Codice di Procedura Civile art. 549 - Contestata dichiarazione del terzo (1).Contestata dichiarazione del terzo (1). [I]. Se sulla dichiarazione sorgono contestazioni o se a seguito della mancata dichiarazione del terzo non e' possibile l'esatta identificazione del credito o dei beni del debitore in possesso del terzo, il giudice dell'esecuzione, su istanza di parte, provvede con ordinanza, compiuti i necessari accertamenti nel contraddittorio tra le parti e con il terzo. L'ordinanza produce effetti ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione ed è impugnabile nelle forme e nei termini di cui all'articolo 617 (2). (1) Articolo sostituito dall'art. 1, comma 20, l. 24 dicembre 2012, n. 228. Il testo recitava: «Accertamento dell'obbligo del terzo - [I]. Con la sentenza che definisce il giudizio di cui all'articolo precedente, il giudice, se accerta l'esistenza del diritto del debitore nei confronti del terzo, fissa alle parti un termine perentorio per la prosecuzione del processo esecutivo». (2) L'art. 13 d.l. 27 giugno 2015, n. 83, conv. con modif. in l. 6 agosto 2015, n. 132, ha sostituito le parole: "Se sulla dichiarazione sorgono contestazioni, il giudice dell'esecuzione le risolve, compiuti i necessari accertamenti, con ordinanza.", con le parole: "Se sulla dichiarazione sorgono contestazioni o se a seguito della mancata dichiarazione del terzo non e' possibile l'esatta identificazione del credito o dei beni del debitore in possesso del terzo, il giudice dell'esecuzione, su istanza di parte, provvede con ordinanza, compiuti i necessari accertamenti nel contraddittorio tra le parti e con il terzo". Per l'applicazione vedi l'art. 23, comma 9, del d.l. n. 83 del 2015 medesimo. InquadramentoPrima della riforma del 2012, in caso di contestazioni sulla dichiarazione (o mancata) dichiarazione del terzo debitore, prendeva l'avvio, mediante un provvedimento del giudice dell'esecuzione, un vero e proprio giudizio di cognizione che veniva definito con sentenza, ai fini dell'accertamento dell'an e del quantum dell'obbligo del terzo nei confronti del debitor debitoris. Nelle more della definizione del giudizio di accertamento, la procedura era sospesa, per poi essere riattivata, a cura della parte creditrice interessata. La modifica basilare è avvenuta con la l. n. 228/2012, che, con norma applicabile alle procedure esecutive iniziate dopo la sua entrata in vigore, ha radicato nella competenza del giudice dell'esecuzione la risoluzione delle contestazioni eventualmente sorte sulla dichiarazione effettuata dal terzo, assicurando in tal modo due esigenze complementari; a) il soddisfacimento delle esigenze di economia e celerità processuale, impedendo l'apertura di una parentesi cognitiva; b) la concentrazione di ogni questione attinente alla dichiarazione del « debitor debitoris » nell'ambito dell'espropriazione presso terzo (Auletta, 11). Sul punto si è espressa la Consulta, la quale dichiarando non fondato il rilievo di incostituzionalità dell'art. 549 c.p.c., ha chiarito che: «il legislatore, nell'ambito dell'ampio margine di discrezionalità ad esso riservato in materia processuale, e secondo una logica non estranea al sistema del codice di rito, ha scelto di fare ricorso ad una istruttoria deformalizzata in vista dell'obiettivo, di rilievo costituzionale, di assicurare, nel rispetto dei principi fondamentali che governano il processo, la «ragionevole durata» dello stesso» (C. cost. n. 172/2019). Per quanto riguarda i presupposti per l'avvio del subprocedimento di accertamento dell'obbligo del terzo, essi si riassumono essenzialmente in due ordini di ipotesi: 1) In caso di contestazione della dichiarazione resa dal terzo, ossia ove la stessa sia negativa o, ad esempio, pur essendo positiva, riguardi un importo inferiore a quello che il creditore ritiene dovuto da parte del debitor debitoris; in questo ambito si ritiene rientrino anche le contestazioni relative alla opponibilità al procedente del pagamento o di altre cause estintive del rapporto obbligatorio sussistente tra il debitore ed il terzo, in base all'applicazione dell'art. 2917 c.c.; 2) La novella del 2015 (d.l. n. 83/2015, conv. in l. n. 132/2015, ha inserito anche l'ipotesi della mancata dichiarazione del terzo laddove non siano riscontrabili le condizioni normativamente previste affinché operi il meccanismo del riconoscimento implicito (v. sub commento art. 548 c.p.c.), ossia quando l'allegazione del creditore procedente non consente l'esatta identificazione del credito. Già antecedentemente, però, il d.l. n. 132/2014 (conv. in l. n. 162/2014), la novella dell'art. 548 c.p.c., con la configurazione della fattispecie del riconoscimento implicito, ma sulla base del credito individuato a seguito delle allegazioni del creditore, ha portato a chiedersi se in caso di mancata determinabilità del credito, le parti creditrici potessero usufruire dello strumento dell'accertamento di cui all'art. 549 c.p.c.: possibilità poi codificato dalla novella del 2015. Pertanto, in base alla normativa transitoria, a seconda dalla data di introduzione delle procedure, si avrà lo scenario che segue: a) per le espropriazioni promosse a far data dal 1° gennaio 2013 e sino al 10 dicembre 2014 e regolate dalla l. n. 228/2015, l'art. 549 c.p.c. deve essere interpretato nel senso che i creditori possono provocare lo svolgimento del procedimento incidentale di accertamento dell'obbligo del terzo, non solo quando la dichiarazione espressa del terzo sia in tutto o in parte negativa, ma anche quando il terzo rifiuti di rendere la dichiarazione; si è ritenuto, in via interpretativa che sia possibile, procedere all'accertamento dell'obbligo del terzo anche nel caso in cui a seguito della mancata dichiarazione del terzo non possibile, per una insufficiente indicazione con-tenuta nell'atto di pignoramento, l'esatta identificazione del credito o dei beni del debitore in possesso del terzo; b) per le espropriazioni promosse a far data dall'11 dicembre 2014 e fino al 26 giugno 2015, come tali regolate dal d.l. n. 132/2014, convertito dalla l. n. 162/2014, l'art. 549 c.p.c. deve essere interpretato nel senso che i creditori possono provocare lo svolgimento del procedimento incidentale di accertamento dell'obbligo del terzo, solo quando la dichiarazione espressa del terzo sia in tutto o in parte negativa; anche per tali procedure si è ritenuto, in via interpretativa che sia possibile, procedere all'accertamento dell'obbligo del terzo anche nel caso in cui a seguito della mancata dichiarazione del terzo non è possibile, per una insufficiente indicazione contenuta nell'atto di pignoramento, l'esatta identificazione del credito o dei beni del debitore in possesso del terzo; c) per le espropriazioni promosse a far data dal 27 giugno 2015, quest'ultimo principio è stato espressamente confermato dalla nuova formulazione dell'art. 549 c.p.c. In pratica, può dirsi, concludersi sul punto che: nel procedimento di espropriazione presso terzi, se l'atto di pignoramento notificato non contiene la specifica quantificazione del credito pignorato – ossia se l'indicazione del credito pignorato contenuta nel libello sia priva di quegli elementi minimi idonei a consentire al g.e. l'identificazione e la determinazione quantitativa del credito assegnando – su istanza del creditore (ex art. 486 c.p.c.) si deve procedere all'accertamento endoesecutivo dell'obbligo del terzo, ai sensi dell'art. 549 c.p.c., anche in caso di non contestazione da parte del terzo pignorato rimasto silente, posto che il meccanismo della ficta confessio può operare solo quando l'allegazione del creditore consente la compiuta identificazione del preteso credito nei confronti del debitor debitoris (così Cass. n. 11864/2024). L'oggetto dell'accertamento dell'obbligo del terzoNella formulazione anteriore alla novella del 2012 la Suprema Corte aveva chiarito già il giudizio di accertamento fosse promosso dal creditore in forza di una propria legittimazione ad agire e non in via surrogatoria del debitore, e che esso non aveva «rilevanza limitata alla sola azione esecutiva, ma – anche per motivi di economia e celerità processuale richiesti dai principi del giusto processo ex art. 111 Cost. – si conclude con una sentenza dal duplice contenuto di accertamento: l'uno, idoneo ad acquistare autorità di cosa giudicata sostanziale tra le parti del rapporto, avente ad oggetto il credito del debitore esecutato (che, pertanto, è litisconsorte necessario) nei confronti del terzo pignorato; l'altro, di rilevanza meramente processuale, attinente all'assoggettabilità del credito pignorato all'espropriazione forzata, efficace nei rapporti tra creditore procedente e terzo debitor debitoris e come tale rilevante ai soli fini dell'esecuzione in corso, secondo la forma dell'accertamento incidentale ex lege (cfr. Cass. S.U., n. 25037/2008); è stato però chiarito, specialmente dalla giurisprudenza successiva che doveva escludersi che il «processo di cognizione instaurato, ai sensi dell'art. 548 c.p.c., per l'accertamento dell'obbligo del terzo pignorato, potesse avere:» efficacia di giudicato su questioni estranee, come quelle attinenti alla esperibilità o alla validità del pignoramento o comunque ad una qualità del credito del debitore esecutato, come la sua impignorabilità, anche sotto il profilo dell'incidenza di eventuali vincoli di destinazione. potendo esse costituire unicamente oggetto di opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c.» (tra le altre Cass. n. 1949/2009; Cass. n. 8133/2009; 12 febbraio 2019 n. 3987/2019). La legge del 2012 ha sicuramente modificato il quadro di riferimento e fugato ogni dubbio sull'inquadramento della fattispecie, ossia: l'accertamento di cui all'art. 549 c.p.c. viene messo in campo dal creditore il quale agisce iure proprio; esso ha esclusivamente valenza endoesecutiva con efficacia limitata all'espropriazione in corso; dunque l'oggetto della valutazione è ristretto all'accertamento del credito del debitore nei confronti del terzo, ma nei limiti del credito portato in esecuzione; a maggior ragione deve, pertanto, escludersi che oggetto della parentesi di cognizione in esame possano essere profili attinenti alla pignorabilità del credito, trattandosi di aspetti deducibili dal debitore con l'opposizione all'esecuzione o rilevabili d'ufficio dal Giudice dell'esecuzione (Crivelli). La legittimazione attiva ed il litisconsorzioL'avvio del subprocedimento di accertamento dell'obbligo del terzo prevede l'istanza di parte, per esplicito riferimento normati, pertanto non può essere avviato d'ufficio. Sono legittimati a promuovere l'accertamento dell'obbligo del terzo, non solo il creditore pignorante, ma anche i creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo. sono invece sprovvisti della legittimazione attiva i creditori non titolati poiché non possono compiere atti di espropriazione (Colesanti, 847; Vaccarella, 117 e ss.; Arieta, De Santis, 999) Poiché oggi deve ritenersi che il procedimento endoesecutivo di accertamento ex art. 549 c.p.c. sia promosso iure proprio dal creditore (Soldi, 1226), deve escludersi che l'iniziativa spetti in via concorrente al debitore. Per ciò che concerne i soggetti che vanno coinvolti nel subprocedimento, il nuovo accertamento dell'obbligo del terzo non costituisce più un incidente cognitivo, e, pertanto, non è più possibile riferirsi direttamente e meramente al concetto processuale di litisconsorzio necessario di cui all'art. 102 c.p.c. Può, tuttavia, sostenersi che al procedimento debbono partecipare il creditore che ha assunto l'iniziativa, il debitore ed il terzo pignorato; è, invece, facoltativa la partecipazione degli altri creditori che potrebbero interloquire a sostegno delle tesi dell'attore-istante. La giurisprudenza di legittimità ha, tuttavia, ritenuto che, anche a seguito delle modifiche apportate agli artt. 548 e 549 c.p.c., il debitore esecutato possa essere ritenuto litisconsorte necessario nell'accertamento dell'obbligo del terzo, in quanto interessato alla cognizione del rapporto di credito oggetto di pignoramento, ancorché la pronuncia non faccia stato nei suoi confronti. Peraltro, il debitore esecutato ha interesse ad eccepire che il credito staggito ai suoi danni non faccia parte del suo patrimonio perché oggetto di cessione opponibile al creditore pignorante, ai sensi dell'art. 2914, n. 2, c.c. per scongiurare il rischio di un'azione risarcitoria ai suoi danni (cfr. Cass. n. 236444/2019). Per ciò che concerne, la partecipazione del terzo, la giurisprudenza di legittimità aveva precedentemente asserito che: «anche a seguito delle modifiche apportate agli artt. 548 e 549 c.p.c. dalla l. n. 228/2012 e dal d.l. n. 132/2014 (conv. con modif. dalla l. n. 162/2014), nell'accertamento dell'obbligo del terzo il debitore esecutato è litisconsorte necessario, in quanto interessato all'accertamento del rapporto di credito oggetto di pignoramento, ancorché la pronuncia non faccia stato nei suoi confronti; tuttavia, l'esigenza di tutelare l'integrità del contraddittorio si avverte solamente nel caso in cui il terzo pignorato proponga opposizione agli atti esecutivi, giacché nella fase sommaria il debitore esecutato già partecipa al processo di espropriazione (Cass. n. 26185/2020 e Cass. n. 26329/2019); ed inoltre: «ove nella procedura esecutiva vi siano una pluralità di «terzi pignorati», litisconsorte necessario è unicamente il terzo che ha effettuato una dichiarazione contestata perché negativa o non integralmente positiva (cfr. Cass. n. 12959/2011). Il sub-procedimento di accertamentoL'avvio del procedimento prevede una presa di posizione da parte del creditore interessato (in senso contrario Castoro, 526, secondo cui l'istanza sarebbe implicita nell'atto di pignoramento). Per ciò che concerne il momento ultimo per proporre l'istanza, una lettura coordinata delle norme codicistiche, impone di ritenere che ciò debba avvenire prima che il giudice dell'esecuzione prenda posizione sulla dichiarazione del terzo (positiva o negativa) o sulla inesistenza dei presupposti per far ritenere non contestato il credito ex art. 548 c.p.c. pronunciando ordinanza di assegnazione non completamente satisfattiva o chiudendo la procedura esecutiva (cfr. Cass. n. 12113/2013, pronunciata su una fattispecie anteriore alla novella del 2012, ma le cui conclusioni sul punto, risultano valevoli anche attualmente, in particolare la decisione – seguita da Cass. n. 13015/2016 e Cass. n. 21242/2016 – sottolinea la necessità: non di una semplice contestazione, ma la necessità che il creditore chieda l'avvio della procedura di accertamento). L'istanza per l'avvio del sub-procedimento, dunque, vedrà come termine ultimo non il momento astrattamente successivo alla dichiarazione del terzo o alla presa d'atto della mancanza della dichiarazione, bensì quello in cui il giudice imponga alle parti di prendere posizione sulla dichiarazione, prima di provvedere di conseguenza in base alla stessa. Individuare un termine antecedente (coincidente magari con la successiva udienza di rinvio in caso di mancata dichiarazione ex art. 548 c.p.c.), andrebbe ad introdurre un termine perentorio non previsto dalla norma (Vaccarella 116-117), nonché determinerebbe avvii di accertamenti anche ove essi stessi possono essere evitati, semplicemente compulsando il terzo parzialmente inerte. Per ciò che concerne le modalità di estrinsecazione della volontà di procedere ad accertamento, questa può consistere: in una istanza (prima dell'udienza) o in una dichiarazione da essere recepita nello stesso verbale di udienza (Vaccarella, 118); essa non richiederà il conferimento di una autonoma e distinta procura alle liti al difensore del creditore (v. Cass. n. 21799/2016) e potrà, pertanto, essere formulata secondo i modelli paradigmatici di adizione del giudice dell'esecuzione tratteggiati dall'art. 486 c.p.c. Sebbene la richiesta di accertamento (specialmente alla luce delle modifiche legislative) non possa considerarsi alla stregua di una domanda giudiziale, cionondimeno, si ritiene che nell'istanza debba essere quanto meno identificata la portata dell'obbligo che si vuole far ritenere esistente, nel titolo e genericamente nell'importo. La Corte Costituzionale ha chiarito che: «il creditore procedente deve necessariamente enunciare le ragioni dell'istanza, in modo da garantire il diritto di difesa dei convenuti» nonché che: «gli accertamenti reputati necessari dal giudice devono essere compiuti nel contraddittorio tra le parti e con il terzo» (C. cost., n. 172/2019); è necessario, dunque, che l'istanza sia debitamente circostanziata sia in relazione al petitum, che alla causa petendi, con la conseguenza che, qualora essa sia affetta da genericità, il g.e., in mancanza di reazione delle parti interessate, non deve sollecitarne d'ufficio una specificazione, bensì dichiararne l'inammissibilità (così Cass. n. 13487/2023). Dal punto di vista processuale, sebbene si sia nell'ambito endesecutivo sarà necessario instaurare il rapporto processuale con le parti assenti, nonché dare la possibilità anche a quelle costituite di fornire deduzioni e mezzi di prova. Pertanto, l'istanza di accertamento (compiutamente esplicata, ovvero recante la puntuale specificazione dell'oggetto della pretesa e degli elementi di fatto e di diritto addotti a suffragio di essa) deve essere portata a conoscenza del debitore esecutato e del terzo pignorato, ambedue parti necessarie dell'incidente endoesecutivo (cfr. Cass. n. 23123/2022). Pertanto il verbale di udienza – che riproduce le istanze del creditore – in uno alle eventuali note (ove depositate separatamente) andranno notificati al debitore esecutato ed al terzo, ove non costituiti (Soldi). Il terzo non ha il dovere di munirsi di difesa tecnica. Lo svolgimento endoprocessuale evita inoltre che si debba pervenire a qualche tipo di sospensione della procedura esecutiva in attesa dell'esito dell'accertamento. I poteri accertativi del giudice dell'esecuzioneIn primo luogo, vanno accennati i ruoli processuali delle parti, in particolare dal punto di vista probatorio. Il creditore è l'attore in senso lato, nel senso che allo stesso spetterà provare il fatto costitutivo dell'obbligo del terzo, mentre al terzo spetterà sostenere di aver soddisfatto le ragioni creditorie. Per ciò che attiene alla posizione del debitore principale, può configurarsi l'interesse del debitore esecutato, che è parte del predetto giudizio, ad eccepire la non persistenza del credito nel suo patrimonio, ad esempio deducendo l'avvenuta cessione dello stesso e la prevalenza della cessione sul pignoramento, ai sensi dell'art. 2914 n. 2 c.c. (cfr. Cass. n. 15141/2002 e recentemente n. 23644/2019), mentre l'esecutato non ha facoltà di contestare la positività della dichiarazione del terzo resa nel corso dell'accertamento, non avendo egli interesse ad una contestazione negativa sulla sussistenza di un diritto di credito che fa parte del suo patrimonio (cfr. Cass. n. 5153/2004, nonché Cass. n. 26185/2020 e Cass. n. 26329/2019). A proposito dei poteri accertativi del giudice dell'esecuzione e della qualità delle attività cognitiva consone a tale fase, occorre interpretare il riferimento ai «necessari accertamenti nel contradittorio tra le parti e con il terzo». In particolare, taluno ritiene applicabili, tramite il rinvio contenuto nell'art. 185 disp. att. c.p.c., gli artt. 737 e ss., valorizzando pertanto il potere officioso del Giudice (dell'esecuzione) investito dell'incidente di cognizione, in pratica il giudice dell'esecuzione godrebbe di discrezionalità, anche nella scelta del mezzo istruttorio, per nulla vincolato alla prospettazione fornita dalle parti ed al di fuori del necessario atto di impulso (in questo senso, Trib. Milano 3 marzo 2014). Secondo altri la formula utilizzata («compiuti i necessari accertamenti») evocherebbe, piuttosto, la sommarietà del rito, onde la stessa avrebbe un significato non dissimile dal riferimento agli «atti d'istruzione rilevanti» di cui all'art. 702-bis c.p.c. o agli «atti d'istruzione indispensabili» di cui all'art. 669-sexies c.p.c. (Crivelli). Secondo l'opinione che si ritiene preferibile, l'individuazione delle attività istruttorie espletabili deve avvenire tenuto conto della finalità di tale «accertamento, funzionale (soltanto) alla individuazione dell'oggetto dell'azione espropriativa: sarà quindi sufficiente ottenere quel grado di certezza idoneo allo scopo: ossia all'emissione dell'ordinanza di assegnazione (Passanante, 976; Tota, 289; Auletta, 13). Ciò consente di ritenere «che i poteri istruttori del giudice dell'esecuzione appaiono a un tempo più limitati e più ampi di quelli del giudice dell'ordinaria cognizione: più limitati perché non tutti i mezzi di prova sono compatibili con la struttura e le finalità del processo esecutivo; più ampi, perché la cennata idoneità della pronuncia a incidere stabilmente sulle relazioni intercorrenti tra le parti ben può giustificare il ricorso a prove innominate che il giudice conforma secondo la sua prudente discrezione» (Auletta, 13; Tota, 290). Resta comunque fermo, il principio dell'onere della prova, come già accennato, sicché il giudizio di «necessità» di un certo approfondimento istruttorio deve pur sempre essere condotto alla stregua delle richieste istruttorie delle parti: al creditore incomberà l'onere di dimostrare i fatti costitutivi dell'obbligo, mentre al terzo quello di provare i fatti modificativi, estintivi o impeditivi (Crivelli). Ci si chiede che ruolo giochi il terzo, ossia se possa proporre eccezioni personali al creditore procedente: secondo una parte della dottrina, secondo una parte della dottrina, l'esistenza di un controcredito da parte del terzo potrebbe rientrare nell'oggetto dell'accertamento e giustificarne la reiezione (Colesanti, 1255) secondo per altra opinione, invece solo a seguito dell'emissione dell'ordinanza di assegnazione (e quindi ove il creditore agisca eventualmente contro il terzo in maniera diretta) si potrebbero far valere i presupposti della compensazione, essendo da escludere che «le questioni inerenti il credito del debitor debitoris nei riguardi del creditore possano entrare nell'oggetto del giudizio di cui all'art. 549 c.p.c.Crivelli). Il secondo orientamento risulta rispecchiare la ratio legislativa voluta dal legislatore del 2012 prima e del 2014 e 2015 poi. Quanto ai mezzi istruttori ammissibili, deve ritenersi «senz'altro possibile che il giudice ponga alla base del proprio convincimento elementi conoscitivi in sé inidonei a fondare una decisione in sede di ordinaria cognizione» e, quindi, «non soltanto documenti atipici prodotti o esibiti (quali ad esempio scritture provenienti da terzi, certificazioni amministrative di vario genere, atti notori, scritture che non rientrano nelle tipologie legali, etc.), ma anche prove orali assunte con modalità difformi da quelle previste dal codice di rito (si pensi all'assunzione di informazioni senza la previa articolazione dei capitoli e senza necessità del giuramento del terzo, o mediante redazione di un verbale in forma sintetica); e, più in generale, di ogni altro elemento in grado di fornire al giudice conoscenze intorno ai fatti allegati (interrogatorio libero delle parti, prove aliunde formata, etc.)»(Tota 294, 295). Lo schema di riferimento sembra, in altre parole, quello delle cd. «informazioni» nell'ambito di un procedimento estremamente snello e deformalizzato, ove il g.e. ha ampia discrezionalità rispetto alle modalità di formazione ed assunzione della prova. È ammessa la richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione ex art. 213 c.p.c. (nel merito, Trib. Napoli Nord 6 luglio 2015). Per ciò che concerne la possibilità di esperire una CTU, non se ne vedono ragioni dirimenti, in quanto trattasi di un procedimento deformalizzato ma non avente esclusivamente valore cautelare (oltre che sommario) e propedeutico alla fase di cognizione ordinaria (come nel caso delle opposizioni proposte in corso di esecuzione). Rispetto agli altri mezzi di prova previsti dal Libro II del Codice di rito può delinearsi il seguente breve schema: a) il valore delle scritture private intercorse tra debitore e terzo il creditore soggiace al regime probatorio di cui all'art. 2704 c.c., riguardo alla data certa di tali scritture, essendo pacifico che lo stesso sia estraneo al rapporto tra esecutato e debitor debitoris (Tota 295; Saletti 1021); b) per ciò che concerne la confessione: secondo una prima linea di pensiero, sia il debitore che il terzo, a seguito del pignoramento, perdono la disponibilità del diritto colpito dal vincolo preordinato all'esproprio, mentre il creditore non è affatto titolare di quel diritto, onde andrebbe esclusa in apicibus l'ammissibilità della stessa (Saletti, 295); Secondo altra linea di pensiero, il creditore potrebbe rendere confessione (così disponendo dell'oggetto dell'azione esecutiva) e potrebbe egli stesso provocare la confessione del terzo, sebbene con la limitata valenza di cui all'art. 2733, comma 3, c.p.c., data la sussistenza di un litisconsorzio necessario, atteso che il debitor debitoris è gravato, in forza del pignoramento, soltanto di obblighi di custodia ex art. 546 c.p.c. (Tota 295, Crivelli); c) viene generalmente esclusa l'ammissibilità del giuramento, in quanto l'ordinanza con la quale il Giudice «risolve» le contestazioni è priva di decisorietà, essendo – più semplicemente – diretta all'attuazione della pretesa esecutiva del procedente (Auletta, 14). La conclusione che se ne trae è che l'onere probatorio del creditore sia senz'altro alleggerito. Egli infatti si avvantaggerà di quanto disposto dagli artt. 2913 e ss. c.c., tenuto anche conto della ritenuta applicabilità dell'art. 2704 c.c. relativamente alla prova della data certa della scrittura resa inter alios; la tipologia di procedimento in cui è incasellato attualmente l'accertamento dell'obbligo del terzo rende inoperante il maccanismo di cui all'art. 232 c.p.c., poiché la mancanza della dichiarazione (che nell'ambito dell'abrogato giudizio a cognizione piena giustificava l'applicazione della norma) dà luogo, secondo la normativa vigente, al riconoscimento implicito del debito da parte del terzo, laddove, in assenza delle condizioni affinché operi il predetto meccanismo, «non è che il precedente sistema potesse aggiungere qualcosa all'identificazione del bene o del credito» (Crivelli); d) il Giudice potrà, infine, desumere argomenti di prova dal contegno delle parti ai sensi degli artt. 116 e 117 c.p.c. (Auletta, 14). Come ha sottolineato la giurisprudenza più recente sul punto, in seguito alle modifiche apportate dalla l. n. 228/2012, dal d.l. n. 132/2014 e dal d.l.n. 83/2015, lo svolgimento del subprocedimento per l'accertamento dell'obbligo del terzo è sottratto al regime delle preclusioni proprio dei giudizi di cognizione ed è rimesso alle determinazioni del giudice dell'esecuzione che, salvi il rispetto del contraddittorio e la tutela effettiva del diritto di difesa delle parti, è legittimato a disporre d'ufficio ogni mezzo di prova ritenuto necessario, anche superando i limiti di ammissibilità stabiliti dal codice civile e le rigide modalità di assunzione prescritte dal codice di procedura civile (anche in deroga dunque al principio di cui all'art. 115 c.p.c.); ciò non toglie però, pur nella disomogeneità del compendio istruttorio, che resti fermo il principio informatore del riparto dell'onus probandi, secondo la quale (vedi Cass. n. 12439/2021), il creditore istante è tenuto a provare l'esistenza (e l'entità) del credito verso il terzo del proprio debitore (o l'appartenenza a questi della res staggita), mentre grava sul terzo pignorato il carico della dimostrazione del fatto estintivo dedotto e della anteriorità di esso al pignoramento (cfr. Cass. n. 23123/2022 cit.). La stabilità dell'accertamentoL'ultimo profilo da esaminare attiene alla stabilità dell'accertamento contenuto nell'ordinanza ex art. 549 c.p.c. laddove la stessa non sia oggetto di opposizione agli atti esecutivi. Secondo alcuni interpreti, l'accertamento svolto in tale sede non avrebbe efficacia preclusiva: ossia: il terzo potrebbe – nell'ambito del procedimento esecutivo intentato nei suoi riguardi dal creditore – dedurre che nulla era dovuto all'esecutato (Russo, 633). A ciò si obietta però che tanto l'art. 548 c.p.c. quanto il successivo art. 549 c.p.c. chiariscono che l'effetto dell'accertamento (conseguente al meccanismo del riconoscimento implicito o all'accoglimento dell'istanza del procedente) spiega i propri effetti non solo «ai fini del procedimento in corso», ma anche ai fini «dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione». L'interpretazione ormai prevalente sostiene che la valenza della statuizione di accertamento contenuta nell'ordinanza conclusiva fonda il potere del giudice dell'esecuzione di disporre l'assegnazione o la vendita forzate dei beni o crediti ben pignorati presso il terzo; spiega poi effetti vincolanti anche nel successivo (eventuale) procedimento di esecuzione forzata promosso dall'acquirente o dall'assegnatario nei confronti del terzo pignorato inadempiente, ma null'altro. In particolare si ritiene esclusa, in maniera assoluta, un'idoneità al giudicato sostanziale sul complesso delle relazioni di diritto sostanziale intercorrenti tra ogni e ciascuna delle parti in lite; ineludibile corollario è l'impossibilità di prospettare qualsiasi interferenza (declinabile come litispendenza oppure come ragione di sospensione per pregiudizialità) tra l'incidente endoesecutivo e giudizi o procedimenti di cognizione, in altra sede svolti, concernenti il credito dell'esecutato verso il terzo (sul punto, Cass. n. 23123/2022). Aderendo a detto assunto (che si ritiene maggiormente compatibile con l'impianto normativo) il terzo potrà, nelle vesti di debitore esecutato, opporre al procedente (già creditor creditoris) solo fatti modificativi o estintivi maturati successivamente alla formazione del titolo, laddove per quelli venuti ad esistenza prima di tale si imporrebbe – ove non siano state dedotti nella sede opportuna – la preclusione dell'accertamento compiuto da parte del g.e.; ciò partendo dal principio ormai consolidato dalla giurisprudenza, secondo cui: il processo esecutivo costituisce un sistema chiuso di rimedi e non tollera azioni di contestazione dei suoi atti diverse da quelle espressamente previste (Cass. n. 6521/2014; Cass. n. 7708/2014; Cass. n. 23182/2014; Cass. n. 11172/2015; Cass. n. 12242/2016; Cass. n. 5175/2018, Cass. n. 11191/2019). Ci si chiede poi se gli esiti di tale accertamento possano essere ridiscussi nell'ambito dell'opposizione agli atti esecutivi proposta avverso l'ordinanza di assegnazione (adottata sulla premessa che il credito dell'esecutato verso il terzo esista nei termini risultanti all'esito dell'incidente di cognizione ex art. 549 c.p.c.). La perplessità risiede nella possibilità di aggiramento del termine decadenziale di cui all'art. 617, comma 2 c.p.c. In concreto, nella normalità dei casi, i due provvedimenti (ordinanza dichiarativa della sussistenza dell'obbligo del terzo e ordinanza di assegnazione), quando non compendiati in un unico atto, sono adottati contestualmente, il che rende sostanzialmente, pertanto residuale il rischio di un surrettizio aggiramento del termine decadenziale previsto dall'art. 549 c.p.c. A prescindere da tale rilievo pratico, si può mettere a confronto tale fattispecie con quella art. 548 c.p.c., la cui disciplina prevede l'impugnazione dell'ordinanza di assegnazione formatasi sulla base della c.d. non contestazione. In questo caso, se è vero che è ammessa l'impugnazione dell'ordinanza di assegnazione, è anche vero che esso (nel caso dell'art. 548 c.p.c.) è l'unico mezzo di impugnazione per far valere la scorrettezza del meccanismo del riconoscimento implicito. Pertanto, sulla scorta del cennato parallelismo, si potrebbe ammettere il terzo a tale impugnazione, per così dire, in chiave «recuperatoria», cioè a condizione che deduca di non aver avuto conoscenza del procedimento esecutivo o del sub-procedimento cognitorio sorto nell'ambito del primo (Auletta, 15). Resta da precisare che, anche nel nuovo assetto procedimentale, resta valido l'orientamento giurisprudenziale, in base a cui la dichiarazione positiva, non contestata, resa dal terzo pignorato nell'udienza di comparizione (ossia odiernamente in quella fissata nel subprocedimento di accertamento) comporta la cessazione della materia del contendere (Cass. n. 6581/2009). Quanto alla statuizione sulle spese, in un recente precedente si è evidenziato che nel giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo disciplinato dagli artt. 548 e 549 c.p.c. nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dalla l. n. 228/2012 e dal d.l. n. 132/2014, convertito dalla l. n. 162/2014, in caso di sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo giudiziale in forza del quale era stata intrapresa la procedura espropriativa, tenuto a sopportare le spese processuali è, in applicazione del principio di causalità e salva la ricorrenza di situazioni giustificanti la compensazione, il creditore attore nella controversia di accertamento, per avere egli promosso e proseguito l'esecuzione in virtù di un titolo non definitivo assumendo così il rischio del suo successivo travolgimento (Cass. n. 6021/2018). Dunque in linea generale, può affermarsi che, a seguito alle modifiche apportate dalla l. n. 228/2012, dal d.l. n. 132/2014 e dal d.l.n. 83/2015, il giudice dell'esecuzione debba pronunciarsi sulle spese del subprocedimento di accertamento dell'obbligo del terzo ed esse «non vanno liquidate sulla base del criterio di regolamentazione delle spese dell'espropriazione forzata (sancito dall'art. 95 c.p.c., ma incompatibile con l'incidente di accertamento), bensì – per analogia, in mancanza di un criterio di regolamentazione ad hoc e in ragione della strutturale fisionomia contenziosa del subprocedimento – secondo il principio della soccombenza per causalità sul quale si fonda la responsabilità del processo, salva la facoltà di compensazione, qualora l'organo giudicante ravvisi la ricorrenza dei presupposti indicati dall'art. 92 c.p.c.» (cfr. Cass. n. 23123/2022 cit., in ossequio all ragionamento sul punto già effettuato da Cass. n. 12513/2003). L'impugnazione dell'ordinanza di accertamento dell'obbligo del terzoL'art. 549 c.p.c., come attualmente in vigore, prevede espressamente che l'ordinanza emessa all'esito del subprocedimento di accertamento dell'obbligo del terzo sia impugnabile ex art. 617, comma 2 c.p.c. La disciplina sicuramente trova un corrispondente nella analoga previsione dell'art. 512 c.p.c., in sede di contestazioni al piano di riparto in sede immobiliare. Per ciò che concerne i vizi deducibili, l'ordinanza risulta impugnabile sia per vizi formali (es. violazione delle regole per l'instaurazione del contraddittorio), ma anche per far valere violazioni di natura sostanziale, ossia per confutare la prova dell'esistenza del credito endoesecutivamente accertato (Soldi). Per ciò che concerne la valenza da assegnare alla sentenza eventualmente pronunciata a seguito dell'opposizione ex art. 617 c.p.c., spiegata contro l'ordinanza di accertamento, occorre prendere le mosse dal valore che ormai è proprio di suddetta ordinanza. Dal momento infatti che l'ordinanza emessa produce effetti ai soli fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione e non dà luogo alla formazione di un giudicato sull'an o sul quantum del debito del terzo nei confronti dell'esecutato, la soluzione maggiormente confacente alla svolta della novella, risulta essere quella di conformare la valenza e gli effetti della sentenza emessa ex art. 617, comma 2 c.p.c., all'ordinanza di cui si chiede la modifica o l'eliminazione. Di conseguenza, la sentenza emessa a seguito dell'opposizione ex art. 617, comma 2 c.p. accerterà l'obbligo del terzo (confermando o ribaltando l'ordinanza del giudice dell'esecuzione), consentendo l'assegnazione o la vendita nei limiti di quanto accertato ma non potrà mai essere invocata nei rapporti tra il debitore esecutato ed il terzo nel corso di un eventuale diverso giudizio che dovesse vederli coinvolti (Soldi). Vanno, infine, individuati i criteri per valutare a chi spetti la legittimazione a proporre l'opposizione ex art. 617 c.p.c. Poiché, nell'attuale assetto normativo, il creditore, quando provoca l'introduzione del «nuovo» accertamento dell'obbligo del terzo agisce iure proprio, nei confronti del debitore poiché mira a creare le condizioni per la prosecuzione dell'attività esecutiva, pare potersi affermare che, nel caso in cui l'ordinanza del giudice dell'esecuzione rigetti la domanda accertando l'inesistenza del diritto del terzo pignorato, legittimato a proporre l'impugnazione sia il solo creditore istante procedente o intervenuto munito di titolo esecutivo (pregiudicato dalla decisione che gli impedisce il compimento degli ulteriori atti di esproprio), mentre l'ordinanza che, accogliendo la domanda, dia atto dell'esistenza dell'obbligo del terzo, è impugnabile ad istanza del solo terzo pignorato, in quanto unica parte soccombente. Il debitore, invece, (per quanto detto in precedenza sullo stesso avvio del subprocedimento di accertamento), non deve considerarsi mai legittimato all'impugnazione poiché, non essendo parte in senso sostanziale del procedimento incidentale, non potrebbe mai risultare vittorioso o soccombente. 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