 110 l.fall. il quale prevedeva che nel progetto di riparto che il curatore è tenuto a presentare ogni quattro mesi «sono collocati anche i crediti per i quali non si applica il divieto di azioni esecutive e cautelari di cui all'art. 51»; con la conseguenza che il creditore pignoratizio o con privilegio speciale doveva attendere il riparto del curatore, al quale quindi andranno consegnate le somme ricavate dalla vendita.

Tale problema sembra oggi risolto dall'art. 152 c.c.i.i. laddove nel prevedere che nella ipotesi in cui il ricavato della vendita, al netto delle spese, sia superiore all'importo del credito ammesso al passivo la differenza sia corrisposta al curatore, lascerebbe intendere la facoltà del creditore di incassare direttamente il ricavato della vendita, sia pure corrispondendo – se dovuta – la differenza.

Un secondo problema ha riguardato il rapporto tra i crediti previsti dalla citata norma e i crediti prededucibili: la tesi dominante è stata nel senso della prevalenza dei primi crediti rispetto ai crediti ammessi in prededuzione, ad eccezione delle spese per l'amministrazione e liquidazione del bene oggetto della prelazione. Così Cass. n. 1238/1996. Minoritaria la tesi opposta a cui avevano aderito alcune risalenti decisioni di merito Trib. Parma 4 maggio 1974, in Dir. fall., 1974, II, 765; Trib. Venezia 15 gennaio 1963, in Giur. it., 1963, I, 2, c. 279. In dottrina I nzitari, Sub art. 53, in Comm. Scialoja-Branca, Legge Fallimentare, Bologna-Roma, 1989, 92.

La norma non si applica alla fattispecie di pegno irregolare di titoli o denaro, a differenza di quanto previsto per il pegno regolare. Infatti, secondo giurisprudenza consolidata della Suprema Corte di Cassazione nell'ipotesi di pegno irregolare - disciplinato dall'art. 1851 c.c. in tema di anticipazione bancaria - le somme di denaro o i titoli depositati presso il creditore, in quanto beni fungibili, diventano di proprietà dello stesso creditore per effetto della sua confusione nel patrimonio delle cose ricevute; pertanto ciò che residua in capo al creditore, dopo la costituzione del pegno irregolare, in relazione ai beni che ne formano oggetto, è non già un credito - come nel caso invece di pegno regolare - da realizzare nelle forme di cui all'art. 53 l.fall., bensì eventualmente un debito “de residuo”. Dal che - sempre secondo la Suprema Corte - «la non ravvisabilità di un interesse del creditore a domandare l'ammissione al passivo (del suo credito già soddisfatto), essendo viceversa legittimato il curatore ad agire nei suoi confronti per il recupero di quanto risulti trasferitogli in eccedenza rispetto all'importo del credito garantito (cfr. Cass. n. 24865/2014; Cass. n. 10000/2004; Cass. n. 5111/2003).

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