Codice di Procedura Civile art. 601 - Divisione.

Giorgia Viola

Divisione.

[I]. Se si deve procedere alla divisione, l'esecuzione è sospesa [623] finché sulla divisione stessa non sia intervenuto un accordo fra le parti o pronunciata una sentenza avente i requisiti di cui all'articolo 627 [181 att.].

[II]. Avvenuta la divisione, la vendita o l'assegnazione dei beni attribuiti al debitore ha luogo secondo le norme contenute nei capi precedenti.

Inquadramento

La norma in commento prevede la sospensione del processo esecutivo fino a quando non sia intervenuto un accordo delle parti o non sia stata pronunciata una sentenza di primo grado passata in giudicato o una sentenza d'appello sulla divisione, di modo che sia concretamente individuato l'oggetto dell'espropriazione.

Come rilevato nel commento dell'art. 600 c.p.c. il giudizio di divisione resta autonomo rispetto al procedimento esecutivo, perché soggettivamente ed oggettivamente distinto da questo, tanto da non poterne essere considerato né una continuazione, né una fase (per tutte: Cass. n. 2889/1982; Cass. n. 44/1968; Cass. n. 2096/1961) ma è, tuttavia, funzionalmente correlato allo stesso, tanto che uno degli effetti è il mantenimento, in capo al creditore esecutante, della sua legittimazione ad agire in divisione fintantoché in capo a lui permanga la qualità di creditore (Cass. n. 20817/2018) e si trova in rapporto di «strumentalità necessaria» rispetto ad esso (Cass. S.U., n. 25021/2019).

Si tratta di una sospensione necessaria e automatica, rientrando in una delle ipotesi ex lege cui rinvia l'art. 623 c.p.c. (Bucolo, La sospensione nell'esecuzione; Luiso, voce Sospensione, b) Processo di esecuzione forzata, in Enc. dir., XLIII, 1990).

Invero, si è ravvisato un nesso di pregiudizialità tra giudizio di cognizione e processo esecutivo, simile a quello di cui all'art. 549 c.p.c. (Bucolo, La sospensione cit.; Luiso, voce Sospensione, b) Processo di esecuzione forzata, cit.).

Il collegamento funzionale del giudizio in esame con l'esecuzione rende necessaria la sospensione di quest'ultima (ex art. 601 c.p.c.) in attesa della specificazione dell'oggetto del pignoramento mediante la liquidazione della quota del debitore esecutato.

Pertanto, l'instaurazione del giudizio divisorio comporta la sospensione necessaria ed immediata del procedimento esecutivo.

A seguito dell'ordinanza del Giudice dell'esecuzione che dispone il giudizio divisorio incidentale, la procedura esecutiva nell'ambito della quale è emessa è sospesa ai sensi dell'art. 601, comma 1, c.p.c., integrando una delle ipotesi di sospensione dell'esecuzione ex lege prevista dall'art. 623 c.p.c. (in questo senso, Cass. n. 1844/1967; Cass. n. 3070/1977).

Limite temporale e oggetto della sospensione

Il processo esecutivo va riassunto ad opera del creditore mediante ricorso nel termine perentorio fissato dal giudice della divisione o in mancanza nel termine di sei mesi previsto dall'art. 627 c.p.c. ossia nei sei mesi oppure non oltre tre mesi (oppure sei mesi, secondo la disciplina applicabile ratione temporis) dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o dalla comunicazione della sentenza di appello con cui si chiude il giudizio di divisione.

In altri termini, la sospensione del processo esecutivo persiste fino alla stipula di un accordo tra le parti sulla divisione ovvero fino al passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o fino alla comunicazione della sentenza d'appello del medesimo giudizio.

Il richiamo all'art. 627 c.p.c., in virtù del quale il processo esecutivo rimane sospeso fino al passaggio in giudicato della sentenza di prima grado ovvero alla comunicazione della sentenza di appello, evidenzia che l'esecuzione può riprendere anche se la sentenza di appello viene impugnata.

Il processo esecutivo che sia stato dichiarato sospeso ai sensi dell'art. 601 c.p.c., a causa d'una divisione endoesecutiva, va riassunto entro tre (oppure sei) mesi dalla pronuncia dell'ordinanza di cui all'art. 789 c.p.c., comma 3, in assenza di contestazioni; oppure dal passaggio in giudicato della sentenza che risolva le eventuali contestazioni (Cass. n. 12685/2021).

Trib. Avezzano 29 marzo 2023 secondo cui «il processo esecutivo sospeso per pendenza del giudizio di divisione (endoesecutiva) ex art 601 c.p.c. deve essere riassunto entro il termine perentorio di cui all'art. 297 c.p.c. e quindi entro tre mesi dalla pronuncia dell'ordinanza di cui all'art. 789 c.p.c., comma 3, in assenza di contestazioni; oppure dal passaggio in giudicato della sentenza che risolva le eventuali contestazioni».

Stante l'inequivocabile dettato normativo la sospensione si riferisce all'intera esecuzione e non può ritenersi limitata alle sole operazioni di vendita (Cardino, 2011).

Si discute di quali siano gli atti da compiersi durante la procedura sospesa.

Anzitutto, è sicuramente possibile porre in essere atti conservativi o in generale non incompatibili con tale stato, in analogia con quanto disposto dall'art. 626 c.p.c.

Di conseguenza, si ritiene possibile la nomina del custode, oltre che proporre istanza di conversione del pignoramento. Inoltre, i creditori potranno depositare atto di intervento.

Compiti del giudice della divisione

L'ultimo comma della norma in esame delimita i compiti del giudice della divisione stabilendo che una volta chiuso il giudizio la vendita o l'assegnazione dei beni attribuiti al debitore avviene nel processo esecutivo secondo le regole ordinarie.

Se la divisione si conclude con l'assegnazione in favore dell'esecutato di uno o più beni, questi saranno venduti nel processo esecutivo secondo le regole ordinarie (Cass. n. 5718/1987).

In caso di immobili indivisibili, può accadere che:

– il condividente chieda l'assegnazione a sé dell'intero bene ex art. 720 c.c. In tal caso, il giudice dovrà formare un progetto divisionale che preveda l'attribuzione del bene al condividente con versamento del conguaglio;

– il giudice della divisione ne dispone la vendita.

Presupposto della divisione in natura è, invece, la comoda divisibilità del bene pignorato.

Per comoda divisibilità si intende la possibilità di formare più porzioni del bene indiviso senza necessità di opere costose, incidenti sulla consistenza dell'immobile e senza bisogno di risolvere problemi tecnici onerosi (Cass. n. 11891/1998).

Nella prassi dei vari tribunali l'esperto stimatore viene incaricato di predisporre un progetto di divisione, per la cui discussione viene fissata un'apposita udienza, seguita da quella per la sua approvazione ex art. 789 c.p.c.

Il progetto va comunicato a cura del creditore procedente ovvero della parte più diligente anche ai contumaci e agli interessati non costituitisi ex art. 789 c.p.c.

All'udienza, se non sorgono contestazioni, il progetto è approvato e dichiarato esecutivo ex art. 789, comma 3, c.p.c. e non più impugnabile (Cass. n. 1422/2014) ovvero se contestato il Giudice, previa istruzione della causa, decide con sentenza.

In ordine alla obbligatorietà della delega delle operazioni di vendita ad un professionista, è noto che, in sede esecutiva l'art. 591-bis c.p.c., come riformulato nel 2015, stabilisce che il giudice dell'esecuzione deve attribuire l'incarico delle operazioni di vendita ad un professionista, motivando la decisione di tenere la vendita innanzi a sé.

Per quanto riguarda i giudizi divisori, invece, con la l. n. 263/2005 sono stati modificati gli artt. 787 c.p.c. (relativo alla vendita di mobili) e 788 c.p.c. (relativo alla vendita di immobili), sostituendo la parola «notaio» con quella di «professionista», mentre gli artt. 786 e 790 c.p.c. parlano di direzione delle operazioni di divisione delegate al solo «notaio».

Sulla necessità di sentire le parti alle quali è consentito di effettuare ogni osservazione in ordine alla delega, Lombardi, n. 3/2019, secondo cui la clausola di salvezza enunciata dal comma 2 dell'art. 591-bis c.p.c., dettata per l'espropriazione forzata, deve ritenersi applicabile al giudizio di divisione, anche endoesecutivo, cosicché il giudice deve ascoltare tutti i protagonisti attivi della procedura, ossia i condividenti e gli altri litisconsorti necessari.

