Codice di Procedura Civile art. 605 - Precetto per consegna o rilascio 1.

Rosaria Giordano

Precetto per consegna o rilascio 1.

[I]. Il precetto per consegna di beni mobili o rilascio di beni immobili deve contenere, oltre le indicazioni di cui all'articolo 480, anche la descrizione sommaria dei beni stessi [4742 n. 1 e 3, 2930 c.c.].

[II]. Se il titolo esecutivo [474] dispone circa il termine della consegna o del rilascio, l'intimazione va fatta con riferimento a tale termine [482].

[1] In riferimento alle misure straordinarie ed urgenti per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, per la sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, prevista dall'art. 103, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27,  v., da ultimo, l'art. 40-quater  d.l. 22 marzo 2021, n. 41, conv. con modif. in l.  21 maggio 2021, n. 69.

Inquadramento

L'esecuzione forzata per consegna di beni mobili e rilascio di beni immobili è una forma di esecuzione in forma specifica, nella quale l'ufficiale giudiziario si sostituisce al soggetto obbligato per consentire all'avente diritto di ottenere tutela in sede esecutiva (Mandrioli, 1985, 617).

Il titolo esecutivo per consegna o rilascio ha efficacia erga omnes, nei confronti di chiunque detenga il bene e non solo del soggetto obbligato secondo quanto indicato nel titolo esecutivo (Cass. II, n. 3183/2003).

Nel precetto deve essere effettuata una descrizione sommaria del bene ed il termine dell'intimazione deve essere coordinato con quello, eventualmente più lungo, indicato nel titolo esecutivo, situazione ricorrente nell'ipotesi di provvedimenti di rilascio di immobili urbani (Cass. III, n. 5782/1982).

Funzione e caratteristiche dell'esecuzione per consegna o rilascio

Funzione dell'esecuzione per consegna di beni mobili o rilascio di beni immobili è la sostituzione dell'avente diritto all'obbligato nella relazione tra soggetto e cosa costituita dal possesso o dalla detenzione (Mandrioli, 1985, 617).

Tale esecuzione si realizza nell'ambito di un procedimento molto semplificato che si può concludere senza l'intervento del giudice nell'ipotesi in cui non sorga alcuna difficoltà materiale nell'ambito dello stesso sino al rilascio dell'immobile oggetto della procedura e svolgersi con il solo ausilio dell'ufficiale giudiziario (Mandrioli, 1985, 617).

Poiché l'esecuzione in esame è in forma specifica, mediante la stessa non potrebbe essere fatto valere il diritto al pagamento dell'equivalente monetario dei beni mobili indicati nel titolo esecutivo per la consegna in caso di perdita della disponibilità degli stessi da parte del debitore, dovendo tale diritto essere fatto valere in un autonomo procedimento di cognizione che ne accerti la sussistenza e ne liquidi l'importo (Cass. n. 33723/2019).

Titolo esecutivo

Nella vigenza dell'art. 474 c.p.c. nella formulazione originaria, in assenza di esplicite indicazioni, secondo la comune opinione l'esecuzione per rilascio poteva essere fondata esclusivamente su titoli esecutivi di carattere giudiziale. La l. n. 80/2005 ha modificato il comma 3 dell'art. 474, stabilendo che titoli esecutivi idonei per dare inizio all'esecuzione per rilascio sono quelli di cui all'art. 474, nn. 1 e 3, ossia anche gli atti pubblici e le scritture private autenticate.

In realtà tale precisazione, lungi dall'eliminare le problematiche interpretative in precedenza giustificate dal silenzio del legislatore sul punto, ne aveva, secondo i primi commentatori della riforma, sollevate ulteriori e maggiori. Infatti, pur essendosi espressamente previsto che potessero costituire titoli esecutivi idonei a dare impulso all'esecuzione in forma specifica per consegna o rilascio anche gli atti ricevuti da notai o altri pubblici ufficiali autorizzati dalla legge a riceverli, era stata discutibilmente serbata la formula a mente della quale tali titoli potevano avere forza esecutiva esclusivamente nella misura in cui gli stessi contenessero l'obbligo al pagamento di una somma di denaro (Giordano, 1229). Limitazione che tradizionalmente aveva indotto la dottrina ad escludere l'idoneità dei titoli esecutivi di cui all'art. 474 n. 3 c.p.c. a fondare l'esecuzione in forma specifica per consegna o rilascio (Mandrioli, 1985, 621; Montesano, 524).

Ci si era quindi interrogati, in dottrina, su quale fosse l'interpretazione preferibile e si era ritenuto che, pena lo svilimento del riferimento esplicito alla possibilità di effettuare l'esecuzione per rilascio anche in virtù dei titoli di cui all'art. 474, comma 2, n. 3, c.p.c., la soluzione interpretativa appariva obbligata nei propri esiti a dir poco rivoluzionari: l'esecuzione per rilascio poteva iniziare anche in forza di titoli esecutivi stragiudiziali (cfr., per i riferimenti, Giordano, 1229).

Sulla richiamata problematica è poi nuovamente intervenuto nei mesi successivi lo stesso legislatore il quale con la l. n. 263/2005, da un lato, ha annoverato le scritture private autenticate tra i titoli di cui al comma 2, n. 2), dell'art. 474 c.p.c., dall'altro, ferma la possibilità di dare inizio all'esecuzione per rilascio in forza dei titoli di cui al n. 3), i.e. gli atti ricevuti da notaio o da altri pubblici ufficiali autorizzati dalla legge a riceverli, ha espunto l'ormai inconferente limitazione secondo cui gli stessi potevano fungere da titoli esecutivi soltanto con riguardo alle obbligazioni al pagamento di somme di denaro negli stessi contenute. È quindi venuto meno ogni dubbio in ordine alla possibilità di fondare l'esecuzione per rilascio anche su atti pubblici.

Peraltro, tale intervento legislativo, se ha sanato le pregresse incongruenze letterali che risultavano nel testo dell'art. 474 c.p.c., non ha risolto la questione più generale di carattere sistematico cui ha dato luogo in materia tale riforma.

Infatti, come non si è mancato di sottolineare in dottrina, la possibilità che anche atti stragiudiziali siano idonei a dare corso all'esecuzione per rilascio sembra contrastare con il disposto dell'art. 56 l. n. 392/1978, che a sua volta era stato novellato dall'art. 7-bis d.l. n. 240/2004, secondo cui, nell'ambito delle locazioni di immobili urbani, con il provvedimento che dispone il rilascio il giudice, previa motivazione che tenda conto anche delle condizioni del conduttore comparate a quelle del locatore, nonché delle ragioni per le quali viene disposto il rilascio stesso e, nei casi di finita locazione, del tempo trascorso dalla disdetta, fissa la data dell'esecuzione entro il termine massimo di sei mesi ovvero, in casi eccezionali, di dodici mesi dalla data del provvedimento (Cuffaro, 750-751). Consentire l'inizio dell'esecuzione per rilascio anche in forza di un atto ricevuto da un notaio o altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato potrebbe sostanzialmente porre nel nulla la suddetta disposizione che, al fine di tutelare la posizione dei conduttori particolarmente disagiati, consente al giudice che ha pronunciato il provvedimento di rilascio di differirne l'esecuzione entro un determinato periodo di tempo. Sarebbe per altri versi almeno curiosa una situazione nella quale il richiamato potere discrezionale del giudice della cognizione residuerebbe soltanto in presenza di un rilascio reso all'esito di una procedura giudiziaria e non anche quando lo stesso sia deciso convenzionalmente dalle parti. In questo caso, invero, non si potrebbe escludere che il conduttore accetti clausole gravose al fine di ottenere la disponibilità, anche se per un breve periodo di tempo, di un alloggio.

Potrebbe quindi essere preferibile per i proprietari farsi carico delle più onerose spese notarili pur di poter utilizzare l'atto pubblico-contratto di locazione quale titolo per il rilascio (De Stefano, 2006, 48).

È stata dunque proposta, già prima dei chiarimenti apportati dalla citata l. n. 263/2005, una soluzione della questione volta a contemperare questi rilievi critici con la possibilità di attribuire comunque, posto che nelle locazioni di immobili urbani soltanto i titoli di carattere giudiziale sarebbero idonei a fondare l'esecuzione, un qualche significato al novellato art. 474, comma 3, c.p.c., nella parte in cui dispone che l'obbligo di rilasciare l'immobile può derivare anche da un atto pubblico. Più in particolare, si è affermato che lo stesso potrebbe fondare l'obbligo esecutivo di rilasciare un immobile in alcune situazioni diverse da quelle in cui sia in gioco l'obbligo di restituzione dell'immobile locato da parte del conduttore. L'obbligo in questione potrebbe infatti derivare da titoli differenti come, ad esempio, un contratto di compravendita nel quale non sia stata prevista una consegna contestuale o, ancora, contratti di comodato, di affitto di azienda o di appalto, quanto all'obbligo dell'appaltatore di riconsegnare il bene al committente, per i quali non trova applicazione il procedimento di cui agli artt. 657 ss. c.p.c. né, naturalmente, la disciplina di cui all'art. 56 l. n. 392/1978 (Cuffaro, 751).

Peraltro la maggior parte della dottrina sembra postulare un'implicita abrogazione del citato art. 56 l. n. 392/1978 (legge c.d. equo canone), ritenendo che gli atti pubblici potrebbero generalmente fondare l'esecuzione forzata per rilascio quindi anche per far valere nei confronti del conduttore il diritto del locatore alla restituzione dell'immobile una volta scaduto il contratto di locazione o adducendo la mora nel pagamento dei canoni di locazione (cfr., anche per i riferimenti, De Stefano 2006, 47-48).

Sotto un distinto profilo, questione di generale rilevanza nell'ambito dell'esecuzione forzata per rilascio è quella che ha ad oggetto l'efficacia del titolo esecutivo anche nei confronti di soggetti terzi rispetto a quelli indicati nello stesso.

La questione deve essere riguardata sotto due distinti profili: innanzitutto si deve stabilire se nell'ipotesi in cui in sede di accesso nell'immobile oggetto del procedimento l'ufficiale giudiziario riscontri che lo stesso è occupato da un soggetto diverso da quello indicato nel titolo esecutivo l'esecuzione possa proseguire e, in secondo luogo, in caso di risposta affermativo a tale interrogativo, quali siano i rimedi a disposizione del terzo.

La dottrina è divisa sulla possibilità che il titolo esecutivo abbia efficacia erga omnes: infatti, se alcuni Autori non esitano a riconoscere tale valenza ai titoli esecutivi per rilascio (Mazzarella, 464; Punzi, 119 ss.), altri ritengono, in base ai limiti soggettivi del giudicato ex art. 2909 c.c., che il creditore deve in ogni caso munirsi di un titolo esecutivo direttamente nei confronti del possessore o del detentore dell'immobile (cfr. Denti, 151; Luiso, 1983, 103).

In giurisprudenza è invece prevalente la tesi per la quale il titolo esecutivo per il rilascio contiene un ordine che spiega efficacia non solo nei confronti del destinatario della relativa statuizione ma anche di chiunque si trovi a detenere il bene al momento dell'esecuzione forzata (Cass. II, n. 3183/2003; più di recente, con riguardo al decreto di trasferimento, v. Cass. n. 11285/2020).

Anche sotto questo secondo profilo non è pacifico, una volta che si ammette che il titolo esecutivo per rilascio può spiegare i propri effetti anche nei confronti di un soggetto diverso da quello cui è riferito l'obbligo contenuto nel titolo, quali sono i rimedi a disposizione del terzo.

A riguardo viene in rilievo quella giurisprudenza della Corte di cassazione per la quale il terzo detentore può proporre opposizione all'esecuzione ove assuma di detenere l'immobile in virtù di un titolo autonomo da quello posto in esecuzione e perciò non pregiudicato da tale titolo (Cass. III, n. 9964/2006).

La legittimazione del terzo, detentore effettivo del bene, a proporre opposizione all'esecuzione, ancorché sia persona diversa da quella nominativamente indicata nel titolo esecutivo, si correla alla circostanza che la sua estraneità è soltanto formale, restando il titolo esecutivo efficace nei suoi confronti per essere lo stesso l'unico soggetto che può, con la restituzione del bene medesimo, soddisfare la pretesa esecutiva della parte istante (Cass. n. 1103/1995).

Diversamente, nell'esecuzione per consegna o rilascio, avviata in forza di sentenza resa inter alios, ove il terzo lamenti una lesione della sua situazione soggettiva che gli deriva non già da un errore sorto nel procedimento esecutivo, bensì direttamente dalla sentenza che ha accertato un diritto incompatibile con quello da lui vantato, egli non può proporre l'opposizione di terzo all'esecuzione, ai sensi dell'art. 619 c.p.c., ma deve invece impugnare il provvedimento stesso con l'opposizione di terzo ordinaria, ai sensi dell'art. 404, comma 1, c.p.c. (Cass. n. 7041/2017). Vi è dunque che – come di recente precisato dalla S.C. – ad esempio, il soggetto che assume di essere proprietario dell'immobile oggetto di un procedimento di esecuzione per rilascio iniziato da chi, a sua volta, si professa proprietario dello stesso immobile sulla base di una sentenza che ne ha accertato l'usucapione all'esito di un precedente giudizio svoltosi contro un terzo, deve far valere la sua pretesa dominicale non con il rimedio previsto dall'art. 615, comma 1 c.p.c., bensì con l'opposizione di terzo ordinaria, ex art. 404, comma 1 c.p.c., proposta avverso la sentenza che ne pregiudica le ragioni, di cui può altresì chiedere la sospensione ai sensi dell'art. 407 c.p.c. (Cass. II, n. 8590/2022).

Quest'ultima posizione è corroborata dalla dottrina più autorevole, per la quale, non assumendo i terzi la posizione di esecutati non potrebbero esperire le opposizioni esecutive ma soltanto proporre opposizione di terzo ex art. 404, comma 1, c.p.c., facendo valere un diritto di carattere prevalente (Satta III, 434).

È invece minoritaria, almeno in giurisprudenza, la tesi per la quale il terzo detentore dovrebbe in ogni caso proporre opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. ovvero un'autonoma azione di accertamento del proprio diritto (Cass. II, n. 3183/2003).

Del tutto peculiare è, invece, la posizione del sub-conduttore, ovvero del soggetto cui il conduttore abbia a propria volta locato l'immobile oggetto della procedura. Occorre considerare, infatti, che l'art. 1595, comma 3, c.c. dispone che la sentenza di rilascio pronunciata tra il locatore ed il conduttore spiega efficacia anche nei suoi confronti, talché lo stesso ha una posizione sostanziale permanentemente dipendente da quella del conduttore (Luiso I, 60 ss.). Ciò implica che, anche ai fini dell'esecuzione per rilascio, il sub-conduttore non sia considerato un terzo, con la conseguente piena opponibilità nei suoi confronti del titolo esecutivo per il rilascio (Castoro, 681).

Casistica

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno chiarito che, poiché presupposto del processo di esecuzione civile è l'esistenza di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile, senza che possano venire in rilievo profili cognitori di accertamento dell'obbligazione, in punto di giurisdizione, non può individuarsi altro giudice competente sulla materia e, pertanto, l'intimato al rilascio non può eccepire, con l'opposizione al precetto, il difetto della giurisdizione ordinaria connesso alla legittimazione e affrancazione del terreno, che egli assuma gravato da usi civici (Cass. S.U., n. 65/2016).

Il provvedimento con cui il giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 560, comma 3, c.p.c., come novellato dal d.l. n. 59/2016, conv., con modif., in l. n. 119/2016, ordina la liberazione dell'immobile pignorato non costituisce autonomo titolo esecutivo idoneo a fondare una separata esecuzione per rilascio, bensì atto del processo di espropriazione immobiliare suscettibile di attuazione deformalizzata direttamente da parte degli ausiliari del giudice che lo ha emesso, con la conseguenza che i soggetti coinvolti o pregiudicati da tale provvedimento possono trovare tutela delle loro ragioni esclusivamente nelle forme dell'opposizione agli atti esecutivi (Cass. n. 9670/2024; nel senso, poi, che i soggetti che occupano (di fatto o di diritto) l'immobile pignorato, in quanto estranei a tutte le questioni che riguardano il regolare svolgimento del processo esecutivo (del quale non subiscono direttamente gli effetti), non sono legittimati a proporre opposizione agli atti esecutivi avverso il decreto di trasferimento, potendone, al più, contestare l'opponibilità quale titolo esecutivo per l'obbligo di rilascio nei loro confronti (oltre che impugnare ex art. 617 c.p.c. l'ordine di liberazione dell'immobile eventualmente emesso dal giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 560 c.p.c., v. Cass. n. 4236/2023).

L'attuazione coattiva dell'ingiunzione, contenuta nel decreto di trasferimento, al debitore o al custode di rilasciare all'aggiudicatario l'immobile espropriato va svolta nelle forme dell'esecuzione per rilascio di cui agli artt. 605 e ss. c.p.c., senza che rilevi la presenza di ostacoli materiali impeditivi dell'accesso all'immobile, trattandosi di “difficoltà” superabili mediante l'adozione dei provvedimenti temporanei previsti dall'art. 610 c.p.c. (Cass. n. 24037/2023; nel senso che è inammissibile l'opposizione all'esecuzione proposta avverso la procedura di rilascio, finalizzata a recuperare un'opposizione agli atti esecutivi che avrebbe dovuto essere autonomamente proposta contro il decreto di trasferimento adottato in seno alla procedura di espropriazione immobiliare, nel termine perentorio di cui all'art. 617 c.p.c., decorrente dalla conoscenza dell'atto comunque avutane, v. Cass. n. 12920/2020).

Nell'ipotesi di esecuzione forzata per rilascio fondata su una sentenza di condanna conseguente a risoluzione di un contratto di comodato, il terzo detentore dell'immobile da rilasciare – nei cui confronti il titolo può essere eseguito – è legittimato a proporre opposizione all'esecuzione, qualora sostenga di possedere il bene in forza di un titolo autonomo non pregiudicato dalla sentenza azionata (cfr. Cass. n. 2855/2015, in una fattispecie nella quale il terzo occupante aveva spiegato opposizione, deducendo di aver acquistato la proprietà del bene per usucapione).

Nel comodato c.d. precario (nel quale il termine non sia stato concordato dalle parti né risulti in relazione all'uso del bene), la regola di cui all'art. 1810 c.c. – secondo cui il comodatario è tenuto a restituire la cosa “non appena il comodante la richieda” –, configurando un'esemplificazione di quella generale prevista nella prima parte dell'art. 1183, comma 1, c.c., non esclude l'applicazione della seconda parte della citata disposizione, con la conseguenza che il giudice, in mancanza di accordo delle parti, può stabilire il termine per la restituzione della cosa oggetto di comodato, quando sia necessario per la natura della prestazione ovvero per il modo o il luogo dell'esecuzione e, in particolare, quando, trattandosi di comodato di immobile ad uso di abitazione, il comodatario necessiti di una congrua dilazione per rilasciarlo e trovare una diversa sistemazione abitativa (Cass. n. 14084/2023; Cass. n. 12655/2021, fattispecie nella quale la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, sebbene il comodante avesse fissato, all'atto della richiesta di restituzione dell'immobile, un termine per il rilascio, aveva ritenuto legittima la dilazione dello stesso da parte del giudice, in considerazione della destinazione dell'immobile ad abitazione del nucleo familiare del comodatario, con conseguente esclusione del diritto del comodante al risarcimento dei danni da ritardata restituzione).

È ammissibile l'opposizione proposta, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., avverso l'esecuzione iniziata in base a decreto di trasferimento immobiliare, adottato in virtù dell'art. 586 c.p.c. a seguito della vendita forzata, quando l'opponente, nei cui confronti sia esercitata la pretesa esecutiva e chiesto il rilascio e che non si identifichi con il soggetto che ha subito l'espropriazione, si afferma proprietario del bene immobile oggetto del suddetto decreto in base ad acquisto fattone per usucapione ed asseritamente verificatosi anteriormente all'emissione del decreto di trasferimento in danno dell'espropriato (Cass. n. 10609/2009).

Il conduttore di un bene immobile, per il quale è stata avviata l'esecuzione per rilascio nei confronti del fallito in base ad un decreto di trasferimento – provvedimento non assimilabile ad una sentenza, per cui non è opponibile ai sensi dell'art. 404 c.p.c. – del giudice delegato per la procedura fallimentare, può opporsi ai sensi dell'art. 615 c.p.c., senza contestare la legittimità di tale titolo esecutivo, facendo valere il suo anteriore diritto personale di godimento, ostativo dell'esercizio dell'azione esecutiva nei suoi confronti (Cass. n. 2869/1997).

I comproprietari di un bene immobile non possono utilizzare il titolo esecutivo – formato, valido ed efficace nei confronti di altro comproprietario, nella cui posizione siano succeduti (ed utile ad ottenere da quest'ultimo o dai suoi aventi causa il rilascio della quota di comproprietà di metà dell'immobile) – per ottenere in via coattiva il rilascio dell'intero immobile da parte di un terzo, occupante l'immobile in forza di titolo di godimento conferitogli da un ulteriore comproprietario (Cass. n. 5384/2013).

Il locatore può chiedere la risoluzione del contratto e la condanna al rilascio del bene nei confronti del conduttore anche nel caso in cui al momento della proposizione della domanda detto bene è detenuto da un terzo, immessovi dal conduttore, perché la sentenza di condanna al rilascio ha effetto anche nei confronti del terzo, il cui titolo presuppone quello del conduttore (Cass. n. 15083/2000).

Con riguardo ad esecuzione per rilascio di immobile, che sia intrapresa dal locatore nei confronti del conduttore in forza di titolo risolutivo del contratto di locazione costituito da ordinanza di convalida di sfratto, non impugnabile con il rimedio dell'opposizione di terzo ordinaria (art. 404), il terzo che è nel godimento dell'immobile, è legittimato, quale effettivo destinatario dell'azione esecutiva, a proporre opposizione all'esecuzione a norma dell'art. 615 c.p.c., con la quale tuttavia gli è consentito mettere in discussione il diritto del creditore di esperire tale azione in pregiudizio del suo autonomo diritto al godimento del bene, non anche contestare la legittimità di quel titolo, essendo le relative questioni riservate al giudizio inerente alla formazione dello stesso (Cass. n. 3860/1992).

In tema di opposizione all'esecuzione per rilascio di un fondo rustico, promossa per accertare l'ineseguibilità del titolo per l'inesatta identificazione del bene, la deduzione, ad opera del creditore opposto, dell'avvenuta esecuzione del rilascio a seguito dell'individuazione in concreto del bene (e, dunque, dell'idoneità quale titolo esecutivo della sentenza di condanna) costituisce mera difesa, non soggetta alle preclusioni di cui all'art. 437, comma 2, c.p.c. (Cass. n. 12718/2014).

Nella pronuncia, di natura costitutiva, di accoglimento della domandaexart. 2932 c.c. non è implicitamente inclusa una statuizione di condanna avente natura di titolo esecutivo per il rilascio forzoso del bene trasferito (Cass. n. 25941/2023).

Precetto

L'atto di precetto, oltre alle indicazioni di cui all'art. 480 c.p.c., deve contenere una descrizione sommaria del bene del quale l'istante vuole ottenere la consegna o il rilascio.

La S.C. ha chiarito che tale descrizione deve essere comprensiva dell'esatta indicazione dell'ubicazione del bene del quale si chiede il rilascio, per consentire di identificare, sin dal momento dell'intimazione del precetto, il forum executionis e di incardinare nel giudice di quel luogo la competenza territoriale per l'opposizione all'esecuzione, senza che trovi applicazione lo speciale criterio sussidiario del luogo di notificazione del precetto di cui all'art. 480 (Cass. III, n. 5782/1982). È stato precisato che, peraltro, è sufficiente che tale descrizione sia contenuta nel titolo esecutivo (Cass. III, n. 2579/1982).

L'esecuzione in materia locatizia. I titoli esecutivi «tipici»

L'ordinanza di convalida di licenza o sfratto

Il termine per adempiere indicato nel precetto deve essere coordinato con il termine dello stesso rilascio eventualmente previsto dal titolo esecutivo in relazione ai provvedimenti di rilascio di immobili locati per uso abitativo poiché l'art. 56 l. n. 392/1978, impone al giudice della cognizione di fissare un determinato termine per il rilascio, in considerazione delle contrapposte esigenze delle parti.

Qualora il precetto sia notificato in una data incompatibile con la data di rilascio indicata dal titolo esecutivo, l'esecutato potrà proporre opposizioneexart. 615 c.p.c. (Trisorio Liuzzi, 1 ss.).

È stato puntualizzato che la domanda di risarcimento dei danni conseguenti all'esecuzione forzata dell'ordinanza di rilascio dell'immobile, emessa nel procedimento sommario di convalida di sfratto e successivamente travolta, nel giudizio di merito, dall'accertamento di inesistenza del diritto di procedere al rilascio, rientrando nella previsione dell'art. 96, comma 2, c.p.c., va proposta nel medesimo giudizio in cui il titolo esecutivo si è formato e non in uno autonomo e separato, salvo che sussista un'impossibilità di fatto, ricorrente qualora la vittima, al momento del compimento della temeraria iniziativa processuale, non aveva patito alcun danno né poteva ragionevolmente prevedere di subirne in seguito, ovvero un'impossibilità di diritto, qualora sussistano preclusioni di carattere processuale (Cass. n. 13244/2023).

L'ordinanza provvisoria di rilascio

Ai sensi dell'art. 665 c.p.c. qualora nel giudizio di convalida di licenza o sfratto l'opposizione dell'intimato si basi su eccezioni non fondate su prova scritta il giudice, su richiesta del locatore laddove non sussistano gravi motivi in contrario, emana ordinanza non impugnabile di rilascio dell'immobile, riservando al giudizio di merito l'esame delle eccezioni del convenuto (cfr. Garbagnati, 355).

La Corte Costituzionale ha ritenuto manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 665 c.p.c. nella parte in cui attribuisce al giudice il potere di pronunciare l'ordinanza di rilascio laddove l'opposizione non sia fondata su prova scritta (C. cost. n. 367/1989, in Foro it., 1990, I, 2145).

La competenza funzionale a pronunciare tale provvedimento appartiene al giudice della convalida.

È oggetto di discussione, in dottrina, se la pronuncia dell'ordinanza di rilascio debba essere collocata nella fase di merito che segue all'opposizione dell'intimato ovvero quale provvedimento conclusivo del procedimento sommario di convalida.

A sostegno della prima tesi si è in particolare evidenziato che la trasformazione del rito da sommario a ordinario ai sensi dell'art. 667 c.p.c. è un adempimento da porre in essere quale conseguenza e non causa della trasmigrazione del procedimento nella fase ordinaria, trasmigrazione che si verifica automaticamente per effetto della proposizione dell'opposizione (Garbagnati, 349; Di Marzio (Di Mauro), 703 ss.).

Nell'aderire invece al secondo orientamento non si è trascurato di evidenziare, a nostro parere più opportunamente, che l'ordinanza di mutamento del rito deve essere pronunciata, stante il disposto dell'art. 667 c.p.c., successivamente al provvedimento di rilascio che costituisce ancora espressione, come il provvedimento ex art. 666 c.p.c., reso a seguito di una cognizione che rimane sommaria, della fase speciale del provvedimento (cfr. Frasca 248; Lazzaro, Preden, Varrone, 244).

Per l'emanazione di un'ordinanza di rilascio da parte del giudice adito nel procedimento di convalida a seguito della proposizione dell'opposizione dell'intimato è in primo luogo necessaria un'espressa istanza del locatore (Bucci, Crescenzi, 168), istanza che può essere formulata dal difensore della parte intimante, rientrando nelle ordinarie facoltà processuali dello stesso, senza che sia dunque necessaria alcuna specificazione nella procura alle liti (Porreca, 189).

L'istanza di emanazione dell'ordinanza di rilascio può essere sia contenuta nell'originario atto di intimazione, nel qual caso dovrà essere formulata in modo subordinato all'eventuale opposizione del conduttore (Di Marzio, Di Mauro, 693), sia effettuata nel verbale dell'udienza dopo l'opposizione (Garbagnati, 361).

La richiesta di convalida formulata antecedentemente alla comparizione ed opposizione dell'intimato non vale, peraltro, come istanza di rilascio (Frasca, 252).

Secondo alcuni è diversa la situazione nella fattispecie, per certi versi speculare, in cui dopo l'opposizione il conduttore abbia impropriamente richiesto la convalida, ipotesi nella quale sarebbe possibile individuare con certezza la volontà della parte di ottenere l'ordinanza di rilascio prevista dalla legge (Bucci, Crescenzi, 168; Porreca, 192; contra Lazzaro, Preden, Varrone, 239).

Sulla questione, nella giurisprudenza di legittimità si è affermato che il locatore il quale, nonostante l'opposizione del conduttore, persiste nella richiesta di convalida, non può avere altra intenzione che ottenere l'unica forma di tutela possibile attraverso il provvedimento provvisorio di rilascio (Cass. III, n. 20905/2004; contra Trib. Modena II, 28 marzo 2012, in Arch. Locazioni, 2012, n. 3, 301, per la quale a seguito dell'opposizione spiegata dal conduttore allo sfratto per morosità, il persistere dell'intimante nella richiesta di convalida, anziché in quella di rilascio ex art. 665 c.p.c. (pur formulata in via subordinata in citazione per intimazione), implica, stante la sua non riproposizione in udienza, l'abbandono di tale ultima richiesta).

Ferma la necessità della richiesta del locatore, l'art. 665 c.p.c. demanda al giudice una serie di valutazioni, pur nell'ambito di una cognizione sommaria, ai fini della pronuncia del provvedimento di rilascio (Garbagnati, 1966, 21). In particolare, dato che l'opposizione dell'intimato fa venir meno il meccanismo normativo della ficta confessio dei fatti costitutivi del proprio diritto affermati dall'intimante nella citazione per convalida che si ricollega alla mancata comparizione ed opposizione all'udienza, il giudice dovrà vagliare innanzitutto la plausibilità dei fatti costitutivi della domanda del locatore resi ormai controversi dall'opposizione dell'intimato (cfr., tuttavia, Bucci, Crescenzi, 170, per i quali la cognizione del giudice deve essere piena in relazione alla pretesa del locatore ai fini della pronuncia dell'ordinanza di rilascio, attenendo la sommarietà del procedimento soltanto alla celerità ed alla concentrazione dello stesso che impediscono l'ingresso di elementi di valutazione diversi da quelli introdotti con l'atto di citazione).

La dottrina prevalente ritiene che, anche per assicurare il rispetto del fondamentale principio di parità delle armi tra le parti, le uniche prove che il giudice può considerare tra quelle addotte dal locatore sono quelle documentali, sicché la cognizione sarebbe sommaria soltanto perché parziale, ovvero limitata alle prove dedotte dall'attore (Proto Pisani, 1363; Garbagnati, 362; Frasca, 254).

Tuttavia, per altri, tale tesi suscita alcune perplessità in quanto proprio l'operare del principio della parità della armi e la circostanza che la pronuncia dell'ordine di rilascio va collocata nella fase sommaria del procedimento di convalida, comporta che il giudizio sulla consistenza delle prove addotte dall'intimante debba essere di mera verosimiglianza e che quindi il giudice possa valutare, secondo il proprio prudente apprezzamento in base alla regola generale di cui all'art. 116 c.p.c., anche prove diverse da quelle scritte, le quali possono risultare determinanti per la decisione (cfr. Di Marzio (- Di Mauro), 661 ss., i quali evidenziano che, ad esempio, sarà possibile per il giudice pronunciare l'ordinanza di rilascio anche in assenza di prova scritta dei fatti costitutivi fatti valere dall'intimante nell'ipotesi in cui i fatti non siano controversi tra le parti ovvero qualora il locatore agisca in base ad un contratto scritto disconosciuto dall'intimato; Giordano, 223). Secondo Garbagnati, 1966, 21, dovrebbe ritenersi possibile la pronuncia del provvedimento anche in assenza di prova scritta delle affermazioni del locatore circa i fatti costitutivi posti a fondamento del proprio diritto nell'ipotesi in cui il conduttore opponente non abbia contestato gli stessi. Atteso ciò, occorre considerare che anche laddove il locatore abbia fornito una piena prova, magari di carattere documentale, dei fatti costitutivi alla base della propria pretesa, il giudice, in applicazione del generale principio iura novit curia, ha comunque la possibilità di escludere, ferma ogni altra considerazione, la pronuncia dell'ordinanza di rilascio qualora rilevi d'ufficio una circostanza impeditiva dell'effetto giuridico richiesto ovvero la mancanza di un presupposto processuale generale o, ancora, l'inammissibilità della domanda di convalida proposta al di fuori dei limiti consentiti dagli artt. 657 ss. c.p.c. (Garbagnati, 362; Bucci, Crescenzi, 170).

La medesima disposizione in esame stabilisce, inoltre, che il giudice adito può pronunciare l'ordinanza di rilascio qualora le eccezioni dell'intimato non si fondino su prova scritta. Si è osservato che il legislatore ha così fatto riferimento soltanto alle eccezioni mediante le quali si fanno valere circostanze che giustificano una prosecuzione del rapporto (Bucci, Crescenzi, 170).

Nella stessa giurisprudenza è invero da tempo ricorrente l'affermazione per la quale l'emanazione dell'ordinanza di rilascio è proprio volta a contrastare le eccezioni del convenuto aventi carattere meramente dilatorio, cioè concretanti un abuso del diritto di difesa da parte dello stesso (Pret. Milano 19 dicembre 1984, in Foro it., 1986, I, 1409).

Sotto un distinto profilo, in dottrina è discusso il novero delle prove scritte sulle quali devono fondarsi le eccezioni dell'intimato, prove che, peraltro, non sono necessarie sia se lo stesso deduce in via pregiudiziale eccezioni di rito impedienti anche ove si concretino in difese di mero diritto (Frasca, 253, 254).

In particolare, un orientamento più rigoroso ritiene che, sebbene possa farsi ricorso anche a prove presuntive, debba aversi riguardo esclusivamente alle prove documentali di cui agli artt. 2699 ss. c.c., in quanto nelle ipotesi in cui il legislatore ha voluto riconoscere una determinata valenza probatoria ad atti scritti diversi dalla prova scritta disciplinata dal codice civile lo ha fatto espressamente (Frasca, 258 ss., il quale ricorda, ad esempio, l'art. 634 c.p.c. in tema di prova scritta nel procedimento monitorio e l'art. 421 c.p.c. nell'ambito del processo del lavoro; Preden, 755; Porreca, 197). Nella delineata prospettiva si è evidenziato che, di conseguenza, una scrittura privata disconosciuta dall'intimante non è una prova scritta di per sé idonea ad evitare la pronuncia dell'ordinanza di rilascio, a meno che il giudice valuti la probabile infondatezza del disconoscimento nell'ambito dei gravi motivi che ostano all'emanazione della stessa (Frasca, 261 ss.; v. inoltre Porreca, 193, per il quale escludere ogni rilevanza probatoria della scrittura privata disconosciuta ovvero dell'atto pubblico oggetto di querela di falso è l'unica soluzione compatibile con i principi costituzionali in tema di prova, circostanza confermata, sotto il profilo positivo, dal disposto dell'art. 186-ter c.p.c., secondo cui non è possibile pronunciare ordinanza di ingiunzione a fronte del disconoscimento della prova scritta alla base della richiesta del creditore).

In accordo con una diversa prospettazione interpretativa, invece, le prove scritte sulle quali si fondano le eccezioni del conduttore idonee ad evitare la pronuncia dell'ordinanza di rilascio sono costituite da ogni atto scritto dal quale può discendere un'apparenza di fondamento dell'eccezione, ovvero, ad es., quietanze, ricevute di vaglia postali e bonifici bancari, assegni, estratti di libri contabili, minute di lettere raccomandate di trasmissione di assegni bancari con la ricevuta in spedizione (v., tra gli altri, Bucci, Crescenzi, 171; Giordano 220; Lazzaro, Preden, Varrone, 231 ss., ove numerosi esempi pratici; Trisorio Liuzzi, 390).

Come è stato osservato anche in sede applicativa in ogni caso il pagamento dei canoni, anche dopo l'intimazione di sfratto, impedisce la convalida dello sfratto e la pronunzia dell'ordinanza ex art. 665 c.p.c., in quanto la persistenza della morosità è condizione dell'azione a norma dell'art. 663 c.p.c., posto che, anche in tema di locazione di immobili ad uso diverso dall'abitazione, il principio di «cristallizzazione dell'inadempimento» di cui all'art. 1453 c.c. (»dalla data della domanda di risoluzione l'inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione») è applicabile unicamente nel giudizio ordinario di cognizione (ex plurimis, Trib. Modena II, 10 aprile 2013, in dejure.giuffre.it).

Il giudice deve verificare, inoltre, che non sussistano gravi motivi ostativi all'emanazione dell'ordinanza provvisoria di rilascio. La natura di clausola generale di tale locuzione ha determinato notevoli incertezze in dottrina quanto all'ambito dei motivi che impediscono nei casi concreti, in assenza di eccezioni dell'intimato fondate su prova scritta, la pronuncia dell'ordinanza di rilascio, al punto che si è autorevolmente dubitato, anche sotto tale profilo, della legittimità costituzionale ex art. 24 Cost. del procedimento di convalida (Proto Pisani, 1364).

Se è indubbio che mediante il riferimento ai gravi motivi vengono demandate al prudente apprezzamento del giudice valutazioni contenenti ampi margini di discrezionalità (cfr. Di Marzio (Di Mauro), 673), si può dire, in via meramente esemplificativa, che tra i gravi motivi idonei ad impedire la pronuncia dell'ordinanza di rilascio rientrano la probabile fondatezza delle eccezioni sollevate dal conduttore o, per converso, l'apparente infondatezza delle deduzioni del locatore o, ancora, circostanze relative alla condizione personale del conduttore che giustificano una deroga alla normativa generale in tema di sfratti (Bucci, Crescenzi, 172; D'ascola, 4644). Si è rilevato, inoltre, che se per giurisprudenza di legittimità incontroversa la pendenza di una causa pregiudicante rispetto a quella introdotta dal procedimento di convalida non consente una sospensione dello stesso ex art. 295 c.p.c., la stessa rientra tra le ragioni che possono essere valutate dal giudice quali gravi motivi ostativi alla pronuncia dell'ordinanza di rilascio (Porreca, 199).

Anche le poche pronunce di merito edite, spesso risalenti, che si sono preoccupate di individuare la portata della locuzione «gravi motivi» di cui all'art. 665 c.p.c. hanno del resto fatto prevalentemente riferimento ad una valutazione prognostica del giudice in ordine alla fondatezza dell'opposizione pur non fondata su prova scritta (cfr. Pret. Milano 19 dicembre 1984, in Foro it., 1986, I, 1409; Pret. Napoli 6 giugno 1966, in Foro Nap., 1966, I, 125; Pret. Catanzaro 19 agosto 1965, in CG, 1966, 108).

In termini analoghi si pone quella parte della dottrina la quale ritiene che, poiché il giudice non dovrebbe comunque pronunciare l'ordinanza di rilascio laddove, a prescindere dalla natura delle prove addotte dall'intimato in sede di opposizione, a ciò ostino ragioni pregiudiziali di rito o comunque le difese in diritto del convenuto, i «gravi motivi» ostativi all'emanazione dell'ordinanza di rilascio cui si riconduce l'art. 665 c.p.c. vadano ricercati in altri ambiti (Frasca, 271 ss.; Porreca 199).

L'ordinanza di rilascio, ove concessa, è immediatamente esecutiva, ossia costituisce titolo per dare corso all'esecuzione forzata per rilascio di immobili: si tratta, in particolare, di un titolo esecutivo ai sensi dell'art. 474, comma 2, n. 1, c.p.c. che annovera, tra i titoli esecutivi giudiziali, gli «altri provvedimenti cui la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva» (Frasca, 303).

Ai sensi dell'art. 665, secondo co., c.p.c., tuttavia, l'esecutività dell'ordinanza può essere subordinata alla prestazione di una cauzione per i danni e le spese: ciò rientra in un potere discrezionale del giudice, che può essere esercitato d'ufficio valutando soprattutto l'esigenza di tutelare gli interessi del conduttore per l'eventualità di un rilascio che potrà successivamente rivelarsi non giustificato (Bucci Crescenzi, 175; Trisorio Liuzzi, 693).

Natura

Una pluralità di opinioni è stata espressa in dottrina ed in giurisprudenza con riguardo alla questione, tuttora oggetto di soluzioni non univoche, della natura dell'ordinanza di rilascio.

Più in particolare, secondo un primo orientamento, l'ordinanza di rilascio è un provvedimento di carattere decisorio e, precisamente, una forma di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto, poiché contiene un accertamento che, sebbene inidoneo a passare in cosa giudicata e destinato ad essere sostituito dalla decisione di merito, incide sulla realtà giuridica sostanziale, attribuendo al locatore il diritto a procedere ad esecuzione forzata (Garbagnati, 394; Micheli, 152; Anselmi Blaas, 230; Scarselli, 336).

Questa tesi è dominante anche in giurisprudenza: la S.C. ha ripetutamente affermato, infatti, che l'ordinanza di rilascio emessa dal giudice ai sensi dell'art. 665 c.p.c., rientra nella categoria dei provvedimenti di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto ed ha natura di provvedimento sostanziale provvisorio, i cui effetti – afferenti alla cessazione o alla risoluzione della locazione e, conseguentemente, all'attribuzione del diritto al rilascio dell'immobile attuabile in via esecutiva – permangono fin quando, ove non vengano definitivamente confermati, siano posti nel nulla dalla sentenza di merito che conclude l'ordinario giudizio di cognizione (Cass. n. 6522/1996; Cass. n. 2619/1990, in Foro it., 1991, I, 2180; conf. Pret. Napoli 15 gennaio 1992, in Arch. locazioni, 1992, 401; contra, rispetto alla statuizione secondo cui l'ordinanza di rilascio è equiparabile ad una condanna con riserva delle eccezioni, Pret. Napoli 18 ottobre 1990, in Giur. merito, 1991, 223).

La sentenza di merito che conclude il procedimento instaurato con l'opposizione alla convalida, d'altra parte, assorbe ad ogni effetto (e quindi assurge a nuovo titolo esecutivo se la procedura non è conclusa e si tratti di pronuncia di condanna) l'ordinanza di rilascio le questioni relative alla validità della quale, pertanto, non potranno più essere fatte valere in appello (Cass. n. 1223/2006).

Ovviamente, nel giudizio a cognizione piena potranno essere valutate anche eccezioni diverse rispetto a quelle riservate (Scarselli, 541).

Giova tuttavia ricordare che, secondo la più rigorosa impostazione affermata dall'autorevole dottrina che per prima ha equiparato l'ordinanza di rilascio ad un provvedimento di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto, la stessa costituisce un provvedimento giurisdizionale dichiarativo che – sebbene risolutivamente condizionato nella sua efficacia dichiarativa alla eventuale successiva pronuncia in merito alle eccezioni riservate – ha per effetto la preclusione di tutte le possibili questioni relative alla concreta volontà della legge oggetto della pronuncia, la cui trattazione non sia riservata in prosecuzione di giudizio (Garbagnati, 363).

Secondo un'altra posizione che pure ha avuto significativi riscontri in dottrina, poiché l'ordinanza ex art. 665 c.p.c. viene resa senza un previo accertamento di merito sui diritti fatti valere dalle parti in causa, la stessa ha invece natura eminentemente processuale ed è annoverabile tra i provvedimenti anticipatori della decisione definitiva, aventi effetti meramente provvisori, in quanto sottoposti alla condizione risolutiva dell'emissione della successiva sentenza di merito negativa (Bucci, Crescenzi, 183; Frasca, 299 ss.).

Secondo un'acuta ricostruzione l'ordinanza di rilascio è un provvedimento anticipatorio caratterizzato da una prevalente efficacia esecutiva consistente in una funzione di solve et repete processuale con effetti preclusivi limitati alla fase dell'esecuzione (Merlin, 1030 ss.).

L'ordinanza di rilascio è stata da altri ancora annoverata, in una prospettiva ancora diversa, nell'ambito dei provvedimenti sommari non cautelari a cognizione imperfetta tesi ad evitare l'abuso del diritto di difesa del conduttore ed idonei ad acquistare efficacia esecutiva. Si tratta, in altre parole, di provvedimenti emanati all'esito di una cognizione sommaria ed anticipatori del contenuto della decisione di merito sebbene non cautelari in quanto la loro pronuncia prescinde dall'accertamento di un concreto pericolo di pregiudizio (Proto Pisani, 1363, il quale sottolinea che se dal punto di vista strutturale l'ordinanza di rilascio è effettivamente una pronuncia di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto rispetto alla fondatezza delle quali è risolutivamente condizionata, evidenzia anche che sotto il profilo funzionale la stessa costituisce una tipica applicazione della tutela sommaria volta ad evitare l'abuso del diritto di difesa del convenuto; cfr., più di recente, Trisorio Liuzzi, 394 ss.).

Ancora diversa è la tesi secondo la quale all'ordinanza di rilascio va riconosciuto il carattere di tutela sommaria interinale, non contenente alcun accertamento idoneo a stabilizzarsi ed avente, di conseguenza, una valenza meramente processuale. L'ordinanza di rilascio costituirebbe, invero, un provvedimento emanato quando la fase sommaria del procedimento di convalida si è già conclusa a seguito della proposizione dell'opposizione da parte dell'intimato onde favorire una rapida attribuzione in via provvisoria del bene conteso scoraggiando l'abuso del diritto di difesa (D'ascola, 1991, I, 2185).

Per altri ancora l'ordinanza di rilascio è un provvedimento di natura cautelare emanato sulla scorta del pericolo di pregiudizio costituito dalla pretestuosità dell'opposizione ovvero dalla circostanza che la stessa non è fondata su prova scritta ovvero su gravi motivi (Castoro, 1952, 133; Tamburrino, 79; Lazzaro, Preden, Varrone, 251; Fornaciari, 1023; Giordano 2015, 224). A sostegno di tale soluzione può evidenziarsi che: a) nella fase in cui è emanata l'ordinanza di rilascio la cognizione del giudice, così come avviene ai fini dell'emanazione delle misure cautelari, è meramente sommaria, sicché il provvedimento ex art. 665 c.p.c. viene concesso sulla scorta della mera verosimiglianza delle richieste dell'intimante posto che, a seguito dell'opposizione del conduttore, non può scattare il meccanismo della ficta confessio sulla scorta del quale è emanato il provvedimento di convalida, in quanto tornano ad operare le canoniche regole sull'onere della prova desumibili dall'art. 2697 c.c., talché il giudice è chiamato ad operare valutazioni del tutto simili a quelle proprie del giudizio di verosimiglianza sul fumus boni juris; b) quanto al periculum in mora, alla tradizionale obiezione secondo cui lo stesso non potrebbe identificarsi con una valutazione predeterminata in via astratta dal legislatore dovendo essere accertato nei singoli casi concreti, va replicato che la possibilità per il giudice di non concedere l'ordinanza di rilascio laddove a ciò ostino «gravi motivi in contrario» sembra implicare proprio una valutazione concreta da parte del giudice sulla ricorrenza del pericolo di danno dedotto dall'intimante e, comunque, un giudizio di bilanciamento tra i contrapposti interessi in causa delle parti che è proprio della materia cautelare; c) l'ordinanza di rilascio non è un provvedimento dotato di stabilità perché è destinato ad essere sostituito dalla sentenza di merito resa all'esito del giudizio di opposizione: si tratta quindi di un provvedimento che, come le misure cautelari, produce effetti meramente provvisori; d) alla natura cautelare dell'ordinanza di rilascio non osta la circostanza che la stessa abbia portata completamente anticipatoria della sentenza di merito poiché ha contenuto e portata identici alla stessa, in quanto è ormai pacifico, anche nella giurisprudenza comunitaria, che negare un provvedimento cautelare soltanto perché lo stesso ha contenuto completamente anticipatorio della sentenza di merito si pone in contrasto con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, dovendo invero essere sempre valutato se la plausibilità della pretesa fatta valere dal ricorrente e l'urgenza siano tali da rendere eccezionalmente necessaria la concessione di una misura cautelare completamente anticipatoria della decisione di merito ovvero avente effetti potenzialmente irreversibili (CGCE, ord., 21 gennaio 1997, Antonissen c. Consiglio e Commissione, C-393/96, in Racc., 1996, 1441, spec. parr. 36-41). Su un piano più generale, invero, la ricostruzione della nozione di provvedimento cautelare dipende soprattutto alla concezione della strumentalità tra tutela cautelare e tutela di merito cui l'interprete preferisce accedere. La strumentalità delle misure cautelari può essere difatti intesa sia in senso rigorosamente strutturale, con la conseguenza di restringere l'ambito dei provvedimenti propriamente cautelari alle misure la cui efficacia è in qualche modo subordinata all'instaurazione della causa di merito, sia in una prospettiva esclusivamente funzionale, sicché l'ambito dei provvedimenti cautelari potrà estendersi anche a tutte quelle misure di carattere provvisorio volte ad assicurare dai pregiudizi ai quali sono esposti determinati diritti soggettivi nelle more del tempo necessario per la tutela giurisdizionale degli stessi anche in presenza di esplicite deviazioni dalla strumentalità c.d. strutturale e, quindi, in mancanza di un raccordo con un successivo o pendente giudizio di merito (cfr. Merlin, 1996, 428, la quale individua il discrimine tra provvedimenti cautelari e provvedimenti sommari nella provvisorietà dei primi e nell'attitudine al giudicato, invece, dei secondi).

Sotto un distinto profilo, in dottrina non si è mancato di osservare che sul piano sistematico ritenere che l'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. abbia natura cautelare è funzionale a rendere la relativa disciplina conforme all'art. 6, par. 1, CEDU norma che tutela il principio della parità delle armi tra le parti nella tutela giurisdizionale dei propri diritti. Infatti, laddove il procedimento sommario non addiviene al risultato di far ottenere all'intimante un pronto titolo esecutivo a causa della comparizione e dell'opposizione dell'intimato, potrà ammettersi comunque la pronuncia di un provvedimento dotato di immediata valenza esecutiva a favore dell'attore esclusivamente qualora lo stesso sia emanato in presenza dei presupposti del fumus boni juris e del periculum in mora, ovvero costituisca l'espressione di una tutela cautelare e non già di una supremazia della posizione giuridica del ricorrente rispetto a quella dell'intimato (così Fornaciari, 1007 ss., spec. 1023 ss., il quale evidenzia che lo squilibrio nelle posizioni processuali delle parti è reso nella specie evidente anche dalla circostanza che l'attore può ottenere la convalida anche non fornendo alcuna prova del diritto azionato laddove si perfezioni il meccanismo di ficta confessio normativamente previsto dall'art. 663 c.p.c., mentre l'intimato delle inderogabilmente fornire prova scritta delle proprie affermazioni circa i fatti modificativi, impeditivi ed estintivi della avversa pretesa onde evitare la pronuncia dell'ordinanza di rilascio).

Si è altresì osservato che anche ragioni di carattere eminentemente pratico dovrebbero indurre ad avallare la tesi della natura cautelare dell'ordinanza di rilascio: in tal modo, invero, le risalenti problematiche sul regime dell'ordinanza ex art. 665 c.p.c. potrebbero essere agevolmente risolte, stante la clausola di compatibilità di cui all'art. 669-quaterdecies c.p.c., applicando le norme del procedimento cautelare uniforme (Giordano 2015, 230).

Mezzi di impugnazioni esperibili avverso l'ordinanza di rilascio

Ai sensi dell'art. 665 c.p.c. l'ordinanza di rilascio è un provvedimento non impugnabile: tale previsione è apparentemente chiara nel sancire, stante la regola generale di cui all'art. 177, comma 3, n. 2, c.p.c. che l'ordinanza in questione non può essere modificata e/o revocata dal giudice che l'ha emanata neppure nel corso del giudizio di opposizione (Giudiceandrea, 351; Bucci, Crescenzi, 173; Frasca, 304; Lazzaro, Preden, Varrone, 256).

Secondo l'opinione tradizionale, inoltre, l'irrevocabilità dell'ordinanza di rilascio implica anche che il giudice nel corso dell'opposizione non possa sospendere l'efficacia esecutiva di tale provvedimento, in applicazione analogica degli artt. 283 e 351 c.p.c. sull'inibitoria della sentenza (Cass. n. 6664/1997), poiché l'irrevocabilità deve essere riferita soprattutto all'efficacia esecutiva dell'ordinanza (Trisorio Liuzzi, 392; Bucci, Crescenzi, 174; Porreca, 202).

Sotto un distinto profilo, del resto, è stata unanimemente criticata la ormai risalente giurisprudenza di merito (Trib. Milano 2 luglio 1952, in MT, 1953, 142, con nota di D'angelo; Trib. Milano 29 aprile 1953, in ARG, 1954, 214, con nota critica di Dini; Pret. Roma 5 marzo 1954, in Nuovo dir., 1955, 467, con nota critica di Bufardeci) per la quale l'efficacia esecutiva dell'ordinanza può essere paralizzata dall'emanazione di un provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. rilevando sia la carenza di residualità dello strumento in tale situazione, sia che mediante un provvedimento siffatto non è possibile sospendere gli effetti di provvedimenti giurisdizionali (Bucci, Crescenzi).

Nondimeno l'art. 665 c.p.c. nella parte in cui prevede che l'ordinanza di rilascio è un provvedimento non impugnabile ha suscitato numerosi dubbi interpretativi, soprattutto in dottrina, correlati alla spinosa questione della natura del provvedimento in esame ed alle gravi conseguenze dello stesso a carico del conduttore, privo di ogni tutela processuale.

In primo luogo, ci si è interrogati in ordine all'appellabilità dell'ordinanza di rilascio, peraltro tradizionalmente negata in ragione della forma di tale provvedimento e della provvisorietà dello stesso, destinato ad essere sostituito dalla decisione sul merito dell'opposizione alla convalida (v., ex ceteris, Cass. n. 15363/2000, Cass. n. 13435/1992; Cass. n. 354/1983).

Un orientamento minoritario ritiene, peraltro, analogamente a quanto affermato con riguardo all'ordinanza di convalida, che l'ordine di rilascio ha natura sostanziale di sentenza ed è di conseguenza impugnabile con l'appello quante volte lo stesso sia stato emanato al di fuori delle condizioni previste dalla legge ovvero qualora non fosse ammissibile il procedimento speciale per convalida (Cass. n. 9375/1995). Un'isolata decisione, inoltre, ha affermato che è appellabile l'ordinanza di rilascio la quale abbia illegittimamente risolto questioni di merito (Trib. Napoli 4 dicembre 1990, in Giur. merito, 1992, 581, con riferimento ad un'ipotesi nella quale era stata affermata la risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore, omettendo di verificare se il convenuto era stato messo in condizione di conoscere tutte le domande proposte in relazione alla dedotta morosità).

In dottrina il citato orientamento giurisprudenziale è stato criticato in quanto lo stesso finisce contraddittoriamente per equiparare, in punto di regime, un provvedimento di natura provvisoria come l'ordinanza di rilascio ad una decisione che definisce il giudizio come l'ordinanza di convalida: secondo tale opinione, la provvisorietà dell'ordine di rilascio comporta che eventuali vizi inficianti lo stesso possano e debbano essere fatti valere esclusivamente nel corso del giudizio di merito (Di Marzio, Di Mauro, 697; Porreca, 206).

Un diverso problema è quello afferente all'impugnabilità dell'ordinanza di rilascio mediante il rimedio «residuale» del ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., rimedio che, stante una giurisprudenza monolitica della S.C., è esperibile avverso ogni provvedimento che, sebbene privo della forma di sentenza, sia nondimeno decisorio e definitivo.

La Corte di Cassazione ha tuttavia costantemente escluso che avverso l'ordinanza di rilascio emanata ex art. 665 c.p.c. sia proponibile il ricorso straordinario per cassazione, evidenziando che la stessa è un provvedimento privo dei requisiti della provvisorietà e della definitività in quanto è insuscettibile di passare in giudicato, ha carattere provvisorio e non è idonea a pregiudicare la decisione di merito con la quale viene definito il giudizio di opposizione. Trattandosi quindi di provvedimento che non definisce la causa e dichiarato espressamente non impugnabile, non può essere direttamente investito da alcun mezzo di gravame, compreso il ricorso straordinario per cassazione (ex multis, Cass. n. 20905/2004; Cass. n. 12474/1999; Cass. n. 1/1988).

Si è osservato che l'adesione alla tesi secondo la quale l'ordinanza di rilascio ha natura cautelare potrebbe consentire, invece, di risolvere la discussa questione dei mezzi di impugnazione esperibili contro la stessa ogni qual volta sia stata emanata in difetto dei pur articolati presupposti a tal fine stabiliti dall'art. 665 c.p.c. nel senso della proponibilità del reclamo cautelare di cui all'art. 669-terdecies c.p.c., ovvero del generale mezzo di gravame introdotto dalla l. n. 353/1990, per impugnare le determinazioni assunte dal giudice adito con ricorso cautelare (cfr. Cecchella (Vaccarella, Capponi), 352; Martinelli, 161 ss., spec. 182; contra, tra i tanti, Consolo (Luiso, Sassani), 548; Oberto, 143 ss.; Frasca, 312).

Ai medesimi risultati pratici, almeno quanto all'esigenza di consentire la proposizione del rimedio del reclamo cautelare avverso l'ordinanza di rilascio, ma mediante un percorso argomentativo differente sotto il profilo teorico, è di recente addivenuta un'autorevole dottrina la quale, pur ritenendo che il provvedimento di rilascio ex art. 665 c.p.c. sia annoverabile tra quelli sommari non cautelari, ritiene in contrasto con il diritto di difesa riconosciuto dall'art. 24 Cost. nonché con il principio della parità delle armi tra le parti, canone del giusto processo ai sensi dell'art. 111 Cost., un assetto nel quale misure come quelle sommarie non cautelari destinate a sopravvivere alla stessa estinzione del processo non possono essere impugnate neppure con il duttile strumento del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., all'opposto previsto per le misure cautelari talvolta anche strutturalmente strumentali alla sentenza di merito (Trisorio Liuzzi, 402).

Sotto un distinto profilo, orientamenti non sempre univoci sono stati espressi in sede di legittimità quanto alla proponibilità del regolamento di competenza avverso l'ordinanza di rilascio. Infatti, la S.C. ha chiarito che di regola tale rimedio è inammissibile dal momento che l'ordinanza di rilascio, emanata all'esito di una fase sommaria del procedimento, non contiene secondo la S.C. una statuizione neppure implicita sulla competenza (Cass. n. 17424/2006; Cass. n. 9590/2000; Cass. n. 514/1998; Cass. n. 5734/1993), per l'affermazione della quale occorre, invero, un provvedimento giurisdizionale proveniente da un organo dotato di potere decisorio, il quale presupponga l'affermazione o la negazione della competenza, mentre non può considerarsi un'implicita statuizione al riguardo nel caso di provvedimenti ordinatori retrattabili o, comunque, inidonei a pregiudicare la decisione della causa (Cass. n. 6425/1996).

In altre decisioni la Corte di Cassazione ha peraltro evidenziato che il regolamento di competenza potrebbe comunque essere proposto avverso l'ordinanza di rilascio qualora il rapporto dedotto in giudizio sia devoluto alla cognizione di un giudice speciale o specializzato (Cass. S.U., n. 7290/1993). In tale prospettiva si è in particolare affermato che l'ordinanza di rilascio emessa dal giudice ordinario, a norma dell'art. 665 c.p.c., nel procedimento di convalida di sfratto, nonostante la contestazione da parte dell'intimato della sua competenza funzionale, deducendosi la sussistenza di un contratto agrario e la conseguente competenza del giudice specializzato, contiene, seppure implicitamente, una pronuncia affermativa della propria competenza ed è quindi, in sostanza, una sentenza suscettibile di impugnazione con regolamento di competenza (Cass. n. 3566/1996; Cass. n. 13376/1991; Cass. n. 10084/1990; Cass. n. 155/1987).

È senz'altro esperibile il procedimento di correzione degli errori materiali exartt. 287 ss. c.p.c. anche rispetto agli errori materiali o di calcolo contenuti nell'ordinanza di rilascio (cfr., tra le altre, Cass. n. 5094/1994).

Di contro, e diversamente da quanto affermato con riguardo all'ordinanza di convalida, S.C. ha ritenuto manifestamente infondata la q.l.c. dell'art. 404 comma 1 c.p.c. nella parte in cui non prevede la possibilità di impugnare con opposizione di terzo l'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c., in riferimento agli art. 3 e 24 cost., ponendo in evidenza che le eccezioni del convenuto sulla fondatezza del diritto dell'attore possono essere fatte valere nel successivo giudizio di merito, o, nel caso di estinzione di questo, in un autonomo giudizio di cognizione, talché la stessa non è equiparabile ad un provvedimento passato in giudicato C. cost. 4 marzo 1997 n. 1917, in Foro it., 1998, I, 162.

Estinzione del giudizio di merito e sopravvivenza dell'ordinanza di rilascio

Il vivace dibattito avente ad oggetto la natura dell'ordinanza di rilascio si riflette anche sulla connessa questione dell'idoneità della stessa a sopravvivere all'estinzione del giudizio di merito. In passato la problematica aveva una grande rilevanza pratica perché spesso l'estinzione si verificava a seguito della mancata tempestiva riassunzione del giudizio dal pretore, competente per la fase sommaria della convalida, al tribunale eventualmente dichiarato competente per il giudizio di opposizione in base al vecchio testo dell'art. 667 c.p.c., mentre attualmente è lo stesso tribunale del luogo ove si trova il bene immobile ad essere competente nelle diverse fasi del giudizio (Di Marzio, (Di Mauro), 721).

La questione merita in ogni caso attenzione perché l'estinzione del giudizio di opposizione può comunque verificarsi anche nelle fattispecie canoniche della rinuncia agli atti o dell'inattività delle parti. Inoltre, nell'assetto attuale la questione come si vedrà ha assunto nuova attualità in considerazione dei rapporti con il procedimento di mediazione obbligatorio per le controversie locatizie (Giordano, 2015, 230).

In dottrina coloro i quali riconducono l'ordinanza di rilascio ai provvedimenti di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto (v., tra gli altri, Giudiceandrea, 367; Garbagnati, 378; Proto Pisani, 1384; Frasca, 323 ss.), ritengono che la stessa possa sopravvivere all'estinzione del processo giusta il disposto dell'art. 310 c.p.c. il quale fa salvi gli effetti delle sentenze di merito pronunciate nel corso del giudizio estinto.

Questa impostazione è prevalsa da alcuni anni anche in giurisprudenza: invero la S.C. ha più volte ribadito che permane l'efficacia dell'ordinanza di rilascio come titolo esecutivo anche successivamente all'estinzione del giudizio di merito, sull'assunto per il quale l'ordinanza provvisoria di rilascio è un provvedimento di natura sostanziale, avente effetti costitutivi, emanato con riserva delle eccezioni del convenuto (Cass. n. 6132/1993; Cass. n. 2619/1990). La Corte di Cassazione ha peraltro evidenziato che ad estinguersi è il giudizio sull'opposizione dell'intimato e non quello sulla domanda dell'attore di risoluzione del contratto di locazione (Cass. n. 8616/1990). La permanente efficacia dell'ordinanza di rilascio a seguito dell'estinzione del giudizio di merito non comporta anche, tuttavia, secondo la Corte di Cassazione, che la stessa abbia efficacia di giudicato sostanziale ex art. 2909 c.c. (sull'inidoneità dell'ordinanza di rilascio a produrre gli effetti del giudicato sostanziale v., ad esempio, in sede applicativa, Trib. Sala Consilina 19 dicembre 1988, in Arch. locazioni, 1989, 525), in quanto il convenuto potrà comunque proporre le proprie eccezioni in un nuovo ed autonomo giudizio rispetto a quello estinto (Cass. n. 1382/1997, in Foro it., 1998, I, 163; Cass. n. 6522/1996, cit.; Cass. n. 4319/1991; conf. Trib. Roma 23 novembre 1993, in Gius, 1994, n. 13, 186). In altre parole, l'efficacia dell'ordinanza che sopravvive all'estinzione del giudizio di merito va intesa esclusivamente quale efficacia esecutiva, ovvero idoneità a fondare l'esecuzione per rilascio dell'immobile oggetto della stessa (Cass. n. 3730/1995; Cass. n. 4319/1991). Ciò comporta che il giudizio nel quale il conduttore può validamente proporre le proprie eccezioni tese a contrastare l'efficacia esecutiva dell'ordinanza di rilascio sia, naturalmente, anche l'opposizione all'esecuzioneexart. 615 c.p.c., nell'ambito del quale è possibile a tal fine proporre una questione di merito sulla quale possa essere emessa una decisione che accerti l'illegittimità dell'esecuzione per inesistenza del relativo diritto in capo all'esecutante, valutata la pacifica ammissibilità di un autonomo e nuovo giudizio su tale punto (Trib. Roma 6 dicembre 1989, in Giust. civ., 1990, I, 2037).

In dottrina è stato sottolineato che in sede di opposizione all'esecuzione, peraltro, non potrà essere fatta valere esclusivamente la questione relativa all'estinzione del processo di cognizione (Bucci, Crescenzi, 188).

Anche gli Autori i quali ritengono che l'ordinanza ex art. 665 c.p.c. costituisce invece un provvedimento sommario addivengono alla medesima conclusione favorevole alla sopravvivenza della stessa all'estinzione del giudizio, riconducendosi peraltro al disposto dell'art. 653, comma 1, c.p.c. per il quale, a seguito dell'estinzione del giudizio di opposizione, il decreto ingiuntivo, che non ne sia munito, acquista efficacia esecutiva: si è osservato, invero, che da tale norma deve desumersi un principio avente valenza generale per tutti i provvedimenti sommari non cautelari (Frasca, 328 ss.; evidenzia Porreca, 204, che conferma sotto il profilo positivo dell'opportunità di tale tesi deriva dall'analoga previsione contenuta nell'art. 186-ter c.p.c.).

La soluzione favorevole alla sopravvivenza dell'ordinanza di rilascio è sostenuta, inoltre, dai fautori della tesi relativa alla natura anticipatoria non cautelare della stessa i quali, anche facendo leva sul disposto del comma 2 dell'art. 189 disp. att. c.p.c., secondo cui l'ordinanza presidenziale o del giudice istruttore in materia di separazione personale tra coniugi conserva la propria efficacia anche dopo l'estinzione del processo, rilevano che con riguardo ai provvedimenti provvisori di contenuto decisorio il legislatore non risolve una volta per tutte la questione dell'idoneità degli stessi a sopravvivere all'estinzione del processo talché occorre considerare caso per caso la natura e gli scopi del provvedimento in questione (Bucci, Crescenzi, 187). Ciò premesso, con specifico riguardo all'ordinanza di rilascio, poiché la stessa è emanata a seguito del pieno assolvimento del proprio onere probatorio da parte dell'attore, ne deriva che, se l'opponente non dà corso al giudizio di cognizione ordinario instauratosi proprio a fronte della sua opposizione, è ragionevole vengano conservati gli effetti, sul piano esecutivo, del provvedimento ex art. 665 c.p.c. (Bucci, Crescenzi, 187).

In senso contrario alla sopravvivenza dell'ordinanza di rilascio all'estinzione del processo militava tradizionalmente, invece, l'opinione di quella parte della dottrina che assimila il provvedimento in esame alle misure cautelari. Peraltro, le conclusioni possono oggi essere diverse anche laddove si acceda a tale, a nostro parere preferibile, impostazione, stante l'idoneità dei provvedimenti cautelari anticipatori a restare efficaci ex se indipendentemente dalla tempestiva instaurazione del giudizio di merito ovvero dall'estinzione dello stesso secondo il sistema della strumentalità c.d. attenuata introdotto dalla l. n. 80/2005 (sul quale v., da ultimo, C. cost. n. 212/2020). Infatti, essendo l'ordinanza di rilascio, come evidenziato, un provvedimento dal contenuto completamente anticipatorio della sentenza di merito e quindi a strumentalità c.d. attenuata, ne deriva che, giusta il disposto dell'art. 669-octies, comma 7, c.p.c., qualora il giudizio di opposizione si estingua, lo stesso resterà nondimeno efficace e sarà suscettibile di esecuzione forzata nelle forme dell'attuazione cautelare che sono in concreto determinate, per i provvedimenti di condanna al rilascio di beni immobili, dallo stesso giudice della cautela.

Quanto sottolineato comporta che attualmente l'unica ricostruzione teorica circa la natura dell'ordinanza di rilascio che consente di ritenere che la stessa non sia idonea a sopravvivere all'estinzione del giudizio instaurato a seguito dell'opposizione dell'intimato è la tesi secondo la quale il provvedimento pronunciato ex art. 665 c.p.c. ha natura meramente processuale ed, essendo finalizzato ad evitare l'abuso del diritto di difesa da parte dell'intimato, viene meno se l'intimante non assolve all'onere posto a proprio carico di coltivare il giudizio in corso (cfr., tra le altre, Pret. Napoli 18 ottobre 1990, cit.; Pret. Castellammare di Stabia 26 aprile 1988, in Giust. civ., 1988, I, 2424; Pret. Napoli 29 gennaio 1987, in Dir. e giur., 1987, 189; Pret. Brindisi 28 febbraio 1986, in Dir. e Giur., 1986, 881; Pret. Verona 13 novembre 1985, in Foro it., 1986, I, 1458; Pret. Milano 29 novembre 1984, in Arch. locazioni, 1985, 749).

Differimento della data dell'esecuzione

Con riguardo agli immobili urbani locati ad uso abitativo, occorre ricordare quella legislazione speciale, se non emergenziale, mediante la quale, a partire dal secondo dopoguerra, si è cercato di conciliare in sede normativa lo strutturale conflitto tra l'esigenza dell'avente diritto a riottenere alla scadenza contrattuale la libera disponibilità dell'immobile locato e quella del conduttore, parimenti rilevante anche sotto il profilo costituzionale, ad avere un'abitazione.

In una prima fase, che ha avuto inizio con il decreto luogotenenziale n. 669/1945, fu addirittura sospesa l'applicazione delle norme del codice di procedura civile in tema di esecuzione dei provvedimenti di rilascio nella materia delle locazioni e fu introdotto un sistema alternativo in omaggio al quale su istanza del locatore il pretore aveva il potere-dovere di determinare con decreto non impugnabile la data dell'esecuzione. Il conduttore poteva, tuttavia, chiedere, deducendo gravi motivi o circostanze sopravvenute, una proroga dello sfratto la cui data era stata individuata dal pretore (Trisorio Liuzzi, 889 ss.).

Tale assetto, espressione della legislazione vincolistica, che aveva reso meramente residuale nella materia in esame le previsioni del codice di procedura civile, è stato radicalmente modificato con l'emanazione della l. n. 392/1978, sull'equo canone, il cui art. 56 l. n. 392/1978, ha riattribuito al giudice della cognizione il potere di differire entro determinati termini il momento dell'esecuzione per rilascio, richiamando, quanto alle forme della stessa, gli artt. 605 ss. Anche tale sistema, peraltro, ha avuto un'applicazione pratica limitata in quanto il legislatore, sempre al fine di favorire gli inquilini in considerazione delle indubbie difficoltà incontrate dagli stessi sul mercato abitativo, è intervenuto con provvedimenti volti, talora a sospendere l'esecuzione degli sfratti, talaltra ad individuarne il momento in sede normativa (cfr. Trisorio Liuzzi, 890 ss.).

Questa situazione ha indotto il legislatore ad un nuovo intervento riformatore di più ampia portata, realizzato con la l. n. 431/1998, la quale disciplina le locazioni ed il rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo.

La principale disposizione di riferimento è l'art. 6 che trova applicazione, peraltro, soltanto per alcuni comuni ad elevata tensione abitativa, già individuati dalla l. n. 61/1989, e rispetto ai provvedimenti esecutivi di rilascio per finita locazione (nel senso che tale disposizione opera anche con riguardo agli alloggi di edilizia economica e popolare, v. Trib. La Spezia 28 dicembre 2000, Arch. loc., 2001, 110).

In particolare, stante il comma 4 di tale previsione, il conduttore può chiedere una sola volta, con istanza al giudice competente ai sensi dell'art. 26, di fissare nuovamente la data dell'esecuzione entro un termine di sei mesi rispetto a quella già stabilita. L'istanza deve essere depositata personalmente dal debitore ed i documenti che devono essere allegati, a pena inammissibilità, ad una tale istanza sono il titolo esecutivo per il rilascio (cfr. Trib. Padova 27 settembre 1999, Arch. loc., 1999, 270) e le attestazioni relative al reddito del conduttore e dei componenti del nucleo familiare (Trib. Udine 17 settembre 1999, Giust. civ., 2000, I, 1843, con nota di Scalettaris).

Avverso il decreto con il quale il giudice si pronuncia su di una tale richiesta è proponibile per qualsiasi motivo opposizione al tribunale in composizione collegiale che decide secondo le modalità di cui all'art. 618. In argomento v. Trib. Trieste 19 settembre 2000, in Giust. civ., 2001, I, 533, con nota di Auletta.

L'art. 56 l. n. 392/1978 (legge c.d. equo canone), prevede il giudice della cognizione, nel pronunciare la condanna al rilascio può differire la data dell'esecuzione entro determinati termini, a seconda delle ragioni per le quali lo stesso viene pronunciato e delle condizioni dell'obbligato. Tale differimento della data dell'eseguibilità del provvedimento di rilascio può essere sempre domandato al giudice della cognizione che emana lo stesso, talché il differimentoex art. 6 l. n. 431/1998è ulteriore rispetto a quello concesso dal giudice della convalida e deve essere richiesto prima della scadenza dello stesso.

Resta fermo che l'art. 56 della l. n. 392/1978, nel fissare alla data del provvedimento che dispone il rilascio dell'immobile il dies a quo del termine (di sei o, in casi eccezionali, di dodici mesi) per l'adempimento dell'obbligo di restituzione da parte del conduttore, presuppone che esso sia emesso successivamente alla scadenza del contratto, atteso che, diversamente opinando, la restituzione verrebbe a sconfinare nel periodo di godimento dell'immobile, così alterando l'equilibrio del sinallagma contrattuale, in quanto il conduttore non potrebbe godere dell'immobile per un certo tempo finale rientrante nella durata del contratto, da destinare al compimento delle attività necessarie alla restituzione, pur continuando a pagare il medesimo canone (Cass. n. 41237/2021).

In passato la giurisprudenza riteneva che il provvedimento di differimento, in presenza di particolari esigenze di tutela del locatario, della data dell'esecuzione emesso ex art. 56 l. n. 392/1978avesse carattere meramente ordinatorio, con la conseguenza che sarebbe stato suscettibile in ogni momento di revoca o modifica da parte del giudice dell'esecuzione. Si riteneva infatti che in tema di rilascio di immobili il provvedimento di fissazione della data di rilascio ai sensi dell'art. 56 l. n. 392/1978 fosse privo di carattere decisorio e, conseguentemente, che la relativa omissione non fosse suscettibile di ricorso in cassazione, potendosi provvedere a riguardo in sede esecutiva (v., ex ceteris, Cass. n. 11063/2003; Cass. n. 4074/1996, Cass. n. 8687/1995; in sede di merito cfr. Trib. Padova 2 febbraio 2004, Arch. loc., 2004, 359).

Il rimedio esperibile avverso il provvedimento che dispone il differimento del rilascio non era, in tale assetto, costituito dall'impugnazione proposta in sede cognitiva al giudice superiore, bensì dall'istanza di revoca o modifica indirizzata allo stesso giudice, non soggetta ad alcun termine di decadenza (Carrato, 115).

Peraltro, il richiamato art. 56 l. n. 392/1978 è stato sostituito dall'art. 7- bisd.l. n. 240/2004, convertito, con modificazioni, nella l. n. 269/2004, è stato modificato nel senso di imporre al giudice che dispone il differimento del rilascio entro un termine massimo di sei mesi (o di dodici nei casi di estrema urgenza) di motivare adeguatamente circa la comparazione delle esigenze delle parti, i motivi del rilascio ed il tempo trascorso dalla disdetta. Il comma 3 dell'art. 56 l. n. 392/1978, nella formulazione di risulta dalle ultime riforme, consente a ciascuna delle parti di contestare un tale provvedimento per qualsiasi motivo proponendo per qualsiasi motivo al tribunale in composizione collegiale l'opposizione di cui all'art. 6, comma 4, l. n. 431/1998. Ciò induce a ritenere che un tale provvedimento ha carattere senz'altro decisorio poiché, soggiacendo ad un mezzo di impugnazione tipico, non può più essere revocato e modificato in ogni tempo dal giudice dell'esecuzione (Giordano, 2006, 1250).

Più in generale, il richiamo, quanto alle modalità dell'opposizione al tribunale collegiale che, come evidenziato, può essere proposta avverso i provvedimenti di differimento dell'esecuzione emanati sia ai sensi del comma 4 dell'art. 6 l. n. 431/1998, sia ex art. 56 l. n. 392/1978, all'art. 618 ha stimolato un dibattito avente ad oggetto la riconducibilità della stessa al novero dell'opposizione agli atti esecutivi: la questione non è priva di rilevanza pratica in quanto una risposta positiva al quesito ora prospettato comporterebbe, ad esempio, l'applicabilità all'opposizione in esame anche del non espressamente richiamato art. 617, secondo cui l'opposizione agli atti esecutivi va proposta nel termine di venti giorni dal compimento dell'atto esecutivo del quale si contesta la legittimità, regolarità e/o opportunità.

Un primo orientamento non esita a qualificare l'opposizione proponibile ai sensi dell'art. 6, comma 4, l. n. 431/1998 al tribunale in composizione collegiale in termini di opposizione agli atti esecutivi, avendo la stessa ad oggetto un atto esecutivo (così, tra le altre, Trib. Roma 19 aprile 2000, in Arch. loc., 2000, 448; Trib. Roma 4 gennaio 2000, in Giur. rom., 2000, 325, la quale, dalla natura cognitiva dell'opposizione agli atti esecutivi, ha inferito che il relativo giudizio non è limitato alla verifica della legittimità del giudice che ha rigettato l'istanza ma si può estendere alla valutazione di fatti nuovi; Trib. Roma 21 ottobre 1999, in Giust. civ., 1999, I, 3441, con nota di Izzo; Trib. Catania 11 novembre 1999, in Arch. loc., 2000, 99, con nota di Pizzuto).

Peraltro, se alcuni Autori ritengono del tutto applicabili le norme di cui all'art. 617 (Barbieri, 764), altri affermano che l'opposizione in questione costituisce un'opposizione agli atti esecutivi ma che può essere proposta anche per motivi differenti da quelli formali ex art. 617 e nonostante il decorso del termine ivi previsto (Carrato, 116).

Nel senso che l'opposizione di cui al comma 3 dell'art. 56 l. n. 392/1978 deve essere qualificata quale opposizione agli atti esecutivi e va proposta – a pena di decadenza – nel termine stabilito dall'art. 617 c.p.c., decorrente dall'immissione del provvedimento o dalla sua conoscenza legale da parte dell'opponente v., in sede applicativa, Trib. Roma VI, n. 13768/2017, in Arch. Locazioni, 2017, n. 5, 589, con nota di Fogliani.

Altra tesi esclude, invece, che l'opposizione di cui al comma 5 dell'art. 6 l. n. 431/1998, costituisca un'opposizione agli atti esecutivi: trattandosi, infatti, di un'opposizione mediante la quale può farsi valere qualsiasi motivo che osta al rilascio e tesa a denunciare l'inesistenza del diritto dell'esecutante a procedere ad esecuzione forzata nel termine indicato dal provvedimento dovrebbe assimilarsi, piuttosto, ad un'opposizione all'esecuzione (Trisorio Liuzzi, 913; Giordano, 2006, 1252).

Quest'ultimo orientamento è stato suffragato dalla S.C. la quale ha sancito che la speciale opposizione avverso il provvedimento di fissazione del giorno di esecuzione della condanna del conduttore al rilascio, previsto dal comma 3 dell'art. 56 l. n. 392/1978, (come sostituito dall'art. 7-bis d.l. n. 240/2004, convertito con modificazioni in l. n. 269/2004) non è soggetta al termine di proponibilità dell'opposizione agli atti esecutivi e può essere proposta, in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo, fino a quando il termine stesso non sia spirato (Cass. n. 12814/2012).

Il rilascio degli immobili locati ad uso diverso da quello abitativo

L'art. 34 l. n. 392/1978, subordina l'esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili locati ad uso diverso da quello abitativo, nell'ipotesi in cui il rapporto di locazione relativo agli immobili di cui all'art. 27 cessi per una causa diversa dalla risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore o una delle procedure di cui al r.d. n. 267/1942, alla corresponsione da parte del locatore di un'indennità pari a 18 mensilità del canone corrisposto a favore del conduttore, la c.d. indennità per la perdita dell'avviamento commerciale. Pertanto, il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale sorge a condizione che il rapporto sia sciolto per volontà unilaterale del locatore e il conduttore non sia inadempiente (Cass. n. 25736/2014; peraltro nel senso che l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale spetta anche in caso di recesso anticipato del conduttore, qualora sia frutto non già di una libera autodeterminazione, ma di un inadempimento del locatore che influisca sulla volontà del locatario di scindersi dal vincolo negoziale, cfr. Trib. Roma VI, n. 19675/2019, in dejure.giuffre.it).

Pertanto, nel caso in cui, intervenuto il pignoramento del bene prima della seconda scadenza contrattuale, il contratto venga a cessare per la mancata autorizzazione del giudice dell'esecuzione alla relativa rinnovazione, al conduttore spetta l'indennità di avviamento ex art. 34 della l. n. 392/1978, la cui corresponsione, da parte dell'acquirente in forza del decreto di trasferimento, si pone quale condizione per il rilascio, con la conseguenza che, fino a tale momento, il conduttore è tenuto a versare soltanto la somma convenuta a titolo di canone, restando escluso il maggior danno ex art. 1591 c.c. (Cass. n. 22166/2023).

La clausola contrattuale contenente la rinuncia preventiva, da parte del conduttore, all'indennità di avviamento è nulla, ancorché sia stata pattuita a fronte della riduzione del canone, ai sensi dell'art. 79 della l. n. 392/1978, potendo il medesimo conduttore rinunciare alla detta indennità solo successivamente alla conclusione del contratto, quando può escludersi che si trovi in quella posizione di debolezza alla cui tutela la richiamata disciplina è preordinata (Cass. III, n. 24221/2019, in Giustiziacivile.com, con nota di Petrolati).

Gli immobili per i quali trova applicazione tale disciplina sono quelli adibiti allo svolgimento di un'attività commerciale, i.e. nell'ipotesi in cui gli immobili locati siano utilizzati in via primaria per lo svolgimento di attività comportanti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori (cfr. Cass. III, n. 10187/2005; l'indennità non può però essere corrisposta se l'attività si svolge illecitamente, cioè in difetto delle relative autorizzazioni: Cass. III, n. 11908/2002, in Rass. loc., 2003, 89, con nota di De Tilla). Ai fini del riconoscimento del diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale rileva l'abituale esercizio, nei locali condotti in locazione, di un'attività in forma di impresa con stabile organizzazione aziendale gestita secondo criteri di economicità (ossia al criterio della copertura dei costi con i ricavi di esercizio), non essendo invece necessario l'ulteriore requisito dello scopo di lucro dell'attività (Cass. n. 23344/2019, la quale, in applicazione di tale principio, ha riconosciuto la spettanza dell'indennità di avviamento ad un'associazione esercitante, con stabile organizzazione aziendale, attività di insegnamento ed istruzione offerta al pubblico).

È stato chiarito che, in tema di locazione di immobili urbani ad uso diverso da quello abitativo, quando il locale, strutturalmente unitario e oggetto di un rapporto unico e indistinto, è adibito a più usi commerciali, in parte come deposito e in parte destinato al contatto diretto con il pubblico, il diritto all'indennità per la perdita di avviamento, prevista dall'art. 34 l. n. 392/1978, sorge e va commisurato all'intero canone di locazione solo se risulti prevalente l'attività di contatto diretto con il pubblico (Cass. n. 13936/2016).

Ai fini del riconoscimento del diritto del conduttore all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, il conduttore ha l'onere di fornire, con qualsiasi mezzo, la prova della relativa situazione di fatto, purché la frequentazione del pubblico non risulti implicitamente, in virtù del notorio, dalla destinazione dell'immobile ad attività che necessariamente la implichi, mentre nessun rilievo assume, a tal fine, la clausola contrattuale con la quale il conduttore dichiari unilateralmente che l'immobile verrà utilizzato per lo svolgimento di attività che hanno contatti diretti con il pubblico di utenti e consumatori (Cass. n. 12278/2010; per recenti applicazioni v. Trib. Asti I, n. 3/2021; Trib. Trieste n. 69/2020, entrambe in dejure.giuffre.it).

Secondo la giurisprudenza, in virtù della richiamata previsione normativa, il conduttore può continuare, nell'esercizio di uno jus retentionis (cfr. Cass. III, n. 580/2001), a occupare l'immobile fino alla corresponsione dell'indennità, anche continuando a svolgere la propria attività commerciale all'interno dello stesso.

Per il periodo nel quale il conduttore occupa l'immobile dopo la scadenza del contratto di locazione, in attesa che il proprietario corrisponda allo stesso l'indennità per la perdita di avviamento, alcun risarcimento dei danni è dovuto al proprietario, dovendo il conduttore limitarsi al pagamento dei canoni (cfr., sulla scorta di Cass. S.U., n. 1177/2000, Corr. giur., 2001, 1324, con nota di Giove; Cass. III, n. 15721/2006; Cass. III, n. 4690/2003, in Giur. it., 2004, 528, con nota di Petri; Cass. III, n. 3269/2003, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 824, con nota di Redi). Una giurisprudenza meno recente riteneva, invece, che l'art. 34 l. n. 392/1978 si limitasse a subordinare l'efficacia esecutiva del provvedimento di rilascio alla corresponsione da parte del locatore dell'indennità di avviamento, rendendo comunque abusiva, e quindi foriera di un'obbligazione risarcitoria ex art. 2043 c.c., l'occupazione dell'immobile da parte del conduttore nell'attesa del pagamento di una tale indennità (cfr. Cass. III, n. 6270/1997).

Pertanto, il conduttore che continui ad occupare l'immobile è comunque obbligato al pagamento del corrispettivo convenuto per la locazione, salvo che offra al locatore, con le modalità dell'offerta reale formale exartt. 1216, comma 2, e 1209 c.c., la riconsegna del bene condizionandola al pagamento dell'indennità di avviamento medesima, atteso il forte legame strumentale che lega le due prestazioni (Cass. n. 890/2016).

Il pagamento della dovuta indennità a favore del conduttore non condiziona la pronuncia del provvedimento di rilascio dell'immobile locato ma soltanto la possibilità di dare corso all'esecuzione forzata ex artt. 605 ss. sulla scorta dello stesso (Cass. III, n. 13636/2001; Trib. Reggio Calabria 14 gennaio 2003, in Giur. mer., 2004, 289, per le quali, invero, il mancato pagamento dell'indennità di avviamento non impedisce la valida formazione del titolo esecutivo per il rilascio).

La corresponsione dell'indennità si atteggia, pertanto, a condizione di procedibilità dell'esecuzione per rilascio con la conseguenza che, se l'inizio dell'esecuzione prima del pagamento della stessa consente al conduttore di proporre opposizione ex art. 615, è legittima la notifica da parte del proprietario del titolo esecutivo e del precetto, in quanto si tratta di atti stragiudiziali prodromici all'inizio del processo esecutivo (Cass. III, n. 9293/1999).

Nell'ipotesi in cui venga instaurato un giudizio avente ad oggetto la determinazione dell'indennità per la perdita dell'avviamento, la giurisprudenza ha chiarito, così interpretando il testo dell'ultimo comma dell'art. 34 l. n. 392/1978, che la corresponsione della somma indicata dal conduttore o offerta dal locatore ovvero risultante dalla sentenza di primo grado consente, salvo conguaglio all'esito del giudizio, di dare corso all'esecuzione per rilascio dell'immobile. Non potrà influire sul procedimento di rilascio, si è anche precisato, l'eventuale successiva estinzione del giudizio concernente la determinazione della misura dell'indennità di avviamento commerciale (Cass. III, n. 5116/2006).

In altri termini, in tema di esecuzione del provvedimento, ottenuto dal locatore, di rilascio di immobile adibito ad uso diverso dall'abitazione, poiché il comma 4 dell'art. 34 l. n. 392/1978, è correlato ed integrativo del comma 3 del medesimo articolo, in caso di opposizione alla esecuzione per disaccordo tra le parti in ordine alla entità della indennità di avviamento commerciale dovuta al conduttore, la relativa determinazione può avvenire solo con la definizione del giudizio di merito, nel quale le parti hanno l'onere di quantificare la somma rispettivamente reclamata ed offerta, la cui corresponsione consente l'esecuzione del provvedimento di rilascio salvo conguaglio con la sentenza definitiva (Cass. n. 3267/2003).

Casistica

In tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, l'indennità prevista dall'art. 34 l. n. 392/1978 spetta anche al conduttore di un immobile adibito ad usi diversi che vi svolga un'attività di vendita al minuto caratterizzata dal contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, sempre che detta attività si presenti prevalente e senza che possa rilevare l'ambito spaziale ad essa in concreto riservato, sicché detta indennità va commisurata all'intero canone corrisposto per l'immobile concesso in locazione e non già ad una parte del canone proporzionata alla sola superficie adibita all'uso commerciale predetto (Cass. n. 7173/2010).

In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, qualora il contratto abbia ad oggetto locali comunicanti ma aventi diversa destinazione commerciale (nella specie, magazzino e negozio), e il canone sia unico e indistinto, il locatore non può sottrarsi al pagamento dell'indennità di cui all'art. 34 l. n. 392/1978, commisurata all'intero canone nell'assunto che solo una parte dell'immobile strutturalmente unitario – al di là delle distinte indicazioni catastali – sia destinato al contatto diretto con il pubblico, spettando la detta indennità quando l'attività che comporti il contatto diretto con il pubblico sia prevalente, e dovendosi commisurare la stessa, anche in tal caso, all'intero canone e non alla parte di esso riferibile alla sola superficie utilizzata per il contatto diretto con il pubblico (Cass. n. 3592/2010).

In tema di locazione di immobili ad uso non abitativo, lo svolgimento nell'immobile locato dell'attività di vendita in favore dei c.d. fruitori professionali, cioè di altri imprenditori che acquistano il bene per destinarlo all'esercizio della propria impresa, rientra pienamente tra quelle che legittimano il conduttore a domandare, nel caso di mancato rinnovo del contratto, l'indennità per la perdita dell'avviamento di cui all'art. 34 l. n. 392/1978. I fruitori professionali, infatti, rientrano nella categoria del «pubblico degli utenti e dei consumatori», di cui all'art. 35 l. n. 392/1978 cit., dalla quale, pertanto, resta esclusa soltanto l'attività di vendita in favore di soggetti (c.d. «grossisti») che a loro volta, rivendano i beni all'utilizzatore finale (Cass. n. 16627/2010).

In tema di locazioni ad uso diverso da quello abitativo, la funzione dell'indennità dovuta dal locatore al conduttore per la perdita dell'avviamento commerciale è quella di riequilibrare la posizione delle parti, onde evitare che il locatore possa realizzare un arricchimento senza causa per effetto dell'incremento di valore dell'immobile dovuto all'attività del conduttore. Ne consegue che tale funzione riequilibratrice viene meno quando il rapporto di locazione cessi per effetto di un provvedimento autoritativo della P.A. che determini l'inutilizzabilità sine die del bene locato (nella specie, ordinanza di sgombero a causa del pericolo di crollo), con la conseguenza che, in tale ultima ipotesi, non è dovuta la suddetta indennità, a meno che il conduttore non deduca e dimostri che l'immobile, venuta meno la causa di inutilizzabilità, sia tornato ad essere suscettibile di sfruttamento commerciale (Cass. n. 22810/2009).

Il diritto del conduttore all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale sorge per effetto ed al momento della cessazione del contratto di locazione: ne deriva che se l'immobile locato viene venduto dopo la comunicazione della disdetta da parte del locatore alienante, ma prima della prevista data di cessazione del rapporto, obbligato al pagamento della suddetta indennità è, ai sensi dell'art. 1602 c.c., l'acquirente dell'immobile locato (Cass. n. 9408/2011).

La sospensione dell'esecuzione per rilascio nella legislazione emergenziale

Occorre considerare che l'art. 103 del d.l. n. 18/2020, convertito dalla l. n. 27/2020 sotto la rubrica «Sospensione dei termini nei procedimenti amministrativi ed effetti degli atti amministrativi in scadenza», al comma 6 aveva originariamente previsto che: «L'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al 1° settembre 2020».

Nella vigenza di tale formulazione della norma, l'ambito di applicazione della stessa era stato oggetto di ampio dibattito in dottrina come nelle circolari applicative degli uffici giudiziari, specie con riguardo alla possibilità di ricomprendere nell'ambito dei «provvedimenti di rilascio» la cui efficacia era stata sospesa fino alla data indicata anche i decreti di trasferimento e gli ordini di liberazione emanati nelle procedure esecutive immobiliari.

Secondo la tesi più restrittiva, la natura eccezionale della norma ne avrebbe impedito un'applicazione analogica, con la conseguenza che la disposta sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio non avrebbe potuto riguardare né l'attuazione dell'ordine di liberazione emesso ex art. 560 c.p.c. né quella del decreto di trasferimento pronunciato ai sensi dell'art. 586 c.p.c., poiché quest'ultima norma, come modificata dall'art. 18-quater, comma 1, d.l. n. 162/2019 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 8/2020), stabilisce che al custode è demandato l'attuazione di tali provvedimenti e l'attuazione «in via breve» non potrebbe ricondursi al concetto di esecuzione (cfr. «Legislazione d'emergenza e processi esecutivi e fallimentari» a cura di D'Arrigo, Costantino, Fanticini e Saija pubblicata online su InExecutivis; cfr. Trib. Siracusa, sez. fall., ord. 17 settembre 2020; Trib. Bari 24 luglio 2020).

Secondo un'impostazione estensiva invece la volontà del legislatore avrebbe dovuto essere interpretata nel senso di ritenere che l'espressione «provvedimenti di rilascio» non faccia riferimento all'esecuzione forzata in forma specifica per rilascio di immobili di cui agli artt. 605 e ss. c.p.c., bensì a tutte le ipotesi nelle quali i provvedimenti, anche assoggettati ad altre forme di esecuzione e di attuazione, abbiano quale effetto ultimo la liberazione dell'immobile pignorato. A sostegno di tale tesi, si era osservato che la stessa avrebbe consentito anche di evitare una diversificazione di situazioni identiche ex latere debitoris, nel senso che, volendo diversamente opinare, se una volta emesso il decreto di trasferimento l'aggiudicatario avesse deciso di avvalersi del custode per l'attuazione dell'ingiunzione di liberazione, la sospensione non avrebbe trovato applicazione, mentre, viceversa, la norma emergenziale sarebbe operante ove lo stesso aggiudicatario decidesse di eseguire l'ingiunzione a mezzo ufficiale giudiziario e secondo la procedura prevista dagli artt. 605 e ss. c.p.c. (Rapisarda).

Con l'art. 17-bis del d.l. n. 34/2020 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19), introdotto in sede di conversione dalla l. n. 77/2020, rubricato «Proroga della sospensione dell'esecuzione degli sfratti di immobili ad uso abitativo e non abitativo», è stato previsto che «Al comma 6 dell'articolo 103 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, le parole: «1° settembre 2020» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2020».

Tale novella normativa, limitando in rubrica la proroga alla sospensione dell'esecuzione degli sfratti, ha mostrato di condividere l'opzione interpretativa più restrittiva circa la portata della norma, nel senso, in particolare, di escludere i provvedimenti che, come il decreto di trasferimento, costituiscono titolo esecutivo per il rilascio degli immobili nel corso dell'esecuzione forzata.

La ratio di tale differente trattamento è stata individuata nella diversità delle fattispecie giuridiche in rilievo e, dunque, delle tutele concesse al conduttore moroso ed al debitore esecutato, il quale ultimo, a differenza del conduttore, subisce una procedura esecutiva in ragione di un conclamato inadempimento e, pertanto, le sue esigenze abitative devono ritenersi cedevoli rispetto agli interessi rappresentati all'interno del processo esecutivo, vieppiù a fronte dell'esigenza di tutelare l'affidamento dell'aggiudicatario a conseguire, una volta versato il saldo prezzo e ottenuto così il trasferimento della proprietà in suo favore con il decreto ex art. 586 c.p.c., la disponibilità dell'immobile.

La portata della sospensione ex art. 103, comma 6, del d.l. n. 18/2020, conv. dalla l. n. 27/2020, è stata nuovamente modificata in virtù dell'art. 13, comma 13, del d.l. n. 183/2020, conv. in l. n. 26/2021, secondo cui: «La sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, prevista dall'art. 103, comma 6, del d.l. n. 18/2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 27/2020, è prorogata sino al 30 giugno 2021 limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e ai provvedimenti di rilascio conseguenti all'adozione, ai sensi dell'art. 586, comma 2, c.p.c., del decreto di trasferimento di immobili pignorati ed abitati dal debitore e dai suoi familiari».

Nella vigenza di tale formulazione la predetta norma contempla espressamente l'applicabilità della sospensione dell'esecuzione ai provvedimenti di rilascio emessi ai sensi dell'art. 586, comma 2, c.p.c. aventi ad oggetto l'immobile principale del debitore, ossia quelli in cui il titolo esecutivo sia il decreto di trasferimento.

Occorre considerare che il giudice dell'esecuzione presso il Trib. ordinario di Trieste, con ordinanza del 24 aprile 2021 (in IUS - Processo civile), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 103, comma 6, del d.l. n. 18/2020, conv. in l. n. 27/2020, nella sua formulazione originaria e come successivamente prorogato, in riferimento agli artt. 3,24,42,77 e 117, comma 1, Cost.

In particolare, rispetto alla vigente formulazione della predetta norma, il dubbio di legittimità costituzionale investe la stessa nella parte in cui, prevedendo ipso iure la sospensione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, impedisce al Giudice dell'esecuzione di comparare le distinte esigenze del proprietario rispetto a quelle dell'occupante ai fini della decisione sull'emanazione dell'ordinanza di sospensione.

Per completezza si segnala che, in sede di conversione in l. del d.l. n. 41/2021, recante Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all'emergenza da COVID-19, è stato attualmente approvato al Senato l'art. 40-bis, che sotto la rubrica «Disposizioni in materia di sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili», ha stabilito che «l. La sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, prevista dall'art. 103, comma 6, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 aprile 2020, n. 27, limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e ai provvedimenti di rilascio conseguenti all'adozione, ai sensi dell'art. 586, comma 2, del c.p.c., del decreto di trasferimento di immobili pignorati ed abitati dal debitore e dai suoi familiari, è prorogata: a) fino al 30 settembre 2021 per i provvedimenti di rilascio adottati dal 28 febbraio 2020 al 30 settembre 2020; b) fino al 31 dicembre 2021 per i provvedimenti di rilascio adottati dal l° ottobre 2020 al 30 giugno 2021».

Anche questa ulteriore proroga di efficacia della norma, pur rimodulata nel suo contenuto, è stata oggetto di questioni di legittimità costituzionale, sollevate a partire da un'ordinanza di rimessione del Tribunale di Piacenza.

Su tali questioni la Corte Costituzionale si è pronunciata sulle questioni con la sentenza n. 213/2021, disattenendo le stesse. La Corte, anche se ha ribadito, in particolare, la peculiare rilevanza ex art. 24 Cost. del diritto del creditore a soddisfarsi in sede esecutiva ha – al contempo – sottolineato che si tratta di misure giustificate dall'eccezionalità della situazione pandemica, in quanto temporanee e non essendo ad ogni modo posto in discussione, nelle more, il diritto del locatore alla corresponsione dei canoni.

Bibliografia

Anselmi Blaas, Il procedimento per convalida di licenza o di sfratto, 2 a ed., Milano 1966; Barbieri, Problematiche inerenti la proroga degli sfratti prevista dall'art. 6 della legge 431/98, in Arch. loc., 1999, 764; Borrè, L'esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, Milano 1966; Carrato, Riflessioni essenziali sul novellato art. 56 della l. n. 392 del 1978, in Arch. loc., 2005, n. 2, 115; Castoro, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 2023 (edizione a cura di Giordano); Castoro, Qualche importante aspetto del procedimento per convalida di sfratto, in Monitore Trib., 1952, 133; Cecchella (Vaccarella, Capponi), Il processo civile dopo le riforme, Torino, 1992, 352; Consolo - Luiso - Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Milano 1996; Cordopatri, Le nuove norme sull'esecuzione forzata, in Riv. dir. proc., 2005, 751; Cuffaro, Novità e problemi in tema di rilascio di immobili (riflessioni a prima lettura sulla legge n. 80/2005), in Corr. mer., 2005, n. 7, 750; D'Ascola, Commento all'art. 665, in Codice di procedura civile commentato, II, 3 a ed., a cura di Consolo e Luiso, Milano, 2007, 4644; D'Ascola, Ordinanza di rilascio ed estinzione del processo, in Foro it., 1991, I, 2185; Denti, L'esecuzione forzata in forma specifica, Milano, 1953; De Stefano, Il nuovo processo di esecuzione, Milano, Ipsoa, 2006; De Stefano, Gli interventi in materia di esecuzione forzata, in Riv. esec. forzata, 2014, n. 4, 79; Di Marzio, Il processo esecutivo dopo la pandemia, in Riv. esec. forzata., 2020, n. 3, 645; Fabiani, La Cassazione e l'art. 611 c.p.c., in Foro it., 1996, I, 1689; Fabiani, Piccolo, Le misure per fronteggiare l'emergenza epidemiologica Covid-19 in tema di processo esecutivo, in Rass. esec. forzata, 2020, n. 2, 359; Fornaciari, La provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto e l'ordinanza provvisoria di rilascio tra tutela cautelare e tutela giurisdizionale differenziata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, 1023; Garbagnati, I procedimenti d'ingiunzione e per convalida di sfratto, Milano, 1979; Garbagnati, L'ordinanza di rilascioex art. 665 c.p.c., in Jus, 1966, 21; Giordano, Procedimento per convalida di sfratto, in Commentario al codice di procedura civile diretto da Chiarloni, Bologna 2015; Giordano, Caratteri e problematiche della nuova esecuzione per rilascio, in Riv. dir. proc., 2006, 1229; Lauropoli, Alcune criticità della nuova proroga in tema di sospensione delle esecuzioni per rilascio di immobili, in Ilprocessocivile.it, 2021; Lauropoli, Le esecuzioni per rilascio ai tempi del Coronavirus, in Ilprocessocivile.it, 2020; Luiso (a cura di), Processo civile efficiente e riduzione arretrato, Torino, 2014; Luiso, voce Esecuzione forzata. II) Esecuzione forzata in forma specifica, in Enc. giur., Roma, 1990, 6; Luiso, L'esecuzione «ultra partes», Milano, 1984; Mandrioli, voce Esecuzione per consegna o rilascio, in Dig. civ., VII, Torino, 1991, 628; Mandrioli, In tema di esecuzione per consegna o rilascio contro il terzo possessore, Riv. dir. proc., 1985, I, 579; Martinelli, Alcune questioni sull'ambito di applicazione del nuovo rito cautelare uniforme, in Foro it., 1995, V, 161 ss.; Mazzarella, voce Esecuzione forzata (dir. vig.), in Enc. dir., XV, Milano 1966, 464; Merlin, Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, in Dig. disc. priv., Sez. civ., 1996, 428; Merlin, L'ordinanza di pagamento delle somme non contestate (dall'art. 423 all'art. 186-bis c.p.c.), in Riv. dir. proc., 1994, 1030 ss.; Micheli, Sulla ordinanza di sfratto con riserva delle eccezioni, in Giur. compl. cass. civ., 1945, I, 152; Montesano, voce Esecuzione specifica, in Enc. dir., XV, Milano, 1966, 524; Nardone, La sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili nel decreto «Milleproroghe; 2021», in Ilprocessocivile.it, 2021; Oberto, Il nuovo processo cautelare, Milano, 1992; Parisi, COVID-19 e sospensione dell'ordine di liberazione dell'immobile pignorato, in Ilprocessocivile.it, 2020; Petrolati, Sulla rinuncia preventiva all'indennità di avviamento commerciale: il senso imperfetto della cassazione per l'impresa, in Giustiziacivile.com; Punzi, La tutela del terzo nel processo esecutivo, Milano 1971; Rapisarda, L'impatto del decreto «milleproroghe» (D.L. n. 183 del 31 dicembre 2020) sulle procedure esecutive immobiliari, in Inexecutivis.it; Satta, L'esecuzione forzata, Torino, 1963; Scarselli, La condanna con riserva, Milano 1989; Tamburrino, Sulla natura ed efficacia dell'ordinanza di convalida di sfratto, in Giur. compl. Cass. civ., 1947, I, 79; Tedoldi, Le novità in materia di esecuzione forzata nel d.l. 132/2014, in Corr. giur., 2015, n. 3, 390; Trisorio Liuzzi, L'esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili, in Riv. esec. forzata, 2003, 1; Vaccarella, Le linee essenziali del processo esecutivo secondo la Commissione Tarzia, in Riv. dir. proc., 1998, 369.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario