In virtù dell'art. 5, comma 2, seconda parte, d.lgs. n. 28/2010, «il giudice, quando rileva che la mediazione non è stata esperita o è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6».
Ai sensi di tale ultima disposizione, il procedimento di mediazione «ha una durata non superiore a tre mesi, prorogabile di ulteriori tre mesi dopo la sua instaurazione e prima della sua scadenza con accordo scritto delle parti»; detto termine «decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione o dalla scadenza del termine fissato dal giudice per il deposito della stessa». Laddove il giudice alla successiva udienza di rinvio accerti che la condizione di procedibilità non è stata soddisfatta, dichiara l'improcedibilità della domanda giudiziale.
Calando detta disciplina all'interno del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in cui l'onere dell'instaurazione del procedimento di mediazione è carico del creditore opposto una volta instaurato il giudizio di opposizione e deciso sulle istanze di concessione/sospensione della provvisoria esecutorietà, ne segue che una volta rilevato il mancato esperimento del previo tentativo di mediazione, il giudice, alla successiva udienza fissata dopo la scadenza del termine per l'esperimento del procedimento di mediazione, qualora rilevi il mancato svolgimento della mediazione, dichiara l'improcedibilità della domanda giudiziale proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo, revocando il decreto opposto e provvedendo sulle spese (così espressamente l'art. 5-bis, d.lgs. n. 28/2010, introdotto dalla riforma Cartabia in ossequio a Cass. civ., sez. un., 18 settembre 2020, n. 19596).
Analoga regola era contenuta nel previgente art. 5, comma 2, del d.lgs. citato, il quale, con riguardo alla mediazione delegata, stabiliva che il giudice, oltre a fissare l'udienza per l'eventuale prosecuzione della causa dopo la scadenza del termine per lo svolgimento della mediazione, era anche tenuto ad assegnare alle parti, laddove la mediazione non fosse già stata avviata, il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
Era così sorta la questione della natura, perentoria o meno, del termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
A fondamento della tesi della perentorietà del termine era stato osservato che, pur in mancanza di indicazione espressa, il regime di perentorietà può essere desunto in via interpretativa tutte le volte in cui, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, il termine debba essere rigorosamente osservato. Del resto, sarebbe stato illogico ritenere che, a fronte della previsione della sanzione di improcedibilità per mancato esperimento della mediazione e di un termine relativamente ristretto per l'inizio del procedimento, si fosse lasciato poi alla libera valutazione dell'onerato la scelta arbitraria del tempo in cui iniziarlo (App. Brescia 17 dicembre 2021, n. 1667).
Dunque, per quest'indirizzo, il termine de quo aveva natura perentoria, il che trovava conferma dalla gravità della sanzione prevista nel caso del suo spirare inutilmente, vale a dire l'improcedibilità della domanda giudiziale, la quale comporta la necessità di emettere una sentenza di puro rito, così impedendo al processo di pervenire al suo naturale epilogo. Tale conseguenza, come è evidente, mal si conciliava con la violazione di un termine meramente ordinatorio.
Sennonché, di recente la Suprema Corte è intervenuta in materia, affermando che il decorso del termine di quindici giorni non rende, di per sé, la domanda giudiziale improcedibile (Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 2021, n. 40035; in termini Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2024, n. 4133; Trib. Lecce, 3 marzo 2017, n. 928; Trib. Cagliari, 8 febbraio 2017, n. 445; Trib. Firenze, sez. III, 14 settembre 2016; Trib. Reggio Emilia, 14 luglio 2016; Trib. Firenze, 4 giugno 2015; Trib. Bologna, 15 marzo 2015).
È stato al riguardo notato che per stabilire se si fosse verificata o meno la condizione di procedibilità della domanda giudiziale, l'art. 5, comma 2, seconda parte, d.lgs. n. 28/2010 nella sua precedente formulazione stabiliva che «l'esperimento» del procedimento di mediazione era da ritenersi condizione di procedibilità della domanda e che ai sensi del previgente comma 2-bis della stessa norma quando l'esperimento del procedimento di mediazione era condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considerava avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si fosse concluso senza l'accordo. Da tali disposizioni, dunque, era possibile desumere che il legislatore aveva ricollegato la procedibilità della domanda al solo evento dell'esperimento del procedimento di mediazione e non al mancato rispetto del termine di presentazione della domanda di mediazione, il quale, dunque, non poteva ritenersi di natura perentoria.
Tale orientamento è stato poi accolto dalla riforma, la quale non prevede l'onere di fissazione di alcun termine per l'avvio della mediazione, ma si limita ad affermare che all'udienza di rinvio il giudice debba dichiarare l'improcedibilità della domanda giudiziale qualora accerti che la condizione di procedibilità non sia stata soddisfatta. Ciò significa che affinché si realizzi la condizione di procedibilità della domanda a rilevare è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale svolgimento del primo incontro delle parti innanzi al mediatore conclusosi senza l'accordo e non già il semplice l'avvio della stessa nel termine di 15 giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l'ordinanza che la dispone.
Il principio qui enunciato sebbene si riferisca alla mediazione delegata, ha carattere generale per cui è stato ritenuto applicabile anche anche alla mediazione obbligatoria ex lege (Cass. civ., sez. I, 31 marzo 2023, n. 9102).
Tuttavia, potrebbe accadere che le parti non avviino celermente il procedimento di mediazione o che, pur iniziato, questo si protragga oltre il termine per l'esigenza dello svolgimento di ulteriori trattative utili ai fini del bonario componimento; in tal caso, ci si chiede cosa accada al giudizio già pendente davanti al giudice.
Sul punto, la più recente giurisprudenza di merito ha affermato che la previsione di un termine per la definizione del tentativo di mediazione risponde all'esigenza di garantire la certezza dei tempi di definizione della procedura di mediazione, i quali non debbono ricadere sulla durata del processo ma hanno lo scopo di rendere effettivo l'eventuale raggiungimento di un accordo tra le parti. Pertanto, nel caso in cui il giudice ravvisi la mancata conclusione del procedimento di mediazione all'udienza di rinvio all'uopo fissata, deve ritenersi che laddove la parte interessata chieda un rinvio per permettere lo svolgimento delle trattative in mediazione detta richiesta vada qualificata quale rimessione in termini e non come semplice proroga, prevista dalla legge solo per i termini ordinatori.
Sulla base di queste premesse e considerate le finalità poste a base della normativa sulla mediazione deve allora considerarsi intempestiva una domanda di mediazione depositata solo pochi giorni prima dell'udienza e a distanza di oltre quattro mesi da quella precedente, con conseguente illegittimità di ogni richiesta di rinvio dell'udienza che non sia adeguatamente giustificata dalla sussistenza dei presupposti che legittimerebbero la rimessione in termini della parte chiamata ad assolvere la condizione di procedibilità (Trib. Mantova, 25 novembre 2024, in Deiure.it).
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