Codice di Procedura Civile art. 603 - Notificazione del titolo esecutivo e del precetto.

Emanuela Musi

Notificazione del titolo esecutivo e del precetto.

[I]. Il titolo esecutivo [474] e il precetto [480] debbono essere notificati [479] anche al terzo [2812 3 c.c.].

[II]. Nel precetto deve essere fatta espressa menzione del bene del terzo che si intende espropriare.

Inquadramento

Ai sensi dell'art. 603 c.p.c., l'espropriazione forzata del terzo proprietario deve essere preceduta dalla cd. doppia notifica del titolo esecutivo e del precetto, nei confronti del debitore diretto e del terzo, il quale, sebbene formalmente estraneo al rapporto giuridico fondante le pretese creditizie poste in executivis, è l'unico ed effettivo soggetto passivo della vicenda espropriativa, chiamato a subire l'azione esecutiva sul bene dato in garanzia dell'altrui obbligazione inadempiuta. La scissione tra debito e responsabilità, caratterizzante la peculiare procedura espropriativa del terzo, consente di analizzarne le ricadute in caso di fallimento del debitore ovvero del terzo stesso; invero, se nell'ipotesi in cui il fallimento investa il debitore diretto non paiano sussistere dubbi in ordine alla possibilità di intraprendere la procedura esecutiva nei confronti del terzo nelle forme di cui all'art. 602 c.p.c., potendo il creditore ipotecario insinuarsi nel passivo fallimentare del proprio debitore, nella diversa ipotesi in cui a fallire sia il terzo il nodo problematico ruota intorno alla necessità che il creditore, pur non vantando alcuna ragione di credito verso il terzo fallito, debba o meno procedere all'insinuazione allo stato passivo. La tematica, di particolare complessità e di non immediata soluzione, ha visto coinvolte dottrina e giurisprudenza in un copioso e contrastante dibattito che l'Autore ha cercato di rappresentare chiaramente nel corpo del paragrafo 4 del presente lavoro.

La disposizione normativa in commento mira a tutelare la posizione del terzo, il quale, notiziato dell'intraprendenda procedura esecutiva, potrà, al fine di evitarne gli effetti pregiudizievoli, proporre le eccezioni di cui all'art. 2859 c.c. ovvero le opposizioni esecutive, procedimenti questi in cui il debitore diretto ed il creditore sono contraddittori necessari ai sensi dell'art. 604 c.p.c.

La norma prescrive che il titolo esecutivo ed il precetto siano notificati «anche» al terzo, potendosi da ciò dedurre, sebbene non si tratti di soluzione unanimemente condivisa in dottrina, che la notifica concerna il medesimo titolo esecutivo ottenuto dal creditore nei confronti del debitore diretto. Il precetto, quale atto prodromico alla vicenda espropriativa, contiene l'intimazione rivolta al debitore di adempiere l'obbligo derivante dal titolo esecutivo (entro un termine che, alla stregua dell'art. 480 c.p.c., non deve essere inferiore ai dieci giorni, salva l'autorizzazione di cui all'art. 482 c.p.c.) e lo specifico avvertimento che in difetto di adempimento il creditore procederà ad esecuzione forzata. Ineludibile requisito contenutistico, nella peculiare forma espropriativa in esame, è, altresì, l'indicazione dei beni oggetto di aggressione esecutiva, posto che un'indefinita ed eccessivamente generica intimazione ad adempiere sarebbe inidonea a sortire effetti nei confronti del terzo estraneo al rapporto fondamentale di debito/credito legittimante l'azione esecutiva.

Profili generali

Quando oggetto dell'espropriazione immobiliare è un bene gravato da ipoteca per debito altrui ovvero costituito in pegno o ancora la cui alienazione sia stata revocata per frode, il titolo esecutivo ed il precetto devono essere notificati al debitore ed al terzo proprietario del bene. In particolare, in tale peculiare intelaiatura processuale, il debitore è chiamato ad adempiere gli obblighi nascenti dal rapporto giuridico obbligatorio ed il terzo risponde dell'eventuale inadempimento del primo con i suoi beni concessi in garanzia (Cass. n. 20580/2007; Cass. n. 4369/1978); inoltre, benché il terzo proprietario si configuri quale soggetto estraneo al rapporto in forza del quale il creditore intraprende la procedura espropriativa, egli rappresenta il soggetto realmente e direttamente pregiudicato dalla stessa. Pertanto, il legislatore, nell'ottica della tutela costituzionale del diritto di difesa ex art. 24, da un lato, attribuisce la qualifica di parte processuale al terzo e, dall'altro, lo equipara al debitore nella disciplina ordinaria. Tale risultato è assicurato dalle norme in commento in forza delle quali, tanto gli atti preliminari all'esecuzione, rectius titolo esecutivo e precetto, quanto il pignoramento e i successivi atti, devono essere rivolti nei confronti del terzo proprietario.

La notificazione del titolo esecutivo e del precetto perseguono un'evidente finalità protettiva nei confronti del terzo proprietario, il quale potrà, per evitare l'espropriazione, pagare lui stesso il creditore, pur non essendone obbligato, nonché avvalersi degli strumenti di tutela offerti dall'ordinamento; in particolare, egli potrà esercitare le facoltà indicate ex art. 2858 c.c., nonché opporre al creditore procedente le eccezioni non opposte dal debitore ex art. 2859 c.c.

Le parti del procedimento

Premesso che l'espropriazione nei confronti del terzo proprietario è caratterizzata dalla direzione del processo nei confronti di un soggetto che non è debitore, e, pertanto, non è obbligato all'adempimento, pur essendo assoggettato agli atti esecutivi, occorre identificare e distinguere la posizione che, nell'ambito della vicenda processuale espropriativa, assumono il terzo ed il debitore.

La dottrina, già in epoca risalente, tendeva ad identificare nel terzo il soggetto passivo del processo espropriativo: tale opinione risultava, in realtà, già dominante sotto la vigenza del codice civile del 1865, sebbene temperata dalla presenza di diversi convincimenti. Una parte della dottrina inizialmente identificava quale soggetto passivo dell'espropriazione il debitore, riconoscendo al terzo il ruolo di mero possessore del bene pignorato, destinatario di un'azione di rivendica intentata da parte del creditore ipotecario nella veste di sostituto processuale del debitore esecutato (Gorla, 1935, 110). Altra opinione faceva leva sulla irrilevanza, nei confronti del creditore, della situazione patrimoniale e/o dominicale facente capo al terzo (Satta, 1952, 201; nello stesso senso, si v. Caliendo, in Giur. it., 1937, 429, secondo il quale l'esecuzione contro il terzo possessore andava trattata alla stregua di un incidente nel processo esecutivo contro il debitore, attribuendo al terzo datore la qualifica di fideiussore reale, come tale soggetto diretto dell'esecuzione sul bene al pari del debitore). Ancora, altri ravvisavano nel terzo, i cui beni sono coinvolti nella procedura esecutiva al fine di soddisfare un debito altrui, un sostituto processuale del debitore (Carnelutti, 1986, 86). Tale ultima ricostruzione veniva fortemente avversata in quanto considerata carente dal punto di vista dell'inquadramento dogmatico, non essendo ravvisabili nel fenomeno in esame tutti i presupposti costitutivi della sostituzione processuale, quali la volontà di divenire parte di causa e l'esercizio di un diritto altrui in nome proprio (Liebman, 1934, I, 127, secondo il quale l'espropriazione contro il terzo proprietario rappresenta un'eccezione della regola generale per cui parti del giudizio sono quelle che risultano dal titolo).

Si tratta, ben vero, di posizioni interpretative che, pur in linea con la definizione di esecuzione forzata quale sanzione comminata al debitore a fronte del proprio inadempimento, mal si conciliano con l'effettiva incidenza che il procedimento di esecuzione forzata esplica sulla sfera patrimoniale del terzo proprietario (Tarzia, 1981, 970).

Tale controversa questione interpretativa pare essere stata, in ogni caso, risolta dal legislatore codicistico del 1942, il quale ha accolto la tesi che identifica nel terzo il soggetto passivo del giudizio di espropriazione. Ciò si deduce, non solo dal tenore letterale di talune disposizioni in cui si parla, incidentalmente, di esecuzione contro il terzo ovvero contro il terzo proprietario (v. artt. 2808-2858-2902 c.c.) e dall'obbligo di notifica del titolo esecutivo e del precetto nei confronti anche del terzo, ma anche dalla circostanza che il pignoramento e tutti gli atti dell'esecuzione si compiono nei confronti del terzo, al quale si applicano le stesse disposizioni previste per il debitore. L'insieme di tali elementi consente di attribuire al terzo il ruolo di unico destinatario dell' actio esecutiva.

Altra questione problematica si pone con riferimento alla necessità per il creditore procedente di dotarsi di un autonomo titolo esecutivo, altro e diverso da quello costituito in capo al debitore, che sia spendibile nei confronti del terzo da cui risulti l'iscrizione d'ipoteca sui suoi beni.

Ai sensi dell'art. 2015 del c.c. del 1865, solo il terzo acquirente del bene immobile ipotecato, che non avesse partecipato al giudizio di condanna, era legittimato a far valere le eccezioni non sollevate dal debitore: al riguardo, la dottrina dominante attribuiva alla individuazione di un autonomo titolo esecutivo spendibile nei confronti del terzo la valenza di presupposto costitutivo dell'azione intrapresa nei suoi confronti, equiparando, di fatto, il terzo datore di ipoteca al fideiussore limitatamente responsabile per debito altrui (Gorla, op. cit., 106-107). Altra dottrina opinava nel senso della non necessità della costituzione di un autonomo titolo esecutivo, sulla scorta della sovrapposizione ontologica del terzo pignorato al terzo possessore, quali soggetti riconducibili alla categoria, più volte richiamata, dei cd. «responsabili senza debito» (Carnelutti, 1929, VI, 82; v. anche Miccolis, 1998,255, secondo cui tale soluzione trova conferma nel regime delle eccezioni che gli artt. 2859 e 2870 c.c. estendono al terzo datore di ipoteca). La ratio di tale disciplina va individuata «nella opinione del legislatore che un titolo esecutivo diretto contro il terzo proprietario il più delle volte è superfluo e che, quindi, per ragioni di economia processuale, è sufficiente la estensione della efficacia di quello esistente nei confronti del debitore» (Luiso, 1984, 66). Assolutamente minoritaria si rivelava, invece, la tesi dottrinaria secondo cui il rapporto legittimante l'esecuzione contro il terzo datore deve risultare da un titolo esecutivo per le stesse ragioni pratiche e processuali per cui occorre il titolo esecutivo nei confronti del debitore (Gorla, op. cit., 597). Si obiettava, invero, che nel processo esecutivo la soggezione alla sanzione può derivare anche da elementi diversi dal titolo, proprio come accade nell'ipotesi dell'esecuzione contro il terzo acquirente o contro il terzo titolare del diritto revocato per frode; né potrebbe ritenersi che l'atto costitutivo dell'ipoteca presenti le caratteristiche tipiche del titolo esecutivo, idoneo a fondare l'azione esecutiva (Tarzia, op. cit., 972). Invero, l'esistenza del titolo contro il debitore è, sì condizione sufficiente e necessaria ai fini dell'esercizio dell'azione esecutiva, ma non può mai essere supplita dall'atto pubblico notarile di costituzione dell'ipoteca da parte del terzo, quand'anche sia stata spedita al creditore copia esecutiva e notificata al debitore ed al terzo: ciò in quanto l'atto di concessione di ipoteca difetta dei presupposti ex art. 474 c.p.c. che, al comma 1, subordina l'esperimento dell'azione esecutiva all'esistenza di un titolo relativo ad un credito certo, liquido ed esigibile (si veda, Trib. Roma 6 febbraio 2020, secondo cui l'atto notarile di concessione di ipoteca non è titolo esecutivo in favore della banca in quanto difetta il ricevimento da parte del notaio della dichiarazione negoziale costitutiva di debiti pecuniari da parte del garante; con esso, dunque, il terzo non manifesta la volontà di assumere su di sé l'onere di restituire un debito, bensì solo di prestare garanzia a sostegno del debito assunto dal debitore; Trib. Udine 25 novembre 2004).

L'art. 602 c.p.c., realizzando sul versante processuale la regola già contenuta nell'art. 2910 c.c., pone sullo stesso piano il terzo acquirente ed il terzo datore d'ipoteca, ma non risolve la questione circa l'indispensabilità, per l'esercizio dell'azione esecutiva contro il terzo, di un titolo esecutivo autonomo nei suoi confronti. Diversamente, il successivo art. 603, prescrivendo che il titolo esecutivo ed il precetto devono essere notificati «anche» al terzo, non fa riferimento ad un titolo esecutivo autonomo, dovendo reputarsi sufficiente quello ottenuto contro il debitore diretto. Dunque, è sufficiente la notifica al terzo acquirente di bene ipotecato del titolo esecutivo conseguito direttamente contro il debitore principale (Cass. n. 1746/1975; Cass. n. 2410/1962; Cass. n. 1591/1961; Cass. n. 9887/2000)

L'obbligo di notifica del titolo esecutivo al terzo opera anche nelle ipotesi in cui il titolo sia costituito da un decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo. In questo caso, l'art. 654, comma 2 c.p.c., dispone che, ai fini dell'esecuzione, non sia necessaria una nuova notifica del D.I.; nondimeno nel precetto deve farsi menzione del provvedimento che ha disposto l'esecutorietà e dell'apposizione della relativa formula. Sul punto, si ritiene che la norma esoneri il creditore dalla notifica del titolo costituito dal D.I. in quanto, pur se privo di formula esecutiva, è stato già notificato al debitore. Tale prescrizione non può, tuttavia, valere nei confronti del terzo proprietario, il quale non è destinatario della notifica del ricorso e del decreto ex art. 643 c.p.c. Dunque, il decreto ingiuntivo reso esecutivo dev'essere notificato al terzo proprietario per la prima volta nell'ambito dell'intrapresa azione esecutiva (Miccolis, op. cit., 255). È appena il caso di precisare che l'art. 647 c.p.c. non è stato toccato dalla cd. Riforma Cartabia, per cui ancora oggi il giudice che ha pronunciato il decreto è tenuto a dichiarare, su istanza di parte, la esecutorietà del decreto ingiuntivo per mancata opposizione o per mancata attività dell'opponente e solo questa dichiarazione assicura la definitiva esecutorietà del decreto. La Riforma invece ha inciso sugli artt. 474 e 475 c.p.c., modificandoli (si rimanda per l'approfondimento al relativo commento) e sull' art. 476 c.p.c. abrogandolo, oltre che sugli articoli conseguenzialmente collegati (inoltre ha inserito – questo con effetto dal 30 giugno 2023 – l'opposizione a decreto ingiuntivo nell'ambito della mediazione obbligatoria), per cui ora (dal 28 febbraio 2023) non è più necessaria (non la dichiarazione di esecutività, ma) l'apposizione della formula esecutiva per il recupero coattivo del credito, ossia di quella formula che conteneva il comando rivolto agli ufficiali giudiziari di porre in esecuzione il titolo in calce al quale la stessa veniva apposta e senza la quale gli aventi diritto non potevano agire in via esecutiva; inoltre non vi è più bisogno di richiedere l'autorizzazione per rilascio di un'ulteriore copia esecutiva del titolo successiva alla prima. In sostanza è stata tata eliminata la “formula esecutiva” ed è venuto meno il concetto di copia in forma esecutiva in quanto ora il titolo esecutivo viene rilasciato “in copia attestata conforme all'originale, salvo che la legge non disponga altrimenti”. Rimane pertanto onere del creditore che insinua un credito portato da decreto ingiuntivo, seppur dichiarato provvisoriamente esecutivo, fornire la prova della anteriorità alla apertura della liquidazione giudiziale della emissione del provvedimento di definitiva esecutività di cui all' art. 647 c.p.c.

La possibilità riconosciuta al creditore di procedere ad espropriazione forzata in virtù del titolo esecutivo costituito in capo al debitore non preclude al soggetto attivo del processo di ottenere previamente un titolo esecutivo diretto contro il soggetto direttamente pregiudicato dalla vicenda espropriativa (Cass. n. 725/1963; Cass. n. 2410/1962).

Tale ricostruzione pretoria è criticata fortemente da una parte della dottrina che la considera inficiata da un errore terminologico essenziale (Miccolis, op. cit., 257-259). Invero, posto che il titolo esecutivo accerta l'esistenza di un rapporto obbligatorio tra le parti, in forza del quale il creditore è legittimato ad agire in executivis, se il creditore beneficiato ottenesse un valido titolo esecutivo in danno del terzo proprietario, questi non potrebbe più essere considerato «terzo» in quanto sarebbe chiamato a rispondere all'obbligazione con tutti i suoi beni presenti e futuri ex art. 2740 c.c. Di tale conclusione la dottrina citata evidenzia la palese inammissibilità, tenuto conto che il terzo è un soggetto estraneo alla vicenda obbligatoria, chiamato a rispondere con il proprio bene, oggetto di vincolo di garanzia, del credito altrui. Di conseguenza, il titolo esecutivo che, secondo la giurisprudenza citata poc'anzi, può costituirsi in capo al terzo, non può che essere una sentenza di accertamento dell'esistenza del vincolo sul bene e dell'assoggettabilità di questi all'espropriazione forzata per debito altrui. Ne deriva che, anche in caso di esito vittorioso di un'azione revocatoria, tale sentenza non potrebbe mai costituire un titolo esecutivo perché priva della natura condannatoria, svolgendo, piuttosto, una funzione conservativa della responsabilità patrimoniale generica. Pertanto, il creditore munito, non già di titolo esecutivo diretto contro il debitore, ma di sentenza di accertamento pronunciata nei confronti del terzo, non può espropriare il bene vincolato a garanzia del credito.

La responsabilità senza debito del terzo assoggettato all'espropriazione si conforma alla peculiarità del rapporto debito/credito la cui soddisfazione richiede l'aggressione esecutiva di un bene nella titolarità/disponibilità, non già del debitore, ma di un soggetto estraneo all'obbligazione, chiamato a garantire il credito azionato. Per il resto, la procedura esecutiva si svolge nei confronti del terzo proprietario cui si applicano le disposizioni dell'esecuzione contro il debitore, eccezion fatta per l'art. 579 c.p.c., non sussistendo in capo al terzo le preclusioni circa la presentazione delle offerte di acquisto del bene staggito (cfr. in argomento il commento all'art. 604 c.p.c.).

Interferenze tra esecuzione e fallimento

Occorre individuare le sorti della vicenda espropriativa laddove, nelle more del giudizio, intervenga il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) del debitore o del terzo.

Nel caso in cui il debitore fallisca, il bene ipotecato dal terzo a garanzia del credito o dal terzo acquistato non appartiene alla massa fallimentare con la conseguenza che alcuna preclusione potrà esplicare il dettato normativo di cui all'art. 51 l.fall., il quale vieta l'intrapresa ovvero la prosecuzione di azioni esecutive sui beni compresi nel fallimento dal giorno successivo alla relativa dichiarazione. Ne consegue che, non solo il creditore fondiario, ma ogni creditore ipotecario o che abbia ottenuto la revoca dell'atto di alienazione del proprio debitore, potrà dare avvio all'esecuzione forzata individuale. Pertanto, la dichiarazione di fallimento del debitore obbligato non pregiudica la persistenza della procedura di esecuzione forzata nei confronti del terzo, in quanto la presenza obbligatoria ex lege del soggetto fallito viene assicurata attraverso la partecipazione del curatore fallimentare (Cass. n. 838/1975, in Dir. fall. 1975, II, 477, conf. Cass. n. 1620/2016).

Maggiori problemi interpretativi pone, invece, l'ipotesi del fallimento del terzo datore di ipoteca, questione rispetto alla quale difetta una soluzione unitaria e costante, tanto in dottrina, quanto in giurisprudenza.

Fin dagli anni Sessanta del secolo scorso, ci si è interrogati su come dovesse essere trattata la posizione di chi fosse titolare di un'ipoteca ovvero di un pegno concessi dal soggetto, poi fallito, a garanzia di un debito altrui. Il garantito è titolare, in questo caso, di una prelazione su beni mobili o immobili dell'attivo fallimentare, senza, tuttavia, essere creditore diretto del fallimento. Si tratta della fattispecie della cd. responsabilità senza debito. Qualora il responsabile – non debitore (terzo datore di pegno o di ipoteca) fallisca, i suoi beni concessi in garanzia sono destinati a soddisfare il creditore garantito, ma quest'ultimo rimane estraneo al rapporto obbligatorio principale: il soggetto garantito non è, cioè, creditore diretto del fallito, dunque non è creditore concorsuale.

Prima della riforma del diritto fallimentare, dominavano due distinti orientamenti.

Secondo una prima tesi, il terzo garantito da ipoteca non è creditore diretto del soggetto fallito, come tale non subisce preclusione, né all'esercizio di azioni esecutive individuali, né all'attivazione del procedimento di verifica dei crediti nei confronti del terzo responsabile. Su questa premessa, la Corte di Cassazione riteneva che il mero titolare di prelazione, non essendo creditore concorsuale, non potesse divenire creditore concorrente mediante l'ammissione al passivo, ma avesse facoltà di intervenire nella ripartizione dell'attivo per trovare soddisfazione sul ricavato della liquidazione dello specifico bene sul quale insiste la prelazione (cfr. Cass. n. 13289/2012; Cass. n. 11545/2009; Cass. n. 2429/2009; Cass. n. 10072/2003; Cass. n. 15186/2000; Cass. n. 12549/2000; Cass. n. 1875/1994; Cass. n. 46/1970). Dunque, ritenuta la necessità che la posizione del mero garantito venisse in qualche modo «verificata», si consentiva al terzo datore l' intervento nella ripartizione dell'attivo, sede nella quale il giudice delegato doveva verificare, non il credito sottostante la garanzia vantato verso terzi, ma l'esistenza, la validità e l'opponibilità al fallimento del titolo di prelazione con riferimento all'insussistenza di condizioni che rendessero la stessa revocabile o inefficace exartt. 64 e 67 l.fall. nonché 2901 c.c., a tutela della par condicio creditorum. In forza del richiamo generale contenuto nell'art. 105 l.fall. alle norme del c.p.c. relative al processo di esecuzione (in quanto compatibili), si riteneva esperibile un intervento analogo a quello regolato dagli artt. 498 e ss. c.p.c., con applicazione degli artt. 602-604 c.p.c. sull'espropriazione contro il terzo proprietario.

Si escludeva, così, l'esistenza della legittimazione in capo al terzo garantito a proporre iscrizione allo stato passivo del fallimento per ottenere soddisfazione del suo credito dalla liquidazione dei beni costituenti la massa fallimentare, ritenendosi tale possibilità preclusa dalle seguenti norme:

- l'art. 52 l.fall. che dispone l'accertamento di ogni credito concorsuale, anche se munito di prelazione;

- l'art. 103 l.fall. che regola la verifica dei diritti reali sulle cose mobili e non su quelle immobili;

- l'art. 108 l.fall. che al comma 4 onerava il curatore di notificare un estratto dell'ordinanza di vendita dei beni immobili, tanto ai creditori privilegiati immessi al passivo quanto ai creditori ipotecari iscritti, nella cui categoria rientrano proprio i titolari di diritti di garanzia nei confronti del terzo fallito.

Diversamente opinando, non essendo possibile individuare forme di partecipazione atipiche circoscritte a taluni dei beni costituenti l'attivo (rectius, beni su cui è iscritta la garanzia ipotecaria), si riconoscerebbe, da un lato, al garantito la possibilità di partecipare al riparto derivante dalla liquidazione di altri beni di proprietà del terzo datore fallito, dall'altro, la partecipazione a tutte le fasi della procedura (reclami, revocazione del curatore, impugnazioni dei crediti ammessi), esponendolo, altresì, a tutte le relative spese (Cass. n. 11545/2009).

Posto che il creditore ipotecario non vanta ragioni di credito né nei confronti del terzo fallito né nei confronti della massa fallimentare, egli non ha l'obbligo di insinuarsi al passivo, pur essendone facultato (Andrioli, 1940, II, 8 e ss.).

Altra tesi riteneva operante, anche in riferimento al caso del fallimento del terzo datore di ipoteca del bene pignorato, il principio ricavabile dall'art. 51 l.fall.; pertanto, se il creditore fondiario potrà proseguire individualmente, i creditori ipotecari, titolari di un diritto di garanzia limitato al bene di proprietà del terzo fallito, devono insinuarsi nel passivo fallimentare. Diversamente opinando, l'eventuale autonoma azione esecutiva intentata dal creditore ipotecario in danno del terzo fallito, estranea all'espropriazione fallimentare, rappresenterebbe un privilegio irrazionale nei confronti dei creditori personali del terzo (Travi, 1992).

La inconciliabile duplicità degli orientamenti qui riportati era destinata a permanere anche a seguito della riforma della legge fallimentare; la riscrittura dell'art. 52 l.fall. ad opera del d.lgs. n. 5/2006 – che estende l'accertamento secondo le norme del Capo V ad ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare – non aveva inizialmente intaccato in senso modificativo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità in ordine alla impossibilità per il titolare del diritto di garanzia di partecipare al passivo fallimentare. Invero, dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 5/2006 (e del decreto correttivo n. 169/2007), la giurisprudenza di legittimità aveva confermato il proprio già descritto orientamento, all'uopo sostenendo che: «in tema di garanzie costituite dal terzo imprenditore dichiarato fallito dopo la costituzione della garanzia a vantaggio del creditore non proprio, anche dopo la novella del II comma dell'art. 52 l.fall., introdotta dal d.lgs. n. 5/2006, i creditori titolari di un diritto di ipoteca sui beni immobili compresi nel fallimento, costituiti in garanzia dei crediti vantati verso debitori diversi dal fallito, non possono avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo, di cui al capo V della legge fallimentare, in quanto il terzo non è creditore diretto del fallito e l'accertamento dei suoi diritti non può essere sottoposto alle regole del concorso, senza che sia instaurato il contraddittorio con la parte che si assume essere sua debitrice, dovendosi essi avvalere, per la realizzazione dei loro diritti in sede esecutiva, delle modalità di cui agli artt. 602-604 c.p.c. in tema di espropriazione contro il terzo proprietario» (cfr. Cass. n. 2540/2016).

Da tale orientamento si è discostata la Corte di Cassazione con la pronuncia n. 2657/2019, che sottolinea come le modifiche della l.fall. operate in forza del d.lgs. n. 5/2006 abbiano determinato la caducazione degli argomenti letterali sulla scorta dei quali si fondava l'orientamento interpretativo precedente in punto di non necessità dell'insinuazione al passivo del titolare del diritto di garanzia sui beni del terzo fallito. In particolare, questa giurisprudenza valorizza il dato testuale dell'art. 52 l.fall. il quale, così come modificato, estende l'accertamento secondo le norme del Capo V ad ogni diritto reale o personale, immobiliare o mobiliare. Con tale pronuncia, i Giudici di legittimità manifestano in modo piuttosto conciso la necessità di un accertamento della garanzia ipotecaria sui beni del fallito nell'ambito del procedimento di formazione dello stato passivo ritenendolo «preferibile dal punto di vista logico-sistematico, sia per l'indubbia affinità di tale accertamento a quella fase, sia perché consente di superare ogni incertezza quanto alle modalità e ai termini dell'accertamento stesso, collocandolo nell'ambito di un subprocedimento, quale quello di formazione dello stato passivo, che prevede garanzie di partecipazione per tutti i soggetti interessati ed è ispirato a condivise esigenze di tempestività». Giova evidenziare, inoltre, come l'ordinanza in questione affronti il tema della necessità di garantire l'instaurazione del contraddittorio con il debitore garantito nell'ipotesi in cui si acceda alla tesi della obbligatorietà dell'accertamento passivo secondo la speciale disciplina fallimentare. Ebbene, il Collegio reputa superflua l'instaurazione del contraddittorio in quanto operante nei confronti di un soggetto la cui obbligazione non è intaccata da una decisione concernente il concorso dei creditori nel fallimento del terzo proprietario del bene gravato.

Tale pronuncia, dirompente ed innovativa, resta isolata, in quanto contraddetta da un ulteriore e successivo pronunciamento della Corte di cassazione che, con la sent. n. 18790/2019, riafferma il principio, precedentemente riportato, maturato sotto la vigenza della legge fallimentare ante e postriforma. Dunque, il beneficiario del diritto di prelazione ipotecaria o pignoratizia non è creditore concorsuale e come tale i suoi diritti non sono suscettibili di accertamento nelle forme ordinarie di cui al capo V della legge fallimentare. Ciò si traduce nel riconoscimento al titolare del diritto di garanzia della facoltà di esperire intervento nel procedimento di riparto, dovendo interpretarsi in tal senso l'obbligo imposto ex art. 107, comma 3 l.fall. al curatore fallimentare di dare notizia ai creditori prelatizi delle operazioni di vendita involgenti i beni garantiti. Tale conclusione vale, peraltro, per tutte le ragioni creditorie fatte valere dal creditore ipotecario, ivi comprese le rendite dell'immobile ipotecato che, ai sensi dell'art. 41, comma 3, d.lgs. n. 385/1993 (t.u.b.) il curatore fallimentare deve versare alla banca titolare di credito fondiario, «dedotte le spese di amministrazione ed i tributi, sino al soddisfacimento del credito vantato» (Cass. n. 26520/2011), anche in forza dell'estensione degli effetti del pignoramento ai frutti della cosa pignorata, ex art. 2912 c.c. e dell'estensione della prelazione ai frutti civili prodotti dopo la dichiarazione di fallimento (Cass. n. 11025/2013; conf. Cass. n. 1067/2021).

In un obiter dictum, la Corte affronta il tema della necessità di garantire il contraddittorio, contestando la ricostruzione operata dalla coeva pronuncia e sottolineando come «l'accertamento del diritto reale di garanzia, di cui titolare è il terzo, sarebbe comunque finalizzato a consentire a quest'ultimo la partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla vendita del bene oggetto di garanzia in suo favore, nella misura che risulterebbe appunto all'esito della verifica condotta secondo le regole di cui al Capo V della legge fallimentare. Rispetto a tale necessità, di determinazione della somma sia nell'an che nel quantum non sembra, pertanto, potersi ritenere l'integrazione del contraddittorio con il terzo (debitore) del tutto irrilevante, in quanto solo attraverso tale meccanismo processuale sarebbe possibile, per il curatore, svolgere le contestazioni concernenti l'esistenza e l'entità del credito oggetto di garanzia. In assenza di tale situazione processuale, il rischio sarebbe quello di ammettere al concorso prima e di soddisfare poi un credito inesistente, minando così alla radice l'efficacia del credito di regresso spettante ex art. 2871 c.c. al fallimento».

Giova sottolineare che l'art. 201 del d.lgs. n. 14/2019, aggiornato dal d.lgs. n. 136/2024, «Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza» (per il prosieguo indicato, più brevemente, come c.c.i.i.), dispone, al comma 1, che: «Le domande di ammissione al passivo di un credito o di restituzione o rivendicazione di beni mobili o immobili compresi nella procedura, nonché le domande di partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla liquidazione di beni compresi nella procedura ipotecati o dati in pegno a garanzia di debiti altrui, si propongono con ricorso da trasmettere a norma del comma 2, almeno trenta giorni prima dell'udienza fissata per l'esame dello stato passivo».

La disciplina in virtù della quale, nel caso in cui il bene ipotecato sia di proprietà di un terzo, la prelazione prevista dall'art. 2808 c.p.c. possa essere fatta valere solo sul ricavato dalla vendita del bene «vincolato» e non anche nei confronti del debitore pone ulteriori questioni nel caso di debitore ammesso al concordato preventivo: in tale ipotesi, il creditore ipotecario, non godendo, rispetto al concordato di alcuna causa legittima di prelazione, sarà soddisfatto non per intero, ma nella percentuale stabilita dalla sentenza di omologazione, nondimeno potendo continuare ad essere garantito dall'ipoteca sul bene del terzo (così cfr. Cass. n. 5424/1992). Diversa è la soluzione, sempre nell'ipotesi in cui il bene ipotecato sia di proprietà di un terzo, laddove trovi applicazione l'art. 168 comma 1 l.fall. che rende inespropriabile, pendente il concordato, il bene ipotecato anche in danno del terzo datore o acquirente.

Da ultimo, con sentenza (Cass. S.U., n. 8557/2023) le Sezioni Unite della S.C. hanno composto il contrasto sopra riportato affermando i seguenti principi di diritto: 1. «i creditori titolari di un diritto di ipoteca o di pegno sui beni compresi nel fallimento costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito non possono, anche dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 5/2006 e dal d.lgs.n. 169/2007, avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo di cui al titolo II, capo V della legge fallimentare, in quanto non sono creditori del fallito, né soggetti che agiscono per la restituzione o la rivendica dei beni acquisiti al fallimento; detti creditori possono invece intervenire nel procedimento fallimentare in vista della ripartizione dell'attivo, per richiedere di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni compresi nella procedura che sono stati ipotecati o pignorati in loro favore»; 2. avverso il piano di riparto del curatore che escluda o includa, in tutto o in parte, il diritto del titolare della nuda prelazione alla distribuzione delle somme, il creditore ipotecario o pignoratizio e, rispettivamente, gli altri creditori interessati al riparto del ricavato della vendita del bene oggetto di garanzia possono proporre reclamo a norma dell'art. 110, comma 3, l.fall.; detto reclamo può avere ad oggetto l'esistenza, la validità e l'opponibilità al fallimento della garanzia reale, avendo anche riguardo alla sua revocabilità, oltre che l'an e il quantum del debito garantito; 3. l'accertamento delle somme effettivamente spettanti al creditore garantito in sede distributiva non richiede la partecipazione al giudizio del debitore, la cui obbligazione è garantita da ipoteca o da pegno ricompresi nell'attivo del fallimento, in quanto tale accertamento ha un valore endoconcorsuale e, come tale, non è opponibile al detto debitore, rimasto estraneo al procedimento fallimentare.

Dunque la questione relativa alla possibilità per il creditore ipotecario di ottenere l'accertamento del proprio diritto reale di garanzia oltre che del credito vantato nei confronti del debitore nell'ambito del procedimento di verificazione del passivo disciplinato dal capo V del titolo II della l.fall., piuttosto che in sede di distribuzione dell'attivo ricavato dalla vendita dell'immobile gravato dall'ipoteca, viene risolta negativamente da parte delle S.U.

I Giudici di legittimità, inoltre, aggiungono che i detti creditori possono intervenire nel procedimento fallimentare in vista della ripartizione dell'attivo per richiedere di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni compresi nella procedura che sono stati ipotecati o pignorati. L'art. 52, comma 2, l.fall., nella sua nuova formulazione, prevede che non solo ogni credito, ma anche «ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare» vada accertato secondo le norme stabilite dal capo V del titolo II, salvo diverse prescrizioni di legge. Nel detto capo V della legge fallimentare, tuttavia, non si rinvengono prescrizioni che estendano il procedimento di accertamento del passivo alla situazione di soggezione in cui versa il fallito nella fattispecie indicata. La domanda di ammissione di cui all'art. 93, l.fall., ha ad oggetto oltre ai crediti, la restituzione e la rivendicazione di beni mobili e immobili. Anche a seguito della riforma della legge fallimentare, le ragioni del creditore del terzo che sia titolare della garanzia reale su beni del fallito devono trovare attuazione in sede di distribuzione dell'attivo. Il titolare dell'ipoteca o del pegno ha quindi l'onere di far valere la propria pretesa in sede concorsuale, non già attraverso una (inammissibile) domanda di insinuazione al passivo, ma domandando di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione del bene stesso. In sostanza, il debito del terzo non può incidere sull'intera massa passiva dal momento che il fallito non è debitore; il diritto reale di garanzia grava, viceversa, sulla massa attiva, nel senso che impedisce che il ricavato della vendita del bene possa essere ripartito tra i creditori del fallito prima che su di esso trovi soddisfacimento il titolare del detto diritto reale. L'art. 201 c.c.i.i. regola, oltre alle domande di ammissione al passivo di un credito o di restituzione o rivendicazione di beni mobili o immobili compresi nella procedura, le «domande di partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla liquidazione di beni compresi nella procedura ipotecati o dati in pegno a garanzia di debiti altrui» (comma 1), disponendo al comma 3, lett. b), che il ricorso indichi «l'ammontare del credito per il quale si intende partecipare al riparto se il debitore nei cui confronti è aperta la liquidazione giudiziale è terzo datore d'ipoteca o di pegno». Il Codice della Crisi, perciò, assoggetta espressamente alla disciplina dell'ammissione al passivo una domanda volta ad assicurare la «partecipazione al riparto» ai creditori di soggetti terzi che vantino un'ipoteca o un pegno su beni ricompresi nella procedura: domanda che, proprio per il suo oggetto, la giurisprudenza di legittimità (come sopra riportata), invece, ha sempre ritenuto dovesse essere fatta valere in sede di distribuzione dell'attivo.

In definitiva all'interno del Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza possono rinvenirsi norme idonee a rappresentare un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare «solo ove ricorra, nello specifico segmento considerato, un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro», ma non quando, come nel caso che occupa, contenga un dirompente elemento di novità rispetto alla legge fallimentare. Ergo, l'accertamento del diritto della banca garantita da ipoteca non è suscettibile di essere fatto valere in sede di accertamento del passivo, e segnatamente, con l'opposizione allo stato passivo.

La notifica

La notifica del titolo esecutivo e del precetto, idonea ad avvertire il debitore ed il terzo dell'espropriazione, rappresenta la condizione legittimante il terzo proprietario a proporre le eccezioni di cui all'art. 2859 c.c. e le opposizioni esecutive, in cui il debitore ed il creditore, come si vedrà, sono contraddittori necessari (v. infra-commento sub art. 604).

Nel caso in cui il titolo sia costituito da contratto di mutuo fondiario, ai sensi dell'art. 41, comma 1, d.lgs. n. 385/1993, il creditore fondiario è, in ogni caso, esonerato dall'obbligo della notificazione del titolo esecutivo, sia quando l'espropriazione è rivolta nei confronti del debitore, sia in caso di esecuzione intrapresa nei confronti del terzo proprietario quale soggetto diverso dal debitore contrattuale (cfr. Cass. 27848/2022; Cass. 11191/2022 che, in un obiter dictum, precisa che «non occorreva notificare il titolo esecutivo anche al terzo datore d'ipoteca, trovando piana applicazione l'art. 41, comma 1, T.U.B.»).

Il precetto – atto anteriore e prodromico all'inizio del processo esecutivo vero e proprio – consiste in un'intimazione rivolta al debitore di adempiere l'obbligo risultante dal titolo esecutivo (entro un termine che, alla stregua dell'art. 480 c.p.c., non deve essere inferiore ai dieci giorni, salva l'autorizzazione di cui all'art. 482 c.p.c.) e deve contenere lo specifico avvertimento che in difetto di adempimento il creditore procederà ad esecuzione forzata. L'avvertimento è «generico» se preannuncia l'espropriazione, mentre diviene «specifico», ossia deve indicare l'oggetto che si intende colpire, se preannuncia l'esecuzione specifica.

Sull'efficacia del precetto, storicamente si sono contrapposti due orientamenti interpretativi: 1) la notifica assurgerebbe a mera comunicazione, priva di intimazione estrinsecabile unicamente nei confronti del debitore, circa l'esistenza del titolo esecutivo azionabile in danno del terzo, onde consentirgli di attivare i rimedi previsti ex lege per evitare l'espropriazione (Satta, 1966, 430); 2) il precetto dovrebbe essere integrato con l'avvertimento rivolto anche al terzo che, in caso di inadempimento del debitore, si procederà ad esecuzione forzata, previa indicazione dei beni oggetto della pretesa esecutiva, posto che il terzo risponde unicamente con quel bene e non con il suo integrale patrimonio (Redenti, Vellani, 1999, 381).

Il precetto deve contenere l'espressa menzione dei beni da sottoporre ad espropriazione posto che una generica ed indefinita intimazione a nulla varrebbe in quanto estrinsecata nei confronti di un soggetto non titolare di alcun rapporto di debito nei confronti del creditore agente, risultando, al contrario, quantomeno opportuno avvisarlo delle conseguenze derivanti dall'inadempimento dell'altrui obbligazione (in generale, sul contenuto necessario dell'atto di precetto si veda, ex multis, Cass. n. 12230/2007; Cass. n. 4787/2001); per converso, non sarebbe necessaria, alcuna intimazione al terzo proprietario, il quale non è obbligato nei confronti del creditore procedente, bensì l'avvertimento, rivolto al terzo, che, in caso di inadempimento del debitore, il creditore procederà all'espropriazione forzata del bene vincolato. Dunque, la funzione della notifica del precetto andrebbe individuata nella comunicazione dell'imminenza dell'espropriazione sul bene vincolato.

Tale iter si applica anche alla speciale ipotesi di azione esecutiva disciplinata dall'art. 2929- bis c.c. il quale rappresenta l'ipotesi classica in cui deve seguirsi il percorso tracciato dagli artt. 602 ss. c.p.c., in quanto il creditore ha diritto di soddisfarsi su un bene che non appartiene più al suo debitore; pertanto, il terzo proprietario dovrà essere, necessariamente, coinvolto nel procedimento esecutivo, posto che la vendita forzata si perfeziona proprio nei confronti del proprietario del bene dell'originario debitore. Nell'atto di precetto, il creditore dovrà indicare i beni espropriandi e richiamare l'art. 2929-bis, quale fondamento della propria legittimazione ad agire, atto a spiegare le ragioni in forza delle quali il creditore, pur essendo munito di valido titolo esecutivo nei confronti del debitore, agisca in executivis nei confronti del terzo non debitore, non essendo, tuttavia, tenuto a fornire alcun riscontro probatorio in ordine alla sussistenza dei requisiti che, per quanto spiegato sub commento art. 602, formano oggetto di presunzione legale. Ciò determina un ribaltamento dell'onere probatorio in capo ai soggetti che subiscono l'espropriazione forzata i quali potranno rendersi portatori di contestazioni oppositive in tal senso. Di conseguenza, gli aspetti di cognizione rappresentano un incidente del processo esecutivo già avviato, contrariamente a quanto avviene per il tramite della revocatoria ordinaria ove questi precedono gli atti esecutivi.

L'art. 647 cod. nav. (al quale fa espresso rinvio, per gli aeromobili, l'art. 1059 cod. nav.) richiama, da un lato, la correlativa disciplina dettata in materia dal codice di rito ordinario, mentre, dall'altro lato, riduce a ventiquattro ore il termine per adempiere. È da ritenersi, comunque, che, nonostante la previsione di un termine minimo abbreviato a sole ventiquattro ore, il giudice competente, se sussiste il requisito del pericolo nel ritardo, possa sempre autorizzare l'esecuzione immediata ex art. 482 c.p.c. In dottrina, si è da taluni parlato di «precetto navale» a sé stante, in quanto il carattere generico dell'avvertimento (senza cioè l'indicazione dei beni che saranno aggrediti) che, nel rito ordinario, preannuncia l'espropriazione forzata, contrasta con l'espressa indicazione del più breve termine di ventiquattro ore, dal quale si può senz'altro evincere che oggetto della successiva espropriazione sarà una nave o un aeromobile. Non è consentito, però, andare oltre nel far riferimento ad una pretesa «specialità» dell'atto di precetto come disciplinato dal codice della navigazione. Infatti, se il termine abbreviato di ventiquattro ore appare esclusivamente finalizzato ad un'esecuzione navale (o su aeromobile), non è men vero che l'eventuale indicazione nel precetto del termine ordinario di dieci giorni non comporta di per sé la rinunzia all'espropriazione di nave (o di aeromobile), anche se ciò vincola necessariamente il creditore al rispetto del termine indicato. L'art. 648 cod. nav. (v., anche l'art. 1059 cod. nav.) ribadisce, poi, il carattere recettizio del precetto con lo stabilire che esso debba essere notificato al debitore (e l'art. 670 cod. nav. ne impone, come s'è visto supra, la notifica anche al proprietario non debitore ed al terzo proprietario). Correlativamente alla prevista riduzione del termine minimo per adempiere, il codice della navigazione limita a soli trenta giorni dalla notificazione il termine di efficacia del precetto «navale», rispetto a quello ordinario di novanta giorni di cui all'art. 480 c.p.c.(artt. 648 e 1059 cod. nav.).

In caso di introduzione di un giudizio di opposizione di terzo all'esecuzione, primo compito del giudice di merito è proprio quello di interpretare il precetto, quale atto contenente l'annuncio dell'azione esecutiva che il creditore procedente intende esercitare. Invero, se dal contenuto dell'atto di precetto notificato anche al terzo si evince che la minacciata esecuzione presuppone un'obbligazione di pagare diretta a carico del terzo e che la stessa potrebbe aggredire beni diversi da quelli ipotecati, il terzo potrà rivolgersi al giudice affinché venga accertata l'insussistenza del diritto del creditore di procedere ad esecuzione nei suoi confronti; diversamente, se dalla lettura dell'atto di precetto emerge che l'esecuzione minacciata si rivolge nei confronti del terzo quale responsabile della garanzia prestata, la domanda di opposizione andrà rigettata per carenza di interesse ad agire, dichiarandosi nel contempo l'esistenza del diritto del creditore di agire in executivis nei suoi confronti. Né potrà considerarsi meritevole di accoglimento l'opposizione avanzata dal terzo, destinatario della notifica del precetto, per far accertare la non debenza nei suoi confronti del pagamento delle somme precettate stante l'intervenuta vendita dei beni ipotecati. Invero, in questo caso, l'esecuzione minacciata non si rivolge a beni diversi da quelli su cui è stata concessa ipoteca, né il terzo può considerarsi danneggiato dalla notifica del precetto quale terzo proprietario in quanto l'espropriazione cadrà sul bene ipotecato, anche se a subirla non sarà il terzo datore quanto piuttosto l'acquirente del bene ipotecato (cfr. Cass. n. 5507/2003, conf. Cass. n. 5664/2018; Cass. n. 7249/2020. Il leading case riguardava l'impugnativa di una sentenza di rigetto, confermata in appello, dell'opposizione a precetto con cui l'opponente chiedeva dichiararsi insussistente il credito vantato dalla banca ed inefficacia il precetto notificato. In quella vicenda, l'opponente era destinatario di un precetto contenente l'erronea intimazione di pagamento anche nei confronti del terzo datore di ipoteca delle somme dovute dalla debitrice; tuttavia, lo stesso atto espressamente richiamava la qualità del terzo quale datore di ipoteca ed indicava i beni concessi in garanzia. In quell'occasione, la Corte di Cassazione ha ritenuto che proprio tali ultimi elementi rendessero plausibile l'interpretazione resa dai giudici di merito per cui l'esecuzione era stata minacciata nei confronti del terzo in quanto tale, e non già come debitore diretto).

L'atto di precetto, contenente un'intimazione ad adempiere rivolta al debitore, non costituisce atto introduttivo del processo esecutivo, tal che non troverà applicazione il disposto dell'art. 2943 c.c. a tenore del quale la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell'atto con cui si intraprende un giudizio, sia esso di cognizione ovvero conservativo o esecutivo; produce, piuttosto, un effetto interruttivo della prescrizione del relativo diritto di credito a carattere istantaneo, con decorrenza, dalla data della sua notificazione, di un nuovo periodo di prescrizione. Diversamente, l'atto di pignoramento determina un effetto tanto interruttivo quanto sospensivo della prescrizione, giusta il disposto dell'art. 2943, comma 1, c.c., poiché ad esso consegue l'introduzione di un giudizio di esecuzione tutte le volte in cui risulti regolarmente notificato (Cass. n. 10808/2020; Cass. n. 3741/2017; Cass. n. 8219/2002). Il carattere istantaneo dell'efficacia interruttiva della prescrizione riconosciuto alla notifica dell'atto di precetto non viene meno nel caso in cui l'intimato proponga opposizione ex art. 615, comma 1 c.p.c. Invero, solo nell'eventualità in cui il creditore opposto, costituendosi in giudizio, chieda il rigetto dell'introdotta opposizione ovvero formuli domanda volta all'accertamento del proprio diritto di agire in executivis, si concreta un'attività processuale rilevante ai sensi dell'art. 2943, comma 2 c.p.c., sicché ex art. 2945 c.c. la prescrizione è sospesa sino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio (Cass. n. 10808/2020).

Bibliografia

Della Santina, Ancora sull'accertamento del diritto ipotecario o pignoratizio nel caso di fallimento del terzo datore, in Crisi d'impresa e fallimento 2019; Lai, Atto gratuito, superfluità dell'azione revocatoria e tutela del terzo, in REF 2016; Miccolis, L'espropriazione forzata per debito altrui, Torino, 1998; Tarzia, Espropriazione contro il terzo proprietario, in Novissimo Digesto Italiano, VI 1981; Travi, Espropriazione contro il terzo proprietario, in Dig. disc. Priv., VIII, Torino, 1992.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario