Azione revocatoria per la declaratoria di inefficacia di un atto estintivo di un debito pecuniario scaduto ed esigibile, non effettuato con un mezzo di pagamento normale nell'ambito dell'amministrazione straordinariainquadramentoLe azioni per la dichiarazione di inefficacia e la revoca degli atti pregiudizievoli ai creditori possono essere proposte dal commissario straordinario soltanto se è stata autorizzata l'esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali, salvo il caso di conversione della procedura in fallimento. I termini stabiliti per la proposizione delle predette azioni si computano a decorrere dalla dichiarazione dello stato di insolvenza, e ciò anche nei casi in cui alla dichiarazione dello stato di insolvenza segua la dichiarazione di fallimento. FormulaTRIBUNALE DI .... [1] ATTO DI CITAZIONE [2] per la Società .... in liquidazione coatta amministrativa, in persona del Commissario straordinario, Dott. ...., con sede in ...., alla via ...., P.I. ...., rappresentata e difesa dall'Avv. ...., C.F. ...., PEC (indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio Ordine) .... @ ...., fax ...., ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in ...., come da procura in calce al presente atto (oppure a margine del presente atto) PREMESSO CHE con d.m. .... è stata disposta l'amministrazione straordinaria della Società ...., P.I. ...., con sede in ...., alla via ...., n. ...., ed è stato nominato Commissario straordinario il Dott. .... residente in ...., alla via ...., n. ....; il Tribunale di ...., con sentenza n. .... emessa in data ...., ha dichiarato lo stato d'insolvenza della Società ....; dall'analisi delle scritture contabili, è emerso che la Società .... nell'anno anteriore alla sentenza dichiarativa dello stato d'insolvenza, e precisamente in data ...., ha estinto un debito per Euro .... mediante (indicare le modalità anomale del pagamento) nei confronti di ....; .... era a conoscenza dello stato d'insolvenza della Società .... in amministrazione straordinaria, come risulta dalla seguente documentazione ...., che si allega; è evidente la Società .... ha estinto il proprio debito mediante un mezzo di pagamento anormale. Tutto ciò premesso, la Società .... in amministrazione straordinaria, come sopra rappresentata, difesa e domiciliata CITA ...., C.F. ...., residente in ...., alla via ...., n. ...., a comparire innanzi al Tribunale di .... all'udienza del ...., ore di rito, dinanzi al Giudice istruttore che sarà designato ai sensi dell'art. 168-bis c.p.c., con l'invito a costituirsi nel termine di almeno settanta giorni prima della suddetta udienza ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166 c.p.c., con l'avvertimento che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c., che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'art. 86 c.p.c. o da leggi speciali, che esso convenuto, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato e che, in difetto di costituzione, si procederà in sua contumacia per sentir accogliere le seguenti CONCLUSIONI Voglia l'Ill.mo Tribunale di .... dichiarare inefficace nei confronti della liquidazione .... l'atto di .... e, per l'effetto, condannare la convenuta a restituire ...., oltre al pagamento delle spese e dei compensi professionali del presente giudizio. Si offrono in comunicazione e depositano in cancelleria i seguenti documenti come da indice del fascicolo di parte: Ai fini del versamento del contributo unificato, si dichiara che il valore della presente controversia è pari a Euro ..... Luogo e data .... Firma Avv. .... PROCURA ALLE LITI Io sottoscritto Sig. ...., nella qualità di Commissario straordinario della Società .... in amministrazione straordinaria, C.F. ...., P.I. ...., con sede in ...., delego a rappresentare e difendere la predetta Società ai fini della redazione del presente atto l'Avv. ...., eleggendo domicilio nello studio dello stesso in ...., via .... e conferendo al medesimo ogni più ampia facoltà di legge. Firma Sig. .... Per autentica della sottoscrizione .... Firma Avv. .... [1]La competenza spetta al tribunale che ha dichiarato lo stato di insolvenza, trattandosi di azione derivante dall'apertura della procedura concorsuale (cfr. Cass. VI, n. 15982/2018). [2]Sui criteri redazionali dell'atto cfr. d.m. n. 110/2023. commentoL'art. 49 d.lgs. n. 270/1999 detta i profili di proponibilità delle azioni revocatorie nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria, limitando la stessa al caso in cui sia stata autorizzata l'esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali (nonché, ovviamente, a quello di conversione della procedura in fallimento/liquidazione giudiziale). In sostanza, l'azione revocatoria viene esclusa in ipotesi di programma di ristrutturazione che comporta il mantenimento della proprietà in capo all'originario imprenditore ed il pagamento dei creditori (c.d. risanamento soggettivo), mentre è ammessa in relazione ad un programma di cessione dei beni aziendali che determina il trasferimento dell'impresa a terzi soggetti (c.d. risanamento oggettivo). L'inquadramento dell'autorizzazione come presupposto processuale o come condizione di proponibilità della domanda ha rilevanti conseguenze sotto il profilo processuale, poiché nel primo caso l'azione esercitata prima dell'emissione del provvedimento autorizzativo andrebbe dichiarata inammissibile de plano, mentre nel secondo l'avveramento della condizione dovrebbe necessariamente venire delibato al momento dell'emissione della sentenza, consentendo nel frattempo l'istruzione della causa: ciò riveste particolare importanza in relazione agli stretti termini di decadenza previsti dall'art. 69-bis l.fall. (art. 170 c.c.i.i.). Può affermarsi che l'art. 49 rappresenta il recepimento, a livello normativo, dell'originario orientamento della Suprema Corte, secondo il quale l'esperibilità della revocatoria risultava compatibile solo con procedure di tipo liquidatorio, e non conservativo. Nel ribadire tale principio, la S.C. aveva peraltro evidenziato che nell'amministrazione straordinaria regolata dalla l. n. 95/1979, dove tra azione revocatoria e fase conservativa sussiste un'incompatibilità logica e di fatto, prima ancora che giuridica, un'effettiva destinazione liquidatoria della procedura poteva manifestarsi già prima del formale avvio del procedimento di alienazione dei beni, perché un'attività di conservazione dell'azienda, nella sua unitarietà funzionale, ben può risultare destinata alla salvaguardia non solo dell'unità produttiva, bensì anche della tutela delle ragioni dei creditori, i quali hanno interesse all'alienazione di un complesso aziendale efficiente e avviato, piuttosto che alla separata alienazione dei singoli beni aziendali (Cass. I, n. 5301/2006). Da ciò deriva che l'eventualità di una destinazione liquidatoria della procedura deve essere accertata con riferimento al momento della decisione sull'azione revocatoria, trattandosi di una condizione dell'azione, essendo possibile solo a quella data verificare se e in quale misura l'azione esercitata abbia potuto attribuire un vantaggio alla procedura qualificabile in termini di aiuto di Stato (Cass. I, n. 7163/2012). Vanno segnalati, peraltro, i successivi, ripetuti, interventi in materia della Corte costituzionale (Corte cost. nn. 172/2006; 409/2006 e 456/2006), volti a fornire un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 49 d.lgs. n. 270/1999 e dell'omologo art. 6 d.l. n. 347/2003, dalla cui motivazione si evince il principio secondo il quale la tutela revocatoria va ritenuta compatibile con tutte le procedure liquidatorie comunque denominate, ed in particolare con il programma di cessione previsto dall'art. 27, lett. a) e b-bis), d.lgs. n. 270/1999. Legittimato all'esperimento dell'azione è il commissario straordinario (Cass. I, n. 2898/1995), con la sola eccezione della conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento (o liquidazione giudiziale), dove la legittimazione spetta ovviamente al curatore. A differenza di quanto avviene nel fallimento, peraltro, il commissario non necessita dell'autorizzazione dell'organo giurisdizionale, mancando nel decreto in esame qualsivoglia previsione che attribuisca al giudice delegato il potere di autorizzarlo ad agire o resistere in giudizio e quello di nominare avvocati. Legittimato passivo è qualsiasi soggetto in favore del quale sia stato posto in essere un atto dispositivo pregiudizievole per la massa. La legge, nel regolare la competenza funzionale del tribunale che ha dichiarato lo stato d'insolvenza, non ha precisato se essa si estende anche alla successiva fase dell'amministrazione straordinaria, per cui, dovendosi applicare la disciplina della liquidazione coatta amministrativa, che non ha richiamato l'art. 24 l.fall., potrebbe sorgere il dubbio se possa ravvisarsi detta competenza funzionale (in senso contrario Cass. I, n. 1145/1996). Tuttavia, non si possono non ricordare in merito le considerazioni svolte a fondamento della soluzione contraria, ricollegabili, tra l'altro, al richiamo normativo dell'art. 203 l.fall. (art. 299 c.c.i.i.) al secondo comma dell'art. 66 l.fall. (ossia al vigente art. 166, comma 2 c.c.i.i.) ed all'assimilazione del fallimento alla dichiarazione dello stato d'insolvenza. Nell'ipotesi di procedura liquidatoria, i termini stabiliti per esperire le azioni d'inefficacia e revocatorie previste per il fallimento (artt. 64-70 l.fall., oggi confluiti con alcune modifiche negli artt. artt. 163-171 c.c.i.i.) decorrono dalla sentenza dichiarativa dello stato d'insolvenza. Tale regola vale anche quando alla fase dell'insolvenza segua il fallimento, anziché l'amministrazione straordinaria. I “termini” cui l'art. 49 fa riferimento, anzitutto, sono quelli che individuano il c.d. periodo sospetto, vale a dire il lasso di tempo computabile a ritroso entro il quale l'atto dev'essere stato compiuto per venire astrattamente qualificato come “revocabile”, il cui dies a quo in ambito fallimentare coincide con il deposito della sentenza di fallimento (e, dunque, ora con la sentenza che dichiara aperta la procedura di liquidazione giudiziale). La norma equipara, dunque, quest'ultimo momento con quello di deposito della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza nell'amministrazione straordinaria, con ciò introducendo un netto parallelismo tra le due situazioni (Cass. I, n. 9177/2008) e scongiurando quel rischio di interpretazioni divergenti talora verificatosi sotto il vigore della l. n. 95/1979. All'infuori del caso in cui alla dichiarazione di insolvenza segua il fallimento (o liquidazione giudiziale), la norma non prevede espressamente l'ipotesi di successione di procedure concorsuali, quale, ad esempio, quella tra concordato preventivo e successiva amministrazione. L'art. 69-bis, comma 2 l.fall., d'altro canto, ha consacrato in via normativa il principio interpretativo della “consecuzione delle procedure”, affermando espressamente che qualora alla domanda di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, il “periodo sospetto” va calcolato utilizzando quale dies a quo a ritroso quello di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese. Ora, se è vero che l'art. 49 non opera un espresso richiamo all'art. 69-bis, è altrettanto innegabile che tanto la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto la dichiarazione prevista dall'art. 3, hanno un identico presupposto sostanziale costituito dall'accertamento del dissesto dell'imprenditore assoggettato a procedura, di cui infatti lo “stato di crisi” previsto dal d.lgs. n. 270/1999 costituisce una delle possibili forme di manifestazione. Pare quindi ragionevole concludere che il principio sancito dall'art. 69-bis, comma 2 l.fall. si applichi in via analogica anche al caso di una amministrazione straordinaria preceduta da un concordato preventivo. Tale conclusione deve valere sia nel caso di presentazione di una domanda di concordato “completa” ai sensi dell'art. 161, comma 1 l.fall., sia di una domanda di “pre-concordato” ai sensi del successivo comma 6, e va predicata con riferimento ad ogni ipotesi di arresto della procedura concordataria cui faccia seguito, senza soluzione di continuità, l'apertura della procedura concorsuale “maggiore” (artt. 161-162 l.fall.; art. 173 l.fall.; art. 179 l.fall.; art. 180 l.fall.), mentre non sembra attagliarsi specificamente al concordato preventivo risolto per inadempimento ex art. 186 l.fall., né al caso in cui, una volta arrestatasi la procedura di concordato, la dichiarazione di insolvenza venga pronunciata successivamente a seguito di un'istanza ancora non pendente al momento della cessazione della procedura “minore”. A seguito dell'introduzione degli artt. 182-bis e ss. l.fall. (oggi artt. 57 ss. c.c.i.i.), può domandarsi se sia possibile una consecuzione, e quindi una retrodatazione del periodo sospetto, anche nell'ipotesi in cui la procedura di amministrazione straordinaria venga aperta in successione ad un accordo di ristrutturazione dei debiti: un preciso dato testuale in senso contrario alla prospettabilità di una consecutio si rinviene nel già citato art. 69-bis l.fall., il quale menziona espressamente il solo concordato preventivo, ma non anche l'accordo di ristrutturazione, con ciò legittimando una conclusione simile anche in materia di amministrazione straordinaria. L'altra categoria di “termini” menzionata dall'art. 49, poi, ricomprende ovviamente quello entro il quale va esercitata l'azione revocatoria o di inefficacia, oggi qualificato come decadenziale e disciplinato dall'art. 69-bis l.fall. La formulazione apparentemente chiara della norma dovrebbe escludere l'insorgenza, tra gli interpreti, dell'interrogativo a suo tempo postosi in materia di liquidazione coatta amministrativa, circa la decorrenza dei termini per l'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare dalla data del decreto di apertura della procedura amministrativa, da quella di approvazione del programma di cessione, oppure da quella della sentenza dichiarativa dello stato d'insolvenza (ciò nonostante, si vedano Trib. Novara 17 dicembre 2012, n. 869 e Trib. Padova 11 novembre 2014, nonché Cass. I, n. 13838/2019; Cass. I, n. 12551/2019, secondo cui, con riferimento a procedure disciplinate dal d.lgs. n. 270/1999, e quindi dall'art. 49, il termine prescrizionale/decadenziale dell'azione decorre dalla data dell'autorizzazione al commissario all'esecuzione del programma di cessione, in ossequio al principio sancito dall'art. 2935 c.c.). L'art. 69-bis l.fall. (ora, art. 170 c.c.i.i.) ha introdotto i termini decadenziali di tre anni dalla dichiarazione di fallimento e cinque anni dal compimento dell'atto, valevoli per le azioni revocatorie e quelle di inefficacia; conseguentemente, secondo i più, nell'amministrazione straordinaria il dies a quo per l'introduzione della domanda coincide con la dichiarazione dello stato di insolvenza. Tale previsione, unitamente alla riconosciuta natura costitutiva della revocatoria, insuscettibile di fenomeni interruttivi a carattere stragiudiziale, rischia di limitare fortemente il ricorso a tali azioni da parte del commissario, poiché il tempo che normalmente trascorre tra la declaratoria di insolvenza e l'autorizzazione del programma può avere l'effetto di “consumare” gran parte del termine a disposizione degli organi della procedura. La soluzione proposta di far decorrere il termine triennale dall'autorizzazione di un programma che consenta l'esercizio delle azioni (Cass. VI, n. 21516/2017; Cass. I, n. 35272/2023) si pone in apparente contrasto con il dato normativo, mentre ha sollevato dubbi anche quella, di natura più spiccatamente processuale, che vede nell'approvazione del programma di cessione una condizione dell'azione, da accertare al momento della pronuncia giudiziale, anziché un presupposto processuale, con la conseguenza per cui l'azione potrebbe venire proposta anche prima dell'approvazione del programma di cessione, e quindi anche in pendenza di un programma di ristrutturazione (Trib. Roma 7 settembre 2017, n. 16735). Nell'ipotesi di Società con soci illimitatamente responsabili, ove la procedura sia stata estesa successivamente ad altri, la decorrenza della prescrizione dovrebbe decorrere dalla data del provvedimento originario e non da quella dell'estensione (Cass. I, n. 6971/1996; in senso contrario Cass. I, n. 8757/1991). Quanto alla prova della scientia decoctionis valgono gli stessi principi interpretativi che sono stati elaborati per il fallimento e la liquidazione coatta amministrativa (Cass. I, n. 11419/1998); in particolare è opportuno ricordare che, secondo la giurisprudenza, ai fini di tale prova può tenersi conto del collegamento tra le imprese facenti parte di un gruppo (Cass. I, n. 17906/2015; Cass. I, n. 6285/1995; Cass. I, n. 5900/1995). Sul punto, invero, si è evidenziato che in caso di sottoposizione ad amministrazione straordinaria di una Società appartenente ad un gruppo, qualora il commissario straordinario agisca, ai sensi dell'art. 67, comma 2 l.fall., per la revoca dei pagamenti di debiti liquidi ed esigibili effettuati dalla Società in favore di un soggetto estraneo al gruppo, la prova della scientia decoctionis può essere desunta, in via presuntiva, anche dallo stato d'insolvenza in cui versava l'intero gruppo, purché risulti provato che l'accipiens era a conoscenza non solo del predetto stato di decozione, il quale si riflette sulla solvibilità dell'impresa collegata, ma anche dell'appartenenza della Società al gruppo (Cass. I, 8579/2015; Cass. I, n. 10115/2006). Sotto altro profilo, per l'amministrazione straordinaria non possono che operare nuovamente le regole ed i principi interpretativi che sono stati elaborati in materia fallimentare in tema di atti a titolo gratuito (Cass. I, n. 6739/2008), di sproporzione delle prestazioni (Cass. I, n. 5058/2007; Cass. I, n. 2005/2008), di pagamenti eseguiti con mezzi anormali (Cass. I, n. 17683/2009), di atti costitutivi d'ipoteca (Cass. I, n. 2483/2001), di pagamenti ed atti a titolo oneroso (Cass. I, n. 15980/2010; Cass. I, n. 3583/2011), di versamenti in conto corrente bancario (Cass. I, n. 23107/2007; Cass. I, n. 24588/2005), di pagamenti ad imprese in regime di monopolio legale (Cass. I, n. 11350/1998), di restituzione di somme e di beni (Cass. I, n. 14891/2002), di reviviscenza della prelazione (Cass. I, n. 9479/2000). Mediante il d.l. n. 347/2003, c.d. decreto “Marzano”, modificato a più riprese nel corso degli anni, sono state, come noto, dettate regole diverse per consentire un più rapido avvio ed uno svolgimento accelerato delle procedure di insolvenza delle “grandissime” imprese in stato di insolvenza, che richiedano di avvalersi di una procedura di ristrutturazione economica e finanziaria. L'art. 6 d.l. n. 347/2003 ha introdotto una disciplina speciale rispetto a quella dettata dall'art. 49 d.lgs. n. 270/1999 anche per le azioni revocatorie. In particolare, la disposizione, nella formulazione originaria, prevedeva la loro esperibilità anche dopo l'autorizzazione del programma di ristrutturazione purché funzionali al raggiungimento degli obiettivi di tale programma. La previsione, oggetto di critiche sia per la disparità di trattamento tra situazioni identiche sia per i potenziali effetti lesivi della stessa in relazione alla concorrenza tra imprese, è stata modificata già dalla legge di conversione, la quale ha previsto che le azioni revocatorie devono essere funzionali anche al raggiungimento degli obiettivi del programma nell'interesse dei creditori, condizione, quest'ultima, che rimane l'unica ai fini della proposizione dell'azione revocatoria anche nel corso del programma di ristrutturazione dopo l'intervento della l. n. 166/2004, che ha eliminato la funzionalità della revocatoria al conseguimento degli obiettivi di tale programma. I residui dubbi di legittimità costituzionale dell'art. 6 d.l. n. 347/2003 in relazione all'art. 3 Cost. per il trattamento differenziato di situazioni identiche, hanno indotto il Tribunale di Parma a sollevare la relativa questione con una serie di ordinanze (Trib. Parma 18 novembre 2005). La Corte Costituzionale, con pronuncia interpretativa di rigetto, ha ritenuto manifestamente infondata la questione, evidenziando che le azioni revocatorie in forza dell'inciso finale del comma primo dell'art. 6 possono essere proposte a condizione che «si traducano in un vantaggio per i creditori», con la conseguenza per cui le stesse sono ammissibili soltanto quando la procedura si sia evoluta in senso liquidatorio, e cioè o verso la cessione di cui all'art. 27, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 270/1999 o verso il concordato con assunzione ovvero, ancora, verso il fallimento (Corte cost. n. 172/2006). In sostanza, attraverso un'interpretazione riduttiva del dato normativo, la Corte ha proposto una lettura unitaria del sistema revocatorio nell'ambito delle procedure di amministrazione straordinaria, sottolineando che anche la procedura di crisi delle grandissime imprese insolventi può assumere esiti liquidatori, laddove, in senso diverso da quanto richiesto nell'istanza di ammissione alla procedura, venga autorizzato un programma di liquidazione del patrimonio produttivo, attuabile o con la cessione dei beni aziendali o con il concordato con assuntore ovvero verso il fallimento. Pertanto, secondo la Corte, anche per le grandissime imprese insolventi il discrimine tra procedura di ristrutturazione in senso stretto e procedura liquidatoria è costituito dal permanere o meno del complesso dei beni aziendali in capo all'imprenditore insolvente, sicché in tal senso la disposizione neppure contrasta con il divieto comunitario degli aiuti di Stato, non potendosi il debitore giovare dell'esito delle stesse a fronte della cessione o del trasferimento delle attività di impresa a soggetti terzi. |