Decreto legislativo - 10/02/2005 - n. 30 art. 129 - Descrizione e sequestro121. Il titolare di un diritto di proprieta' industriale puo' chiedere la descrizione o il sequestro, ed anche il sequestro subordinatamente alla descrizione, di alcuni o di tutti gli oggetti costituenti violazione di tale diritto, nonche' dei mezzi adibiti alla produzione dei medesimi e degli elementi di prova concernenti la denunciata violazione e la sua entita'. Sono adottate le misure idonee a garantire la tutela delle informazioni riservate. 2. Il giudice, sentite le parti e assunte, quando occorre, sommarie informazioni, provvede con ordinanza e, se dispone la descrizione, autorizza l'eventuale prelevamento di campioni degli oggetti di cui al comma 1. In casi di speciale urgenza, e in particolare quando eventuali ritardi potrebbero causare un danno irreparabile al titolare dei diritti o quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l'attuazione del provvedimento di descrizione o di sequestro, provvede sull'istanza con decreto motivato. [3. Salve le esigenze della giustizia penale non possono essere sequestrati, ma soltanto descritti, gli oggetti nei quali si ravvisi la violazione di un diritto di proprieta' industriale, finche' figurino nel recinto di un'esposizione, ufficiale o ufficialmente riconosciuta, tenuta nel territorio dello Stato, o siano in transito da o per la medesima.]3 4. I procedimenti di descrizione e di sequestro sono disciplinati dalle norme del codice di procedura civile concernenti i procedimenti cautelari, in quanto compatibili e non derogate dal presente codice. Ai fini della conferma, modifica o revoca della descrizione e dell'eventuale concessione delle misure cautelari chieste unitamente o subordinatamente alla descrizione, il giudice fissa l'udienza di discussione tenendo conto della descrizione allo scopo di valutarne il risultato4. [1] Rubrica sostituita dall'articolo 56 del D.lgs. 13 agosto 2010, n.131. [2] Articolo sostituito dall'articolo 56 del D.lgs. 13 agosto 2010, n.131. [3] Comma abrogato dall'articolo 22, comma 1, della Legge 24 luglio 2023, n. 102. [4] Articolo sostituito dall'articolo 56 del D.lgs. 13 agosto 2010, n.131. InquadramentoGli artt. 129 e 130 c.p.i., da un lato, e 131 c.p.i., dall'altro lato, prevedono misure cautelari che sono espressamente previste nel nostro ordinamento soltanto nella materia della proprietà industriale, oltre che in quella della proprietà stricto sensu intellettuale (artt. 161 e 163 l. n. 633/1941, così come ripetutamente novellati): si tratta, nel caso delle prime due norme, delle misure della descrizione e del sequestro, nel caso dell'art. 131, di quelle dell'inibitoria e dell'ordine di ritiro dal commercio. In particolare, il sequestro è sì previsto anche dal codice di procedura civile (artt. 670,671 ss. c.p.c.), ma quello previsto dall'art. 129 c.p.i. ha peculiarità tali da distanziarlo nettamente dagli istituti generali del sequestro giudiziario e del sequestro conservativo. La nuova disciplina sul brevetto europeo con effetto unitario e sulla Unified Patent Court dei Reg. UE n. 1257/2012 e 1260/2012 e dell'Agreement emanato dal Consiglio UE l'11 gennaio 2013 ha peraltro elencato, quali provvedimenti cautelari esigibili a tutela del brevetto europeo, misure cautelari e provvisorie assai simili a quelle previste, dapprima, nella Direttiva Enforcement e, poi, nel nostro codice di proprietà industriale, ancorché con nomi non del tutto coincidenti: un «Ordine di protezione delle prove e di ispezione in loco» (art. 60 Agreement); le «Decisioni di blocco dei beni» (art. 61 Agreement); le «Misure provvisorie e cautelari» più propriamente dette, di ingiunzione e di sequestro (art. 62 Agreement); oltre che un «ordine di presentare elementi di prova» (art. 59 Agreement), paragonabile agli strumenti c.d. di discovery degli artt. 121 e 121-bis e che nel silenzio normativo parrebbe applicabile anch'esso ai procedimenti cautelari. I precedenti della normaPrima che il c.p.i. entrasse in vigore si applicavano le seguenti norme: Art. 81 l.i. (r.d. 29 giugno 1939, n. 1127) secondo cui «Il titolare dei diritti di brevetto per invenzione industriale può chiedere che sia disposta la descrizione o il sequestro di alcuni o di tutti gli oggetti prodotti in violazione di tali diritti, nonché dei mezzi adibiti alla produzione dei medesimi e degli elementi di prova concernenti la denunciata violazione. Sono adottate in quest'ultimo caso le misure idonee a garantire la tutela delle informazioni riservate»; Art. 82 l.i. (r.d. 29 giugno 1939, n. 1127) secondo cui «1. Salvo quanto diversamente disposto dai commi successivi, i procedimenti di cui all'art. 81 sono disciplinati dalle norme del codice di procedura civile concernenti i procedimenti cautelari rispettivamente di istruzione preventiva e di sequestro»; Art. 84 l.i. (r.d. 29 giugno 1939, n. 1127) secondo cui «In deroga a quanto è disposto negli artt. precedenti e salve le esigenze della giustizia penale, non possono essere sequestrati, ma soltanto descritti, gli oggetti nei quali si ravvisi una violazione di brevetto per invenzione industriale finché figurino nel recinto di una esposizione, ufficiale o ufficialmente riconosciuta, tenuta nel territorio dello Stato, o siano in transito da o per la medesima»; Art. 61 l.m. (r.d. 21 giugno 1942, n. 929) secondo cui «Il titolare dei diritti sul marchio registrato o in corso di registrazione può chiedere che sia disposta la descrizione o il sequestro di alcuni o di tutti gli oggetti costituenti violazione di tali diritti, nonché dei mezzi adibiti alla produzione dei medesimi e degli elementi di prova concernenti la denunciata violazione. Sono adottate in quest'ultimo caso le misure idonee a garantire la tutela delle informazioni riservate»; Art. 6, comma 2 1 l.m. (r.d. 21 giugno 1942, n. 929) secondo cui «Salvo quanto diversamente disposto dai commi successivi, i procedimenti di cui all'art. 61 sono disciplinati dalle norme del codice di procedura civile concernenti i procedimenti cautelari rispettivamente di istruzione preventiva e di sequestro»; Art. 6, comma 4 1 l.m. (r.d. 21 giugno 1942, n. 929) secondo cui «In deroga a quanto è disposto negli artt. 61 e 62 e salve le esigenze della giustizia penale, non possono essere sequestrati, ma soltanto descritti, gli oggetti nei quali si ravvisi una violazione di marchio registrato, finché figurino nel recinto di un'esposizione, ufficiale o ufficialmente riconosciuta, tenuta nel territorio dello Stato, o siano in transito da o per la medesima». Il c.p.i. ha poi ripreso la disciplina del sequestro con l'art. 129 in commento. Funzioni del sequestro ex art. 129 c.p.i. e differenze con gli istituti similariLa funzione di tale misura può variare a seconda degli oggetti colpiti. Il sequestro ha sì mantenuto la funzione propria di evitare il perdurare della violazione assicurando la destinazione degli oggetti sequestrati all'eventuale assegnazione in proprietà al titolare dell'esclusiva (Scuffi, Diritto processuale) attraverso la funzione ablativa, cioè di sottrazione del bene (a mezzo di ufficiale giudiziario, eventualmente coadiuvato da un perito) dalla disponibilità del contraffattore, ma ha acquistato anche un'indubbia finalità probatoria assicurando al contempo la prova dell'impiego dei prodotti contraffattivi in assunta violazione dell'esclusiva (del resto anche la nuova disciplina di tutela giudiziaria del brevetto europeo, all'art. 60, par. 2, dell'Agreement del Consiglio UE, 11 gennaio 2013, pone, insieme alla descrizione, anche «il sequestro dei prodotti controversi e, all'occorrenza, dei materiali e degli strumenti utilizzati nella fabbricazione e/o distribuzione di tali prodotti e dei relativi documenti» tra le «misure di protezione delle prove»; ma l'art. 62, par. 3, dello stesso Agreement prevede a sua volta che il tribunale possa disporre il sequestro anche per l'altra sua finalità principale, ablativa / inibitoria / preventiva: «Il tribunale può anche disporre il sequestro o la consegna dei prodotti sospettati di violare un brevetto per impedirne l'ingresso o la circolazione nei circuiti commerciali»). Inoltre è ravvisabile un'eventuale funzione inibitoria, in quanto il sequestro è volto anche ad evitare il perdurare della violazione (tant'è che qualcuno lo ha ricompreso tra i provvedimenti cautelari anticipatori dotati di stabilità) e quindi ha l'effetto di prevenire l'illecito futuro: questo avverrà soprattutto quando oggetto del sequestro sono non solo i beni oggetto della contraffazione, ma anche i mezzi che servono univocamente a produrli (è stata anche coniata, per definire questa misura cautelare «tipica», la nozione di «sequestro a scopo di inibitoria»: si cfr. Floridia). Ad ogni modo il sequestro resta un provvedimento autonomo rispetto a quello ex art. 131 c.p.i. poiché svolge principalmente la funzione di privare il contraffattore dei prodotti o dei mezzi con cui viola l'esclusiva; l'inibitoria invece, volta a colpire tutta la produzione e non soltanto i beni contraffatti, tende a contrastare l'intera potenzialità dannosa della contraffazione imponendo determinate condotte negative (Casaburi). Inoltre, mentre il sequestro costituisce un «vincolo oggettivo» su cose determinate, limitando la facoltà di accedervi a tutti i soggetti che possono entrare in relazione con tali cose, l'inibitoria si rivolge, pur comunque limitando le facoltà verso qualsiasi mezzo che possa essere impiegato per la fabbricazione e la commercializzazione delle cose vietate, ad una persona determinata (Scuffi, Diritto processuale; in senso analogo, in giurisprudenza, Trib. Roma 6 marzo 2000). Proprio in ragione delle diverse funzioni delle due misure, inibitoria e sequestro, in giurisprudenza è stato ammesso il loro cumulo (Trib. Roma 6 marzo 2000), cosicché spesso, come si vedrà più avanti, insieme all'inibitoria, viene concesso anche il sequestro al fine di garantire l'effetto della prima (Trib. Milano 12 febbraio 2002; Trib. Napoli 19 dicembre 2000). In particolare in dottrina si erano consolidate due diverse opinioni: alcuni ritenevano che il sequestro industriale avesse la sola funzione di assicurazione della prova, così assimilandolo al sequestro giudiziario, mentre la seconda riteneva che il sequestro industrialistico avesse la funzione di impedire l'ulteriore circolazione dei prodotti in contraffazione e il perdurare della violazione (così Spolidoro, Sena, Scuffi, La tutela cautelare speciale). Ancora, è stato ravvisato (insiste soprattutto su questo profilo Scuffi, Diritto processuale. In ogni caso il dibattito circa la prevalenza dell'una o dell'altra funzione del sequestro ancora non è concluso) un profilo preparatorio del sequestro, ovvero quello di rendere possibile l'attuazione dell'eventuale sanzione di merito che consiste nell'assegnazione dei prodotti in contraffazione in proprietà al titolare della privativa (art. 124, comma 4, c.p.i.) ovvero nella loro distruzione (art. 124, comma 3 c.p.i.). La giurisprudenza, inoltre, ha recentemente messo in evidenza un'ulteriore finalità del sequestro: quella dissuasiva, diretta a indurre il contraffattore ad astenersi dalla reiterazione dell'illecito (Trib. Bologna 5 marzo 2008). In ragione delle anzidette finalità del sequestro ex art. 129 c.p.i. (riassumendo: ablativa, inibitoria, probatoria, preparatoria, dissuasiva), l'assimilazione tra sequestro industrialistico e sequestro giudiziario previsto dall'art. 670 c.p.c., se fino a poco tempo fa (Gioia; Capra) era considerata pressoché pacifica, oggi, nonostante abbiano la stessa struttura e funzione fondamentale (pur su piani diversi), è messa in discussione. Si evidenzia, infatti, una precisa differenza tra le due misure che può essere paragonata a quella che intercorre tra diritto di esclusiva e diritto di proprietà poiché anch'essa verte sulla concezione di «godimento» e di «esclusività». Mentre per il sequestro giudiziario (previsto dall'art. 670 c.p.i. secondo cui «il giudice può autorizzare il sequestro giudiziario: 1) di beni mobili o immobili, aziende o altre universalità di beni, quando ne è controversa la proprietà o il possesso, ed è opportuno provvedere alla loro custodia o alla loro gestione temporanea. 2) di libri, registri, documenti, modelli, campioni e di ogni altra cosa da cui si pretende desumere elementi di prova, quando è controverso il diritto alla esibizione o alla comunicazione, ed è opportuno provvedere alla loro custodia temporanea») si disputa attorno al godimento esclusivo del bene e, in questo senso, l'esclusività del godimento è semplicemente una conseguenza della materialità dell'oggetto, nel sequestro industrialistico si discute intorno al concetto di esclusività del godimento, poiché ciò che interessa è il fatto di essere i soli a poter utilizzare la privativa e non tanto quello dell'utilizzo dell'oggetto in sé (Sena, I diritti). Infine il sequestro industrialistico ha ovviamente una funzione diversa dal sequestro penale; perciò non può essere escluso il periculum in mora per il fatto che i prodotti in contraffazione siano già sottoposti a sequestro penale, misura cautelare non sovrapponibile a quella prevista da codice di proprietà industriale: infatti il sequestro penale potrebbe essere revocato in qualunque momento con la conseguenza che, in mancanza della misura concorrente del sequestro ex art. 129 c.p.i. potrebbe verificarsi il pericolo della dispersione dei beni (Trib. Torino 20 settembre 2006). Infine si segnale che (Cass. civ. I, n. 25069/2021) il sequestro cautelare di cui all'art. 129 c.p.i. è misura inidonea a stabilizzarsi, e che nella sostanza condivide, coi provvedimenti di cui agli artt. 126,128,131 e 133 c.p.i., il regime generale contemplato dall'art. 669-octies c.p.c. La sorte dei beni sequestrati è regolata dalla pronuncia di merito, coerentemente alla natura cautelare del provvedimento di sequestro ai sensi dell'art. 124 c.p.i. Il fumus boni iurisIl ricorrente presenta l'istanza di sequestro al presidente della sezione specializzata del Tribunale competente per il giudizio di merito. L'istanza avrà come presupposti il fumus boni iuris e il periculum in mora. Il fumus boni iuris presuppone, nel processo industriale, l'accertamento sommario della duplice condizione della «validità» della privativa (ove contestata) e dell'«interferenza» del trovato messo in circolazione dal terzo. Una domanda cautelare richiesta da chi si asserisca titolare della privativa che non sia accompagnata da un documento da cui si possa desumere un sospetto o un indizio della veridicità della asserzione fatta si presenta come «meramente esplorativa» (Scuffi), in quanto già per questo solo motivo priva del requisito del fumus necessario al fine del suo accoglimento. In ordine alla validità della privativa (fatto costitutivo del diritto di cui si chiede la tutela cautelare), il ricorrente può avvalersi, ai fini del giudizio di verosimiglianza, dell'art. 121, comma 1 c.p.i., che pone l'onus probandi, della decadenza o della nullità del titolo, a carico del soggetto che contesta la validità dell'altrui titolo di privativa: «l'onere di provare la nullità o la decadenza del titolo di proprietà industriale incombe in ogni caso a chi impugna il titolo». È dunque prevista una presunzione iuris tantum di validità del titolo che può assistere il ricorrente – con conseguente inversione dell'onere della prova (art. 2697 c.c., ove è affermato il principio secondo cui onus probandi incumbit ei qui dicit; analogamente l'art. 54 dell'Agreement del Consiglio UE, 11 gennaio 2013, sul Tribunale unificato dei brevetti, intitolato «Onere della prova», dispone assai sinteticamente che «... l'onere della prova dei fatti spetta alla parte che li adduce») – sui fatti costitutivi il diritto di privativa, conseguente alla presunzione «semplice» (che cesserà di operare quando il resistente eccepisce – anche con domanda riconvenzionale – la nullità o la decadenza del titolo fornendo elementi suscettibili ad inficiarne la validità; cfr. Scuffi,Diritto processuale) di legittimità che si ha negli atti amministrativi e nella procedura istruttoria che precede il rilascio della concessione. La norma dunque opera sotto un duplice profilo: da una parte solleva il ricorrente dall'onere di provare i requisiti di validità del proprio titolo, dall'altra impone al giudice (in via principale, incidentale o riconvenzionale) di rigettare sia l'azione sia l'eccezione quando non sia stata data «piena» prova dell'esistenza di una delle cause di decadenza o di nullità previste dalla legge (Riva). In questi casi sarà più agevole la verifica del fumus nel caso in cui il diritto di cui si chiede la tutela sia titolato. Per i diritti non titolati si applica la norma generale, per cui il ricorrente deve dimostrare i fatti costitutivi che provino la validità e l'esistenza del diritto, quindi: l'uso qualificato per i segni distintivi non registrati, i presupposti dell'art. 29 c.p.i. per le indicazioni geografiche, i presupposti dell'art. 98 c.p.i. per le informazioni segrete (A. Vanzetti, Di Cataldo). La norma fa espressamente riferimento al titolo e quindi la sua portata applicativa è limitata ai soli diritti oggetto di brevettazione e di registrazione e ancora di più nel caso in cui sia stato operato un esame preventivo per la concessione del brevetto o della registrazione e ne sia stato prodotto con il ricorso l'attestato e, se possibile, la documentazione relativa alla file discovery (Scuffi, Diritto processuale; Donato). La valutazione del fumus risulta comunque più agevole in tema di marchi in quanto ha ad oggetto una materia più «comprensibile» (senza necessari ausili tecnici) per il giudice; in effetti in tal caso saranno sufficienti tabulati di raccolta di segni identici o simili, inchieste sulla diffusione del marchio, prova dell'intensità di campagne pubblicitarie, ecc. Più complessa è invece (specialmente se richiesta inaudita altera parte) l'indagine in tema di invenzioni industriali poiché il giudice risulta sprovvisto di quelle competenze tecniche che gli consentono di provvedere da solo ed in via immediata sull'oggetto del contendere; in tale caso si rivela necessario l'ausilio di un consulente tecnico che ovviamente può compromettere la caratteristica tipica del provvedimento cautelare, ovvero quello dell'urgenza (Scuffi). Nel caso in cui poi il giudizio di contraffazione investa non privative già concesse, ma ancora allo stato di domanda, poiché in corso il procedimento di brevettazione o di registrazione, per evitare che il ricorrente sia avvantaggiato nella pendenza dalla tutela provvisoria garantita dall'art. 132, comma 1 c.p.i. (cioè la concedibilità dei provvedimenti cautelari anche in corso di brevettazione o registrazione) è sicuramente necessario che egli provi ab initio i presupposti di brevettabilità o registrabilità (Trib. Trieste 14 ottobre 2004). Così, nel caso di incertezza circa la validità del brevetto del soggetto ricorrente, è stato negato un provvedimento di sequestro (Trib. Roma 20 aprile 2006; Trib. Bologna 4 marzo 2005). Per quanto riguarda i diritti di proprietà industriale non titolati (cioè quelli elencati nel comma 4 dell'art. 2, c.p.i. in contrapposizioni ai «titoli di proprietà industriale» di cui ai commi precedenti della stessa norma), per i quali non è neppure pendente un procedimento amministrativo di brevettazione o registrazione perché la legge per essi non lo prevede, l'onere della prova, ancorché del solo fumus (e non quindi dell'accertamento pieno del diritto che dovrà aversi all'esito del giudizio di merito) è sempre più complesso rispetto ai diritti titolati. Ad esempio, il titolare di un marchio di fatto, cioè non registrato, per ottenere un provvedimento cautelare dovrà provare l'uso del segno e inoltre anche la notorietà non meramente locale di tale uso, mentre al titolare di marchio registrato basterà documentare la registrazione. Spetta invece al convenuto-resistente nel procedimento cautelare, che voglia vedere rigettata l'istanza avversaria, dimostrare la nullità del marchio ex art. 25 c.p.i. (ad esempio per difetto di novità ex art. 12 c.p.i. o per difetto di capacità distintiva ex art. 13 c.p.i.) o la decadenza ex art. 26 c.p.i. Analogamente per i brevetti per invenzione, spetta al convenuto-resistente dimostrare la nullità dell'invenzione industriale ex art. 76 c.p.i. o la decadenza ex art. 75 c.p.i., ecc.... L'unica eccezione (almeno apparente) è data dall'ultima parte dell'art. 121, comma 1 c.p.i., laddove è disposto che «La prova della decadenza del marchio per non uso può essere fornita con qualsiasi mezzo comprese le presunzioni semplici»: ciò, evidentemente, per non onerare chi è accusato della contraffazione di una probatio diabolica di una circostanza negativa, quale appunto il «non uso» ex art. 24 c.p.i., per quanto concerne i marchi, e art. 70, comma 4, c.p.i., per quel che attiene le invenzioni (essendo molto più semplice per la controparte provare l'«uso»). Ma l'onere di provare il fumus per l'attore-ricorrente in contraffazione non si ferma alla sola esistenza o validità del proprio diritto di privativa: per evitare, come visto, che si tratti di azione cautelare «meramente esplorativa», occorre – prosegue la norma dell'art. 21, comma 1 c.p.i. – che, «Salvo il disposto dell'art. 67 l'onere di provare la contraffazione incombe al titolare». Difatti, nel fatto costitutivo della pretesa conseguente allo ius excludendi alios è compresa anche la commissione dell'illecito, che nella nostra materia coincide per l'appunto con la contraffazione, cioè con la violazione dei diritti di privativa industriale. È controverso in dottrina se possa essere o meno concesso un sequestro sulla base di un brevetto nullo, anche se poi questo possa essere convertito con una domanda successiva di modello di utilità. Una parte della dottrina è contraria alla conversione e di conseguenza alla concessione del sequestro, poiché essa «presuppone la declaratoria di nullità del brevetto da convertire e comporta la sostituzione di un titolo di privativa con un altro: titoli diversi non soltanto dal punto di vista formale, ma anche sostanziale, stante l'esistenza di una differenza non meramente quantitativa, ma anche qualitativa, tra brevetto per modello e brevetto per invenzione» (Angelini, «la decisione ribadisce il principio secondo cui la mera titolarità di un brevetto non è sufficiente ad integrare il fumus boni iuris richiesto ai fini della concessione di una misura cautelare dovendo il giudice valutare, nel caso concreto, la verosimiglianza del brevetto fatto valere»). Così l'allegazione in corso di causa di brevetti nuovi a sostegno della domanda di contraffazione viene ritenuta domanda nuova e la pronuncia da parte del giudice su un brevetto diverso da quello su cui si era basata inizialmente la domanda darà luogo a ultrapetizione. Un altro orientamento è contrario a questa tesi affermando che, poiché la conversione del brevetto opera retroattivamente, la stessa condotta sarà ugualmente in contraffazione del brevetto che scaturirà dalla conversione (Cartella). Il periculum in moraSecondo l'orientamento giurisprudenziale maggioritario (Trib. Torino 25 maggio 2005; Trib. Napoli 7 aprile 200; Trib. Torino 1° febbraio 2005; Trib. Torino 24 aprile 2005; Trib. Napoli 4 novembre 2004; Trib. Napoli 12 ottobre 2004; Trib. Milano 7 ottobre 2004) per questa misura il periculum in mora sarebbe in re ipsa in quanto la natura irreparabile del danno sarebbe data dal solo fatto che vi sia stata la violazione di un diritto di esclusiva che in sé determina uno sviamento della clientela. A tal riguardo Trib. Milano 30 aprile 