Ove il giudice, a seguito di una valutazione di opportunità e convenienza (riferita specificamente al valore dei beni), ritiene di non derogare all'obbligo di delega al professionista non ha l'obbligo di motivare la propria scelta e può incaricare il professionista con l'ordinanza con cui dispone la vendita e ne fissa le condizioni. Diversamente, in capo al giudice che voglia di riservare a sé le operazioni di vendita vi è l'obbligo di motivazione.

La motivazione è sindacabile ma la scelta del rimedio esperibile è inevitabilmente condizionata dal se si riconduce la fase di vendita del bene non comodamente divisibile alle regole del processo esecutivo, nella quale prospettiva diviene ipotizzabile fruire dell'opposizione di cui all'art. 617 c.p.c.

In conclusione:

– la vendita è espressamente prevista dal legislatore per il caso in cui la divisione in natura del bene non sia comodamente possibile e non vi siano istanze di assegnazione (ex art. 720 c.c.);

– la vendita dell'intero non può essere evitata neanche in presenza di opposizione di un comproprietario, salvo che lo stesso dimostri la praticabilità delle alternative, ossia fornisca la prova della comoda divisibilità del bene oppure faccia richiesta di assegnazione dell'intero bene dietro versamento di un conguaglio di importo pari al valore della quota degli altri comproprietari;

– la vendita deve avvenire nelle forme della vendita senza incanto, salvo che il giudice non ritenga di raggiungere un prezzo superiore alla metà rispetto al valore dei beni (ex art. 503 c.p.c.);

– le operazioni di vendita sono delegabili a professionisti diversi dai notai e, quindi, anche agli avvocati e ai commercialisti. Non vi è univocità di vedute sulla possibilità di delegare un professionista diverso dal notaio per le operazioni di divisione (ex art. 786 c.c. cit.).

Il carattere strumentale della divisione endoesecutiva rispetto all'esecuzione forzata giustifica la compatibilità della custodia con il giudizio incidentale di divisione (in questo senso, Passafiume, La vendita di beni immobili nell'espropriazione forzata e nel giudizio di divisione endoesecutivo: profili comuni e tratti distintivi, in REF 1/2018). Ritiene l'autrice che se la finalità del procedimento di vendita dei beni immobili nel giudizio di divisione e in quello esecutivo è la medesima, trattandosi entrambi di convertire in controvalore monetario il bene oggetto di comunione (nella divisione) o di espropriazione (nell'esecuzione) e se il richiamo alle norme sull'espropriazione forzata operato dalle norme che regolano la vendita divisionale va inteso come sistematico, si deve ritenere legittima la nomina del custode giudiziario anche in sede di divisione endoesecutiva. Alla nomina del custode provvede, dunque, il giudice istruttore, laddove la divisione endoesecutiva evolva nella vendita dell'intero; se, invece, in sede di divisione incidentale si proceda alla divisione in natura o alla assegnazione del bene non comodamente divisibile a uno o più quotisti ex art. 720 c.c., non vi sarà necessità della nomina.

Si discute se sia applicabile o meno nell'ambito del giudizio divisorio la disposizione di cui all'art. 164-bis disp. att. c.p.c., introdotto dal d.l. n. 132/2014, conv. in l. n. 164/2014, in virtù del quale è disposta la «chiusura anticipata» del processo esecutivo per infruttuosità. Invero, la risposta dipende dalla natura che intende riconoscersi al giudizio di divisione.

Se il giudizio in esame si configura come una parentesi cognitiva del processo esecutivo, allora l'utilizzo dell'art. 164-bis disp. att. c.p.c. è legittimo; viceversa, non può ritenersi applicabile, se si riconosce come pienamente autonomo rispetto alla «vicenda» espropriativa.

Resta, invece, sicuramente esclusa la chiusura «per infruttuosità» del giudizio di divisione incidentale laddove uno dei condividenti, nell'esercizio di un proprio diritto potestativo (art. 1116 c.c. che richiama l'art. 713 c.c.), abbia proposto un'autonoma domanda di scioglimento della comunione. In tale ipotesi, infatti, lo scopo del giudizio di divisione non sarebbe più individuabile in funzione dell'esecuzione dalla quale ha avuto origine e si avrebbe una «riaffermazione» dell'indipendenza del giudizio incidentale di divisione da quello esecutivo (in questo senso, Passafiume, La vendita di beni immobili nell'espropriazione forzata e nel giudizio di divisione endoesecutivo, cit).

Non si ritiene applicabile al giudizio di divisione endoesecutivola disposizione dell'art. 631-bis c.p.c., secondo cui il Giudice dichiara con ordinanza l'estinzione del processo esecutivo per omessa o tardiva pubblicazione sul portale delle vendite pubbliche dell'avviso di vendita. Tale causa di estinzione non è suscettibile di applicazione al di fuori del processo esecutivo, perché il verificarsi dei relativi presupposti non può avere né l'effetto di estinguere il processo esecutivo, riguardando un evento che si verifica al di fuori di esso, né del giudizio di cognizione, per il quale tale causa estintiva non è prevista (così Crivelli, Il giudizio divisionale endoesecutivo: soluzioni giurisprudenziali e aspetti problematici, in Inexecutivis.it).

Non si ritiene applicabile al giudizio di divisione de quo la sospensione concordata delle parti ex art. 624-bis c.p.c.

Trattasi di orientamento consolidato nella giurisprudenza di merito e tanto per la generale autonomia oggettiva e soggettiva del giudizio di divisione rispetto a quello esecutivo su cui si innesta; il richiamo operato dall'art. 788 c.p.c. alle sole disposizioni della fase di vendita del giudizio esecutivo e la circostanza che l'art. 624-bis c.p.c. preveda la sospensione del processo esecutivo, laddove questo è già sospeso ex art. 600 c.p.c. (così Trib. Nola 26 aprile 2024) e ancora la presenza, nel giudizio divisionale, di soggetti differenti rispetto a quelli che devono essere sentiti ai fini della sospensione ex art. 624-bis c.p.c. (così Tribunale di Oristano).

Ritiene il Tribunale di Nola (provv. cit.) che va applicata la disposizione di cui all'art. 296 c.p.c. secondo cui «Il giudice istruttore, su istanza di tutte le parti, ove sussistano giustificati motivi, può disporre, per una sola volta, che il processo rimanga sospeso per un periodo non superiore a tre mesi, fissando l'udienza per la prosecuzione del processo medesimo.

Effettuata la vendita, il giudice della divisione procede al pagamento diretto dei comproprietari non esecutati (distribuendo loro le somme ricavate dalla vendita ovvero pagando i creditori se intervenuti) e alla attribuzione della corrispondente somma di denaro in favore della procedura esecutiva, in seno alla quale avviene la distribuzione.

In tal caso, si verifica un mutamento dell'originario oggetto del pignoramento da una quota indivisa di un bene al denaro ricavato dalla vendita dello stesso.

Sull'ammissibilità di tale mutamento, si è osservato che riguardo all'ipoteca la vicenda è disciplinata dall'art. 2825 c.c., mentre manca nel pignoramento una norma analoga.

Si discute sulla applicazione o meno alla vendita endoesecutiva del principio di stabilità della vendita forzata, di cui all'art. 187-bis disp. att. c.p.c., in quanto potrebbe verificarsi il caso in cui il bene venga giudicato ad un terzo e successivamente la sentenza prodromica alla vendita venga annullata, così da esporre il terzo aggiudicatario al rischio di evizione.

Al riguardo, sono intervenute le S.U. che hanno affermato il principio secondo il quale il sopravvenuto accertamento dell'inesistenza di un titolo idoneo a giustificare l'esercizio dell'azione esecutiva non fa venir meno l'acquisto dell'immobile pignorato a favore del terzo aggiudicatario, salva l'ipotesi di collusione con il creditore procedente ex art. 2929 c.c. (Cass. S.U., n. 21110/2012).

La ratio della disposizione in esame è ravvisabile nella esigenza di tutelare il terzo aggiudicatario in buona fede che, nel momento in cui acquista l'immobile nel rispetto delle norme che regolano la procedura di vendita, deve poter fare affidamento nella legittimità degli atti che la precedono; con la conseguenza che se anche il titolo sul quale fondata l'azione esecutiva dovesse venir meno o se anche dovesse essere giudizialmente accertata la sua inesistenza ab origine, l'acquisto in capo all'aggiudicatario in buona fede deve essere fatto salvo.

In dottrina, si è osservato che il medesimo principio non può non trovare applicazione in sede di vendita endoesecutiva, per la quale vi è la medesima esigenza di stabilizzazione degli atti l'acquisto del terzo aggiudicatario in buona fede soprattutto in funzione della credibilità di tutto il sistema delle vendite giudiziali (così Passafiume, La vendita di beni immobili nell'espropriazione forzata e nel giudizio di divisione endoesecutivo, cit.).

Il medesimo orientamento si registra nella giurisprudenza di legittimità. Al riguardo, particolarmente interessante il provvedimento emesso dal Trib. Napoli 7 maggio 2024, est. dott.ssa Elisa Asprone, che ha rigettato la richiesta dell'aggiudicataria di proroga del versamento del saldo prezzo sul presupposto di dover esaminare gli atti che avevano condotto alla caducazione del titolo esecutivo posto alla base dell'esecuzione da cui era scaturito il giudizio di divisione endoesecutivo.

Tuttavia il modello procedimentale previsto dall'art. 600, comma 2, c.p.c. attraverso il richiamo delle norme sulla divisione presuppone che l'oggetto del pignoramento si concentri comunque sul bene assegnato al debitore all'esito del giudizio (così Vigorito, 2004).

Con riguardo al regime delle spese del giudizio divisorio endoesecutivo, si ritengono applicabili le regole comuni della divisione.

La questione della ripartizione delle spese processuali nel caso di giudizio di divisione endoesecutivo è estremamente interessante.

Va premesso che secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità le spese del giudizio di divisione non sono regolate dal principio della soccombenza, ma vengono liquidate a carico della massa con la sentenza che definisce il giudizio o con l'ordinanza ex art. 789 c.p.c. di approvazione del progetto divisionale, in quanto gli atti cui esse si riferiscono sono sempre compiuti nell'interesse comune dei condividenti (così Cass. n. 3083/2006).

Inoltre, secondo il costante orientamento della giurisprudenza (Cass. n. 12949/1099; Cass. n. 4080/1086), nei giudizi di divisione vanno poste a carico della massa le spese che sono servite a condurre nel comune interesse il giudizio alla sua conclusione, mentre valgono i principi generali sulla soccombenza per quelle spese che, secondo il prudente apprezzamento del giudice di merito, sono state necessitate da eccessive pretese o da inutili resistenze, cioè dall'ingiustificato comportamento della parte.

Gravare sulla massa non significa altro che ciascun condividente debba rimborsare a ciascuno degli altri una quota delle loro spese pari alla propria quota nella comunione, vedendosi analogamente rimborsare dagli altri comproprietari le proprie spese in proporzione alle rispettive quote (in questo senso, Trib. Napoli n. 4882/2020)

Si discute sulla applicazione di tale principio in sede di divisione endoesecutiva, che – come detto – è proposta dal creditore, che, non essendo un comproprietario, non è portatore di un interesse alla divisione analogo a quello derivante dalla posizione di diritto sostanziale propria dei condividenti.

. In dottrina è stato osservato che tali spese sono riconducibili a tutti gli effetti nell'ambito delle spese dell'esecuzione forzata, in quanto il creditore attore (sia esso il creditore procedente ovvero quello munito di titolo esecutivo) ha interesse ad attuare il pignoramento sulla quota per il soddisfacimento del proprio credito e, per tale ragione, le spese che gli sostiene sono funzionali all'esecuzione e al miglior soddisfacimento del ceto creditorio, con conseguente diritto ad ottenere l'integrale rimborso (così Grasso, 1959).

Di conseguenza ci si chiede se le spese sostenute dal creditore vadano poste a carico del debitore (il cui inadempimento ha cagionato la divisione) o vadano ripartite pro-quota tra i condividenti come nella divisione ordinaria.

Un primo orientamento ritiene che nei rapporti tra creditore-attore e debitore esecutato si configura una vera e propria soccombenza a carico di quest'ultimo (c.d. principio di causalità) e quindi il procedente avrà diritto a vedersi rifondere integralmente dal condividente esecutato le spese di lite sopportate per la divisione, con privilegio exartt. 2755 e 2770 c.c. (così Grasso, cit.).

Secondo altri, invece, lo status di debitore di uno dei comproprietari non può essere equiparato alla soccombenza, tant'è che il debitore ben potrebbe essere convenuto in un giudizio di divisione esterno alla procedura esecutiva da un contitolare non obbligato e, in tal caso, egli dovrebbe sopportare soltanto una quota parte delle spese. Pertanto, poiché anche nel giudizio divisorio incidentale vi è un interesse comune allo scioglimento della comunione, a prescindere da chi lo abbia introdotto, dovrebbe trovare comunque applicazione il principio generale valevole in materia di scioglimento della comunione.

Partendo da tale assunto, vi è chi ha osservato che potrebbe valutarsi di porre a carico dei contitolari in sede di divisione incidentale tutte quelle spese funzionali alla vendita e quindi alla divisione o comunque, in caso di comoda divisibilità del bene, alla predisposizione del progetto di divisione in natura (si pensi al compenso dell'esperto stimatore, alla custodia giudiziaria, al compenso del professionista delegato e alle spese di pubblicità), in questo senso, Passafiume, Le spese del giudizio di divisione endoesecutiva, in Inexecutivis.it.

. La giurisprudenza di merito è oscillante. Si segnala:

– Trib. Napoli 18 ottobre 2021 (estensore dott.ssa Elisa Asprone) ritiene che le spese sostenute dal creditore-attore devono essere poste tutte a carico del debitore che ha causato la divisione in conseguenza del suo inadempimento e non ripartite pro quota, con la conseguenza che le spese andranno a gravare sul comproprietario debitore e tanto – da un lato – per la sostanziale diversità tra la posizione del comproprietario in un giudizio di divisione introdotto all'esito di una procedura esecutiva immobiliare e in un giudizio di divisione ordinario e – dall'altro – perché la suddivisione delle spese per quota creerebbe trattamenti differenziati tra creditori espropriante i beni interi e quelli che agiscono sulla quota;

– Trib. Napoli n. 4382/2020 (estensore dott.ssa Mariarosaria Stanzione) statuisce che per i condividenti non esecutati non vi è ragione per discostarsi dalla regola generale secondo cui essi sono tenuti a rimborsare a chi si è attivato per ottenere la divisione una parte delle spese dallo stesso sostenute, che sia proporzionale alla propria quota e solo per questa parte i comproprietari non debitori rispondono delle spese in solido con i debitori esecutati. Conforme Trib. Santa Maria Capua Vetere 30 novembre 2021, che ritiene che le spese devono seguire il criterio comune e ripartirsi tra i condividenti in proporzione alle rispettive quote;

– Trib. Torino del 31 dicembre 2007 secondo cui sempre che non si tratti di spese superflue o causate da infondate contestazioni di qualche condividente, le spese vengono regolate non secondo il generale principio della soccombenza ma devono essere poste a carico della massa, gravando cioè su tutti i beni dei comproprietari, compreso il debitore, in misura proporzionale alle rispettive quote;

– Trib. Novara del 23 giugno 2011 secondo cui la frazione delle spese inerente la quota del debitore esecutato sarà anticipata dal creditore procedente e da questi poi recuperata in sede di distribuzione del ricavato nella prededuzione come ogni altro costo relativo all'azione esecutiva.

In dottrina vi è chi ha ritenuto che le spese del giudizio di divisione da chiunque anticipate costituiscono spese del processo esecutivo e, come tali, a carico del debitore, che ha poi il diritto di rimborso verso i condividenti, purché non si tratti di coloro che hanno proposto la domanda di divisione (in questo senso, Grasso, L'espropriazione della quota, 1957).

Prosieguo della procedura esecutiva

Cessata la causa sospensiva, il processo esecutivo deve essere riassunto con ricorso, a cura del creditore, nel termine fissato dal giudice dell'esecuzione ‒ in funzione di giudice istruttore del giudizio divisorio ‒ oppure non oltre tre mesi (oppure sei mesi, secondo la disciplina applicabile ratione temporis) dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o dalla comunicazione della sentenza di appello.

Considerato che il giudizio divisorio assolve ad una funzione strumentale rispetto all'esecuzione il carattere perentorio del termine sia esso quello prescritto dal giudice ovvero, se questi non vi abbia provveduto, di quello previsto dalla legge, si ritiene che il mancato o tardivo deposito del ricorso in riassunzione determina l'estinzione del processo esecutivo ex art. 630, comma 1, c.p.c.

Al riguardo vi è uniformità di vedute sia in dottrina sia in giurisprudenza.

L'estinzione del giudizio di divisione causerebbe pure l'estinzione del processo esecutivo (Luiso, voce Sospensione, b) Processo di esecuzione forzata, in cit.). Allo stesso modo, l'estinzione di quest'ultimo, ad esempio per rinuncia del creditore, si rifletterebbe sulla divisione (Travi, Espropriazione dei beni indivisi).

Se il processo esecutivo non viene riassunto dinanzi al Giudice dell'esecuzione nei termini previsti si estingue per inattività delle parti come prescritto dall'art. 630 c.p.c. (Cass. n. 4317/1974, ma anche Cass. n. 44/1968; Trib. Verona, 20 febbraio 2008).

Sono legittimati a riassumere la procedura il creditore procedente ovvero i creditori intervenuti che possono compiere atti di impulso nell'ambito della stessa (ossia coloro che sono muniti di titolo esecutivo).

Impugnazione degli atti del professionista delegato e del giudice della divisione

Si è visto come il giudizio di divisione disposto dal giudice dell'esecuzione all'esito dell'udienza di cui all'art. 600 c.p.c. integri una parentesi di cognizione nell'ambito del processo esecutivo.

Avverso gli atti relativi alla vendita disposta nel giudizio di divisione previsto dall'art. 601 c.p.c. va proposta l'opposizione agli atti esecutivi exartt. 617 e 618 c.p.c., stante il richiamo degli artt. 787 e 788 c.p.c. rispettivamente agli artt. 534 ss. e 576 c.p.c. (così Cass. n. 7785/2001; Cass. n. 15144/2000; Cass. n. 1575/1999).

La sede naturale della impugnazione dei provvedimenti emessi dal giudice istruttore è il giudizio di divisione e non già la procedura esecutiva, da cui tale giudizio è scaturito (in questo senso, Trib. Napoli 27 maggio 2024, estensore dott.ssa Maria Ludovica Russo, che ha dichiarato l'inammissibilità dell'opposizione erroneamente proposta nella procedura esecutiva dal creditore/attore contro il provvedimento emesso dal giudice istruttore della divisione endoesecutiva).

Sono, invece, soggetti al regime proprio dei provvedimenti del giudice ordinario i provvedimenti resi dal giudice istruttore del giudizio di divisione endoesecutivo – se anteriori alle operazioni di vendita vere e proprie – con la conseguenza che se tali provvedimenti hanno carattere ordinatorio, saranno revocabili o modificabili con la sentenza; se hanno natura impropriamente decisoria (in quanto risolutivi di controversie) saranno suscettibili di appello (così Cass. n. 4499/2011).

La questione del rimedio esperibile avverso gli atti del giudice istruttore (o del delegato alle operazioni di vendita) relativi al procedimento di vendita è stata risolta dalle S.U.  che, con la sent. n. 18185/2013, hanno chiarito che lo strumento d'impugnazione avverso i provvedimenti, relativi alla vendita, assunti dal giudice istruttore del giudizio divisionale è rappresentato dal ricorso ex art. 617 c.p.c. e, laddove durante le operazioni di vendita insorgano difficoltà e le operazioni siano state delegate a un professionista, il rimedio esperibile è individuabile nel ricorso al giudice istruttore ex art. 591-ter c.p.c., al cui commento si rinvia.

Bibliografia

Bucolo, La sospensione nell'esecuzione, 1972; Crivelli, Il giudizio divisionale endoesecutivo: soluzioni giurisprudenziali e aspetti problematici, in inexecutivis.it, 29 agosto 2022; Grasso, Spese del giudizio divisorio ed espropriazione di beni indivisi, in Giur. it., I, 1959; Grasso, L'espropriazione della quota, 1957; Lombardi, Le connessioni tra divisione ed espropriazione forzata, in REF 3/2019; Luiso, voce Sospensione, b) Processo di esecuzione forzata, in Enc. dir., XLIII, 1990; Passafiume, La vendita di beni immobili nell'espropriazione forzata e nel giudizio di divisione endoesecutivo: profili comuni e tratti distintivi, in REF 1/2018; Passafiume, Le spese del giudizio di divisione endoesecutiva, in Inexecutivis.it, 25 luglio 2022; Travi, Espropriazione dei beni indivisi, in Dig. priv., VII, Torino, 1992; Vigorito, l'espropriazione dei beni indivisi in REF 2004.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario