Codice di Procedura Civile art. 547 - Dichiarazione del terzo.Dichiarazione del terzo. [I]. Con dichiarazione a mezzo raccomandata inviata al creditore procedente o trasmessa a mezzo di posta elettronica certificata, il terzo, personalmente o a mezzo di procuratore speciale o del difensore munito di procura speciale, deve specificare di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna (1). [II]. Deve altresì specificare i sequestri [670, 678 1] precedentemente eseguiti presso di lui e le cessioni [1264 1 c.c.] che gli sono state notificate o che ha accettato [550; 2914 1 n. 2 c.c.]. [III]. Il creditore pignorante deve chiamare nel processo il sequestrante [269] nel termine perentorio [152 2, 153] fissato dal giudice [630]. (1) Comma sostituito dall'art. 19 d.l. 12 settembre 2014 n. 132, conv., con modif., in l. 10 novembre 2014, n. 162. A norma del comma 6, del medesimo articolo, le disposizioni di cui al presente comma si applicano ai procedimenti iniziati a decorrere dal trentesimo giorno dall'entrata in vigore della legge di conversione. Il testo recitava: «Con dichiarazione all'udienza o, nei casi previsti, a mezzo raccomandata inviata al creditore procedente o trasmessa a mezzo di posta elettronica certificata, il terzo, personalmente o a mezzo di procuratore speciale o del difensore munito di procura speciale, deve specificare di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna». L'art. 1, comma 20, l. 24 dicembre 2012, n. 228,aveva inserito le parole «o trasmessa a mezzo di posta elettronica certificata». Precedentemente l'art. 12 l. 24 febbraio 2006, n. 52 aveva sostituito il comma. Il testo recitava: «Con dichiarazione all'udienza il terzo, personalmente o a mezzo di mandatario speciale, deve specificare di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso, e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna». InquadramentoL'udienza di comparizione indicata dall'art. 543 c.p.c., quale contenuto necessario dell'atto di pignoramento, rappresenta il momento culminante della procedura esecutiva, nonché lo spartiacque per una serie di attività processuali. In linea generale, tale udienza rappresenta il momento in cui viene valutata la dichiarazione resa dal terzo dal giudice dell'esecuzione e depositata agli atti dal creditore procedente, a cui viene trasmessa nelle modalità previste dalla legge (vedi infra par. 3), nonché anche la sede in cui il terzo può comunque rendere la dichiarazione, ove non resa precedentemente, o anche aggiornarla, nei limiti previsti dalla norma. In pratica essa rappresenta l'equivalente di quella fissata per l'audizione delle parti ai fini della vendita, nell'esecuzione mobiliare (art. 530 c.p.c.) e nell'esecuzione immobiliare (art. 569 c.p.c.). Essa rappresenta anche il momento preclusivo per la proposizione delle opposizioni agli atti esecutivi, al pari delle suddette precedenti udienze (Cass. n. 669/1998). La prima udienza fissata per la comparizione delle parti al fine di disporre l'assegnazione rappresenta inoltre lo spartiacque al fine di determinare la tempestività o meno dell'intervento proposto (art. 551 c.p.c.). La giurisprudenza inoltre ha chiarito che: «nel pignoramento presso terzi, la concessione, da parte del creditore procedente, di un termine a comparire inferiore a quello indicato nell'art. 501 c.p.c. non determina la nullità del pignoramento ma influisce esclusivamente sulla eventuale irregolarità delle attività svolte all'udienza di comparizione, con possibilità del debitore di far valere tale nullità con l'opposizione agli atti esecutivi» (Cass. n. 682/2012). La natura giuridica della dichiarazioneIl terzo con la dichiarazione inviata al creditore procedente o trasmessa mediante posta elettronica certificata – personalmente o a mezzo di procuratore speciale o di difensore munito di procura speciale – deve specificare di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna. La giurisprudenza e la dottrina si sono interrogati circa la funzione, all'interno del processo esecutivo della dichiarazione del terzo e sulla natura della stessa. In relazione alla funzione, se per alcuni autori la dichiarazione serve ad accertare la titolarità in capo al debitore delle cose o del credito oggetto di pignoramento (Colesanti, 842), per altri essa ha la funzione di operare lo spontaneo assoggettamento della res o del credito pignorato, alla soddisfazione del creditore (Vaccarella, 1992). Per ciò che concerne la natura della dichiarazione del terzo, la giurisprudenza ha affermato che: «la dichiarazione, resa dal terzo ex art. 547 c.p.c., comporta il riconoscimento dell'esistenza del credito ed integra un accertamento costitutivo, che preclude definitivamente al terzo la possibilità di eccepire la non assoggettabilità del credito all'esecuzione (Cass. n. 17367/2003). Al di là delle petizioni di principio, la configurazione della dichiarazione del terzo ha un valore tutto proprio ed intrinseco alla procedura esecutiva, difficilmente sovrapponibile agli istituti tipici del giudizio di cognizione (Andrioli, 444). Sicuramente la dichiarazione del terzo ha la funzione di definire l'oggetto specifico della procedura esecutiva, dando concretezza all'indicazione generica contenuta nell'atto di pignoramento ai sensi dell'art. 543 comma 2, n. 2 c.p.c. Come la giurisprudenza di legittimità ha espressamente chiarito: «il terzo pignorato, nel rendere la dichiarazione ex art. 547 c.p.c., deve fornire indicazioni complete e dettagliate dal punto di vista oggettivo, in modo da consentire l'identificazione dell'oggetto della prestazione dovuta al debitore esecutato, compresi il titolo ed il «quantum» del credito pignorato; invece, dal punto di vista soggettivo, è necessario e sufficiente che dichiari quali siano i rapporti intrattenuti soltanto col soggetto che nell'atto di pignoramento è indicato come debitore sottoposto ad esecuzione, atteso che l'ambito soggettivo della dichiarazione del terzo è delimitato dall'ampiezza della direzione soggettiva dell'atto di pignoramento, rivolto sia nei confronti del terzo pignorato che del debitore esecutato, in