2005 afferma che «il periculum in mora è insisto nell'attività di contraffazione per l'attualità, l'imminenza e l'irreparabilità del pregiudizio derivante alla titolare dall'uso svilente del marchio, dal rischio di associazione che potrebbe indurre nel pubblico e dal vantaggio ingiustificato a favore delle non aventi diritto». Tale orientamento è stato però criticato dalla stessa giurisprudenza (Trib. Napoli 7 luglio 2005) in quanto in mancanza di una prova del pericolo di pregiudizio e di una reazione immediata di fronte alla contraffazione sarebbe escluso il periculum in mora e quindi la tutela cautelare. A tal proposito Trib. Catania 7 giugno 2006 ha affermato che «l'adozione di misure cautelari a tutela di un brevetto per invenzione industriale, come degli altri diritti di proprietà industriale e intellettuale, presuppone la prospettazione e la prova, di cui è onerata la parte istante, della sussistenza in concreto sia del fumus boni iuris che periculum in mora, atteso che tale ultimo requisito non sussiste in re ipsa e può individuarsi nel rischio di un pregiudizio anche solo patrimoniale per l'istante, ma significativo e suscettibile di sviluppi imprevedibili e incontrollabili, ovvero nella difficoltà probatoria di quantificare il danno nel successivo giudizio di merito». Anche la dottrina maggioritaria ha criticato l'orientamento del pericolo presunto affermando che il giudice dovrebbe accertare, per ogni richiesta di concessione di misura cautelare, non solo la situazione di fatto, ma anche andare ad indagare (Balbi) sulla natura del pregiudizio e i motivi che concretamente possano giustificare una pregressa tolleranza dell'illecito (Sotriffer; Spolidoro). Per «sfuggire» quindi al periculum in re ipsa vengono cercati parametri per verifiche più concrete del requisito, i quali però spesso portano a formulazioni che, di fatto, anch'esse si risolvono in altrettante tautologie. Infatti, pare comunque difficile poter attribuire un contenuto concreto ad espressioni che connotano il periculum in un «illecito irreparabile, stante la sua irreversibilità e la pratica difficoltà di esatta quantificazione nel giudizio di merito» (Trib. Napoli 14 gennaio 2009. Ma sono anche sulla stessa linea Trib. Bari 8 settembre 2008; Trib. Torino 26 ottobre 2007; Trib. Catania 19 gennaio 2006; Trib. Milano 25 novembre 2003), o in un «rischio che determina la destabilizzazione economica del danneggiato» o comunque come «notevole pregiudizio, causato dall'irreversibile alterazione degli equilibri di mercato conseguenti allo sviamento della clientela nonché per l'impossibilità o enorme difficoltà di quantificare il pregiudizio stesso» (Trib. Bologna 29 settembre 2008. Ugualmente Trib. Bologna 20 marzo 2008; Trib. Bologna 30 agosto 2007; Trib. Bologna 14 aprile 2007). In particolare, il sequestro può essere concesso solo nel caso di imminenza del pregiudizio, come nel caso in cui vi sia ancora l'attualità della destinazione di determinati mezzi alla contraffazione; di conseguenza non potrà essere concesso il sequestro in caso di incertezza circa l'attualità delle della destinazione dell'uso dei mezzi (Trib. Torino, 1° febbraio 2005; Trib. Milano, 12 maggio 2004; Trib. Napoli, 20 aprile 2004; Trib. Milano, 12 febbraio 2002; Trib. Monza-Desio, 1° ottobre 2001; Trib. Piacenza, 12 agosto 2000). Altre volte, nella valutazione della sussistenza del presupposto per la concessione del sequestro, è stato ritenuto necessario, secondo la giurisprudenza, porre in essere un esame comparativo dei contrapposti interessi delle parti (tra «il pregiudizio attuale subito dal ricorrente, per la persistenza dell'attività (pretesa) illegittima e quello che subirebbe il resistente in forza dell'accoglimento del ricorso stesso» Trib. Napoli 20 aprile 2004) ai fini di un loro «bilanciamento» (Trib. Milano 19 marzo 2001; Trib. Brescia 12 febbraio 1998). Anche dalla dottrina (Scotti) è stato preso in considerazione l'equo bilanciamento degli interessi contrapposti delle parti, poi eventualmente attraverso il contro bilanciamento della cauzione. Oggetto del sequestroNel testo originario del codice di procedura industriale, all'art. 128 c.p.i., l'oggetto della descrizione e quello del sequestro erano previsti da due diversi articoli, che, pur avendo caratteristiche simili, non erano comunque identici. Al comma 1 dell'art. 128 c.p.i., era previsto che la descrizione potesse riguardare sia «gli oggetti costituenti violazione» del diritto, i «mezzi adibiti alla produzione dei medesimi» e gli «elementi di prova concernenti la denunciata violazione», sia gli elementi probatori che si riferiscono all'entità della violazione, estendendo quindi la misura non solo alle prove della contraffazione, ma anche a quelle del danno che era scaturito da tale violazione. L'art. 129 c.p.i. invece, disciplinava solo il sequestro ed in particolare al comma 1, regolando l'oggetto della misura, non riproduceva la precisazione secondo cui il sequestro può essere esteso anche agli elementi di prova concernenti «l'entità» della violazione, facendo venire meno in questo modo l'apparente specularità che aveva contraddistinto l'oggetto della descrizione e del sequestro. La mancanza di questa estensione dell'art. 129 c.p.i. creava problemi di interpretazione poiché, prima dell'entrata in vigore del Codice, la giurisprudenza ammetteva la possibilità di sottoporre, non solo a descrizione, ma anche a sequestro, le prove dirette a dimostrare le dimensioni del danno derivante dalla contraffazione e della documentazione contabile del preteso contraffattore riconducendole alla nozione di «elementi di prova concernenti la denunciata violazione» (Trib. Modena 7 gennaio 1999). La questione è stata risolta dal nuovo testo dell'art. 129, comma 1 c.p.i. (come modificata dal d.lgs. n. 131/2010) che, accorpando le due misure in questione nello stesso articolo, riproduce integramente, per quanto concerne l'oggetto, il contenuto del vecchio comma 1 dell'art. 128 c.p.i., chiarendo come entrambe le misure possano avere ad oggetto non solo gli elementi relativi all'an, ma anche quelli relativi al quantum della violazione del diritto. Il sequestro (così come la descrizione) può avere ad oggetto gli «elementi di prova concernenti la denunciata violazione», quindi: la documentazione contabile relativa alla produzione, commercializzazione e pubblicità dei prodotti contraffattori, comprese le fatture, le liste dei clienti e dei fornitori e altresì le registrazioni contabili che si trovano presso il contraffattore, poiché la ratio di questa norma sta nel fatto di favorire, nel minor tempo possibile, l'accertamento dei profili quantitativi della violazione e l'individuazione degli eventuali soggetti che sono responsabili, insieme al contraffattore, della stessa. Parte della giurisprudenza (cfr. Trib. Napoli-Afragola 13 marzo 2000) che ha seguito questo orientamento ha poi però escluso il sequestro della corrispondenza del contraffattore pur essendo essa parte delle scritture contabili ex art. 2214 c.c. In un altro caso è stato autorizzato, riguardo alla contraffazione di marchio, il sequestro delle fatture d'acquisto e di vendita dei prodotti recanti il marchio, dei relativi documenti di trasporto, autorizzando l'ufficiale giudiziario a procedere al sequestro delle copie fotostatiche di questi documenti restituendo l'originale (Trib. Milano 30 gennaio 2006). Vi è un orientamento giurisprudenziale che vede con sfavore il fatto di favorire il sequestro sulla documentazione contabile, in quanto, si sostiene, che non vi sarebbe nessun rischio di dispersione poiché questa documentazione deve comunque essere conservata, ex art. 2220 c.c., per dieci anni (Trib. Venezia 2 settembre 2006; Trib. Milano 17 dicembre 2005). Un orientamento intermedio ha ritenuto che il provvedimento di sequestro degli elementi di prova che consistono nella documentazione contabile del presunto contraffattore presupporrebbe un profilo di periculum che impone di anticipare l'acquisizione di questa documentazione (Trib. Milano 2 ottobre 2006; Trib. Milano 7 aprile 2006). Alla luce di ciò appare quindi più giustificata la prudenza dei giudici nel sequestro rispetto alla misura della descrizione, poiché la prima determina uno spossessamento del titolare della violazione, in quanto la documentazione viene affidata ad un custode (spesso viene nominato lo steso titolare della violazione come custode, il quale comunque non potrà disporre delle cose sequestrate per via dell'applicazione analogica dell'art. 521 c.p.c., secondo cui «il custode non può usare della cose pignorate senza l'autorizzazione del giudice), mentre la seconda non determina tale spossessamento ed è dunque meno gravosa per il soggetto che la subisce (Trib. Bologna 16 settembre 2011 ha ritenuto infatti che la descrizione della documentazione fiscale sia meno gravosa del sequestro, nonostante entrambe conseguano gli stessi scopi probatori). L'art. 129 c.p.i., riguardo all'oggetto del sequestro può essere letto congiuntamente all'art. 124, comma 4 c.p.i., facendo sì che il sequestro possa essere disposto solo nei confronti di quei mezzi che siano univocamente (Trib. Venezia 10 ottobre 2005; Trib. Venezia 10 dicembre 2005) ed esclusivamente destinati alla produzione degli oggetti in contraffazione (cd. contributory infringement, cioè i mezzi, materiali ed attrezzi, prevalentemente utilizzati per fabbricarli in contraffazione) in quanto solo questi mezzi possono essere oggetto della sanzione definitiva dell'assegnazione in proprietà. Pertanto, rispetto alla descrizione, è più utile che vengano sequestrati «tutti» i prodotti in contraffazione ed, in questo caso, è anche accentuata la funzione inibitoria della misura (soprattutto nel caso in cui sia accompagnato del sequestro dei mezzi di produzione). Quindi nel caso i cui il sequestrante abbia ecceduto nell'esecuzione della misura, il più volte citato principio della «parità delle armi» fa sì che il destinatario del provvedimento possa chiedere al giudice il suo intervento non solo nel corso dell'udienza successiva all'esecuzione del sequestro (se concesso inaudita altera parte), ma anche con un'autonoma istanza ex art. 669-duodecies, 209 c.p.c., nel caso in cui l'udienza per la conferma, modifica o revoca del sequestro non venga fissata entro i quindici giorni richiesti dall'art. 669-sexies, comma 2 c.p.c., ma in molto più tempo. In base a quanto statuito dalla Consulta, il sequestro di una pubblicazione (ad esempio di un giornale) non può essere disposto poiché esso incide sulla libertà di stampa tutelata dall'art. 21 della Cost.; solo in determinati casi è concesso e deve essere espressamente autorizzato dalla legge sulla stampa come nel caso di delitto o di violazione delle norme che la stessa legge prescrive per l'individuazione dei responsabili (Trib. Roma 8 febbraio 2001). Con riferimento all'oggetto del sequestro in questione si segnala un'importante e recentissima novità legislativa. Il 19 luglio 2023 è stato approvato definitivamente il disegno di legge volto ad apportare delle modifiche al Codice della proprietà industriale (d.lgs. n. 30/2005). Il testo, in coerenza con il «Piano di azione sulla proprietà intellettuale per sostenere la ripresa e la resilienza dell'Ue», adottato dalla Commissione Europea, ha il fine di attuare la riforma del sistema della proprietà industriale, come previsto nel Milestone M1C2-4 del PNRR.Gli obiettivi del testo sono molteplici: la semplificazione amministrativa; la digitalizzazione dei processi e delle procedure attinenti ai titoli di proprietà industriale; la protezione della proprietà industriale; il rafforzamento della competitività del «Sistema Paese» La legge n. 102/2023 in particolare ha abrogato il comma 3 dell'art. 129 del Codice della proprietà industriale. Adesso è quindi possibile da parte delle forze dell'ordine eseguire il sequestro delle merci contraffatte esposte in fiera. In passato, infatti, le forze dell'ordine in caso di contraffazione perpetrata su prodotti esposti in fiera, potevano procedere soltanto ad un verbale contenente la descrizione delle caratteristiche dei prodotti sospetti, ad eccezione di quelli posti in essere dalle autorità competenti di natura penale. La soppressione del comma 3, si legge nella relazione illustrativa al disegno di legge in esame, “garantirebbe all'azione repressiva maggior speditezza ed effettività, consentendo in ogni caso il sequestro che, precedendo l'eventuale procedimento penale, garantirebbe una tutela più celere anche nello spazio temporale limitato degli eventi fieristici, evitando una tutela tardiva che non avrebbe i medesimi effetti”. Inoltre, prosegue la relazione del Governo, “è opportuno considerare che nell'ambito del settore fieristico, soprattutto a seguito della pandemia, le stesse fiere sono diventate ibride, con la conseguente contemporanea presenza di cataloghi digitali unitamente a esposizioni fisiche di prodotti: se per i cataloghi digitali è possibile ottenere sequestri e inibitorie, trattandosi di contenuti messi a disposizione on-line in violazione dei diritti, è opportuno prevedere analoga regolamentazione per la parte fisica della fiera”. Il procedimentoCirca il procedimento si evidenzieranno i tratti salienti e peculiari del processo cautelare «industrialistico», limitandosi a trattare di questi e non anche di tutte le altre regole procedimentali che sono comuni al «rito uniforme» degli artt. 669-bis / 669-terdecies c.p.c. Il d.lgs. n. 131/2010, eliminando il vecchio art. 128 c.p.i. e (quindi accorpando nell'articolo seguente le due misure di descrizione e sequestro), ha eliminato ogni riferimento al Presidente della sezione specializzata (contenuto nella normativa previgente), con la conseguenza che, dal 2 settembre 2010 in poi, tutte le misure cautelari vengono richieste al solo giudice monocratico con un unico ricorso; ciò ha comportato anche che attualmente la descrizione è soggetta (per relationem) a tutto il rito cautelare uniforme e che, di conseguenza, nel caso di richiesta di tale misura in corso di causa, si applica l'art. 669-quarter c.p.c. (Trib. Roma 5 dicembre 2003). In relazione a questa novità vi è anche quella, già accennata, dell'art. 132, comma 2 c.p.i., che, intendendo sempre favorire una trattazione del merito in modo unitario nel caso in cui siano state presentate più istanze cautelari, prevede che il computo del termine per iniziare il giudizio di merito decorra non dal provvedimento con cui viene concessa la descrizione, ma dalla pronuncia sulle eventuali altre istanze cautelari. La legittimazione attiva a richiedere le due misure di descrizione e sequestro, ex art. 129, comma 1 c.p.i., si ha in capo al titolare di un qualsiasi «diritto di proprietà industriale» titolato o meno (e non quindi, come era previsto prima dell'entrata in vigore del codice, ai soli titolari di registrazioni e brevetti). Nonostante la norma si riferisca ai soli «titolari» dei diritti, si è ritenuto che descrizione e sequestro possano essere richiesti anche dal licenziatario esclusivo (Greco, Vercellone) e, in generale, in conformità all'art. 4, comma 1, lett. b), della Direttiva 2004/48/CE226, da ogni altro soggetto legittimato attivo all'azione di merito di contraffazione. Sempre in tema di legittimazione attiva, l'art. 132, comma 1 c.p.i., dispone che la descrizione e il sequestro «possono essere concessi anche in corso anche in corso di brevettazione o registrazione, purché la domanda sia stata resa accessibile al pubblico oppure nei confronti delle persone a cui la domanda sia stata notificata». Per quanto riguarda la legittimazione passiva, essa sussiste in capo a tutti i contraffattori (tali non essendo però, per quanto appena considerato, coloro che sfruttano l'invenzione oggetto della domanda di brevetto non ancora accessibile al pubblico o non ancora notificata nelle forme appena considerate), ma anche a tutti coloro che risultino, da elementi sommari acquisiti nel procedimento cautelare, inseriti nell'attività di commercializzazione e produzione dei prodotti contraffatti (Trib. Roma 19 gennaio 2005). Di conseguenza non è legittimato passivo solo il produttore, ma lo sono anche tutti i soggetti che hanno partecipato, nelle varie fasi, alla commercializzazione, importazione, pubblicizzazione dei beni in contraffazione. Ha legittimazione passiva rispetto ad una domanda di descrizione proposta a tutela di un brevetto per invenzione un'impresa la quale abbia trasferito ad altra impresa il compendio aziendale comprensivo dell'impianto in asserita interferenza con l'ambito di tutela rivendicato dal titolo di proprietà industriale azionato dalla ricorrente (Trib. Bologna, Sez. spec. Impresa, 21 aprile 2021). Per quanto riguarda l'iter processuale che ci si appresta ad analizzare, esso è analiticamente esposto all'art. 129, comma 2 c.p.i. e confermato dal rinvio al comma 4 dello stesso articolo, alle norme del rito cautelare ordinario e, in particolare, dell'art. 669-sexies c.p.c.; cosicché tale norma che regola in generale il procedimento cautelare continua a fungere da integrazione rispetto alla disciplina specificamente dettata dalla norma del codice di proprietà industriale. Il procedimento si snoda ordinariamente (almeno per il sequestro) in ricorso (che deve contenere almeno i requisiti di cui all'art. 125 c.p.c., laddove le «ragioni della domanda» si sostanziano ovviamente nella prova – documentale – della sussistenza dei presupposti specifici sopra esaminati, del fumus boni iuris e del periculum in mora, oltre alla procura al difensore), decreto di fissazione dell'udienza di comparizione, instaurazione del contraddittorio attraverso la notificazione del ricorso e del decreto, eventuale assunzione da parte del giudice di sommarie informazioni per la verifica della sussistenza dei presupposti per la concessione delle misure in questione, decisione con ordinanza. Ma, in caso di particolare urgenza (e comunque, spesso, quando è chiesta solo o primariamente la descrizione), il giudice può dare un provvedimento provvisorio con lo stesso decreto inaudita altera parte con il quale, comunque, fissa l'udienza di comparizione, nella quale, in questo caso, deciderà se confermare o revocare o modificare il provvedimento già concesso ed eventualmente, nel caso di richiesta di altri provvedimenti, se concedere anche questi. Infatti, si deve ritenere a maggior ragione applicabile la disciplina prevista dall'art. 669-sexies, comma 2 c.p.c., secondo cui il giudice, verificati i presupposti, provvede con decreto motivato. Il presupposto per cui si possa ricorrere a questo strumento è la circostanza che la convocazione della controparte possa rappresentare un pregiudizio per l'attuazione del provvedimento. In ogni caso, come si evince dall'articolo sopra citato, il giudice, con lo stesso decreto, fissa l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine che non deve essere superiore a quindici giorni e assegna un termine perentorio di otto giorni per la notificazione del ricorso (e del decreto). Così il nuovo art. 129, comma 2 c.p.i., prevede che in casi di particolare urgenza, specialmente quando ritardi potrebbero procurare al titolare dei diritti un danno irreparabile o, quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l'attuazione delle misure cautelari, il giudice provveda sull'istanza con decreto motivato, senza convocare l'altra parte. In caso di descrizione inaudita altera parte, disposta nel rispetto dei requisiti normativi che disciplinano l'istituto, non comporta violazione del principio del contraddittorio che il giudice autorizzi la parte ricorrente ad assistere alle operazioni mediante un proprio difensore e un proprio consulente tecnico, senza procedere ad analoga autorizzazione preventiva in favore della parte resistente, in quanto la natura stessa del provvedimento implica che la convocazione della controparte potrebbe pregiudicarne l'attuazione, mediante occultamento, modifica o cancellazione delle tracce dell'illecito ipotizzato, che la misura cautelare mira a preservare a fini istruttori(Trib. Milano, Sez. spec. Impresa, 29 luglio 2021). Tra le due norme, quella generale del rito uniforme e quelle del codice di proprietà industriale, vi sono in realtà alcune differenze. In effetti, l'art. 129 c.p.i appare più completo rispetto all'art. 669-sexies c.p.c., il quale fa solamente riferimento, quale presupposto per la concessione dei provvedimenti inaudita altera parte, al pregiudizio per l'«attuazione del provvedimento». Invece, nella nuova norma speciale della proprietà industriale, il legislatore ha esteso i presupposti in base ai quali il giudice può provvedere con decreto motivato inaudita altera parte, facendo in modo che il ricorrente non debba immediatamente notificare il decreto alle altre parti, in ogni caso (dunque più ampiamente rispetto al mero pregiudizio per l'attuazione del provvedimento) in cui ricorra una «speciale urgenza» (o con un'«urgenza nell'urgenza» o un'«urgenza al quadrato», per usare due espressioni di Scotti) o comunque quando ricorra un quid pluris rispetto al periculum in mora. Deve cioè sussistere non solo, come già visto, un concreto pericolo che la convocazione della parte possa pregiudicare l'attuazione ottimale del provvedimento, ma anche che la convocazione della parte vada a ledere, per eventuale tardività, l'utilità del provvedimento causando un irreparabile danno al titolare del provvedimento. L'art. 669-sexies, comma 2 c.p.c. nell'ultima parte prevede che, il giudice, dopo aver fissato con decreto l'udienza di comparizione delle parti, «a tale udienza il giudice, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto». Questa norma, già generalmente richiamata per relationem dalla prima parte dell'art. 129, comma 4, c.p.i., assicurando una struttura «bifasica» al procedimento industriale, è stata parzialmente ripresa dalla seconda parte dello stesso comma, secondo cui «ai fini della conferma, modifica o revoca della descrizione e dell'eventuale concessione delle misure cautelari chieste unitamente o subordinatamente alla descrizione, il giudice fissa l'udienza di discussione tenendo conto della descrizione allo scopo di valutarne il rischio» (dunque, l'udienza che il codice di procedura civile chiama «di comparizione» dovrebbe corrispondere all'udienza «di discussione» prevista dal nuovo art. 129 c.p.i.). BibliografiaAngelini, Conversione del brevetto e tutela cautelare, in Il Dir. ind., 1997; Balbi, Provvedimenti d'urgenza, in Digesto civ., XVI, Torino, 1997; Capra, Natura e funzione del c.d. «sequestro cautelare», in Riv. 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Vanzetti (a cura di) Codice della proprietà industriale, Milano, 2013; Scotti, La concessione di provvedimenti cautelari inaudita altera parte ai sensi dell'art. 669-sexies, comma 2, c.p.c., in Riv. dir. ind., 2000; Scuffi, La tutela cautelare speciale in materia brevettuale: attuali orientamenti e nuove prospettive suggerite dalla riforma novellistica del c.p.c., in Riv. ind., 1992; Scuffi, Diritto processuale della proprietà industriale ed intellettuale, Milano, 2009; Sena, I diritti sulle invenzioni e sui modelli di utilità, in Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni, IV ed., Milano, 2011; Sotriffer, Il periculum in mora nella contraffazione di brevetti e marchi: spunti per una riflessione, in Riv. dir. ind., 2003; Spolidoro, Provvedimenti provvisori del diritto industriale, in Rass. Dir. ind., 1994, I, 381 ss.; Ubertazzi, Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, 2019, Cedam; Vanzetti, Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Milano, 2012. |