Bancarotta fraudolenta patrimoniale e “indici di fraudolenza"

Ciro Santoriello
23 Dicembre 2024

Una pronuncia della Corte di legittimità offre lo spunto per inquadrare la tematica degli “indici di fraudolenza”, ovvero quelle particolari condizioni e circostanze nelle quali la condotta dell’amministratore deve svolgersi al fine di poterla considerare come penalmente rilevante e meritare la qualifica di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Massime

Qualunque operazione societaria può assumere valenza distrattiva o dissipativa, e ciò tanto nel caso in cui non si configurino correlativi incrementi patrimoniali o economici in favore della disponente, quanto in quello in cui l'operazione stessa avvenga al preciso scopo di trasferire la disponibilità dei beni societari ad altro soggetto giuridico in previsione del fallimento, dovendo tuttavia sempre il giudice ricercare gli "indici di fraudolenza", la cui presenza è necessaria per dare corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa.

Ai fini della configurabilità del reato di bancarotta preferenziale, è necessaria la violazione della "par condicio creditorum", che consiste nell'alterazione dell'ordine, stabilito dalla legge, di soddisfazione dei creditori, sicché deve essere provata l'esistenza di altri crediti insoddisfatti per effetto del pagamento eseguito al creditore in via preferenziale.

Il caso

In sede di appello l’amministratore di una società fallita era dichiarato responsabile per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta preferenziale.

La società fallita era stata costituita in funzione di un'operazione specifica, ossia l’acquisizione  di assets aziendali di una grande impresa in amministrazione straordinaria con cui stipulava un contratto preliminare cui poi non seguiva la sottoscrizione del contratto definitivo, avendo perso la società acquirente il supporto dei finanziatori sui quali credeva di poter fare affidamento; veniva perciò individuato un nuovo finanziatore, con cui si stipulava un accordo in cui era previsto che la società proseguisse nell’esercizio dell’attività commerciale, accreditando i relativi corrispettivi su un proprio conto corrente gravato però da pegno in favore della società finanziatrice e con previsione di girare, al termine di ogni giornata, il totale dell'incasso su un conto corrente intestato a quest’ultima. Per effetto di tale accordo, la società fallita si indebitava, in due mesi, per circa 8 milioni di euro, senza incassare quasi nulla, perdendo la fiducia del sistema bancario con conseguente, di lì a poco, dichiarazione di fallimento.

In sede di ricorso per cassazione, la difesa - in via di sintesi e per quanto di interesse in questa sede - lamentava in primo luogo che i giudici di merito avevano concluso per la rilevanza penale delle condotte tenute dall’amministratore sindacando, in modo non corretto, scelte imprenditoriali che avevano sì determinato un danno per la società fallita ma non erano connotate da intento delittuoso, perché non dirette a sottrarre disponibilità economiche all’impresa.

Quanto alla contestazione di bancarotta preferenziale, veniva rimarcato che molti altri creditori che vantavano crediti anche inferiori rispetto a quelli vantati dalle società asseritamente preferite fossero stati soddisfatti, e comunque non era stato dimostrato il dolo specifico di preferire le predette società rispetto alla massa creditoria, con l'accettazione dell'eventualità del danno per gli altri creditori.

La questione

La necessità di individuare – nell'ambito delle molteplici scelte negoziali che può porre in essere l'imprenditore – i comportamenti che possono meritare la qualifica di bancarotta fraudolenta patrimoniale ai sensi dell'art. 322, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 14 del 2019, ha condotto la giurisprudenza ad elaborare la teorica dei cd. indici di fraudolenza ovvero particolari caratteri e connotazioni che – salvo che si riscontrino atteggiamenti delinquenziali, come ad esempio la distruzione dei beni aziendali o la conclusione di negozi simulatati intesi ad occultare beni della società - le scelte dell'amministratore devono presentare per meritare la qualifica di condotte penalmente rilevanti.

In proposito, la giurisprudenza ha evidenziato come per la contestazione del delitto di bancarotta patrimoniale non è sufficiente – ed addirittura in alcuni casi nemmeno rilevante – la circostanza che si assista, in conseguenza di scelte imprenditoriali, ad una diminuzione delle disponibilità aziendali, potendo tale circostanza dipendere dall'esito infausto di iniziative dell'imprenditore che però non hanno alcun carattere di illiceità. Infatti, anche se «l'imprenditore non è il dominus assoluto ed incontrollato [dei] beni aziendali, i quali, viceversa, pur essendo strumentali al legittimo obiettivo del raggiungimento del profitto dell'imprenditore medesimo, sono finalisticamente vincolati, per così dire, “in negativo”, nel senso che degli stessi non può farsi un utilizzo che leda o metta in pericolo gli interessi costituzionalmente tutelati» (Cass., sez. V, 22 marzo 2017, sentenza n. 13910), ciò non significa che lo stesso deve rispondere in sede penale ogni qualvolta le sue scelte abbiano avuto conseguenze negative per l'impresa, dovendosi piuttosto considerare – alla luce della natura del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale come reato di pericolo concreto – se la condotta dell'amministratore della società fallita abbia o meno posto effettivamente a rischio, al momento della sua adozione, gli interessi dei creditori (Cass., sez. V, 2 settembre 2019, n. 14366; Cass., sez. V, 2 gennaio 2019, n. 70).

Si deve ritenere che rilevano penalmente, quindi, non le scelte semplicemente irragionevoli o inopportune sotto il profilo tecnico (opportunità la cui valutazione non è appannaggio del giudice  penale),  ma  quelle  integralmente  e  manifestamente configgenti  ed incoerenti con la tutela del ceto creditorio e con la logica di impresa, tenuto conto del concreto contesto di riferimento sottoposto al giudicante, anche in relazione alle condizioni economico-finanziarie dell'impresa, e, quindi, la conseguente capacità predittiva circa l'incidenza delle sue scelte sulla tenuta del patrimonio aziendale in funzione di garanzia (Zanchetti, Incostituzionali le fattispecie di bancarotta? Vecchi quesiti e nuove risposte (o magari viceversa), alla luce della giurisprudenza di legittimità sul ruolo del fallimento della bancarotta fraudolenta prefallimentare, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2014, 111; Perdono', I reati fallimentari, in Manna (a cura di), Corso di diritto penale dell'impresa, Padova 2010, 3619. Per un esame di tale profilo con riferimento all'elemento soggettivo del reato in esame, Poggi D'angelo, Il dolo di pericolo nella bancarotta fraudolenta, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2019, 2130; Riverditi, La responsabilità penale degli organi societari”, in Riv. Diritto Economia Impresa, 1-2019, 83).

In questa elaborazione si inserisce la menzionata tematica degli indici di fraudolenza, indicandosi con tale espressione la presenza nella concreta vicenda presa in esame di condizioni e circostanze – si pensi ad esempio, come si legge nella decisione, alla condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, al contesto in cui l'impresa ha operato, alle cointeressenze dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, alla irriducibile estraneità del fatto (generatore dello squilibrio tra attività e passività) rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale -, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Cass., sez. V, 8 luglio 2022, n. 26412. In dottrina, Brembati, La bancarotta fraudolenta patrimoniale tra principi costituzionali e “indici di fraudolenza”, in Le Società, 2018, 5, 641; Fassi, La valutazione della natura e degli elementi costitutivi della bancarotta fraudolenta patrimoniale e la ricerca degli "indici di fraudolenza" della condotta nel caso concreto, in Cass. Pen., 2017, 4330).

Con riferimento alla bancarotta preferenziale, commessa mediante il pagamento, da parte dell'imprenditore, di alcuni suoi creditori allo scopo di favorire costoro ai danni degli altri creditori insoddisfatti, trattasi anch'esso di reato di pericolo, non necessitandosi un danno effettivo per la par condicio creditorum, essendo irrilevante quindi che i pagamenti possano essere sottoposti a revoca, anche se l'esposizione a pericolo del bene giuridico deve essere effettiva, per cui il reato non sussiste nel caso in cui la massa creditoria sia stata interamente soddisfatta o in cui nessun creditore si sia insinuato al passivo.

Quanto alla nozione di pagamento, la stessa ricomprende non la sola dazione di somme di denaro consegnate come corrispettivo di un bene o servizio, ma ogni modalità di adempimento di una qualsiasi obbligazione gravante sull'imprenditore, senza che abbia qualche rilievo la circostanza che il pagamento fosse adeguato, non eccessivo o addirittura vantaggioso per il fallito secondo le condizioni di mercato. Il reato può sussistere anche nel caso di datio in solutum, ossia di prestazione diversa che viene effettuata in sostituzione di quella originariamente dovuta (Cass., sez. V, 26 giugno 2009, Petrone) mentre si esclude la rilevanza penale della compensazione (Cass., sez. V, 30 gennaio 1987, Ritondale; Cass., sez. V, 15 aprile 1980, Veronesi).

La rilevanza penale del pagamento richiede che la provvista dello stesso provenga dalle disponibilità economiche dell'impresa fallita ovvero dal patrimonio che, dopo la dichiarazione di insolvenza, deve ricadere nella massa fallimentare ed è destinato al soddisfacimento dei debiti aziendali. Per questa ragione, è penalmente irrilevante il pagamento fatto dal terzo ed il pagamento effettuato con taluno dei beni non compresi nella liquidazione giudiziale (Mangione, Riflessioni penalistiche sulla riforma delle procedure concorsuali, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2006, 911; Alessandri, Profili penalistici delle innovazioni in tema di soluzioni concordate delle crisi d'impresa, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2006, 129).

Non ogni pagamento a carattere preferenziale – ovvero effettuato non rispettando né l'ordine temporale con cui i crediti vengono a scadenza né la sussistenza di eventuali cause di prelazione o privilegio – riveste rilevanza penale. La norma infatti sanziona solo quei pagamenti che sono effettuati in costanza dello stato di insolvenza perché solo in presenza di un tale cattiva condizione economica dell'impresa il pagamento può essere idoneo a ledere la par condicio creditorum ed essere quindi qualificato preferenziale, nel senso che solo in questa condizione di squilibrio patrimoniale dell'impresa è possibile sostenere (anche sotto il profilo psicologico del soggetto agente) che il pagamento di alcuni creditori abbia avvantaggiato costoro a danno di altri.

Il delitto non sussiste quando l'imprenditore abbia pagato in pendenza di una crisi dell'impresa e con l'intento di danneggiare alcuni dei suoi creditori, ma successivamente al pagamento, per qualsivoglia causa, anche indipendente dall'attività dell'imprenditore, la crisi sia stata superata e l'azienda risanata; peraltro, il superamento dell'originaria fase di decozione dell'azienda rende irrilevante anche un successivo fallimento quando lo stesso sia dovuto a nuove cause di crisi e difficoltà: infatti, il nuovo stato di insolvenza che porta alla successiva apertura della procedura concorsuale non si pone in nessun rapporto con il pagamento precedentemente effettuato. A conferma di quanto detto può anche richiamarsi la giurisprudenza secondo cui il reato di bancarotta fraudolenta preferenziale si consuma nel momento dei pagamenti, irrilevante essendo la data della sentenza dichiarativa di fallimento (Cass., sez. V, 19 maggio 2009, Gambino).

L'elemento soggettivo richiesto è il dolo specifico, anche se ne è assai discussa la latitudine e l'oggetto. La norma prevede che il pagamento - o la simulazione - deve essere effettuato a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi.

Dottrina e giurisprudenza prevalenti (Cass., sez. V, 20 maggio 2009, Scala; Cass., sez. V, 26 giugno 2009, Petrone) ritengono che obiettivo dell'azione dell'imprenditore debba essere solo il favorire il soggetto soddisfatto, mentre con riferimento al danneggiamento dei restanti creditori sarebbe sufficiente un atteggiamento connotato dal solo dolo eventuale, nel senso che sarebbe bastevole che all'imprenditore sia semplicemente rappresentata la circostanza che, a seguito dell'adempimento da lui posto in essere a vantaggio di uno solo dei suoi creditori, gli altri potrebbero venire danneggiati. Alcuni autori, invece, ritengono anche il profilo del danno debba essere oggetto del dolo specifico (parla di dolo specifico “composto” Napoleoni, Frammenti di un'indagine sul dolo di bancarotta preferenziale, in Cass. Pen., 1988, 400; Pedrazzi, Reati commessi dal fallito, in Commentario Scialoja-Branca. Legge Fallimentare, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 1995, 117), essendo il fine di favorire alcuni creditori indissolubilmente legato a quello di danneggiarne altri.

Tuttavia, l'impostazione illustrata da ultimo – pur se condivisibile in astratto, nella parte in cui intende richiamare l'attenzione sulla liceità penale di pagamenti fatti dall'imprenditore al mero scopo di salvaguardare l'azienda, consentendogli di proseguire oltre nella sua attività (sul punto però si veda quanto si dirà in seguito) ha una rilevanza pratica assai tenue, posto che è difficile sostenere che un soggetto possa rappresentarsi di favorire, nell'ambito di una schiera di soggetti, taluno di loro, senza, correlativamente e quale conseguenza del beneficio arrecato, danneggiare gli altri. Non bisogna, in proposito, confondere il motivo concreto per cui il soggetto agisce, con l'atteggiamento volitivo preso in considerazione e giudicato rilevante dalla norma: per l'imprenditore può essere di vitale importanza favorire il singolo creditore - ad esempio, perché i crediti sono assistiti da ipoteca su beni personali dell'imprenditore o di suoi congiunti –, essendogli invece indifferente che ne vengano ad essere danneggiati altri soggetti nei cui confronti è debitore; tuttavia, anche in tale caso sussiste il delitto, in quanto l'agente, consapevole del suo stato di decozione, non può non essere consapevole che al favoreggiamento del creditore soddisfatto corrisponde, proprio per la sua cattiva condizione economica, un pregiudizio per le ragioni degli altri.

Analogamente, il binomio favoreggiamento - pregiudizio sussiste anche quando con il pagamento preferenziale il debitore persegua un suo esclusivo interesse: si pensi, ad esempio, al debitore che adempia obbligazioni a garanzia delle quali la propria moglie aveva prestato fideiussioni, al solo scopo di mandare il coniuge esente da conseguenze negative. In questo caso, al favoreggiamento del creditore soddisfatto corrisponde logicamente un danno per gli altri soggetti, posto che l'adempimento della singola obbligazione si situa in una condizione di crisi aziendale, e, per ciò solo, mette in pericolo il soddisfacimento delle altre pretese creditorie.

La decisione della Cassazione

Il ricorso è stato rigettato.

Quanto alla presunta intromissione dei giudici di merito nelle scelte imprenditoriali assunte dall’imputato nella gestione dell’azienda, la Cassazione sottolinea come i giudici di merito avessero adeguatamente dimostrato come la scelta imprenditoriale – già di per sé azzardata e poco razionale - di sottoscrivere un secondo contratto preliminare con un nuovo finanziatore fosse stata diretta a sottrarre - per il tramite di quel contratto - risorse della fallita a vantaggio di un'altra società, amministrata dall'imputato stesso. Da un lato, infatti, la società fallita era, al momento della stipula del secondo preliminare, in condizioni assolutamente precarie in conseguenza della perdita del supporto economico dei finanziatori e già questa circostanza evidenzia l’assenza di cautela nelle successive scelte imprenditoriali estrinsecantesi nella individuazione di altri finanziatori; dall’altro, la persona giuridica con cui era stipulato il secondo preliminare era riconducibile all'imputato, il quale ne era l'amministratore.

Proprio tali palesi cointeressenze dell'amministratore della fallita rispetto all’altra impresa direttamente coinvolta nella vicenda rappresenta l’indice di fraudolenza della vicenda, la cui presenza è necessaria per potersi parlare, in presenza di atti negoziali di per sé non connotati immediatamente di illiceità, di bancarotta fraudolenta e che possono consistere, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, nel contesto in cui l'impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa.

In presenza di tali elementi, a fronte di spese e scelte negoziali aventi esito infausto, è all’amministratore che compete dimostrare come i beni dell’azienda abbiano avuto una destinazione conforme e coerente con gli interessi dell’impresa posto che l'imprenditore è posto dal nostro ordinamento in una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono l'aspettativa dell'adempimento delle obbligazioni dell'impresa sul patrimonio di quest'ultima donde la diretta responsabilità del gestore di questa ricchezza per la sua conservazione in ragione dell'integrità della garanzia. È in funzione della garanzia per il ceto creditorio che si spiega l'onere dimostrativo posto a carico del fallito, nel caso di mancato rinvenimento di cespiti da parte della procedura. Poco rileva, come detto, che, considerata in astratto ed in termini generali, la scelta imprenditoriale non presenti ex se caratteri di illiceità ed anzi si concreti nell’adozione di atti negoziali pacificamente ammessi dall’ordinamento. Infatti, qualunque operazione societaria può assumere valenza distrattiva o dissipativa, e ciò tanto nel caso in cui non si configurino correlativi incrementi patrimoniali o economici in favore della disponente, quanto in quello in cui l'operazione stessa avvenga al preciso scopo di trasferire la disponibilità dei beni societari ad altro soggetto giuridico in previsione del fallimento (Cass., sez. V, 3 marzo 2020, n. 12748).

Quanto alla bancarotta preferenziale, secondo i giudici di merito i pagamenti oggetto di contestazione integravano la bancarotta preferenziale, dal momento che erano stati posti in essere in una situazione di conclamata insolvenza in pregiudizio di creditori di grado maggiore. Tale soluzione è coerente con la giurisprudenza, secondo la quale, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta preferenziale, è necessaria la violazione della par condicio creditorum, che consiste nell'alterazione dell'ordine, stabilito dalla legge, di soddisfazione dei creditori, sicché deve essere provata l'esistenza di altri crediti insoddisfatti per effetto del pagamento eseguito al creditore in via preferenziale, ma tale prova non può essere desunta sulla base del principio civilistico di "non contestazione". Il fatto che altri creditori di pari grado siano stati ugualmente - o in misura addirittura maggiore - soddisfatti dei crediti di cui ai capi di imputazione, vale solo a prefigurare, in astratto, altre - non contestate e perciò irrilevanti - ipotesi di bancarotta preferenziale, ma non anche a elidere l'illiceità penale dei fatti di cui all’imputazione. Medesima considerazione vale con riferimento al pagamento a favore dell’imputato di somme a lui dovute in ragione delle prestazioni lavorative da lui svolte a favore della società fallita: al di là del fatto che i pagamenti (assai consistenti) sono intervenuti in un momento in cui il dissesto della società ammontava a ben 90 milioni di euro, di cui 26 verso creditori privilegiati, il profilo dirimente della sentenza di condanna non atteneva alla proporzione del compenso rispetto al lavoro svolto, bensì alla lesione della par condicio creditorum arrecata dall'amministratore, che, in quanto tale, non poteva ritenersi svincolato dall'obbligo di tutela degli interessi sociali nei confronti dei terzi.

Come ricavabile dal titolo del presente lavoro, la sentenza in commento non presenta aspetti di novità rispetto all'elaborazione giurisprudenziale in tema di reati di bancarotta.

Va tuttavia sottolineata la circostanza che la pronuncia in epigrafe prende posizione sul tema della qualificazione giuridica da attribuire alla condotta dell'amministratore di una società poi fallita il quale, in presenza di un significativo stato di crisi economica dell'impresa da lui gestita, si ripaghi di crediti che, come persona fisica, vanta nei confronti della sua società.

In proposito la pronuncia si schiera in senso contrario all'orientamento prevalente secondo cui alle condotte in discorso va riservato il più severo trattamento previsto dall'art. 322, comma 1, d.lgs. n. 14/2019. Secondo molte decisioni, infatti, il comportamento sopra descritto si pone in contrasto con gli interessi della società fallita e della intera massa dei creditori, consistendo nella appropriazione di parte delle risorse sociali, distolte dalla loro naturale destinazione a garanzia dei creditori e la fattispecie deve pertanto essere inquadrata nel reato di bancarotta per distrazione, non potendosi scindere la sua qualifica di creditore da quella di amministratore, come tale vincolato alla società dall'obbligo di fedeltà e da quello della tutela degli interessi sociali nei confronti dei terzi (Cass., sez. V, 24 maggio 2023, n. 22648; Cass., sez. feriale, 27 settembre 2020, n. 27132).

In ogni caso, vi è accordo sulla conclusione, giusta la quale si ha senz'altro bancarotta fraudolenta patrimoniale quando l'amministratore, in assenza di qualsiasi atto formale di pagamento, si appropria semplicemente delle somme della società sostenendo così di compensare un credito da lui vantato nei confronti della persona giuridica (Cass., sez. V, 27 aprile 2022, n. 16183, secondo cui anche laddove si volesse considerare l'opposto orientamento, per il riconoscimento della fattispecie di bancarotta preferenziale occorrerebbe pur sempre che il ricorrente fornisca indicazione di dati ed elementi di confronto che consentano un'adeguata valutazione dell'attività effettuata quali, ad esempio, gli impegni orari osservati, gli emolumenti riconosciuti a precedenti amministratori o quelli di società del medesimo settore).

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