Regolamento - 21/04/2004 - n. 805 art. 11 - Effetto del certificato di titolo esecutivo europeoEffetto del certificato di titolo esecutivo europeo Il certificato di titolo esecutivo europeo ha effetto soltanto nei limiti dell'esecutività della decisione giudiziaria. InquadramentoNella complessiva architettura del regolamento (CE) n. 805/2004 un ruolo centrale ha la certificazione della decisione giudiziaria (o dell'atto pubblico o della transazione giudiziaria) come titolo esecutivo europeo. È infatti proprio tale (unica) certificazione che, rilasciata nello Stato d'origine, consente alla decisione di circolare in tutti gli altri Stati membri senza che sia necessario ottenere, da parte di ciascuno degli Stati dell'esecuzione, una dichiarazione di esecutività. Alla certificazione il regolamento dedica il Capo II (artt. 5-11), ove sono contenute norme che individuano i requisiti e gli effetti del certificato oltre alle ipotesi (eccezionali) di riesame. Si tratta di norme che rimettono alla legislazione nazionale la individuazione delle concrete modalità di integrazione (specie quanto al profilo procedurale) tra ordinamento sovranazionale ed ordinamenti degli Stati membri. Anche con riferimento al profilo in esame, l'Italia non ha adottato norme ad hoc, rimettendo quindi all'interprete il (non sempre semplice) compito di individuare, ad ordinamento interno invariato, la soluzione meglio in grado di assicurare la realizzazione dell'obiettivo perseguito a livello eurounitario. Titolo esecutivo e certificato sono due realtà giuridiche nettamente separate, pur se in rapporto di accessorietà (Pozzi, 1107). La certificazione è, infatti, l'esito dell'accertamento, da parte del giudice dello Stato membro d'origine, di una fattispecie distinta ed ulteriore rispetto alla mera vigenza nel medesimo Stato di una decisione (Farina, 147) avente efficacia interna di titolo esecutivo. Secondo Cass. III, n. 10543/2015, il titolo esecutivo europeo non corrisponde ad una procedura sui generis, ma si articola nella combinazione di due distinti atti o provvedimenti e cioè: – per un verso, un titolo esecutivo nazionale, stragiudiziale (con alcune peculiarità e conseguenti esenzioni, risultanti dagli artt. 24.3 e 25.3 del regolamento) ovvero reso all'esito di una procedura giudiziale nazionale tipica, nella quale siano state però osservate, se del caso in aggiunta rispetto alle forme minimali sufficienti per la legislazione nazionale, norme procedurali minime da cui possa desumersi una non contestazione di concezione eurounitaria da parte del debitore ingiunto; – per altro verso, un provvedimento formale che riscontri e certifichi un simile rispetto; provvedimento che, solo, potrà definirsi il vero e proprio «certificato» di titolo esecutivo europeo, evidentemente come quid pluris rispetto al primo. Ancora, prosegue la citata sentenza di legittimità, il certificato di titolo esecutivo europeo «integra, cioè completa» l'ulteriore e distinto titolo esecutivo nazionale, rendendo quest'ultimo idoneo a circolare nello spazio giudiziario europeo. La sua funzione può, se non altro descrittivamente, essere equiparata ad una «sorta di formula esecutiva intraeuropea o ad un provvedimento di funzione analoga a quello previsto dall'art. 647 c.p.c.; in tal modo, esso ha una funzione dichiarativa evidentemente servente rispetto al titolo esecutivo cui accede, conferendogli il riconoscimento della sua idoneità a circolare nello spazio giuridico eurounitario; ma non risolve questioni, né pronunzia su diritti ulteriori rispetto a quelli consacrati nel titolo in favore del creditore; si limita a certificarne l'idoneità a fondare l'esecuzione in dipendenza di un determinato sviluppo processuale». Il certificato, pertanto, non ha natura decisoria e le contestazioni sull'effettivo esercizio del diritto di difesa del debitore devono farsi valere (secondo quanto si desume anche dagli artt. 19 e 6.2 del regolamento) contro il titolo in sé considerato, ma solo mediante i mezzi di impugnazione previsti nello Stato d'origine o, in casi eccezionali, con il riesame previsto dal regolamento n. 805, direttamente contro il titolo stesso e mai contro il certificato. I requisiti per la certificazione come titolo esecutivo europeoL'art. 6 del regolamento (CE) n. 805/2004 indica i requisiti che devono cumulativamente ricorrere perché il giudice dello Stato membro d'origine possa certificare la decisione giudiziaria come titolo esecutivo europeo. In dottrina si è osservato che, pur esaurendosi il controllo dei requisiti per la certificazione in un meccanismo necessariamente autoreferenziale e, pertanto, poco garantista, la scelta compiuta dal legislatore comunitario è stata obbligata, venendo in rilievo un'attività di controllo che è svolta a monte del processo esecutivo con efficacia paneuropea e che difficilmente potrebbe essere svolta (a maggior ragione con la speditezza, la concisione e la chiarezza richieste dal regolamento) dal giudice dello Stato dell'esecuzione (Pozzi, 1104-1105). La certificazione come titolo esecutivo europeo presuppone, in primis , l'esistenza di una decisione esecutiva nello Stato d'origine (si veda quanto a breve si dirà in ordine all'ipotesi in cui sopravvenga il difetto di esecutività della decisione –art. 6.2). Come osservato in dottrina, la certificazione come TEE non attribuisce efficacia esecutiva a decisioni che ne sono sprovviste secondo l'ordinamento nazionale, ma si limita ad «estendere» l'originaria efficacia esecutiva al di là dei limiti territoriali che le sarebbero propri (Farina, 147). Ancora, ai fini della certificazione è necessario che il giudice, nel pronunciare la decisione, non abbia violato le norme poste dal regolamento Bruxelles I in materia di contratti di assicurazione o nei casi di competenze esclusive (art. 22, regolamento CE n. 44/2001). Già il regolamento Bruxelles I prevede (art. 35) una preclusione alla circolazione delle decisioni adottate in violazione di simili norme. La previsione dell'art. 6.1 lett. b) è pertanto tesa ad escludere la circolazione di simili decisioni anche nel semplificato regime previsto dal regolamento che istituisce il TEE. Particolare attenzione è inoltre riservata ai casi di credito non contestato ai sensi dell'art. 3.1 lett. b ) o c ); in tali ipotesi, infatti, l'autorità preposta al rilascio del certificato dovrà verificare anche il rispetto, quanto al procedimento concluso con la decisione giudiziaria che si chiede di certificare, delle norme minime uniformi stabilite dal medesimo regolamento (CE) n. 805/2004 (sulle quali ci si soffermerà a breve). Sotto tale profilo si è osservato (Fumagalli, 34) che il regolamento in esame tende a garantire l'ammissione al semplificato regime di circolazione di quelle sole decisioni che risultino rese all'esito di un procedimento rispettoso dei diritti essenziali della difesa; diritti la cui violazione, nel regime del regolamento Bruxelles I, giustifica il diniego dell'exequatur (art. 34 n. 2, regolamento CE n. 44/01). Da ultimo, quanto ai crediti non contestati ai sensi dell'art. 3.1 lett. a) e b) vantati nei confronti del consumatore, si richiede che la decisione sia stata assunta da parte del giudice dello Stato membro del domicilio del consumatore ai sensi dell'art. 59 del regolamento (CE) n. 44/2001. Tale requisito è stato ritenuto (Seatzu, 4) trasposizione sul versante dell'esecuzione del favor verso i contraenti deboli (assicurati e consumatori) già rinvenibile nel regolamento Bruxelles I. L'autore da ultimo citato ha inoltre rilevato come il regolamento che istituisce il TEE non abbia inteso andare oltre quanto già previsto dall'art. 35 del regolamento (CE) n. 44/2001 che, ai fini del riconoscimento delle decisioni di altri Stati membri, richiede espressamente Il rispetto delle sole disposizioni dettate in materia di contratti del consumatore, di assicurazione e di competenze esclusive. Una simile scelta legislativa, pur criticabile nella parte in cui non ha incluso i contratti di lavoro subordinato, sarebbe tuttavia positivamente apprezzabile nella misura in cui, mediante il coordinamento con la corrispondente disciplina del regolamento (CE) n. 44/2001, riduce gli incentivi al forum shopping tra i sistemi di riconoscimento contemplati nei due regolamenti (Seatzu, 4). Si è osservato come primo requisito per la certificazione sia l'esecutività (non la definitività) della decisione giudiziaria. Una simile scelta, tesa – evidentemente – ad ampliare le decisioni suscettibili di beneficiare del semplificato regime di circolazione, comporta tuttavia che la certificazione originariamente emessa possa risentire di vicende relative alla limitazione o sospensione dell'efficacia esecutiva della decisione giudiziaria verificatesi nello Stato d'origine. In simili casi l'art. 6.2 del regolamento prevede la possibilità, per il debitore, di richiedere (sempre) al giudice dello Stato d'origine l'emissione di un certificato, analogo ma di segno contrario (Pozzi, 1107) rispetto a quello originariamente emesso, che attesti la non esecutività (o la limitata esecutività) della decisione; anche tale certificato dovrà essere conforme ad un modello allegato al regolamento (nella specie, trattasi dell'allegato IV). L'art. 6.2 presuppone che la decisione giudiziaria certificata come TEE sia già stata (almeno parzialmente) sospesa quanto alla propria efficacia esecutiva. Sotto questo profilo deve essere apprezzata la differente operatività di tale norma rispetto all'art. 23 del medesimo regolamento il quale consente al debitore di ricorrere al competente giudice dello Stato dell'esecuzione per richiedere la sospensione o la limitazione dell'esecuzione nel caso in cui la decisione certificata sia stata impugnata nello Stato membro d'origine, ma, non ne sia stata ancora sospesa l'efficacia esecutiva (in proposito si veda, amplius, il commento all'art. 23 del regolamento). In dottrina si è inoltre ritenuto che, presupponendo la certificazione l'esistenza di una decisione esecutiva nello Stato d'origine (v. artt. 6.1 lett. a) ed art. 11), l'originario od il successivo venir meno dell'esecutività della decisione nello Stato d'origine, produrrebbero «immediatamente ed automaticamente», i propri effetti a prescindere da un formale «provvedimento» ablatorio del giudice d'origine (Farina, 148, il quale richiama, in termini, Cour de cassation, 2eme Chambre civile, Arrêt del 6 gennaio 2012, n. 10-23518), potendo il debitore far valere il difetto di efficacia esecutiva del titolo già nello Stato d'origine mediante i rimedi contemplati nello Stato membro dell'esecuzione (in Italia, mediante l'opposizione all'esecuzione). Si è detto che, ai sensi dell'art. 3.2, è suscettibile di certificazione anche la decisione di secondo grado resa all'esito dell'impugnazione di una sentenza già certificata come TEE (pur se, in conseguenza di tale impugnazione dovrebbe, in astratto, ritenersi venuto ormai meno il requisito della non contestazione). Una simile scelta è stata giustificata al fine di evitare che la mera proposizione del gravame possa privare a posteriori l'effetto della certificazione, così incentivando tardive condotte dilatorie del debitore (Pozzi, 1108 il quale osserva come il debitore potrebbe disinteressarsi del processo radicato in uno Stato membro lontano dai propri beni ed attivarsi solo a fronte di una certificazione idonea all'aggressione dei beni in uno Stato membro diverso da quello d'origine). Nel caso in cui il procedimento instaurato per effetto dell'impugnazione si concluda con una conferma (anche parziale) della originaria decisione e la decisione sul gravame sia esecutiva, il creditore appellato potrà chiedere alla competente autorità dello Stato d'origine un certificato «sostitutivo» conforme all'allegato V. Corte giustizia UE, 5 dicembre 2013, C-508/12, Walter Vapenik ha ritenuto che l'art. 6.1, lett. d) del regolamento n. 805/2004 deve essere interpretato nel senso che esso non si applica ai contratti conclusi tra due persone non impegnate in attività commerciali o professionali. La questione (sollevata da un giudice austriaco) derivava dal fatto che la norma del regolamento 805 da ultimo citata si limita a far riferimento al debitore-consumatore, ma non prevede che la controparte del consumatore debba essere un professionista (o un imprenditore). La Corte giunge alla segnalata conclusione osservando come la disciplina a tutela del consumatore (a partire dalla direttiva 93/13/CEE) sia tesa a tutelare il contraente che – rispetto al professionista – si trovi in una situazione di inferiorità per quanto riguarda sia il potere nelle trattative, sia il grado di informazione. Ancora, prosegue la citata sentenza, se la certificazione come TEE consente di non ricorrere alla procedura di exequatur prevista dal regolamento n. 44/2001, la mancanza di una tale certificazione non esclude la possibilità di procedere all'esecuzione della sentenza mediante l'exequatur previsto da tale ultimo regolamento. Ebbene, afferma la Corte, «qualora venisse assunta, nell'ambito del regolamento n. 805/2004, una definizione della nozione di «consumatore» più ampia rispetto all'ambito del regolamento n. 44/2001, ciò potrebbe esser fonte di incoerenze nell'applicazione tra questi due regolamenti. Infatti, il regime derogatorio stabilito dal primo regolamento potrebbe condurre alla mancata certificazione come titolo esecutivo di una sentenza, mentre l'esecuzione di quest'ultima sarebbe peraltro possibile nell'ambito del regime generale previsto dal regolamento n. 44/2001, poiché non sarebbero soddisfatte le condizioni in cui tale regime consente al convenuto di contestare il rilascio di un titolo esecutivo, per violazione della competenza dei giudici dello Stato di domicilio del consumatore». Trib. Mantova 24 settembre 2009, in Riv. dir. int. priv. proc., 2010, 1, 149, premesso che la certificazione di una decisione giudiziaria (tale dovendo considerarsi, ai sensi dell'art. 4 del regolamento n. 805, anche il decreto emesso ai sensi dell'art. 641 c.p.c.) presuppone, tra l'altro, che la decisione sia esecutiva nello Stato membro d'origine (art. 6.1, lett. a), ha rigettato l'istanza di certificazione come TEE di un decreto ingiuntivo non dichiarato esecutivoexart. 647 c.p.c. Il medesimo provvedimento ha inoltre rilevato che il decreto ingiuntivo neppure era stato notificato nel rispetto delle norme procedurali minime previste dal regolamento n. 805. Essendo stato notificato a mezzo ufficiale giudiziario e recando il plico postale la sola dicitura «Não reclamado Non reclamé» e la data di rinvio al mittente, il Tribunale ha escluso la ricorrenza di un caso di notifica ai sensi dell'art. 13 (con prova del ricevimento da parte del debitore) e, stante la genericità della riportata dicitura, ha altresì escluso la ricorrenza dell'ipotesi (pure criticata in dottrina) prevista all'art. 14, lett. c). Da ultimo, il citato provvedimento ha, «per mera completezza d'indagine» osservato che non risultava verificata l'ipotesi di sanatoria prevista dall'art. 18.2. La procedura di rilascioLa disciplina del rilascio del certificato contenuta nel regolamento (CE) n. 805/2004 è senza dubbio laconica (Pozzi, 1105; Consalvi, 660) se non «assai lacunosa» (Farina, 157), limitandosi l'art. 9 del regolamento a prevedere che il certificato sia obbligatoriamente rilasciato secondo il formulario standard di cui all'Allegato I da redigere nella lingua della decisione (nel senso dell'impiego del modello contenuto all'Allegato I quale condizione formale per il rilascio del TEE, v. Seatzu, 4). Anche il regolamento che istituisce il TEE ha pertanto fatto ricorso ad un formulario multilingue che risulta uno strumento «ormai classico» (Consalvi, 660) utilizzato dai regolamenti di cooperazione giudiziaria in materia civile. La semplificazione derivante dall'impiego di simili formulari opera almeno sotto due distinti profili. Per un verso, infatti, il formulario ripercorre in modo minuzioso i passaggi logici sottesi alla certificazione, così agevolando l'autorità preposta al rilascio. Per altro verso lo strumento in esame consente un'immediata comprensione del contenuto del certificato, consentendo quindi di superare eventuali barriere linguistiche (Pozzi, 1105). Peraltro, anche in considerazione delle peculiarità del regime di circolazione della decisione certificata come TEE, il contenuto del formulario allegato al regolamento (CE) n. 805/2004 risulta assai più analitico rispetto a quello previsto da precedenti strumenti di cooperazione giudiziaria civile (Consalvi, 660). La segnalata laconicità della disciplina contenuta nel regolamento, il rinvio che la fonte comunitaria fa, di conseguenza, alle norme nazionali ed il tradizionale disinteresse manifestato dal legislatore italiano quanto alla introduzione di norme di coordinamento tra gli strumenti di cooperazione giudiziaria ed ordinamento interno sono alla base di non pochi problemi emersi quanto al procedimento di rilascio della certificazione. Non v'è dubbio che il rilascio della certificazione richieda una istanza di parte. Istanza che può essere presentata «in qualunque momento» (art. 6) e, pertanto, sia nell'atto introduttivo del giudizio poi conclusosi con la decisione da certificare (Farina, 160; Pozzi, 1105; Carratta, 4; Fumagalli, 33), sia successivamente all'emanazione della decisione, considerato anche che il carattere transfrontaliero dell'esecuzione potrebbe non essere ravvisato già nel momento in cui è instaurato il procedimento teso alla pronuncia della decisione (Farina, 160). Dall'art. 6 del regolamento si desume che l'istanza di certificazione di una decisione giudiziaria deve essere presentata al «giudice di origine». Secondo la dottrina, la generica formulazione letterale della norma da ultimo citata consente una «soluzione aperta» (Fumagalli, 33). Infatti, ferma la competenza del giudice o dell'organo giurisdizionale incaricato del procedimento al momento in cui viene in essere la non contestazione del credito, la certificazione potrebbe essere rilasciata sia dal medesimo magistrato che ha concretamente pronunciato la decisione, sia (secondo quanto del resto risulta anche dal modello di certificato di cui all'allegato I) da altro giudice appartenente al medesimo ufficio (Fumagalli, 33). Tale ultima soluzione è stata ritenuta preferibile nella prospettiva di garanzia di imparzialità ed indipendenza dell'autorità certificante, stante la possibile difficoltà che il medesimo magistrato che ha deciso nel merito la controversia potrebbe avere nell'ammettere di aver statuito in difetto di giurisdizione o in violazione delle norme minime comuni (Pozzi, 1105). Dubbi sono sorti quanto alla natura del procedimento di certificazione. Ci si è, cioè, chiesti se sia in proposito ravvisabile un procedimento giurisdizionale vero e proprio o se si sia in presenza di un procedimento amministrativo pur rimesso all'autorità giudiziaria. Sulla questione (strettamente collegata a quella – di seguito esaminata – della necessità o meno della instaurazione del contraddittorio) è stata sostenuta tanto la tesi per la quale il procedimento in esame andrebbe ricondotto nell'ambito della volontaria giurisdizione (Consalvi, 661), quanto quella che ritiene invece esistente un'attività amministrativa (Pozzi, 1106 il quale tuttavia precisa che la scelta concreta legittimamente compiuta dai singoli Stati membri non può inficiare la diretta ed effettiva applicazione del regolamento). Tale ultima tesi è argomentata in considerazione della previsione, da parte del regolamento, di un procedimento connotato dall'assenza di formalità, dal mancato rinvio (a differenza di quanto accade per la revoca e la rettifica del certificato) alla legislazione dei singoli Stati membri e dal fatto che alcuni Stati membri hanno attribuito il compito della certificazione ad organi ausiliari dei magistrati (Pozzi, 1106). Dubbi sono stati sollevati anche con riferimento alla necessità o meno di instaurare il contraddittorio a fronte del deposito dell'istanza di certificazione. In proposito il testo definitivo del regolamento non ha accolto la modifica formulata dal Parlamento europeo e dalla Commissione in ordine alla notificazione della domanda di certificazione al debitore al fine di rafforzare il diritto di difesa di quest'ultimo. La mancata previsione, da parte del regolamento, di regole procedurali quanto al rilascio del certificato comporta tuttavia che la questione della necessità o meno della notifica al debitore debba essere risolta alla luce della lex fori; tanto anche in considerazione della mancanza, nel regolamento qui esaminato, di una norma che vieti espressamente la partecipazione del controinteressato quale l'art. 41, regolamento (CE) n. 44/2001. Di qui la rilevanza della natura del procedimento di certificazione. Non a caso, quanti optano per la natura di volontaria giurisdizione del procedimento, ritengono necessaria l'instaurazione del contraddittorio (Consalvi, 661). La mancata necessità della instaurazione del contraddittorio è stata invece argomentata alla luce della natura non giurisdizionale del procedimento preposto al rilascio della certificazione e della stessa certificazione, nonché in considerazione della possibilità, per il debitore, di richiedere la revoca del certificato ai sensi dell'art. 10 (Fumagalli, 33), ovvero in considerazione del parallelismo esistente tra la certificazione qui in esame e quella prevista dal regolamento Bruxelles I, nonché della non impugnabilità del certificato (art. 10.4) e della possibilità, per il debitore, di richiederne la revoca (Farina, 161-162). L'autore da ultimo citato prosegue osservando come, a prescindere da pericolosi tentativi di inquadramento dogmatico della certificazione, sia possibile, sotto il profilo pragmatico, assimilare il rilascio del certificato alla dichiarazione di esecutività emessa inaudita altera parte e la richiesta di revoca del certificato all'opposizione proponibile dal debitore avverso una decisione dichiarata esecutiva ai sensi dell'art. 38, regolamento n. 44/2001 (Farina, 162). Da ultimo, dubbi sussistono quanto ai rimedi previsti in favore dell'istante che abbia visto rigettata la domanda di certificazione. In proposito la dottrina ha escluso la possibilità di proporre reclamo avverso il rifiuto, restando invece possibile per la parte la presentazione di una nuova istanza ovvero la possibilità di avvalersi del regime di circolazione previsto dal regolamento (UE) n. 1215/2012 ovvero dal regolamento (CE) n. 44/2001 (Pozzi, 1106; Fumagalli, 33-34). Quanto al certificato di titolo esecutivo parziale (art. 8) si rinvia al commento dell'art. 3 (par. 8). Secondo Trib. Novara 23 maggio 2012, la decisione di certificare una decisione giudiziaria come titolo esecutivo europeo è riconducibile ad una funzione para-amministrativa, «essendo il giudice chiamato non già ad accertare l'esistenza di un diritto del singolo nel contrasto tra le parti, ma la ricorrenza di certi requisiti previsti dalla normativa europea quali condizioni per perseguire l'interesse – di natura sovraindividuale – di incrementare la creazione di uno spazio giudiziario europeo». Trib. Milano ord., 23 aprile 2008, in Foro it., 2009, I, 937 ss., nell'accogliere l'istanza di revoca di certificato di titolo esecutivo europeo rilasciato dalla cancelleria del medesimo Tribunale, ha osservato che il certificato di TEE può essere rilasciato solo dal giudice dello Stato membro d'origine, tale, ineludibilmente, dovendo considerarsi l'organo con funzioni giurisdizionali. Il medesimo provvedimento ha inoltre ritenuto che il titolo esecutivo europeo non si risolve in una mera certificazione amministrativa; piuttosto, presupponendo il positivo esame delle condizioni di cui all'art. 3 del regolamento, il rilascio del certificato presuppone una valutazione giurisdizionale secondo quanto del resto risulta anche dal diciassettesimo considerando. Trib. Milano dec., 30 novembre 2007, in Foro it., 2009, I, 940 ha escluso la possibilità di apporre la formula esecutiva sull'originale del titolo esecutivo costituito da certificato di titolo esecutivo europeo emesso dalla Pretura di Euskirchen ai sensi del regolamento (CE) n. 805/2004, atteso che l'apposizione di una simile formula varrebbe ad integrare una delibazione, da parte dello Stato dell'esecuzione, relativa all'accertamento delle condizioni di eseguibilità del titolo esecutivo europeo che il regolamento ha inteso escludere. Trib. Novara 23 maggio 2012 nello statuire sul «reclamo» proposto avverso il provvedimento con il quale, per la seconda volta, il giudice del lavoro aveva rigettato l'emissione del certificato di titolo esecutivo europeo ha, in via preliminare, esaminato la questione relativa al rimedio a disposizione del creditore a fronte di un simile rifiuto. Premesso che il regolamento nulla prevede al riguardo e che, invece, la guida pratica per l'applicazione del regolamento sul titolo esecutivo europeo redatta dalla Commissione Europea prevede tre possibilità (e cioè, la riproposizione dell'istanza – così come già fatto in concreto dalla reclamante –, l'impugnazione della decisione di diniego, «se la legislazione nazionale lo consente» o la richiesta di esecuzione secondo la procedura di exequatur prevista dal regolamento CE n. 44/2001), il tribunale piemontese esamina la questione relativa alla esistenza, nell'ordinamento italiano, della ammissibilità del gravame avverso la decisione di rigetto dell'istanza di rilascio del certificato. Questione che, premessa la natura di volontaria giurisdizione dell'attività svolta dal giudice in sede di certificazione del titolo esecutivo (v. sopra), risolve mediante individuazione, quale mezzo di impugnazione del diniego, del reclamo alla Corte di appello ai sensi dell'art. 739, comma 1, seconda parte c.p.c. (con conseguente inammissibilità del reclamo proposto al Tribunale). Gli effetti del certificatoCome già osservato, il (medesimo) certificato emesso dalla competente autorità dello Stato d'origine può essere utilizzato dal creditore per instaurare più procedimenti esecutivi nei confronti dello stesso debitore anche in differenti Stati membri. In dottrina si è osservato che, nonostante l'oggetto del regolamento (che istituisce il «titolo esecutivo europeo») ed una terminologia talvolta ambigua (Fumagalli, 32), alla certificazione non sarebbero ricollegabili effetti sotto il solo versante dell'esecuzione. Piuttosto, dalla certificazione discenderebbe in via ordinaria un generale effetto di riconoscimento della decisione che potrà pertanto circolare non solo quanto all'efficacia esecutiva, ma, anche, quanto all'efficacia di accertamento del credito (Farina, 97 ss.; Fumagalli, 32). In tale prospettiva, la decisione certificata potrà pertanto essere invocata a fondamento di un'eccezione di compensazione (o, anche, di cosa giudicata, se sia divenuta irretrattabile nello Stato d'origine), senza essere suscettibile di contestazione (Fumagalli, 32). Nello stesso senso, si è osservato come ove su un determinato diritto già oggetto di una decisione in uno Stato membro fosse instaurato un giudizio in un altro Stato membro teso ad infirmare il contenuto della prima decisione, la certificazione di quest'ultima nello Stato membro d'origine dovrebbe comportare l'automatico rigetto della seconda, contrastante pretesa (Farina, 97). L'autore da ultimo citato peraltro precisa come non sia suscettibile di circolazione una decisione di mero accertamento di un credito rispetto alla quale vi sia stata una non contestazione rilevante ai sensi del regolamento. Ai fini della certificazione è, infatti, necessario che vi sia pur sempre una decisione di condanna al pagamento di una somma di denaro; in assenza di un simile contenuto (e, pertanto, con riferimento alle sentenze di mero accertamento), infatti, non sarebbe rinvenibile quella esecutività della decisione che si è visto essere (art. 6.1 lett. a) requisito per la certificazione (Farina, 98 ss.). Nel caso in cui, invece, alla decisione certificata come TEE sia ricollegata anche una efficacia di accertamento quanto ai rapporti sostanziali tra le parti, una simile efficacia (unitamente a quella esecutiva) potrà divenire oggetto di un'«automatica ed incondizionata espansione su tutto il territorio dell'Unione Europea» (Farina, 100). Nel senso, invece, di una efficacia meramente esecutiva alla certificazione resa ai sensi del regolamento (CE) n. 805/2004, v. Campeis, De Pauli, 416. Una volta emesso, il certificato non può più esser messo in discussione o neutralizzato in alcuno Stato membro (Pozzi, 1106) secondo quanto emerge dall'art. 10.4 del regolamento che, come già previsto dall'art. 43.2 del regolamento (CE) n. 2201/03, esclude l'impugnabilità del regolamento, così ponendo un principio essenziale nel sistema del regolamento in esame (Fumagalli, 35). Lo stesso art. 10, tuttavia, prevede due rimedi in favore del debitore (v. il prossimo paragrafo). Possibilità di riesame della certificazione.Pur essendo esclusa l'impugnabilità del certificato (art. 10.4), il regolamento prevede due rimedi esperibili innanzi al giudice dello Stato d'origine per il caso di erronea certificazione della decisione giudiziaria. Viene così prevista la possibilità di un sia pur limitato riesame della intervenuta certificazione (Fumagalli, 36). Anche la disciplina dettata dal regolamento con riferimento a queste due forme di riesame della certificazione risulta piuttosto laconica. Il legislatore comunitario, distinta la rettifica dalla revoca e previsto un formulario per la proposizione delle rispettive istanze (si tratta dell'allegato VI), rimette infatti ai singoli ordinamenti nazionali la disciplina dei procedimenti di riesame (art. 10.2). L'ambito di applicazione della rettifica non ha destato particolari dubbi in dottrina. Alla luce della chiara lettera dell'art. 10, infatti, l'istituto è destinato a trovare applicazione allorquando, per effetto di un errore materiale, vi sia difformità tra la decisione giudiziaria ed il contenuto della certificazione. Maggiori difficoltà sono invece emerse quanto alla esatta delimitazione della revoca, richiedibile nel caso in cui il certificato risulti «manifestamente» concesso per errore. È bene premettere che non è possibile, mediante la revoca, lamentare una eventuale invalidità o ingiustizia della decisione certificata. La revoca, infatti, ha ad oggetto il certificato e non la decisione, sì che la stessa potrà essere richiesta allegando censure relative all'inesistenza dei requisiti per la certificazione ai sensi dell'art. 6 (Farina, 168; D'Alessandro, 193 ss.). Il carattere manifesto dell'errore impone di ritenere che la revoca (provvedimento di natura «eccezionale» – Pozzi, 1106) possa essere pronunciata in presenza di un vizio necessariamente grave rinvenibile con riferimento a qualsiasi violazione della disciplina del regolamento 805 e, pertanto, in via meramente esemplificativa, sia alla non riconducibilità della decisione alla materia civile e commerciale, sia alla mancata esecutività della decisione nello Stato membro d'origine, sia alla violazione delle norme minime (Pozzi, 1106; nello stesso senso, sostanzialmente, Farina, 168). La revoca potrebbe esser chiesta ogni volta che l'originaria insussistenza dei requisiti per la certificazione emerga dalla mera lettura della decisione e del certificato o, comunque, ogni volta che l'insussistenza dei requisiti di certificazione sia ravvisabile sulla base di un mero controllo esterno che non richieda, quindi, un'apposita istruttoria (D'Alessandro, 195). La natura originaria del difetto dei presupposti della certificazione preclude inoltre il ricorso alla revoca nel caso di sopravvenuta carenza dei requisiti di certificazione (si pensi, quanto all'ordinamento italiano, al decreto ingiuntivo – certificato come TEE in assenza di tempestiva opposizione – avverso il quale sia esperita vittoriosamente opposizione tardiva); in simili casi, infatti, il debitore dovrà avvalersi della tutela apprestata dall'art. 6.2 del regolamento (D'Alessandro, 196). I primi commentatori hanno osservato come, nonostante la lettera della norma deponga nel senso della eccezionalità del rimedio in esame, sussista il rischio che l'istituto sia trasformato in un vero e proprio strumento di impugnazione del certificato attraverso il quale il debitore potrà far valere la pretesa insussistenza dei requisiti per la certificazione a prescindere dal carattere «manifesto» di tale insussistenza (Consalvi, 661-662). In una prospettiva parzialmente diversa si è invece ritenuto preferibile non adottare un approccio troppo restrittivo quanto all'ambito di applicazione della revoca, atteso che la certificazione è concessa inaudita altera parte, senza, pertanto, che, almeno in prima battuta, il debitore possa far valere le proprie ragioni (Lupoi, 188). Anche in relazione alla disciplina del procedimento per la rettifica o la revoca il legislatore italiano ha completamente trascurato l'adozione di una disciplina ad hoc. Con riferimento alla rettifica si è ritenuto possibile richiamare gli artt. 287 e 288 c.p.c. (Lupoi, 188; Pozzi, 1107). Con riferimento alla revoca, inizialmente, si è ritenuto di poter richiamare la disciplina del rito camerale di cui agli artt. 737 ss. c.p.c. (Lupoi, 188), in considerazione del dato letterale e della natura relativamente informale del procedimento, ovvero la disciplina del processo ordinario di cognizione destinato a chiudersi con sentenza. Tale ultima soluzione è stata ritenuta preferibile in considerazione dell'oggetto del giudizio, della completa compressione dei diritti del debitore nella fase iniziale del rilascio del certificato e dell'analogia con quanto previsto dal regolamento (CE) n. 44/2001 (Pozzi, 1106). La comunicazione alla Commissione effettuata dall'Italia ai sensi dell'art. 30 del regolamento fa riferimento, quanto al procedimento previsto all'art. 10.2 del regolamento, alla «revoca in camera di consiglio». Il contenuto di tale comunicazione è stato tuttavia ritenuto poco chiaro e tale da necessitare di alcuni chiarimenti. Si è infatti osservato (Farina, 170-171) che il riferimento alla «revoca in camera di consiglio», lungi dall'assumere rilievo quanto alla individuazione dell'esatta natura della funzione giurisdizionale esercitata nella fase del rilascio del certificato ed in quella della revoca, dovrebbe essere inteso solo quale rinvio alle forme dei procedimenti in camera di consiglio che, in tal modo, sarebbero rese applicabili alla trattazione del ricorso teso alla revoca del certificato; ricorso da esaminare, senza indugio, sulla base delle norme sul procedimento in contraddittorio. Avuto riguardo all'oggetto del procedimento (che non sarebbe inciso dal contenuto della comunicazione), l'istanza di revoca darebbe invece luogo ad un giudizio di natura contenziosa avente ad oggetto l'accertamento dell'inesistenza di un vero e proprio effetto giuridico di natura processuale (Farina, 170-171). In assenza di previsione legislativa, si ritiene che la revoca possa essere richiesta in ogni tempo (D'Alessandro, 197 la quale osserva come, invece, in Germania la richiesta di revoca del certificato da parte del debitore – conformemente alla funzione impugnatoria dell'istituto – può esser proposta solo entro un mese dall'emissione del certificato). Corte di giustizia UE, 16 febbraio 2023, Lufthansa Technik AERO Alzey GmbH ha chiarito che, in base al combinato disposto degli artt. 6.2 ed 11 del regolamento (CE) n. 805/2004, nel caso in cui l'esecutività di una decisione certificata come titolo esecutivo europeo sia stata sospesa nello Stato membro d'origine e il certificato previsto dall'art. 6.2 sia stato presentato al giudice dello Stato membro dell'esecuzione, il giudice dello Stato membro dell'esecuzione è tenuto a sospendere, sulla base di tale decisione, il procedimento di esecuzione avviato in quest'ultimo Stato. Cass. III, n. 10543/ 2015 precisato che, per effetto della comunicazione resa dall'Italia alla Commissione ai sensi dell'art. 30 del regolamento, alla revoca ex art. 10 del regolamento si applica il procedimento in camera di consiglio, osserva che il sistema di impugnazione del provvedimento complesso in cui si articola il TEE (provvedimento che consta di titolo domestico e certificato) «impone quindi – anche a garanzia, in accordo con parte della dottrina, della massima funzionalità possibile all'istituto – di circoscrivere l'oggetto della revoca alla sola carenza evidente dei requisiti formali di rilascio del certificato di titolo esecutivo europeo, tanto da limitarla ad un errore manifesto sulla sussistenza dei requisiti formali di rilascio e quindi del procedimento proprio e specifico di richiesta-esame-rilascio del certificato medesimo; qualunque ulteriore contestazione sul rito della formazione del titolo esecutivo, implicante la compressione del diritto del debitore di contestare il debito, ma pure sul merito della pretesa e per il caso sia ritenuta fondata l'indispensabile preliminare contestazione in rito, va ricondotta all'ambito di operatività dell'art. 19 del Regolamento n. 805 e, quindi, all'esperimento, se ancora possibile, degli strumenti straordinari di revisione del titolo in sé considerato. Pertanto, in tale contesto e se correttamente interpretato, l'istituto della revoca non può involgere alcun diritto del debitore relativo al merito della pretesa od alla correttezza del rito seguito per l'emanazione del provvedimento costituente il titolo esecutivo: diritto che è tutelato in altra e specifica sede. Così ‒ cioè – il certificato non è di per sé stesso decisorio, perché la tutela delle posizioni giuridiche relative alla violazione del diritto di difesa nel procedimento concluso con il titolo è riservata ad altri ambiti processuali, sol che il debitore se ne avvalga correttamente». Tanto premesso, in applicazione del principio generale per il quale per i provvedimenti resi all'esito di un procedimento in camera di consiglio (provvedimenti carenti della decisorietà o definitività) è inammissibile il ricorso per cassazione (pure ai sensi dell'art. 111 Cost., occorrendo per tale ricorso l'impugnazione di un provvedimento giurisdizionale lesivo di situazioni giuridiche sostanziali per le quali non siano previste altre sedi processuali di tutela) la Suprema Corte ha escluso l'impugnabilità mediante ricorso per cassazione del provvedimento adottato dalla Corte di appello in sede di reclamo proposto avverso il diniego di revoca del certificato ai sensi dell'art. 10 del regolamento qui in esame. App. Torino 20 febbraio 2012, in Giur. it., 6, 1374 ha ritenuto che l'istanza di revoca possa essere formulata sia quando il certificato è stato emesso per errore di fatto «(mancato rilievo della divergenza della situazione di fatto rispetto a quanto prescritto dalla norma)», sia quando sia stato emesso per errore di diritto «(erronea interpretazione del Regolamento con conseguente erronea individuazione dei requisiti da esso stabiliti per il rilascio del certificato)». Nel caso di specie, la Corte ha revocato il certificato rilevando che il decreto ingiuntivo non opposto era stato emesso in violazione degli artt. 14, lett. c) e d) e 17 del regolamento. Trib. Monza 1° febbraio 2010, in Riv. dir. int. priv. proc. 2011, 2, 416 ss. ha escluso che il debitore possa (nel caso di specie mediante opposizione all'esecuzione) contestare l'effettiva ricorrenza di uno dei casi di non contestazione previsti dal regolamento n. 805. Una simile contestazione – secondo il Tribunale lombardo – deve invece esser fatta valere innanzi alla competente autorità dello Stato d'origine mediante la richiesta di revoca del certificato (art. 10 del regolamento). BibliografiaCampeis, De Pauli, La disciplina europea del processo civile, Padova, 2005; Carratta, Titolo esecutivo europeo, I) Diritto processuale civile, in Enc. Giur., 2006, 1 ss.; Consalvi, Il titolo esecutivo europeo in materia di crediti non contestati, in Riv. esecuz. forzata, 2004, 4, 647 ss.; D'Alessandro, Prime applicazioni giurisprudenziali del regolamento n. 805 del 21 aprile 2004 che istituisce il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati, con particolare riferimento alla possibilità di proporre opposizione ex art. 615 c.p.c. qualora lo Stato richiesto dell'esecuzione sia l'Italia, in Riv. esecuz. forzata, 2010, 1-2, 187 ss.; Farina, Titoli esecutivi europei ed esecuzione forzata in Italia, Roma, 2012; Fumagalli, Il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati nel regolamento comunitario n. 805/2004, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2006, 1, 23 ss.; Lupoi, Di crediti non contestati e procedimenti di ingiunzione: le ultime tappe dell'armonizzazione processuale in Europa, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, 1, 171 ss.; Pozzi, Titolo esecutivo europeo, in Enc. Dir., Annali, I, Milano, 2008, 1095 ss.; Seatzu, Titolo esecutivo europeo, II) Diritto internazionale privato e processuale, in Enc. Giur., 2006, 6 ss. |