base al titolo esecutivo azionato» (Cass. n. 5037/2017). Con il pignoramento, il terzo assume l'obbligo di custodia (art. 546 c.p.c.) di ciò di cui risulta obbligato nei confronti del debitore esecutato, non solo al momento della notifica del pignoramento (che dunque deve essere custodito e preservato a favore del creditore procedente ma anche di coloro che interverranno nella procedura esecutiva) ma anche in relazione alle cose o crediti esistenti al momento della dichiarazione la dichiarazione del terzo. Pertanto, l'esistenza del credito al momento del pignoramento non determina la nullità del pignoramento, In particolare, il credito assoggettato al pignoramento deve essere esistente al momento della dichiarazione positiva resa dal terzo ovvero, per il caso di dichiarazione negativa e di instaurazione del giudizio volto all'accertamento del suo obbligo, al momento in cui la sentenza pronunciata in tale giudizio ne accerta l'esistenza. È, invece, irrilevante che il credito non esista al momento della notificazione del pignoramento; ciò che esclude che l'inesistenza del credito in quel momento determini una qualche nullità del processo esecutivo (fra le varie Cass. n. 5529/2011; Cass. n. 15615/2005; Cass. n. 6080/2015). Prima della novella del 2012 (l. n. 228/2012), la giurisprudenza riteneva che «in tema di espropriazione presso terzi, nel rendere la dichiarazione di quantità ex art. 547 c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla l. n. 228/2012), il terzo non deve necessariamente indicare l'esatto ammontare della propria obbligazione, essendo sufficiente la dichiarazione che questa sia di importo superiore al credito per cui si procede ed alle relative spese, salvo che la predetta specificazione rilevi ai fini del processo esecutivo. (Cass. n. 13015/2016). Le modifiche legislative del 2012 e dopo ancora del 2014, con le specificazioni introdotte a proposito del contenuto della dichiarazione e con le colorazioni assunte dalla mancata dichiarazione (art. 548 c.p.c.), hanno modificato radicalmente il ruolo del terzo pignorato, rendendolo destinatario di un dovere di collaborazione che si ripercuote sullo stesso terzo (come vedremo infra) in termini di responsabilità verso il creditore e di possibilità di divenire comunque debitore del creditore procedente, a causa della semplice inerzia pur in carenza di un obbligo nei confronti del debitore esecutato (Saletti, 2013). La legittimazione a rendere la dichiarazioneLa dichiarazione, per esplicita previsione legislativa, deve provenire: dalla parte personalmente, da un procuratore speciale o da un difensore munito di procura speciale. Quando la dichiarazione è resa da un procuratore speciale il mandato deve evidenziare l'oggetto dei poteri conferiti (ossia la possibilità di rendere la dichiarazione al posto del mandante) e va predisposto con atto pubblico o scrittura privata autenticata, anche quale generale procura ad negotia in cui viene esplicitato il potere di rendere la dichiarazione in parola; il mandato va allegato alla dichiarazione nel momento in cui viene resa, in quanto il giudice dell'esecuzione dovrà essere in grado di svolgere le necessarie verifiche. La possibilità di rendere la dichiarazione a mezzo di difensore munito di procura speciale è stata introdotta dalla l. n. 52/2006 (in vigore dal 1° marzo 2006), In proposito, ci si chiede quale sia la forma di tale procura: se possa essere effettuata a margine della dichiarazione del terzo e quindi trasmessa insieme alla dichiarazione stessa (Bucci, Soldi, 2006), oppure debba essere effettuata separatamente mediante atto pubblico o scrittura privata, poiché la procura alle liti può essere posta a margine solo di atti tassativamente indicati dalla legge (Penza, in Demarchi, 301) Ragionando però in questo ultimo modo la previsione dell'art. 2006 sarebbe del tutto pleonastica, in quanto le modalità sarebbero le stesse del mandatario speciale, già previsto dalla legge. Secondo la giurisprudenza di legittimità: «il difetto o l'invalidità del mandato comporta inefficacia della dichiarazione, di cui non è ammessa la ratifica per la ragione che, trattandosi di atto non negoziale, ma processuale, non è applicabile la normativa concernente i contratti e gli atti unilaterali di contenuto patrimoniale compiuti dal «falsus procurator» (Cass. n. 6124/1991). Per ciò che concerne il rilievo della carenza di legittimazione, ci si chiede se essa possa essere rilevata d'ufficio o presupponga l'iniziativa della parte interessata. Invero, la soluzione preferibile è quella che mette in campo ambedue gli strumenti, nei tempi e nei modi previsti dalla legge. Nel caso di invio della raccomandata a mezzo posta certificata, sarà necessaria la firma digitale del dichiarante al fine di garantirne la provenienza, in uno ai documenti giustificativi dei poteri del dichiarante, ove necessario. In pratica, al giudice dell'esecuzione sarà sempre possibile rilevare ufficiosamente la carenza di legittimazione a rendere la dichiarazione, poiché lo stesso è detentore della verifica delle condizioni per poter procedere all'assegnazione o alla vendita della res pignorata. D'altro canto, il debitore esecutato (o il terzo stesso che vuole far valere la non legittimazione di chi ha speso il nome di quest'ultimo) potrà far valere il difetto suddetto mediante opposizione agli atti esecutivi, ma solo entro il termine perentorio di cui all'art. 617 comma 2 c.p.c. ossia venti giorni dalla conoscenza legale (o di fatto) dell'atto da impugnare. Le modalità della dichiarazioneNel sistema tradizionale (prima della novella del 2006), il terzo pignorato era tenuto in ogni caso, ossia a prescindere dalla natura del credito del debitore oggetto di pignoramento, a rendere all'udienza indicata all'atto della notifica del pignoramento la dichiarazione in ordine alla sussistenza del proprio debito nei confronti del debitore esecutato. Al fine di agevolare la posizione del terzo, evitando allo stesso inutili disagi, e di snellire le procedure di espropriazione ex artt. 543 e ss., la l. n. 52/2006, aveva modificato l'art. 543, comma 1, n. 4, nel senso che la dichiarazione doveva essere resa in udienza soltanto qualora il pignoramento riguardasse crediti di cui all'art. 545, commi 3 e 4 c.p.c. (ossia i crediti di lavoro e pensionistici e quelli ad essi omologati, considerati maggiormente delicati). Negli altri casi la dichiarazione poteva essere comunicata entro dieci giorni al creditore procedente mediante lettera raccomandata (nonché, come previsto dalla l. n. 228/2012, attraverso posta elettronica certificata: (Bove (-Balena) 2006, 158 ss.). In sostanza, in tale assetto il terzo pignorato, fatta eccezione per i crediti derivanti da retribuzione, poteva rendere la dichiarazione prevista dall'art. 547 mediante comunicazione a mezzo raccomandata da inviare al creditore procedente entro dieci giorni dalla notificazione del pignoramento (cfr., tra le tante, App. Roma IV, n. 13870/2013). Nella prospettiva di semplificazione del processo di espropriazione presso terzi e di riduzione degli oneri del terzo debitore, la riforma realizzata dall'art. 19 d.l. n. 132/2014 conv. in l. n. 162/2014, (con norma applicabile alle procedure iniziate dal trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione) ha eliminato siffatta distinzione prevedendo che, a prescindere dalla natura del credito del debitore nei confronti del terzo, quest'ultimo sia chiamato a rendere la dichiarazione sempre a mezzo raccomandata o PEC (quest'ultima modalità inserita dalla l. n. 228/2012), salva l'ipotesi nella quale non renda in questa forma la dichiarazione e quindi venga fissata un'udienza a tal fine, udienza nella quale, come detto, se il terzo non compare si produrrà l'effetto implicito del riconoscimento del credito. Pertanto, nell'atto di pignoramento non dovrà più essere prevista la citazione anche del terzo in udienza per rendere la dichiarazione, bensì del solo debitore. Sebbene la norma in commento preveda che la dichiarazione debba essere resa mediante raccomandata o posta elettronica certificata può ritenersi valida, per raggiungimento dello scopo concreto dell'atto processuale, anche una dichiarazione fornita in forme diverse come, ad esempio, fax, e-mail purché non vi siano dubbi su provenienza ed autenticità (Trapuzzano, 3). La disposizione in esame prevede, inoltre, che la dichiarazione venga inviata dal terzo pignorato al creditore entro dieci giorni dalla notifica del pignoramento ma tale termine non è indicato come perentorio: appare peraltro opportuno, come si è osservato in dottrina, che i giudici dell'esecuzione tengano conto di una dichiarazione, specie se positiva, inviata tardivamente, piuttosto che dare luogo ad un accertamento incidentale sull'esistenza dell'obbligo del terzo ed avuto riguardo altresì alla circostanza che la richiamata modifica dei criteri di collegamento della competenza territoriale potrebbe rendere per il terzo oltremodo impegnativa la partecipazione all'udienza (D'Alessandro, in Luiso, 2014, 84). Per ciò che concerne le modalità formali di invio della dichiarazione., per la Cassazione «La dichiarazione resa dal terzo pignorato ex art. 547 c.p.c. (nel testo modificato dal d.l. n. 132/2014, conv. con modif. dalla l. n. 162/2014) deve essere resa al creditore pignorante con comunicazione formale – cioè, a mezzo lettera raccomandata o PEC – avendo la funzione, se positiva, di individuare il bene o il credito del debitore esecutato che forma oggetto dell'azione esecutiva; ne consegue che detta dichiarazione, qualora effettuata con mezzi diversi da quelli prescritti e inidonei a dimostrare immediatamente ed incontestabilmente la sua esistenza e il suo contenuto, è da considerarsi tamquam non esset, dovendosi pertanto procedere, ai sensi dell'art. 548, comma 2, c.p.c., alla fissazione di apposita udienza, in esito alla quale, in mancanza di dichiarazione del terzo e alle ulteriori condizioni indicate dalla citata norma, il credito pignorato si ha per non contestato secondo il meccanismo della ficta confessio (cfr. Cass. n. 16005/2023) L'invio della dichiarazione al creditore costituisce una facoltà per il terzo, per agevolarne la resa della dichiarazione, ma non configura una manifestazione a carattere vincolato (Acone, 35); l'art. 548 c.p.c. infatti, collega la presunzione di positività della dichiarazione non al mancato invio della stessa, bensì alla mancata presenza del terzo all'udienza, per rendere la dichiarazione richiesta. Pertanto, è l'udienza il termine ultimo per rendere la dichiarazione, ove il terzo non voglia usufruire della modalità agevolata dell'invio al creditore procedente nelle forme previste dall'art. 547. c.p.c. Il terzo, conserva il proprio obbligo di collaborazione, nonché il proprio obbligo di custodia nei limito di cui all'art. 546 c.p.c. (ossia nella misura dell'importo pignorato aumentato della metà) ciò implica che ove pervengano nuove sopravvenienze successive alla propria dichiarazione, il terzo stesso (non essendo libero di disporne) potrà comparire all'udienza fissata per aggiornare la dichiarazione inviata al terzo (negativa oppure parzialmente satisfattiva) o di sua iniziativa, oppure su impulso della parte creditrice. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che – salvi ovviamente gli effetti che già potessero derivare dalla fictio connessa alla mancata dichiarazione di cui all'art. 548 c.p.c. – «nell'ambito della esecuzione forzata mobiliare presso terzi, il terzo debitore ha facoltà di effettuare la dichiarazione di debito di cui all'art. 547 c.p.c. anche nel corso del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo, giudizio che può aprirsi qualora egli non compaia dinanzi al giudice dell'esecuzione a rendere la propria dichiarazione nel corso dell'udienza all'uopo fissata nel procedimento di pignoramento presso terzi. Tale dichiarazione, ove resa nel corso del giudizio di cognizione, determina la cessazione della materia del contendere, in quanto rende superfluo ogni ulteriore accertamento dell'obbligo del terzo, salvo che non sia necessario proseguire il giudizio per il regolamento delle spese processuali (Cass. n. 5153/2004). Al contrario, resta invece irrilevante che il credito non esista al momento della notificazione del pignoramento, dovendosi escludere che l'inesistenza del credito in quel momento possa determinare una nullità del processo esecutivo (Cass. n. 24686/2021). Il contenuto della dichiarazioneAstrattamente, la dichiarazione espressa del terzo pignorato può avere contenuto positivo, ove venga dichiarata l'esistenza di un credito nei confronti del debitore esecutato, oppure negativa nel caso in cui il debitor debitoris dia atto che non sussiste alcun tipo di rapporto di debito credito nei confronti del debitore esecutato. La dichiarazione positiva Come già chiarito, all'indomani della riforma del 2012 (e a maggior ragione a seguito della novella del 2014) la dichiarazione che deve rendere il terzo pignorato deve avere un contenuto specifico, atto a conformare l'oggetto della procedura esecutiva ed a permettere al giudice dell'esecuzione di emettere l'ordinanza di assegnazione (vedi a contrario art. 549 c.p.c.). La corte di legittimità ha chiarito, in linea generale l'ambito di specificità che deve avere la dichiarazione del terzo, dal punto di vista soggettivo ed oggettivo. In particolare, nel rendere la dichiarazione ex art. 547 c.p.c., deve fornire indicazioni complete e dettagliate dal punto di vista oggettivo, in modo da consentire l'identificazione dell'oggetto della prestazione dovuta al debitore esecutato, compresi il titolo ed il «quantum» del credito pignorato; invece, dal punto di vista soggettivo, è necessario e sufficiente che dichiari quali siano i rapporti intrattenuti soltanto col soggetto che nell'atto di pignoramento è indicato come debitore sottoposto ad esecuzione, atteso che l'ambito soggettivo della dichiarazione del terzo è delimitato dall'ampiezza della direzione soggettiva dell'atto di pignoramento, rivolto sia nei confronti del terzo pignorato che del debitore esecutato, in base al titolo esecutivo azionato. Il terzo, non può meramente liberarsi da ogni vincolo dichiarando che il credito esistente nei confronti del debitore principale è già oggetto di precedenti pignoramenti, in quanto la Corte di legittimità ha chiarito che: «il terzo pignorato che dichiari la sussistenza della propria obbligazione nei confronti del debitore esecutato – precisando, però, che il relativo credito risulta già vincolato da precedenti pignoramenti – ha l'obbligo, ai sensi dell'art. 550 c.p.c., di indicare gli estremi di questi ultimi (precisando, quindi, l'identità dei creditori pignoranti, la data della notifica dei pignoramenti, gli importi pignorati, nonché il contenuto delle dichiarazioni di quantità già rese e gli eventuali pagamenti già effettuati in base ai provvedimenti di assegnazione emessi), onde consentire al giudice dell'esecuzione di eventualmente disporre, nella presenza dei necessari presupposti, la riunione delle procedure, ai sensi dell'art. 524 c.p.c.. Invero «nel caso in cui tali indicazioni non siano fornite, la dichiarazione dovrà ritenersi incompleta e il giudice dell'esecuzione dovrà sollecitarne al terzo l'integrazione, fissando all'uopo una nuova udienza ex art. 548 c.p.c. e concedendogli, nell'ipotesi in cui i pignoramenti in questione siano in numero tale da rendere necessaria una complessa attività di recupero dei dati necessari, un adeguato termine, il cui vano decorso impedisce di intendere la dichiarazione come regolarmente resa, ai sensi dello stesso art. 548 c.p.c., con la conseguenza che, se le allegazioni del creditore o anche la stessa dichiarazione comunque resa dal terzo consentano l'individuazione del credito pignorato, potrà procedersi alla relativa assegnazione in favore del creditore procedente» (cfr. Cass. n. 9433/2023). Non è affatto richiesto, invece, né dal disposto dell'art. 547 c.p.c., né dall'interpretazione data alla norma dalla giurisprudenza di questa Corte, che il terzo estenda il proprio dovere di collaborazione fino al punto di dover verificare e dichiarare rapporti intrattenuti con soggetti diversi dal debitore esecutato, anche se questi rapporti siano o possano essere ricondotti, dal punto di vista economico, alla sfera patrimoniale del medesimo debitore esecutato. In particolare, l'ambito soggettivo della dichiarazione del terzo ai sensi dell'art. 547 c.p.c. è delimitato dall'ampiezza della direzione soggettiva dell'atto di pignoramento, quale atto rivolto sia nei confronti del terzo pignorato che del debitore esecutato, in base al titolo esecutivo azionato. Nell'espropriazione presso terzi, qualora la dichiarazione da questi resa, ai sensi dell'art. 547 c.p.c., risulti, in esito al successivo giudizio di accertamento contemplato dall'art. 549 c.p.c., reticente od elusiva, tale da favorire il debitore ed arrecare pregiudizio al creditore istante, a carico di detto terzo deve ritenersi configurabile non la responsabilità processuale aggravata di cui all'art. 96 c.p.c. (dato che egli, al momento di quella dichiarazione, non ha ancora la qualità di parte), ma, con riguardo al dovere di collaborazione nell'interesse della giustizia che al terzo incombe quale ausiliario del giudice, la responsabilità per illecito aquiliano, a norma dell'art. 2043 c.c., in relazione alla lesione del credito altrui per il ritardo nel conseguimento del suo soddisfacimento provocato con quel comportamento doloso o colposo (Cfr. Cass. n. 5037/2017). In particolare, per ciò che concerne le dichiarazioni lacunose rese dal tesoriere dell'ente locale (ma con principio applicabile anche alle ASL), l'ente locale, allorché agisca nei confronti del proprio istituto tesoriere per il risarcimento del danno conseguente all'assegnazione di somme pignorate nell'ambito di un procedimento di espropriazione presso terzi, avrà l'onere di provare che la dichiarazione resa dal terzo ex art. 547 c.p.c. era incompleta, imprecisa o non veritiera, ma anche che tale dichiarazione è stata la causa dell'assegnazione di somme impignorabili (cfr. Cass. n. 6371/2024). Posto ciò, l'art. 547 c.p.c. prevede esplicitamente una serie di elementi necessari che la dichiarazione resa dal terzo deve possedere, che possono essere enucleati come di seguito: a ) I sequestri e le cessioni Ai sensi dell'art. 547 comma 2 c.p.c. «il terzo deve indicare i sequestri precedentemente eseguiti presso di lui e le cessioni che gli sono state notificate o che ha accettato». Il terzo deve, specificamente, indicare l'esistenza di sequestri conservativi notificati anteriormente al pignoramento, affinché il creditore procedente possa compiere l'attività espressamente prevista dall'art. 545 comma 3 c.p.c., ossia chiamare nel processo il sequestrante (art. 686 c.p.c.), nel termine perentorio concesso dal giudice dell'esecuzione a pena di decadenza. In pratica al sequestrante (con sequestro precedente al pignoramento), viene concessa la possibilità di poter intervenire nella procedura esecutiva (art. 499 c.p.c.) anche ove sprovvisto di titolo esecutivo. La dichiarazione carente sul punto, determina la passibilità da parte del terzo di subire un'azione di responsabilità per i danni cagionati al terzo sequestrante dalla sua mancata chiamata in causa (così Cass. n. 5037/2017, in dottrina Soldi 1155). Ove, il terzo dichiari l'esistenza di precedenti sequestri, l'udienza fissata per l'assegnazione andrà rinviata, per dare la possibilità al creditore di effettuare la citazione a comparire al sequestrante. Il terzo deve altresì specificare le cessioni che gli siano state notificate o che abbia accettato in epoca antecedente alla notifica dell'atto di pignoramento nei suoi confronti, secondo il disposto dell'art. 2914 n. 2 c.c. L'indicazione è funzionale per «interpretare la dichiarazione del terzo da parte del giudice» (che valuterà la precedente tra i due atti), nonché per lo stesso creditore, il quale potrà eventualmente contestare la dichiarazione negativa o parzialmente positiva. b ) I pignoramenti già eseguiti presso il terzo Nulla viene previsto in proposito dall'art. 547 c.p.c. Non va dimenticato però quanto previsto dall'art. 550 c.p.c., in base al quale: «il terzo deve indicare i pignoramenti che sono stati eseguiti presso di lui. Se altri pignoramenti sono eseguiti dopo che il terzo abbia fatto la sua dichiarazione, egli può limitarsi a richiamare la dichiarazione precedente ed i pignoramenti ai quali si riferiva». La previsione legislativa ha il chiaro intento di rendere possibile la riunione delle procedure esecutive aventi lo stesso oggetto (ossia lo stesso credito vantato dal debitore esecutato nei confronti dello stesso debitor debitoris. L'art. 550 c.p.c., infatti richiama la norma sul pignoramento successivo di cui all'art. 524 secondo e comma 3 c.p.c. Ove il terzo ometta di dichiarare la circostanza degli ulteriori pignoramenti, la Suprema Corte ha sottolineato che: «In tema di espropriazione forzata di crediti presso terzi, il terzo debitor debitoris che, nel fare dichiarazione dell'esistenza del credito pignorato, abbia omesso di riferire – come prescrive l'art. 550, comma 1, c.p.c. in funzione della riunione dei pignoramenti per l'attuazione del concorso tra i creditori sul credito – che quest'ultimo è stato nel frattempo pignorato una seconda volta, qualora abbia luogo l'assegnazione, è legittimato a dedurre con l'opposizione agli atti esecutivi che l'omessa dichiarazione dell'esistenza dell'altro pignoramento è dipesa da errore di fatto, per ottenere la rimozione dell'ordinanza di assegnazione, poiché l'assegnazione è inefficace come fatto estintivo del credito nei confronti dell'altro creditore pignorante e considerato che anche una dichiarazione confessoria può essere revocata per errore di fatto. Deve, viceversa, escludersi che l'errore possa essere posto a fondamento di un'istanza di revoca dell'ordinanza di assegnazione, posto che un simile potere del giudice dell'esecuzione non è configurabile» (Cass. n. 3958/2007, in senso simile Cass. n. 20595/2010). La Suprema Corte, però, ha anche chiarito – in modo logico e coerente con i limiti, da parte del terzo, all'uso dello strumento dell'opposizione agli atti esecutivi avverso l'ordinanza di assegnazione – che: «In tema di espropriazione presso terzi, il terzo pignorato che si avveda dell'erroneità della dichiarazione resa ai sensi dell'art. 547 c.p.c. può farla valere mediante l'opposizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c. avverso l'ordinanza ex art. 553 c.p.c., a condizione che abbia tempestivamente emendato, mediante revoca o rettifica, la dichiarazione ritenuta affetta da errore e il giudice dell'esecuzione abbia, ciò non di meno, disposto l'assegnazione» (Cass. n. 5489/2019 e conf. Cass. n. 18109/2020). La mancata specificazione della consistenza del primo pignoramento effettuato verso lo stesso terzo, determina una situazione di alea ed incertezza, che determinerà un eventuale pregiudizio nei confronti del terzo o di parte debitrice, in base a quello che sarà il contenuto dell'ordinanza di assegnazione; nello specifico: «ove il terzo nel rendere la dichiarazione di cui all'art. 547 c.p.c. dichiari che il credito è già stato in parte pignorato ed assegnato, ma non fornisca gli elementi essenziali per determinare l'entità e la scadenza di tale precedente assegnazione, il creditore che pignori per secondo il medesimo credito ha l'onere di impugnare nelle forme prescritte tale dichiarazione, se vuole far accertare la consistenza della prima assegnazione. Ove, invece, il creditore pignorante per secondo ciò non faccia, chiedendo puramente e semplicemente l'assegnazione del credito pignorato, egli accetta il rischio derivante dalle predette carenze e consistente nell'incertezza della data di effettiva e totale estinzione del precedente debito; in tal caso, mancando nel titolo esecutivo elementi univoci idonei alla puntuale determinazione della precedente assegnazione, occorre far riferimento all'entità oggettiva del credito precedente, da accertarsi anche con apposita opposizione all'esecuzione intentata contro il terzo debitore costituito debitore del creditore originario con l'ordinanza di assegnazione» (cfr. Cass. n. 3851/2011). In caso di mancata riunione delle procedure è possibile che, invece, ad essere soddisfatto possa essere, casualmente, il creditore del secondo pignoramento notificato al terzo, in questo caso, per riparare alle conseguenze distorsive derivanti dalla mancata riunione, sarà onere del precedente creditore indebitamente surclassato proporre opposizione agli atti esecutivi (cfr. Cass. n. 17029/2010). La Suprema Corte ha recentemente chiarito che: «qualora un pignoramento presso terzi abbia ad oggetto un credito che è stato già azionato in sede esecutiva, il terzo pignorato, a seconda dei tempi delle due procedure, può proporre opposizione ex art. 615 c.p.c. avverso la procedura intentata ai suoi danni, al fine di dedurre il definitivo venir meno della titolarità del credito in capo al proprio creditore, ma solo se e nella misura in cui sia stata già pronunciata l'ordinanza di assegnazione implicante la sostituzione del proprio creditore con i creditori che quel credito hanno pignorato, oppure ha l'onere di dichiarare quella circostanza, ai sensi dell'art. 547 c.p.c., nella procedura di espropriazione presso terzi, rimanendo altrimenti esposto al rischio di restare obbligato sia nei confronti del proprio creditore originario sia del creditor creditoris. Quest'ultimo, a sua volta, apprendendo notizia dell'azione esecutiva intrapresa dal suo debitore può sostituirsi allo stesso in forza dell'ordinanza di assegnazione del credito, che determina una successione a titolo particolare nel diritto in base all'art. 111 c.p.c., oppure mediante istanza di sostituzione in forza dell'art. 511 c.p.c. (Cass. III, n. 14597/2020). Per ciò che concerne l'esistenza dei vincoli di destinazione sui crediti pignorati, occorre discernere tra i doveri di collaborazione gravanti sul terzo debitore e la possibilità dello stesso di dedurre con l'opposizione l'esistenza degli stessi, nonché sulla capacità di stilare la dichiarazione traendo conclusione dalla circostanza dell'esistenza delle cause suddette. La giurisprudenza, anche recentemente ha chiarito che: «nell'espropriazione presso terzi, l'indicazione dell'esistenza di un vincolo di destinazione che può determinare l'impignorabilità del credito aggredito in via esecutiva, non fa venir meno il carattere di positività della dichiarazione resa dal terzo ai sensi dell'art. 547 c.p.c., e comunque il terzo debitore dell'esecutato non è legittimato a far valere la predetta impignorabilità, neanche sotto il profilo dell'esistenza di vincoli di destinazione, essendo tale questione relativa al rapporto tra creditore esecutante e debitore esecutato, al quale soltanto spettano gli appositi rimedi oppositivi previsti dalla legge (Cass. n. 23631/2018). Ciò vuol dire che il terzo debitor debitoris (nonché il tesoriere per il caso dei enti pubblici soggetti al Sistema di Tesoreria Unica) non è legittimato a far valere (tramite opposizione all'esecuzione o opposizione agli atti esecutivi contro l'ordinanza di assegnazione) l'impignorabilità delle somme pignorate, né può emettere dichiarazione negativa tout court, ove ci siano delle somme dovute all'esecutato seppur astrattamente vincolate, poiché trattasi di accertamento rimesso alla valutazione del giudice dell'esecuzione. Il terzo Tesoriere però nell'ambito del suo dovere di collaborazione, specialmente ove sia in rilievo un interesse pubblicistico, ha l'onere di dichiarare l'esistenza del vincolo di impignorabilità e chiarire le circostanze utili alla verifica della sua sussistenza da parte del giudice dell'esecuzione, in ossequio al potere ufficioso di rilievo dell'impignorabilità, che allo stesso compete (ex multis, Cass. n. 6552/2013 e Cass. n. 18912/2013; Cass. n. 10243/2015). L'ordinanza che rilevi l'impignorabilità sarà impugnabile dalle parti creditrici mediante opposizione agli atti esecutivi (tra le altre, Cass. n. 4820/2012 e Cass. n. 3790/2014). La dichiarazione negativa La dichiarazione (esplicita) negativa consiste nell'affermazione del terzo – inviata al creditore oppure palesata all'udienza di comparizione – di non essere debitore nei confronti del terzo di somme o di cose in favore di quest'ultimo. In particolare, ove l'inesistenza del credito dipenda da cause estintive precedenti alla notifica del pignoramento il terzo, sarà tenuto ad indicarle nella propria dichiarazione. Per cause estintive vanno intese quelle rientranti nella previsione di cui all'art. 2917 c.c., opponibili al creditore procedente ed a quelli intervenuti. Tra le cause estintive di cui all'art. 2917 c.c., non rientra però l'estinzione del credito dovuta ad un pagamento compiuto all'esito di un precedente procedimento esecutivo. Sul punto si è pronunciata la Corte di legittimità, affermando che: «Non è fondata, con riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2917 c.c. – nella parte in cui, stabilendo che, quando oggetto di pignoramento è un credito, l'estinzione di esso per cause verificantesi successivamente al pignoramento stesso non ha effetto in pregiudizio del creditore pignorante, l'inefficacia ivi prevista comprende[rebbe] anche l'estinzione del credito avvenuta con il pagamento ad altro creditore che procede ad esecuzione forzata eseguito in ottemperanza all'ordinanza di assegnazione della somma emanata dal giudice nel precedente procedimento esecutivo ma dopo che è stato notificato il secondo pignoramento – in quanto l'inefficacia dell'estinzione del credito pignorato, disposta dalla norma impugnata, non si estende all'estinzione che si verifichi per effetto del procedimento esecutivo, posto che, in caso di pluralità di pignoramenti presso lo stesso terzo, l'esecuzione deve svolgersi in unico processo (artt. 550 e 524 c.p.c.); che la collaborazione del terzo si attua dichiarando di quali somme egli è debitore e specificando quali pignoramenti sono stati in precedenza compiuti presso di lui; che, anche se le procedure esecutive non vengono unificate, il terzo pignorato effettua correttamente il pagamento, ottemperando al provvedimento di assegnazione della somma emanato dal giudice dell'esecuzione relativamente al primo pignoramento; che lo stesso terzo può opporre l'estinzione del credito, avvenuta in sede esecutiva, agli altri creditori procedenti; e che, se ciononostante venga emanato un secondo provvedimento di assegnazione, il terzo può tutelarsi proponendo opposizione (C. cost. n. 374/1996). – Di fronte alla dichiarazione negativa del terzo, sicuramente il giudice dell'esecuzione non può emettere l'ordinanza di assegnazione. A fronte di ciò gli epiloghi prospettabili sono di fatto tre: 1) il creditore può chiedere semplicemente al giudice che il terzo aggiorni la propria dichiarazione; 2) il creditore contesta il contenuto della dichiarazione del terzo, dando avvio al subprocedimento di cui all'art. 549 c.p.c., dove sono messi in campo i poteri accertativi endo-esecutivi del giudice dell'esecuzione (vedi sub capitolo 549 c.p.c.; ma vedi infra sui poteri comunque spettanti al giudice dell'esecuzione di interpretare la dichiarazione del terzo); 3) il creditore non contesta la dichiarazione del terzo. – In questo ultimo caso, il processo esecutivo si chiude, affinché questo non accada, la reazione del creditore deve essere tempestiva. Sul punto, infatti la giurisprudenza di legittimità (con una pronuncia precedente alla novella del 2012 dell'art. 549 c.p.c., ma valevole sul punto anche odiernamente) ha chiarito che: «nell'espropriazione mobiliare presso terzi, qualora la dichiarazione del terzo sia negativa, è necessario che il creditore faccia istanza di giudizio ex art. 548 c.p.c. e che tale giudizio segua ai sensi del successivo art. 549, non essendo, invece, sufficiente la semplice contestazione di tale dichiarazione. Ne consegue che, in caso di inerzia del creditore procedente, il giudice dell'esecuzione, constatata la stessa, deve dichiarare estinto il processo esecutivo (Cass. n. 12113/2013 in senso conforme, Cass. n. 21242/2016). – Per ciò che comporta le spese della fase esecutiva, esse restano a carico del creditore procedente (o di colui che comunque le ha anticipate). Sul punto la Cassazione, infatti ha chiarito che: in tema di procedimento di espropriazione presso terzi conclusosi per effetto di dichiarazione negativa del terzo cui non sia seguita l'istanza del creditore procedente per l'accertamento dell'obbligo di quest'ultimo, trova applicazione la regola generale, dettata in tema di estinzione del procedimento, dall'art. 310 c.p.c. – secondo la quale le spese del processo estinto stanno a carico delle parti che le hanno anticipate, – così come richiamata dall'art. 632, ultimo comma, c.p.c. (nel testo riformulato dall'art. 12 della l. n. 302/1998), con la conseguenza che, in forza del combinato disposto del ricordato art. 310, dell'art. 632 u.c. e dell'art. 567 c.p.c. (come modificato dall'art. 1 della citata l. n. 302/1998), il creditore procedente sopporta le spese del processo tutte le volte che la causa estintiva di questo sia ricollegabile esclusivamente alla sua volontà, per aver egli rinunziato agli atti o per essere rimasto inattivo «(cfr. Cass. n. 19184/2003 e Cass. n. 23408/2007). – Le stesse non potranno essere poi recuperate mediante l'avvio di una nuova procedura esecutiva. In merito alle spese relative alla fase esecutiva la Suprema Corte ha espressamente chiarito il ruolo e la funzione delle stesse. Le spese non costituiscono quindi oggetto di un vero e proprio obbligo di rimborso a carico dell'esecutato, ma rappresentano piuttosto il costo obiettivo del processo, configurandosi come onere che viene a gravare sul ricavato: è questo «il c.d. principio della tara sul ricavato»; pertanto alcun credito spendibile al di fuori del processo esecutivo, né accertato (in senso proprio) dal giudice dell'esecuzione, né accertabile da altri con deroga non espressa dal legislatore all'altro principio generale per cui le spese del processo sono regolate dal relativo giudice (Cass. n. 24571/2018, conforme a: Cass. n. 2646/2003; Cass. n. 3985/2003; Cass. n. 6102/2003; Cass. n. 10129/2003; Cass. n. 24571/2018; Cass. n. 1004/2020). Il ruolo interpretativo del giudice rispetto alla dichiarazione espressa del terzoI poteri del giudice dell'esecuzione di fronte alla dichiarazione esplicita del debito debitori sono stati oggetto di indagine ad opera della giurisprudenza di legittimità, la quale ha chiarito che: l'individuazione del credito oggetto di assegnazione è fatta nell'ordinanza di assegnazione, con la quale il giudice dell'esecuzione, valutate l'idoneità del titolo esecutivo e la pretesa del creditore, gli trasferisce il credito vantato dal debitore esecutato nei confronti del terzo pignorato, tenendo conto della dichiarazione resa da quest'ultimo. In particolare, spetta al giudice dell'esecuzione, non solo il potere-dovere di delibare sommariamente il titolo esecutivo e la correttezza della quantificazione operata dal creditore nel precetto, ma anche quello di interpretare la dichiarazione del terzo e trarne le dovute conseguenze quanto al credito oggetto dell'assegnazione (cfr. Cass. n. 20310/2012). La decisione risulta, in tal modo, affidata essenzialmente ad una coordinata e selettiva valorizzazione del dato testuale complessivamente considerato, costituente frutto di un'operazione esegetica riservata al giudice di merito, che, in quanto esente da aspetti di devianza da norme e da principi di diritto – ed anzi pienamente aderente al criterio di cui all'art. 1363 c.c., oltre che immune da illogicità o carenze motivazionali – si sottrae a sindacato nella presente sede, nella quale non può trovare ingresso l'aspirazione del ricorrente a vederla sostituita con altra fondata su diverso risultato interpretativo, ritenuto più rispondente all'interesse della stessa parte (Cass. n. 6088/2015). In particolare, il giudice sicuramente non potrà considerare positiva una dichiarazione negativa o parzialmente negativa in carenza dell'iniziativa del creditore, che ne chieda l'accertamento ex art. 549 c.p.c., ma potrà trarre le dovute conseguenze giuridiche dai fatti indicati dal terzo, come motivazioni della venuta meno del credito o della impossibilità di vincolare lo stesso a favore del creditore procedente e degli altri eventuali creditori intervenuti. Ad esempio, allo stesso competerà di valutare se la causa estintiva individuata dal terzo, sia più o meno opponibile ai creditori ex art. 2917 c.c.; alla stessa stregua ove il terzo evidenzi che il credito sia stato ceduto in data successiva al pignoramento (in base alla data di notificazione o di accettazione della cessione stessa) essa risulterà inopponibile alla procedura. Ciò implica che la dichiarazione non dovrà essere letta come negativa ma come parzialmente o totalmente positiva, come se la causa estintiva o la cessione non fossero avvenute. Il cessionario che contesti la non appartenenza del credito all'esecutato in ragione dell'anteriorità, rispetto alla notificazione del pignoramento, della notificazione della cessione al debitore ceduto (ovvero l'accettazione di questa), potrà far valere l'illegittimità dell'espropriazione con l'opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c., senza poter proporre, in quanto soggetto estraneo al processo esecutivo, opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., neppure ove rivolta contro l'ordinanza di assegnazione del credito (cfr. Cass. n. 14639/2014). Al contrario al giudice dell'esecuzione non compete accertare la corretta quantificazione compiuta dal terzo pignorato nella dichiarazione, né la veridicità della stessa, in quanto trattasi di accertamenti prettamente istruttori che esulano dalla fase esecutiva (Arieta De Santis, 978; Soldi, 1160). L'interpretazione della dichiarazione operata dal giudice sfocerà in un provvedimento esecutivo, opponibile con l'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 comma 2 c.p.c., esulando ormai tale provvedimento dalla contestazione di cui all'art. 549 c.p.c. (Soldi, 1160). La revoca della dichiarazioneLa possibilità e le modalità di revoca della dichiarazione ad opera del terzo sono state oggetto di dibattito giurisprudenziale e dottrinale. Per la dottrina tradizionale lo ius poenitendi del terzo sarebbe esercitabile solo in caso di errore di fatto o di violenza (Colesanti, Vaccarella, 114), precisando che tale revoca non può pervenire dopo l'adozione dell'ordinanza di assegnazione. Questo escluderebbe, come rileva in modo critico parte della dottrina, la rilevanza di errori di diritto (Auletta, contributo 2018), sebbene sia evidente che la dichiarazione in esame concerne spesso non solo fatti storici ma anche la qualificazione giuridica (che appunto potrebbe rivelarsi errata) di quei fatti, onde una falsa rappresentazione circa l'esistenza, l'applicabilità o la portata di una norma ben potrebbe incidere sulla effettiva esistenza» o sull'ammontare del debito del terzo (si pensi, a titolo esemplificativo, al caso in cui tale debito sia prescritto); A fronte di ciò risulta effettivamente incongruo non permettere al debitor debitoris l'esercizio, in questi casi, dello ius poenitendi, specie in ragione della (pur peculiare) stabilità che circonda (l'accertamento del debito del terzo contenuto nel) l'ordinanza di assegnazione. D'altro canto, la giurisprudenza più recente individua dei limiti ulteriori all'esercizio del potere di revoca. In particolare si è sostenuto «come la dichiarazione del terzo, in caso di errore non sia revocabile ad nutum, ma possa esserlo nei limiti in cui l'errore stesso sia scusabile», non potendo assumere rilevanza, in pratica la revoca che si colleghi ad un comportamento del terzo improntato a malafede (cfr. Cass. n. 13143/2017). Il principio è espressione di un criterio ancora più generale in forza del quale: «il terzo pignorato, che si sia accorto dell'errore contenuto nella precedente dichiarazione ex art. 547 c.p.c., può revocarla ove l'errore stesso sia incolpevole, ma fino al momento in cui l'aspettativa del creditore non si sia consolidata, ossia fino all'udienza al cui esito il Giudice dell'esecuzione emette l'ordinanza di assegnazione»; ciò in quanto «l'operato del terzo, proprio perché si innesta nel procedimento esecutivo con la finalità già sopra descritta, deve essere coerente, da un lato, con il principio di auto responsabilità gravante su tutti i consociati e, dall'altro, con il generale dovere di solidarietà e correttezza, che deve permeare il comportamento processuale del terzo stesso: nel cooperare con l'Ufficio giudiziario, infatti, egli deve evitare condotte (o omissioni) improntate a superficialità, o peggio, a mala fede, tanto è vero che può essere chiamato a rispondere a titolo di responsabilità extracontrattuale in caso di dichiarazione artatamente non veritiera e fuorviante» (Cass. n. 13143/2017 cit. cfr. a Cass. S.U., n. 9407/1987; Cass. n. 9888/1995). Appare quindi condivisibile l'opinione secondo cui – per quanto l'accertamento conseguente alla dichiarazione o al giudizio di contestazione della stessa o relativo alla sua mancanza esaurisca i propri effetti all'interno del processo esecutivo – il terzo sarebbe da qualificare, tenuto anche conto dei risicati limiti di revocabilità della propria esternazione, e al contempo della circostanza che l'ordinanza di assegnazione vale come titolo esecutivo nei suoi confronti, «quasi come soggetto passivo» dell'esecuzione (Tota, 2016). Recentemente la Corte di Cassazione ha esplicitamente enunciato il seguente principio: «In tema di espropriazione presso terzi, il terzo pignorato che si avveda dell'erroneità della dichiarazione resa ai sensi dell'art. 547 c.p.c. può farla valere mediante l'opposizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c. avverso l'ordinanza ex art. 553 c.p.c., a condizione che abbia tempestivamente emendato, mediante revoca o rettifica, la dichiarazione ritenuta affetta da errore e il giudice dell'esecuzione abbia, ciò non di meno, disposto l'assegnazione (Cass. n. 5489/2019). In pratica ove il terzo abbia emendato alla propria dichiarazione, in modo tale che essa sia pervenuta nella sfera conoscitiva del creditore e del giudice dell'esecuzione in modo da poterla porre a cura di quest'ultimo, potenzialmente, a base della propria ordinanza di assegnazione, il terzo avrà la possibilità di spiegare opposizione agli atti esecutivi, ove il giudice dell'esecuzione non ne abbia comunque tenuto conto. 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