Codice di Procedura Civile art. 614 bis - Misure di coercizione indiretta1

Giacinto Parisi

Misure di coercizione indiretta1

[I].  Con il provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento, determinandone la decorrenza. Il giudice può fissare un termine di durata della misura, tenendo conto della finalità della stessa e di ogni circostanza utile.

 

[II]. Se non è stata richiesta nel processo di cognizione, ovvero il titolo esecutivo è diverso da un provvedimento di condanna, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza o ritardo nell'esecuzione del provvedimento è determinata dal giudice dell'esecuzione, su ricorso dell'avente diritto, dopo la notificazione del precetto. Il provvedimento perde efficacia in caso di estinzione del processo esecutivo. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui all'articolo 6122.

[III]. Il giudice determina l'ammontare della somma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione dovuta, del vantaggio per l'obbligato derivante dall'inadempimento, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.

[IV]. Il provvedimento costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione, inosservanza o ritardo.

[V].  Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico o privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'articolo 409.

 

[1] Articolo inserito dall'art. 49, comma 1, della l. 18 giugno 2009, n. 69 e poi sostituito dall'art. 13 d.l. 27 giugno 2015, n. 83, conv. con modif. in l. 6 agosto 2015, n. 132 e, da ultimo, dall'art. 3, comma 44,  del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022 , come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". Si riporta il testo prima della sostituzione: «[I]. Con il provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento.  Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico o privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'articolo 409. [II]. Il giudice determina l'ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.».

[2] Comma così modificato dall'art. 3, comma 7, lett. r) d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164 , che ha inserito l'attuale secondo periodo con   le parole «Il provvedimento perde efficacia in caso di estinzione del processo esecutivo.». Ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.

Note operative

La richiesta di concessione della misura deve essere formulata nell'ambito del giudizio di cognizione, sia esso di merito o cautelare, fino a quando la causa non sia trattenuta in decisione dal giudice.

Inquadramento

La norma in esame è stata inserita nel codice di rito dalla l. n. 69/2009, ed ha introdotto nell'ordinamento italiano, con portata finalmente generalizzata, l'istituto delle c.d. misure coercitive indirette. Successivamente, l'art. 3, comma 36, lett. c), d.lgs. n. 149/2022, ha sostituito il testo dell'articolo in commento, su cui si veda infra al § 9.

Lo scopo delle misure in questione è quello di compulsare il debitore al fine di indurlo ad adempiere spontaneamente all'obbligazione, soprattutto quando essa abbia natura infungibile.

Conosciute da tempo dalla giurisprudenza francese (le c.d. astreintes), da quella dei paesi anglosassoni (attraverso l'istituto del c.d. contempt of Court) e tedesca (c.d. Zwangsstrafen), fino all'introduzione nel codice dell'art. 614-bis c.p.c. ad opera della l. n. 69/2009, in Italia l'impiego di questi strumenti è stato tuttavia considerato eccezionale.

Sulla evoluzione storica, dalla funzione risarcitoria a quella coercitiva fino a tutela l'esecuzione di provvedimenti istruttori, delle astreintes, v. Dondi, 545; Frignani, 506. Invece, per un panorama aggiornato riferito a diversi paesi che conoscono da tempo l'istituto delle misure coercitive indirette, v. Silvestri, 533; Vullo, 727; Marazia, 333; Pucciariello, Fanelli, 43.

Nel contesto anteriore al 2009, a parte le sanzioni penali previste dagli artt. 388, comma 2, e 650 c.p., il ricorso ad una sanzione compulsoria era previsto quasi esclusivamente dalla legislazione giuslavoristica: l'esempio classico era quello dello strumento previsto per conseguire l'ottemperanza da parte del datore di lavoro all'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato (cfr. art. 18, comma 11, St. lav.).

Al riguardo si deve comunque osservare che gli strumenti in questione non danno vita ad un'autentica forma di esecuzione forzata, atteso che essi tendono ad ottenere un'esecuzione non coattiva, ma spontanea, ancorché coartata: in tal senso, tra gli altri, Monteleone, 296. A favore di un impiego più esteso dello strumento di cui all'art. 388, comma 2, c.p., v. Fabiani, 535; Conte, 1635.

Funzione compulsoria hanno anche alcuni ulteriori provvedimenti condannatori emessi in funzione dell'efficacia dei provvedimenti cautelari, come ad es., l'art. 131, comma 2, c.p.i. Al riguardo si era posto il problema – risolto in senso positivo dall'art. 614-bis c.p.c. – se la parte del provvedimento cautelare che commina la sanzione sia o meno dotata dell'efficacia di titolo esecutivo.

Per un esempio di applicazione dello strumento coercitivo di cui all'art. 131 c.p.i. si veda Trib. Milano 22 settembre 2007, in Foro it., 2008, I, 280. Peraltro, si segnala che in passato la giurisprudenza aveva escluso l'efficacia esecutiva al capo del provvedimento cautelare emesso ai sensi dell'art. 83, comma 2, l. n. 1127/1939 sulle invenzioni industriali e recante una sanzione pecuniaria in caso di mancato adempimento all'ordine del giudice: cfr. App. Milano 10 febbraio 2004, in Riv. es. forz., 2004, 673, con nota di Capponi, il quale ha osservato che la natura cautelare del provvedimento comporta la sua attuabilità secondo le modalità di cui all'art. 669-duodecies c.p.c.

La norma in commento ha dunque posto rimedio, almeno in parte, ad una lacuna presente nell'ordinamento italiano in punto di carenza di effettività della tutela dei diritti relativi ad obblighi di fare o di non fare di carattere infungibile, ossia quegli obblighi aventi ad oggetto una prestazione connotata dall'intuitus personae oppure consistenti nel compimento di un'attività negoziale oppure, più in generale, nel compimento di atti giuridici, come anche gli obblighi che presuppongono l'adempimento di una prestazione da parte di un terzo estraneo al rapporto obbligatorio. In tali situazioni non può infatti trovare applicazione l'esecuzione in forma specifica di cui all'art. 612 c.p.c. (su cui v. il relativo commento), atteso che quest'ultima si basa sulla designazione ad opera del giudice di un terzo incaricato di realizzare la prestazione non eseguita spontaneamente dall'obbligato e, come tale, è inidonea ad assicurare che il creditore ottenga almeno in via coattiva un effettivo soddisfacimento del proprio diritto.

In origine, a seguito della loro introduzione nel 2009, le disposizioni contenute nell'art. 614-bis non ponevano limitazioni in ordine alla tipologia di obbligazioni alle quali erano riferibili, ma la rubrica inizialmente attribuita dal legislatore dall'articolo («Attuazione degli obblighi di fare infungibile e di non fare») riconduceva in modo piuttosto chiaro l'applicabilità della norma soltanto alle obbligazioni di fare infungibile o di non fare.

In seguito, il d.l. n. 83/2015, conv., con mod., dalla l. n. 132/2015, ha sostituito il testo della norma in esame, modificandone anche la rubrica (che ora parla genericamente di «[m]isure coercitive indirette»), e ha introdotto un riferimento alle obbligazioni alle quali è applicabile la misura di coercizione indiretta, identificabili con tutti gli obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro. La modifica introdotta nel 2015 ha confermato, dunque, che l'ambito di applicazione della norma va riferito a tutte quelle situazioni che non sarebbero tutelate in maniera effettiva mediante i procedimenti esecutivi disciplinati dal libro III del codice di procedura civile e, quindi, le obbligazioni di fare infungibile e di non fare, ma anche le obbligazioni di condanna alla consegna o al rilascio di cose.

Sulla funzione generale dell'istituto si segnalano alcune pronunce giurisprudenziali particolarmente significative. Secondo Trib. Varese 16 febbraio 2011, in Nuova giur. civ., 2011, I, 876, con nota di Notarpasquale, l'art. 614-bis tende a realizzare mediante la previsione del pagamento di una somma di denaro in favore della parte creditrice l'effettività del «giusto processo», che tale non sarebbe laddove il provvedimento emesso dal giudice restasse concretamente ineseguibile. Trib. Trento 8 febbraio 2011, in Pluris, evidenzia invece che la ratio della norma in questione si rinviene nella esistenza di una serie di obbligazioni di facere, caratterizzate dalla presenza di un nucleo di incoercibilità della prestazione, vale a dire da una quota di prestazione non attuabile mediante i mezzi di esecuzione forzata previsti dall'ordinamento, richiedendosi una non surrogabile attività di collaborazione o cooperazione ad opera del soggetto obbligato o di un soggetto terzo. Infine, Trib. Cagliari 19 ottobre 2009, in Contr., 2010, 682, con nota di Petitti, ha ritenuto che sussista un'obbligazione di fare infungibile ogni volta che l'interesse del creditore alla prestazione non possa essere soddisfatto compiutamente senza la diretta cooperazione del soggetto obbligato, essendo in tal caso la misura di cui all'art. 614-bis c.p.c. finalizzata ad assicurare l'attuazione sollecita della condanna e funzionale, innanzitutto, a favorire la conformazione a diritto della condotta della parte inadempiente e, conseguentemente, ad evitare la produzione del danno o quantomeno a ridurre l'entità del possibile pregiudizio; in secondo luogo, la misura assicura anche in sede cautelare l'esigenza di garantire un serio ristoro di fronte al perdurare dell'inadempimento, in funzione deflattiva del possibile contenzioso successivo, limitato all'eventualità che si produca un danno non integralmente soddisfatto dalla statuizione giudiziale.

I presupposti per la concessione della misura: a) la domanda di parte

Il comma 1 dell'art. 614-bis stabilisce che la condanna alla misura coercitiva possa essere pronunciata soltanto se sia stata formulata una «richiesta di parte», dovendosi dunque escludere il potere del giudice di emanare il medesimo provvedimento d'ufficio.

Secondo un primo orientamento della dottrina, la domanda volta ad ottenere la pronuncia della misura coercitiva ha natura accessoria rispetto alla domanda formulata in via principale, come tale da formulare, a pena di decadenza, già con l'atto di citazione o con la comparsa di risposta (Saletti, 197; Pagni, 1318). Per altra posizione intermedia, invece, la richiesta di condanna della parte intimata al pagamento di un importo per ogni ritardo o violazione nell'attuazione del provvedimento potrebbe essere considerata attività di precisazione della domanda, ammissibile nei limiti stabiliti dai commi 5 e 6 dell'art. 183 c.p.c. (Merlin, 1549). Infine, secondo un'altra impostazione più permissiva, la richiesta di cui all'art. 614-bis dovrebbe essere considerata alla stregua di un'istanza proponibile fino alla rimessione della causa al collegio ai sensi dell'art. 189 c.p.c. e formulabile per la prima volta anche in sede di precisazione delle conclusioni, non costituendo una domanda in senso proprio (Luiso, 236; Consolo, Godio, 2535 ss., secondo cui la medesima domanda, stante la sua natura accessoria, non sarebbe peraltro proponibile in via separata nell'ambito di un giudizio autonomo; contra Saletti, 125; Carratta, 95).

La giurisprudenza ha aderito all'ultima impostazione sopra riferita, ritenendo la richiesta di condanna al pagamento della misura pecuniaria di cui all'art. 614-bis c.p.c. proponibile (nell'ambito dello stesso processo in cui viene ad essere disposta la condanna all'adempimento dell'obbligazione principale: Trib. Roma 19 dicembre 2018, in Lanuovaproceduracivile.com, 2019) soltanto fino a quando la causa non trattenuta in decisione: cfr. Trib. Terni 4 agosto 2009, in Foro it., 2011, I, 287, con nota di Mondini. V., tuttavia, Trib. Belluno 2 maggio 2019, in Foro it., 2019, I, 4115, con nota di Cardinale, secondo cui la domanda volta a ottenere l'applicazione della misura coercitiva indiretta di cui all'art. 614-bis c.p.c. può essere proposta anche in via autonoma, in un separato giudizio, sulla base di un titolo esecutivo già esistente, essendo richiesto soltanto che la misura sia applicata da un giudice della cognizione, ma non necessariamente dal medesimo giudice che ha pronunciato sul merito, e, inoltre, il giudice non è tenuto a fissare un limite temporale di operatività della misura, superato il quale si debba prendere atto della sua inutilità sopravvenuta, spettando al creditore soltanto la residua tutela risarcitoria per equivalente, dato che il comando giudiziale stabilisce un divieto tendenzialmente perpetuo ed il soggetto obbligato deve osservare il diritto che è stato stabilito in sentenza, con forza di giudicato, mentre, laddove non lo osservi, l'illegittimità del suo comportamento permane ed egli soggiace alle conseguenze previste dall'ordinamento.

Segue. b) la natura dell'obbligazione

Un ulteriore presupposto di applicazione della norma è rappresentato dalla natura dell'obbligazione principale, rispetto alla quale si intende favorire l'adempimento spontaneo mediante l'emanazione della medesima misura coercitiva. A tale riguardo si è già segnalata nel precedente par. 1 la modifica che ha interessato nel 2015 l'art. 614-bis, all'esito della quale è oggi previsto espressamente che possano essere assistiti dalla misura «tutti gli obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro» e purché non inerenti alla materia giuslavoristica (cfr. infra il par. 7). Tuttavia, nonostante l'apparante chiarezza della norma sul punto, in dottrina e giurisprudenza si è sollevato un dibattito in ordine alla tipologia delle obbligazioni effettivamente suscettibili di essere tutelate attraverso la misura in questione.

Sicuramente rientrano nell'ambito di applicazione della norma le obbligazioni aventi ad oggetto un facere infungibile.

Nella casistica giurisprudenziale si vedano, a titolo esemplificativo, le fattispecie esaminate da: Trib. Grosseto 23 aprile 2020, in relazione ad una fattispecie in cui un dipendente di una società a contratto a tempo indeterminato, addetto al servizio di assistenza legale ed invalido al 60%, aveva chiesto a seguito della pandemia da Covid-19 di essere adibito al lavoro agile negato dall'azienda che gli aveva prospettato le ferie forzate, laddove il giudice, ravvisando la sussistenza degli elementi per il provvedimento d'urgenza, tra cui anche il periculum in mora, concedeva il richiesto strumento di coercizione indiretta ex art. 614-bis c.p.c. con lo scopo di incentivare l'adempimento dell'obbligo imposto, cui la resistente si è dimostrata refrattaria pur a fronte delle reiterate richieste del ricorrente lavoratore invalido; Cass. II, n. 15110/2019, in Obiettivo notaio, 2019, 4, 56, con nota di Muscogiuri, secondo cui l'accertato ritardo dell'erede nell'adempimento dell'obbligazione modale contenuta nel testamento, avente a oggetto una prestazione di fare infungibile (l'istituzione di un centro studi in memoria del defunto), è suscettibile di coercizione indiretta ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c.; Trib. Lecce 17 giugno 2019, in Riv. es. forz., 2019, 1248, con nota di Magliulo, la quale ha ritenuto ammissibile la domanda proposta ex art. 700 c.p.c. volta ad ottenere l'emanazione di un ordine al terzo di prestare il consenso alla cancellazione dell'ipoteca, trattandosi di un facere infungibile coattivamente ed eseguibile a mezzo del rimedio di cui all'art. 614-bis c.p.c.; Trib. Roma 1° febbraio 2017, in relazione ad una richiesta di fissare, ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c., una somma a carico del condominio per l'eventuale ritardo nell'esecuzione della condanna a comunicare al creditore insoddisfatto i dati dei condomini morosi nel pagamento dei contributi condominiali relativi al credito stesso.

Inoltre, sempre a proposito degli obblighi di facere ci si è chiesti se le misure coercitive di cui si tratta possano presidiare l'emanazione di una sentenza costitutiva ai sensi dell'art. 2932 c.c.

Tale possibilità è stata ammessa da alcuni autori (Consolo, Godio, 2531), anche se sembra prevalere l'opinione di segno contrario, che esclude l'ammissibilità della tutela di cui all'art. 614-bis sul presupposto per cui la sentenza emessa all'esito del giudizio è di per sé produttiva degli effetti del contratto non concluso, rendendosi perciò non più necessaria per il futuro la cooperazione della parte inadempiente (Miccolis, 1051; Balena, 130).

Per quanto attiene invece agli obblighi di non fare, è controverso se i provvedimenti recanti una condanna in tal senso siano sempre suscettibili di essere presidiati da una misura coercitiva oppure se essi debbano possedere l'ulteriore requisito della infungibilità.

Ad una prima posizione, minoritaria, che ritiene necessario anche nel contesto normativo novellato nel 2015 che l'obbligo di non fare abbia natura infungibile per potersi dar luogo all'emanazione di un provvedimento ai sensi dell'art. 614-bis (Consolo, Godio, 2523), si contrappone l'opinione prevalente secondo cui la verifica in ordine all'esistenza del requisito dell'infungibilità della prestazione dovrebbe essere limitata ai soli obblighi di fare atteso che gli obblighi di astenersi da una determinata condotta sono per definizione infungibili (Carratta, 7; Zucconi Galli Fonseca, 204; Luiso, 235).

La giurisprudenza sembra aver aderito a quest'ultima impostazione. In tal senso si segnalano Trib. Terni 4 agosto 2009, cit., la quale, a seguito della presentazione di una denuncia di danno temuto ai sensi dell'art. 1172 c.c., ha disposto la condanna al pagamento di una somma di denaro per ogni giorno di ritardo nella demolizione di un immobile pericolante, nonché Trib. Palermo 29 marzo 2014, la quale ha pronunciato una misura coercitiva ai sensi dell'art. 614-bis in relazione al ritardo eventualmente accumulato nella rettifica di una iscrizione di un protesto erroneamente levato nei confronti di un imprenditore.

Infine, si deve ritenere che nell'ambito applicativo dell'art. 614-bis per come novellato nel 2015, rientrino anche gli obblighi di consegna o rilascio.

Secondo Trib. Bologna 19 aprile 2018, in Arch. locazioni, 2019, 183, il provvedimento con cui, a fronte dell'accertato inadempimento all'obbligo di consegna del bene locato, il giudice condanni la parte locatrice al rilascio dell'immobile in favore del conduttore con fissazione della data per l'adempimento, può altresì prevedere la condanna al pagamento di una somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento medesimo.

Segue. c) la tipologia di provvedimento

A norma dell'art. 614-bis l'emanazione della misura coercitiva indiretta richiede la pronuncia da parte del giudice di un «provvedimento di condanna»: anche in questo caso la genericità della formulazione normativa ha dato vita ad un dibattito nella dottrina e nella giurisprudenza, che, ferma la riconosciuta applicabilità dell'istituto in questione alle sentenze pronunciate all'esito di un giudizio di cognizione, sia in primo grado che in appello (Zucconi Galli Fonseca, 202; Miccolis, 1053), si sono interrogate su quali siano i provvedimenti concretamente idonei ad ospitare le astreintes.

In via generale, Trib. Roma 16 luglio 2020, ha ritenuto che per avere un titolo esecutivo che validamente imponga un obbligo di facere anche infungibile, la condanna deve contenere la specificazione del quid faciendum ossia che non solo indichi il risultato necessario a soddisfare il diritto del creditore, ma fornisca l'indicazione delle modalità operative per il conseguimento di quel risultato. La prestazione dovuta deve, perciò, essere determinata o determinabile.

Invece, Trib. Roma 9 giugno 2020, n. 8321, ha sottolineato che la richiesta di applicazione dell'astreinte può essere concessa solo dal giudice della cognizione, come accessorio ad un provvedimento di condanna – e non anche quindi dal giudice dell'esecuzione – e deve essere pertanto avanzata dalla parte esclusivamente nel corso del giudizio finalizzato all'ottenimento di una condanna ad un fare infungibile o ad un non fare.

In primo luogo, è controversa la possibilità di applicare la misura coercitiva di cui si tratta ai provvedimenti previsti dall'art. 709-terc.p.c., in funzione sussidiaria alle sanzioni ivi espressamente contemplate.

In senso favorevole alla cumulabilità delle diverse misure si veda, tra gli altri, Asprella, 123, mentre esclude tale possibilità Tommaseo, 273. Una posizione intermedia, nel senso che le varie misure sanzionatorie possono sì coesistere in astratto nell'ambito dello stesso provvedimento, ma potranno essere poi concretamente applicate nei confronti della parte inadempiente soltanto in via tra loro alternativa si esprime, invece, Graziosi, 276.

La giurisprudenza di merito sembra aver invece accolto la possibilità di cumulare le misure di cui all'art. 614-bis e quelle di cui all'art. 709-ter nell'ambito di un medesimo provvedimento: così Trib. Salerno 22 dicembre 2009, in Fam. dir., 2010, 924, con nota di Vullo; Trib. Firenze 11 novembre 2011, in Foro it., 2012, I, 1941; Trib. Roma 23 dicembre 2017, in Ilfamiliarista.it, 2018, con nota di Cesaro.

In senso contrario, si veda, invece, Trib. Mantova 12 luglio 2018, secondo cui il disposto di cui all'art. 614-bis c.p.c., recante una misura di coercizione indiretta, non è applicabile a sanzione di comportamenti ostruzionistici del genitore collocatario all'esercizio del diritto di visita del genitore con il quale il figlio non convive stabilmente, ossia nei procedimenti aventi ad oggetto l'adozione di provvedimenti ex art. 337-bis e ss. c.c. Tale sanzione può accedere unicamente a sentenze di condanna ad un obbligo (determinato) di fare o di non fare, laddove i provvedimenti riguardo ai figli che il Tribunale deve adottare ai sensi dell'art. 337-ter c.c., in relazione al regime di affidamento, alla regolamentazione dell'esercizio della responsabilità genitoriale, ed alla determinazione dei tempi e delle modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore, non comportano, secondo tale decisione, alcuna statuizione di condanna a carico dell'uno o dell'altro genitore.

Cass. I, n. 6471/2020 , in tema di rapporti con la prole, ha invece ritenuto che il diritto-dovere di visita del figlio minore spettante al genitore non collocatario, non è suscettibile di coercizione neppure nelle forme indirette previste dall'art. 614-bis c.p.c., trattandosi di un potere-funzione che, non essendo sussumibile negli obblighi la cui violazione integra una grave inadempienza ex art. 709-ter c.p.c., è destinato a rimanere libero nel suo esercizio, quale esito di autonome scelte che rispondono anche all'interesse superiore del minore ad una crescita sana ed equilibrata.

Altrettanto controversa è l'applicabilità della disposizione in commento con riferimento ai provvedimenti cautelari.

L'orientamento prevalente in dottrina è nel senso di ammettere tale possibilità quale esplicazione del potere discrezionale del giudice della cautela di determinare le modalità attraverso cui deve trovare attuazione il provvedimento cautelare (Carratta, 7; Tommaseo, 267; Zucconi Galli Fonseca, 202; Miccolis, 1053). In senso contrario, si esprimono, invece, Tedioli, 67; D'Amico, 713.

La giurisprudenza di merito si è espressa di solito in senso consonante all'orientamento prevalente nella dottrina: così Trib. Cagliari 19 ottobre 2009, cit.; Trib. Terni 6 agosto 2009, cit.; Trib. Messina 7 luglio 2010, in Corr. mer., 2011, 42, con nota di Scorza; Trib. Bari 16 maggio 2016, in Giur. it., 2017, 839, con nota di Montanari; Trib. Milano 2 maggio 2019, in Dir. fam., 2020, 176, con nota di Bellomo. In senso contrario, Trib. Cagliari 20 aprile 2016, in Lanuovaproceduracivile.com, 2016.

Si discute anche della possibilità di applicare le misure di cui all'art. 614-bis con la pronuncia del lodo reso all'esito di un arbitrato rituale.

L'orientamento prevalente è nel senso della sussistenza in capo agli arbitri del potere di comminare la sanzione di cui all'art. 614-bis nei confronti della parte inadempiente al lodo rituale: in tal senso, tra molti, Zucconi Galli Fonseca, 202; Bove, 1; Amadei, 351. In senso contrario, stante l'asserita mancata della qualità di organo giurisdizionale in capo agli arbitri rituali, si esprime Lombardi, 967.

Sul punto si veda anche Arb. Torino, 6 marzo 2017, in Giur. arb., 2017, 221, con nota di Secondo, secondo cui le misure di coercizione indiretta di cui all'art. 614-bis possono trovare applicazione anche in sede arbitrale.

Infine, si esclude generalmente l'applicabilità della misura coercitiva di cui all'art. 614-bis in relazione al verbale di conciliazione (Zucconi Galli Fonseca, 202; Miccolis, 1054), anche se va dato atto che l'art. 11, comma 3, d.lgs. n. 28/2010 in materia di mediazione prevede che le parti possano stabilire il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento nel caso in cui giungano ad un accordo tra di loro (cfr. Capponi, 1).

Segue. d) la non manifesta iniquità

Ulteriore presupposto che deve sussistere affinché il giudice possa concedere la misura coercitiva è la sua non manifesta iniquità in rapporto alla richiesta della parte, stante, in ogni caso, come si vedrà nel successivo par. 6, l'esistenza di un potere del giudice di graduare in concreto, sulla base dei parametri previsti dalla legge, il quantum dovuto dalla parte inadempiente.

In particolare, al fine di dare un significato alla nozione di «manifesta iniquità» si potrebbe ritenere che la concessione della misura debba essere esclusa quando: i) la prestazione richiesta all'obbligato abbia un carattere personale, che si contrappone all'interesse meramente patrimoniale dell'avente diritto all'adempimento dell'obbligo (Carratta, 98); ii) l'esecuzione della prestazione comporti la cooperazione di un terzo (Saletti, 199); iii) l'adempimento determini un sacrificio eccessivo a carico del debitore (Balena, 131); e, infine, iv) sia probabile che l'obbligato non possa dare esecuzione spontanea al provvedimento per cause indipendenti dalla sua volontà (Lombardi, 968).

Per ulteriori specificazioni sul parametro in questione v. Trib. Monza 11 febbraio 2016, in Corr. giur., 2017, 1419, con nota di Pisani, secondo cui quando il debitore inadempiente non risulti oggettivamente in grado di dare attuazione al provvedimento giudiziale di condanna a eseguire le complesse prestazioni infungibili rimaste colpevolmente ineseguite, sarebbe manifestamente iniquo irrogare misure coercitive ai sensi dell'art. 614-bis, che si tradurrebbero in una penale per il ritardo e, in definitiva, in un abuso dello strumento processuale (conf. App. Milano 4 febbraio 2016); Trib. min. Genova, 26 settembre 2012, in Nuova giur. ligure, 2012, 3, 44, che, con riguardo all'ipotesi particolare della «condanna» relativa all'affidamento di un minore, ha ritenuto manifestamente iniquo concedere la misura coercitiva «qualora il provvedimento ... imponga obblighi reciproci, il genitore non abbia violato alcun provvedimento dell'autorità, abbia tenuto un comportamento di buona fede e non vi siano elementi probatori indicanti che per il futuro non darà esecuzione in buona fede al provvedimento»; Trib. Livorno 4 aprile 2011, in Foro it., 2014, I, 1980, con nota di Mondini, secondo cui è manifestamente iniquo emettere un provvedimento ex art. 614-bis c.p.c. allorché risulti la volontà dell'obbligato di provvedere all'adempimento della condanna.

La condanna al pagamento

Nella determinazione del quantum per la concessione della misura il comma 2 dell'articolo in esame prevede che il giudice debba tenere in conto il valore della controversia, la natura della prestazione, il danno, tanto quantificato quanto prevedibile, e, infine, ogni altra circostanza utile: i parametri poc'anzi indicati devono essere dunque ritenuti meramente indicativi, dovendo essere l'organo decidente a stabilire la misura concreta della sanzione pecuniaria da applicare in caso di inadempimento o ritardato adempimento all'obbligo stabilito dal provvedimento di condanna.

Inoltre, il giudice è tenuto a fissare il momento iniziale di applicazione della misura coercitiva, ma soprattutto quello finale, successivamente al quale dovrà prendersi atto del mancato adempimento della parte onerata, con conseguente obbligo di quest'ultima di versare la somma fissata dal giudice.

Secondo Trib. Terni, 4 agosto 2009, cit., la misura di cui all'art. 614-bis deve trovare applicazione quando al debitore sia stato concesso un termine ragionevole per consentirgli di adempiere, dovendo in ogni caso il termine incominciare a decorrere dal momento della notificazione nei suoi confronti del provvedimento.

La condanna ai sensi dell'art. 614-bis ha sempre natura di titolo esecutivo per il pagamento delle somme, senza che rilevi il tipo di provvedimento che lo ospita (ad es., avente natura cautelare e, quindi, non ascrivibile al novero dei titoli di cui all'art. 474 c.p.c.).

Tale efficacia della condanna è tuttavia condizionata al mancato adempimento spontaneo della prestazione oggetto della prestazione principale: in questo senso la misura coercitiva si configura come una condanna in futuro (Carratta, 100) ovvero come una condanna condizionata (Saletti, 200).

In ogni caso, sarà onere del medesimo creditore quello di dichiarare sotto la propria responsabilità il mancato adempimento dell'obbligazione assistita dalla misura coercitiva indiretta e di procedere conseguentemente ad una auto-liquidazione delle somme dovute dal debitore sulla base dei criteri fissati dal giudice nel provvedimento.

Secondo Cass. VI, n. 29131/2020 la condanna a cessare lo svolgimento dell'attività ritenuta contraria al regolamento di condominio nell'immobile locato emessa nei confronti dei conduttori parti del giudizio, così come quella al pagamento di una somma di denaro per l'eventuale inosservanza dell'obbligo ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c., costituisce titolo esecutivo anche nei confronti dei nuovi conduttori per il solo fatto che l'attività vietata continui ad essere svolta nell'immobile e ciò indipendentemente dalla mancata partecipazione di questi ultimi al giudizio ove è stata pronunciata la condanna.

La parte nei cui confronti sia notificato precetto in relazione ad una somma liquidata dal creditore ai sensi dell'art. 614-bis sulla base di un provvedimento di condanna potrà respingere la pretesa del presunto creditore proponendo opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c. e chiedendo contestualmente la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo o dell'esecuzione (tra molte, Trib. Milano 6 giugno 2014, in Giur. dir. ind., 2014, 1045).

Come ribadito da Trib. Piacenza 2 gennaio 2020, n. 2, il creditore in favore del quale è stata disposta la misura di coercizione indiretta può legittimamente intraprendere l'azione esecutiva per la riscossione coattiva delle somme dovute a titolo di penalità di mora mediante notifica di un atto di precetto, purché sia conforme al paradigma legale di cui agli artt. 125 e 480 c.p.c. e contenga, nell'ipotesi di espropriazione forzata per l'esecuzione di obblighi di pagamento di somme dovute a titolo di penalità di mora, una allegazione sufficientemente specifica dell'inadempimento contestato al debitore, tale da giustificare la intimazione di pagamento della somme dovute a titolo di penalità, mentre sarà poi onere del debitore eccepire, in sede di opposizione, l'avvenuto adempimento quale causa ostativa al diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata.

Al riguardo si segnalano due pronunce di legittimità sul tema della quantificazione della misura di coercizione indiretta. Secondo Cass. III, n. 7927/2024, il giudice, nella concreta determinazione della misura di coercizione indiretta ex art. 614-bis c.p.c., ha un potere discrezionale circoscritto dai parametri indicati dalla citata norma e non deve soltanto valutare la proporzionalità della violazione dei diritti patrimoniali del debitore alla luce dello scopo legittimo che il creditore persegue, ma anche darne adeguato conto nella motivazione. Invece, secondo Cass. III, n. 22714/2023, nell'opposizione all'esecuzione promossa in forza di un'ordinanza ex art. 614-bis c.p.c. (nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 149/2022 ) non è consentito dedurre la scarsa importanza dell'inadempimento o del ritardo nell'adempimento con l'effetto di ottenere una riduzione del quantum della misura coercitiva, risolvendosi altrimenti quest'ultima in un'inammissibile modificazione della portata precettiva del titolo esecutivo giudiziale, permessa unicamente nel processo di cognizione e attraverso il rituale esperimento dei mezzi di impugnazione.

Avverso il precetto notificato per la riscossione del credito derivante da una misura coercitiva concessa ai sensi dell'art. 614-bis nell'ambito di un provvedimento cautelare è proponibile l'opposizione all'esecuzione per vizi del processo stesso, mentre occorre procedere davanti al giudice della cautela quando si contesti l'avvenuta realizzazione delle condizioni per l'operatività della misura: per tale motivo, nel caso in cui si sia proposta opposizione ai sensi dell'art. 615 c.p.c. per contestare la sussistenza dei presupposti per l'applicazione della misura coercitiva accessoria ad un provvedimento di urgenza, la stessa deve essere dichiarata inammissibile (Trib. Genova 28 ottobre 2015, in Giusto proc. civ., 2017, 231, con nota di Invernizzi; in senso conforme, Trib. Genova 16 novembre 2015, in Foro it., 2016, I, 1046, con nota di Mondini).

L'esclusione delle controversie di lavoro

L'istituto di cui all'art. 614-bis non trova applicazione nelle controversie di lavoro subordinato (pubblico e privato), come pure in quelle relative a rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'art. 409 c.p.c.

La dottrina ha rilevato che l'esclusione operata dalla norma costituisce una palese disparità di trattamento tra rapporti di lavoro e altri rapporti civili, in violazione degli artt. 3 e 24 Cost. In particolare, è stato osservato come la scelta della esclusione delle controversie lavoristiche dal campo di applicazione dell'art. 614-bis debba essere ritenuta una scelta di natura politica, di «carattere classista» (Proto Pisani, 223), finalizzata ad evitare l'introduzione di un aggravio di costi per il sistema produttivo, potenzialmente capace di arrecare un pregiudizio alla solvibilità delle imprese (Sassani, Tiscini, 74).

Le astreintes nel processo amministrativo. Cenni

L'art. 114, comma 4, lett. e), d.lgs. 104/2010 disciplina anche nell'ambito del processo amministrativo l'istituto delle astreintes (o «penalità di mora»), quale strumento mutuato dal regime processualcivilistico dall'art. 614-bis.

La penalità di mora disciplinata dall'art. 114 d.lgs. n. 104/2010 si distingue in modo significativo dalla misura coercitiva indiretta prevista nel processo civile. In particolare:

i) mentre la sanzione di cui al 614-bis è adottata con il provvedimento che definisce il giudizio di cognizione, la penalità di mora è irrogata dal giudice amministrativo nell'ambito del giudizio di ottemperanza, con la sentenza che accerta l'inadempimento della Pubblica Amministrazione all'obbligo stabilito nell'ambito di una precedente sentenza;

ii) di conseguenza, nel processo civile la sanzione è ad esecuzione differita, in quanto la sentenza che la commina si atteggia a condanna condizionata (o in futuro) al fatto eventuale dell'inadempimento del precetto giudiziario nel termine all'uopo contestualmente fissato; al contrario, nel processo amministrativo l'astreinte, salvo diversa valutazione del giudice, può essere di immediata esecuzione, in quanto è sancita da una sentenza che ha già accertato l'inadempimento del debitore;

iii) le astreintes disciplinate dal codice del processo amministrativo presentano, almeno sul piano formale, una portata applicativa più ampia rispetto a quelle previste nel processo civile, in quanto non si è riprodotta nell'art. 114 d.lgs. n. 104/2010 l'esclusione degli obblighi di pagamento di una somma di denaro (T.A.R. Toscana n. 371/2017);

iv) la norma del codice del processo amministrativo non richiama i parametri di quantificazione dell'ammontare della somma fissati dall'art. 614-bis, comma 2;

(v) il codice del processo amministrativo prevede, accanto al requisito positivo della mancata ottemperanza della sentenza e al limite negativo della manifesta iniquità, l'ulteriore presupposto negativo consistente nella ricorrenza di «ragioni ostative» (Cons. St., Ad. Plen., n. 15/2014).

Secondo Cons. St., Ad. Plen., n. 7/2019, in Dir. proc. amm., 2020, 142, è sempre possibile in sede di chiarimenti sulla domanda di ottemperanza modificare la statuizione relativa alla penalità di mora contenuta in una precedente sentenza d'ottemperanza, ove siano comprovate sopravvenienze fattuali o giuridiche che dimostrino, in concreto, la manifesta iniquità in tutto o in parte della sua applicazione. Salvo il caso delle sopravvenienze, non è tuttavia in via generale possibile la revisione ex tunc dei criteri di determinazione della astreinte dettati in una precedente sentenza d'ottemperanza, sì da incidere sui crediti a titolo di penalità già maturati dalla parte beneficiata.

Tuttavia, ove il giudice dell'ottemperanza non abbia esplicitamente fissato, a causa dell'indeterminata progressività del criterio dettato, il tetto massimo della penalità, e la vicenda successiva alla determinazione abbia fatto emergere, a causa proprio della mancanza del tetto, la manifesta iniquità, quest'ultimo può essere individuato in sede di chiarimenti, con principale riferimento, fra i parametri indicati nell'art. 614-bis c.p.c., al danno da ritardo nell'esecuzione del giudicato.

Le novità della riforma di cui al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 14 e del c.d. correttivo di cui al d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164

L'art. 3, comma 36, lett. c), d.lgs. 149/2022 è intervenuto sull'art. 614-bis, sostituendo il precedente testo dell'articolo. La nuova norma trova applicazione ai procedimenti introdotti dopo il 28 febbraio 2023 (cfr. art. 35, comma 1, d.lgs. 149/2022), mentre ai procedimenti pendenti a tale data continuerà ad applicarsi la precedente disciplina.

Il nuovo testo dell'art. 614-bis si articola in cinque commi. Rimane innanzitutto immutato l'ambito applicativo dell'istituto, ricomprendente tutti gli obblighi diversi dal pagamento di una somma di denaro. Il giudice che emette il provvedimento di condanna, su istanza di parte, fissa «la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento, determinandone la decorrenza».

Il secondo comma del nuovo testo, per come integrato dal c.d. correttivo di cui al d.lgs. n. 164/2024, prevede inoltre che «[s]e non è stata richiesta nel processo di cognizione, ovvero il titolo esecutivo è diverso da un provvedimento di condanna, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza o ritardo nell'esecuzione del provvedimento è determinata dal giudice dell'esecuzione, su ricorso dell'avente diritto, dopo la notificazione del precetto. Il provvedimento perde efficacia in caso di estinzione del processo esecutivo. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui all'articolo 612». Si tratta di una novità molto significativa.

L'avente diritto ad una prestazione diversa dal pagamento di una somma di denaro potrà dunque adire con ricorso il giudice dell'esecuzione, avvalendosi di un procedimento speciale modellato sulla falsariga dell'esecuzione per obblighi di fare e non fare di cui all'art. 612 c.p.c.

La disposizione individua poi i presupposti per richiedere la misura coercitiva direttamente in sede esecutiva. Il primo è che il titolo esecutivo abbia natura stragiudiziale ovvero che, pur trattandosi di un titolo giudiziale, la misura di cui all'art. 614-bis non sia stata richiesta nell'ambito del processo di cognizione. Ove ricorra una di queste circostanze, il creditore interessato dovrà notificare titolo esecutivo e precetto e proporre ricorso al giudice dell'esecuzione competente.

Il legislatore della riforma ha voluto attribuire al giudice il potere di regolare l'efficacia e il funzionamento nel tempo della misura coercitiva. Anzitutto, il giudice adito potrà stabilire il momento in cui la misura produrrà effetti, ossia il momento in cui inizieranno a maturare le somme dovute per il caso di inadempimento. Inoltre il giudice potrà fissare un termine di durata della misura, tenendo conto della finalità della stessa e di ogni circostanza utile. Decorso tale termine, l'avente diritto dovrà prendere atto del fallimento della misura e accontentarsi del risarcimento del danno.

Il nuovo quarto comma individua i criteri in forza dei quali il giudice determina l'ammontare della misura. Non mutano i parametri già previsti dal vecchio testo, ma è specificato che si deve tener conto della natura della prestazione dovuta dall'obbligato e si aggiunge il criterio del «vantaggio per l'obbligato derivante dall'inadempimento».

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