Regolamento - 12/12/2012 - n. 1215 art. 44

Giuseppe Fiengo

1. Quando si chiede il rigetto dell'esecuzione di una decisione a norma della sezione 3, sottosezione 2, l'autorità giurisdizionale dello Stato membro richiesto può, su istanza della parte contro cui è chiesta l'esecuzione:

a) limitare il procedimento di esecuzione ai provvedimenti cautelari;

b) subordinare l'esecuzione alla costituzione di una garanzia da esso determinata; o

c) sospendere, in tutto o in parte, il procedimento di esecuzione.

2. Su istanza della parte contro cui è chiesta l'esecuzione, l'autorità competente dello Stato membro richiesto sospende il procedimento di esecuzione se l'esecutività della decisione è sospesa nello Stato membro d'origine.

Inquadramento

Dopo aver disciplinato (al Capo III, Sezione 1) il riconoscimento delle decisioni, il regolamento Bruxelles I bis, alla Sezione 2 del medesimo Capo III, disciplina l'esecuzione delle decisioni giudiziarie emesse nello spazio giudiziario europeo. Proprio con riferimento all'esecuzione delle decisioni possono essere apprezzati i profili di maggiore novità introdotti dal regolamento in esame quanto alla circolazione delle decisioni. Tanto è a dirsi, in primis, per quella abolizione dell' exequatur che, conosciuta già da alcuni regolamenti di settore, risulta ormai generalizzata nella materia civile e commerciale e cui la Commissione guarda come ad un espediente essenziale per la semplificazione della circolazione delle decisioni.

Il regolamento n. 1215 non detta una disciplina uniforme del procedimento di esecuzione delle decisioni straniere, limitandosi a rinviare alle norme del singolo Stato dell'esecuzione. Ne discende una confermata centralità dell'interprete (e, in particolare, del giudice) chiamato a realizzare un'integrazione (rispetto alla quale il legislatore italiano ha, ripetutamente, manifestato disinteresse) tra norme interne e norme sovranazionali (delle quali ultime deve essere sempre salvaguardato l'effetto utile).

La Sezione 2 del Capo III contiene anche prescrizioni relative agli adempimenti formali prodromici alla instaurazione dell'esecuzione. Sotto tale profilo il regolamento tende a contemperare la semplificazione delle attività necessarie alla realizzazione forzata del diritto consacrato nel titolo esecutivo con esigenze di difesa del debitore.

Abolizione dell'exequatur

La principale innovazione introdotta dal regolamento n. 1215/2012 con riferimento alla circolazione delle decisioni sta, senza dubbio, nella abolizione dell' exequatur (che il regolamento n. 44/2001 aveva conservato pur se secondo modalità semplificate rispetto a quanto previsto dalla Convenzione di Bruxelles del 1968). L'esecuzione di una decisione (art. 2, lett. a) pronunciata in un procedimento instaurato a partire dal 10 gennaio 2015 (art. 66, regolamento n. 1215) non richiede più il previo ricorso al procedimento disciplinato a partire dall'art. 38 del regolamento Bruxelles I. La parte titolare di un diritto sulla base di una decisione esecutiva nello Stato d'origine potrà intraprendere l'esecuzione nello Stato richiesto (nel rispetto delle regole processuali ivi vigenti) previo il mero conseguimento dell'attestato previsto dall'art. 53 del regolamento Bruxelles I bis ; attestato che dovrà essere notificato al debitore prima dell'inizio dell'esecuzione.

In dottrina (Salerno, 324) si è sottolineato come l'abolizione dell'exequatur sia espressione della valorizzazione di quel particolare profilo del diritto al giusto processo che consiste nella legittima aspettativa dell'avente diritto di veder concretizzata la certezza delle situazioni giuridiche quale consacrata nella decisione giudiziaria.

Senza dubbio tale abolizione comporta conseguenze teoriche e pratiche di grande rilievo.

Sotto il profilo teorico, tale abolizione avvicina il regolamento n. 1215 ad alcuni regolamenti precedentemente adottati (in particolare, i regolamenti nn. 805/2204, 1896/2006 e 861/2007). Rispetto a tali ultimi regolamenti, tuttavia, Bruxelles I bis presenta delle significative differenze atteso che: – ha carattere obbligatorio (mentre l'applicazione degli altri regolamenti è rimessa ad una scelta delle parti); – non armonizza in alcuna misura il rito per l'adozione del titolo esecutivo europeo; – ha un campo di applicazione più ampio rispetto alle decisioni aventi ad oggetto la condanna al pagamento di somme di denaro, potendo il titolo esecutivo circolante ai sensi del regolamento qui in esame fondare anche esecuzioni per consegna o rilascio o di obblighi di fare (Carbone, Tuo, 333; D'Alessandro, 322 ss.). Soprattutto il secondo profilo distintivo giustifica, del resto, la permanenza nel regolamento n. 1215 della possibilità di far valere motivi ostativi all'esecuzione (e al riconoscimento) della decisione.

Sotto il profilo pratico l'abolizione dell'exequatur comporta un significativo abbattimento dei costi e dei tempi per l'esecuzione della decisione straniera (cfr. considerando 26). Profilo di ulteriore semplificazione discende dal fatto che, nel precedente regime, era necessario conseguire l'exequatur in ciascuno degli Stati nei quali si intendesse instaurare l'esecuzione (D'Alessandro, 322).

A dispetto di soluzioni giurisprudenziali affermatesi in Italia con riferimento alla Convenzione di Bruxelles del 1968, si è ritenuto che la cogenza della disciplina contenuta nel regolamento in esame imponga di ritenere che il modello di mutua esecutività delle decisioni introdotto si sostituisca ai (e, quindi, operi ad esclusione dei) corrispondenti meccanismi di riconoscimento ancora vigenti (al di fuori dell'ambito di applicazione di Bruxelles I bis) sulla base della disciplina di diritto comune vigente nei singoli Stati membri (Carbone, Tuo, 332). Tali norme di diritto comune (ove invocate in relazione a materie rientranti nel campo di applicazione del regolamento) dovranno quindi essere disapplicate se confliggenti con quelle eurounitarie.

Trib. Milano ord., 15 settembre 2015, ha accolto l'opposizione proposta avverso il precetto notificato sulla base di titolo esecutivo emesso dal Juzgado dei Primera Istancia de Madrid il 15 maggio 2015 e munito del certificato rilasciato ai sensi dell'art. 53 del regolamento n. 1215. Il Tribunale meneghino ha rilevato che la decisione spagnola era stata emessa all'esito di procedimento instaurato nel 2011, sì che, stante la previsione dell'art. 66 del regolamento Bruxelles I bis, tale decisione era destinata a circolare ai sensi del regolamento n. 44/2001 con conseguente necessità di instaurare previamente il procedimento di exequatur innanzi alla competente Corte di Appello.

L'equiparazione dell'efficacia esecutiva delle decisioni emesse negli Stati membri

Nel regime del regolamento n. 1215 l'esecuzione delle decisioni straniere deve avvenire alle stesse condizioni delle decisioni emesse nello Stato membro richiesto. Si tratta di un principio che risulta espressamente affermato al considerando 26 (che richiama pure il principio della fiducia reciproca nell'amministrazione della giustizia all'interno dell'Unione) ed all'art. 41.1 seconda parte del regolamento Bruxelles I bis, ma che è alla base anche degli artt. 54 e 40 del medesimo regolamento. Tale ultima disposizione prevede il diritto di richiedere provvedimenti cautelari in via immediata sulla base di una decisione esecutiva nello Stato d'origine e secondo modalità semplificate rispetto a quanto previsto dall'art. 47 del regolamento n. 44/2001. Si è sottolineata (Lopes Pegna, 1212) l'importanza di questa disposizione la quale consente di ottenere di diritto l'autorizzazione a procedere a misure cautelari senza quella previa comunicazione al debitore dell'attestato che, ai sensi dell'art. 43, è invece necessaria ai fini del compimento di atti esecutivi.

Al riguardo si è sottolineato (Leandro, 613) che il carattere dell'esecutività dipende dal diritto processuale dello Stato d'origine, mentre la forza esecutiva (acquisita sulla base dell'ordinamento d'origine) è, dal regolamento Bruxelles I bis , imposta a tuttl gli altri Stati membri. Sulla scorta di Corte giustizia CE, 29 aprile 1999, C-267/97, Eric Coursier, si è inoltre precisato (Salerno, 324; Leandro, 613) che la valenza esecutiva riguarda «unicamente il carattere esecutivo, dal punto di vista formale, delle decisioni straniere e non le condizioni alle quali tali decisioni possono essere eseguite nello Stato d'origine». L'equivalenza, in altri termini, opererebbe con riferimento al carattere intrinsecamente esecutivo che l'atto giudiziario in sé deve avere nell'ordinamento d'origine, a prescindere dagli sviluppi esecutivi che concretamente vi si possono riferire (Salerno, 324).

In base al principio dell'equivalenza la disciplina in materia di esecuzione forzata vigente in ciascuno Stato membro trova applicazione per le decisioni emesse nello spazio giudiziario europeo senza alcuna discriminazione rispetto alle decisioni nazionali (Carbone, Tuo, 337). Gli autori da ultimo citati osservano (338) come, in ogni caso, il rinvio alla disciplina processuale della lex fori non sia assoluto né incondizionato. Con disposizione immediatamente applicabile, l'art. 40 del regolamento n. 1215 prevede infatti che la decisione anche solo provvisoriamente esecutiva emessa nello Stato d'origine comporta «di diritto» l'autorizzazione ad ottenere, nello Stato membro richiesto, i provvedimenti provvisori e cautelari previsti dall'ordinamento richiesto e tanto anche ove lo Stato richiesto non contempli un'analoga autorizzazione «di diritto» a concedere provvedimenti provvisori e cautelari in presenza di una decisione interna avente efficacia esecutiva. Ancora, nel senso del carattere non assoluto ed incondizionato del rinvio alla disciplina della lex fori si è richiamato l'art. 41.2 il quale precisa che i motivi di diniego o di sospensione dell'esecuzione previsti dalla legge dello Stato dell'esecuzione si applicano nella misura in cui non risultino incompatibili con i motivi ostativi elencati all'art. 45 del regolamento. Ne discende che la disciplina dalla lex fori prevista in materia di opposizione all'esecuzione applicabile alle decisioni nazionali trova applicazione anche per le decisioni provenienti da altri Stati membri «purché non ne restringa la libertà di circolazione oltre quanto è consentito sulla base dei motivi di diniego enucleati dal regolamento medesimo. Le ragioni di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo contemplate dalla disciplina uniforme europea convivono, in altri termini, con quelle ammesse dalle legislazioni processuali dei singoli ordinamenti nazionali – almeno limitatamente alle disposizioni di questi ultimi che consentono la sospensione del processo esecutivo – ma, in caso di conflitto, sono queste ultime a doversi disapplicare» (Carbone, Tuo, 339; sul punto, v. pure D'Alessandro, 354).

Il giudice dello Stato richiesto, chiamato a dare esecuzione alla decisione emessa in un altro Stato membro è quindi chiamato ad operare una non sempre semplice attività di integrazione tra ordinamenti, tenendo ben presente da un lato il principio dell'autonomia procedurale affermato (e progressivamente limitato) dalla Corte di giustizia e, dall'altro, il principio dell'effetto utile del diritto eurounitario.

Dei possibili problemi derivanti dall'integrazione dei due ordinamenti si proverà a dar conto di volta in volta in sede di commento delle norme contenute nel regolamento Bruxelles I bis. Per il momento appare utile richiamare l'opinione secondo la quale la persistente possibilità di far valere motivi ostativi all'esecuzione (ed al riconoscimento) sia indice del fatto che l'equiparazione tra le decisioni emesse nello Stato d'origine e quelle emesse nello Stato richiesto sia solo «tendenziale e limitata al loro trattamento processuale» (Malatesta, Nisi, 141). In proposito anche Salerno, 325 rileva come la possibilità di far valere condizioni ostative all'efficacia, nello Stato richiesto, della decisione formata nello Stato d'origine (c.d. «merito processuale») valga a distinguere il titolo formatosi nello Stato d'origine ed ivi eseguito (rispetto al quale non sarà configurabile un'opposizione estesa al merito processuale) dal titolo destinato ad essere eseguito nello Stato richiesto.

Corte giustizia UE, 4 ottobre 2018, C-379/17 , Società Immobiliare Al Bosco Srl, ha osservato che, non avendo il regolamento n. 44/2001 stabilito norme in materia di esecuzione delle decisioni emesse da un giudice di uno Stato membro diverso dallo Stato membro richiesto, quest'ultimo resta libero di prevedere, nel proprio ordinamento giuridico, l'applicazione di un termine per procedere all'esecuzione di dette decisioni, che sono state riconosciute e dichiarate esecutive in quest'ultimo Stato membro. Secondo la medesima sentenza (che richiama anche Corte giustizia UE, 13 ottobre 2011, C-139/10, Prism Investments e l'ulteriore giurisprudenza ivi citata), tuttavia, una volta integrata tale decisione nell'ordinamento giuridico dello Stato membro richiesto, le norme nazionali di quest'ultimo Stato in materia di esecuzione si applicano allo stesso modo che alle decisioni emanate dal giudice nazionale. In particolare, le uniche disposizioni applicabili sono proprio quelle previste dalla Stato membro richiesto, dovendo escludersi l'applicabilità, da parte dei giudici dello Stato dell'esecuzione, di norme dello Stato d'origine. Una simile interpretazione, secondo la Corte, «è avvalorata dal considerando 26 del regolamento n. 1215/2012, nel combinato disposto con il successivo art. 39, che ha incorporato la giurisprudenza richiamata supra al punto 35, secondo cui la decisione emessa dall'autorità giurisdizionale di uno Stato membro dev'essere trattata come se fosse stata pronunciata nello Stato membro richiesto» e, in una più ampia prospettiva sistematica, dall'art. 23 del regolamento (UE) n. 655/2014 ai sensi del quale l'ordinanza di sequestro conservativo è eseguita in conformità delle procedure applicabili all'esecuzione di provvedimenti nazionali equivalenti nello Stato membro dell'esecuzione.

Le formalità per procedere all'esecuzione della decisione straniera nello Stato membro richiesto

Venuta meno la necessità di conseguire l'exequatur, il creditore che intenda realizzare forzatamente l'attuazione del diritto consacrato nel titolo esecutivo deve provvedere a fornire all'autorità dello Stato membro preposta all'esecuzione (autorità da individuare alla luce delle norme nazionali dello Stato richiesto) i documenti elencati all'art. 42 del regolamento. In particolare, devono essere obbligatoriamente prodotti una copia della decisione che soddisfi le condizioni necessarie per stabilirne l'autenticità (si tratta di un documento tradizionalmente richiesto dagli strumenti di cooperazione giudiziaria), l'attestato rilasciato ai sensi dell'art. 53, che certifica l'esecutività della decisione, e contenente anche un estratto della decisione nonché, se del caso, le informazioni pertinenti sulle spese processuali ripetibili e sul calcolo degli interessi. La rilevanza di tale attestato risulta – rispetto al regolamento Bruxelles I – accresciuta in conseguenza dell'abolizione dell'exequatur come è del resto confermato dal fatto che, a differenza di quanto previsto dall'art. 55.1 del regolamento n. 44 – il regolamento n. 1215 non contempla la possibilità per l'autorità preposta all'esecuzione nello Stato richiesto di accettare un documento equivalente o di dispensarne dalla produzione (non a caso, la produzione dell'attestato previsto dall'art 53 è stato ritenuto adempimento «obbligatorio e infungibile»Salerno, 326). L'art. 42 prevede inoltre che l'autorità competente per l'esecuzione possa richiedere la traduzione o la traslitterazione del contenuto dell'attestato (par. 3), ovvero la traduzione della decisione «solo se non sia in grado di procedere senza una tale traduzione». Tale previsione pare destinata a trovare concreta applicazione per lo più con riferimento a decisioni aventi ad oggetto la condanna ad obblighi diversi da quello di pagamento di una somma di danaro, come ad esempio un obbligo di fare o di non fare (Malatesta, Nisi, 146).

Ai sensi dell'art. 43.1, l'attestato disciplinato all'art. 53 deve essere notificato o comunicato alla persona contro cui è chiesta l'esecuzione prima dell'inizio della stessa. L'art. 43.1 è norma di diritto processuale uniforme volta a garantire al debitore la conoscenza della decisione straniera, in modo da consentirgli di contestare l'esecuzione ed eventualmente proporre nello Stato richiesto una domanda di diniego dell'esecuzione (Malatesta, Nisi, 145). La disposizione del regolamento da ultimo citata non prevede alcun termine minimo tra la notifica o comunicazione dell'attestato ed il primo atto dell'esecuzione. In proposito maggiormente puntuale risulta il considerando 32 del regolamento, il quale prevede che la notificazione o la comunicazione debbano avvenire «in tempo ragionevole anteriormente alla prima misura di esecuzione». La dottrina ritiene che il parametro di ragionevolezza cui ha riguardo il considerando 32 sia, in caso di esecuzione in Italia della decisione emessa nello Stato d'origine, conforme al termine minimo di 10 giorni previsto dall'art. 480 c.p.c. (Carbone, Tuo, 336; Malatesta, Nisi, 145; Lopes Pegna, 1212) anche se un termine più lungo potrebbe rendersi necessario per il caso di debitore domiciliato fuori dal territorio nazionale (Carbone, Tuo, 336).

L'art. 43.1 prevede inoltre che l'attestato deve essere corredato della decisione qualora questa non sia già stata notificata o comunicata alla persona contro la quale è chiesta l'esecuzione.

Sempre in una prospettiva di tutela del debitore, l'art. 43.2 attribuisce al debitore domiciliato in uno Stato membro diverso da quello di origine, il diritto di chiedere la traduzione del provvedimento giurisdizionale, nel caso in cui questo non sia redatto nella lingua del suo Stato di domiciliazione o, comunque, in una lingua per lui comprensibile. Prima del ricevimento della richiesta traduzione è espressamente preclusa la possibilità di adottare qualsiasi misura esecutiva, ferma la possibilità di tutelare le ragioni creditorie mediante misure cautelari. Pur in assenza di un sicuro fondamento nella lettera della norma, in dottrina (Malatesta, Nisi, 146) si è ritenuto che, anche al fine di evitare richieste meramente dilatorie formulate dal debitore, spetterebbe all'autorità cui è presentata la richiesta di traduzione valutare, sulla base degli elementi disponibili, l'effettiva comprensibilità, per il debitore, del contenuto della decisione. Altra autrice (Lopes Pegna, 1213), premessa la possibilità di una strumentalizzazione della disposizione per finalità dilatorie, ha sottolineato l'opportunità, per il creditore, di allegare sempre una traduzione in una delle lingue indicate.

Nessuna espressa previsione è dettata con riferimento alla traduzione dell'attestato. Tale circostanza si giustifica probabilmente in considerazione del fatto che (come meglio si dirà esaminando l'art. 53) l'attestato è redatto mediante un modulo uniforme con caratteristiche tali da consentire di individuarne in modo immediato il contenuto a prescindere dalla lingua adoperata.

Il regolamento non disciplina espressamente le conseguenze dell'avvio dell'esecuzione nonostante la mancata notifica dell'attestato. In tale caso, considerata la funzione di garanzia del diritto di difesa del debitore assolta dal certificato, si è ritenuto che la mancata notifica dell'attestato comporterebbe l'interruzione della procedura esecutiva e, ricorrendone i presupposti, l'annullamento degli atti esecutivi già compiuti (Malatesta, Nisi, 145).

Caso diverso è quello in cui il creditore non abbia presentato all'autorità dello Stato richiesto competente per l'esecuzione l'attestato previsto dall'art. 53. In tale ipotesi, infatti, risulterebbe violato non l'art. 43, ma l'art. 42 del regolamento. Il carattere ormai obbligatorio ed infungibile dell'attestato dovrebbe indurre a ritenere che la competente autorità non possa dar luogo all'esecuzione; del resto, come osservato in dottrina (Malatesta, Nisi, 144) l'autorità competente per l'esecuzione dovrebbe – sulla base delle informazioni contenute nell'attestato – svolgere alcuni importanti controlli di carattere formale che nel regolamento n. 44 erano compiuti nella fase inaudita altera parte della procedura di exequatur (nel senso che, nonostante il silenzio del regolamento, l'autorità competente per l'esecuzione sia investita di alcuni poteri di controllo formale esercitabili mediante l'esame dell'attestato, v. Lopes Pegna, 1213).

La sospensione del processo di esecuzione ai sensi dell'art. 44 del regolamento

Ispirandosi agli artt. 23 dei regolamenti nn. 805/2004, 1896/2006 e 861/2007 (D'Alessandro, 353), l'art. 44.1 del regolamento Bruxelles I bis prevede che, su istanza dell'esecutato che abbia chiesto il rigetto dell'esecuzione di una decisione a norma della Sezione 3, Sottosezione 2, l'autorità competente dello Stato dell'esecuzione può limitare il procedimento di esecuzione ai provvedimenti conservativi (lett. a), subordinare l'esecuzione alla costituzione di una cauzione (lett. b), ovvero sospendere, in tutto o in parte, l'esecuzione (lett. c). Il secondo paragrafo dell'art. 44 prevede invece, in caso di sospensione dell'esecutività della decisione nello Stato d'origine, la sospensione dell'esecuzione ad opera della competente autorità dello Stato richiesto.

Le citate disposizioni sono tese ad evitare che possa proseguire un'esecuzione fondata su una decisione la cui efficacia esecutiva non possa esplicarsi nel foro ovvero sia stata sospesa nello Stato d'origine.

Con riferimento all'ambito di applicazione dell'art. 44.1 si è osservato (D'Alessandro, 355 ss.) che l'ipotesi contemplata al par. 1, lett. a) verrebbe in rilievo con riferimento a quegli ordinamenti (in particolare, francese e belga) che, a differenza di quello italiano, nell'ambito della disciplina dell'esecuzione contemplano misure conservative richiedibili dal creditore in alternativa alle misure esecutive. Quanto all'ordinamento italiano potrebbe invece venire in rilievo la misura prevista alla lett. c) dell'art. 44. Il fatto che tale lettera (a differenza di quanto previsto dagli artt. 23 dei regolamenti nn. 805, 1986 e 861) non subordina la sospensione al verificarsi di circostanze eccezionali, potrebbe esser valorizzato per affermare che il giudice «possa disporre la sospensione, più ampiamente, tutte le volte in cui ritenga prima facie fondate le doglianze di chi domanda il diniego dell'esecuzione senza che la fattispecie de qua debba essere considerata rimedio residuale rispetto a quelli indicati sub lett. a) e b)» (D'Alessandro, 353-354).

Quanto al coordinamento tra l'art. 44 e le misure di sospensione dell'esecuzione contemplate dall'ordinamento interno si è invece escluso che il giudice dello Stato richiesto possa sospendere l'esecutività del titolo formato nello Stato d'origine. Una simile possibilità (non ammissibile in base al regolamento) deve infatti ritenersi preclusa anche in base alla lex fori, atteso che nello Stato dell'esecuzione non si produce ex novo, ma, solo, si riverbera l'efficacia esecutiva che la decisione presenta nello Stato d'origine, nel quale – solo – potrà pertanto essere caducata, sospesa o limitata l'efficacia esecutiva (D'Alessandro, 358).

L'autorità competente dello Stato richiesto potrà invece sospendere l'esecuzione (per la quale – come detto – si applica la disciplina dello Stato dell'esecuzione). In proposito si è osservato (D'Alessandro, 358) che l'art. 41.2 del regolamento non osta alla sospensione dell'esecuzione pronunciata (quanto all'ordinamento italiano) ai sensi dell'art. 624 c.p.c. ove sussista il fumus dell'opposizione fondata sull'inesistenza del diritto sostanziale per un fatto successivo alla formazione del titolo (ad es., sopravvenuto adempimento) o sull'impignorabilità dei beni. In caso di fumus dell'opposizione fondata sulla mancanza originaria o sopravvenuta di un titolo esecutivo europeo in senso sostanziale, la sospensione dell'esecuzione dovrebbe – secondo l'autrice da ultimo citata – essere invece fondata sull'art. 44 del regolamento.

Tale ultima norma è stata anche valorizzata (Carbone, Tuo, 348) per affermare che la decisione relativa al diniego dell'esecuzione non possa essere rimessa al giudice dell'esecuzione. Secondo tale impostazione, infatti, la norma da ultimo citata presupporrebbe: – la contemporanea pendenza, innanzi a giudici diversi, dell'opposizione disciplinata dal diritto interno e del giudizio di accertamento dei motivi di diniego; – che l'esecuzione della decisione straniera secondo il diritto dello Stato richiesto possa iniziare e proseguire nonostante la domanda di diniego; – che il coordinamento tra tali due distinti giudizi debba avvenire in sede di esecuzione, mediante l'adozione, da parte del giudice dell'esecuzione, dei provvedimenti limitativi o sospensivi previsti dall'art. 44.

La sospensione prevista dall'art. 44.2, infine, si giustifica alla luce della regola generale espressa all'art. 39 del medesimo regolamento. Una simile sospensione sarà, quanto all'ordinamento italiano, pronunciata ai sensi dell'art. 623 c.p.c.

Bibliografia

Carbone, Tuo, Il nuovo spazio giudiziario europeo in materia civile e commerciale. Il regolamento UE n. 1215/2012, Torino, 2016; D'Alessandro, Il titolo esecutivo europeo nel sistema del regolamento 1215/2012, in Besso, Frus, Rampazzi, Ronco, Trasformazioni del processo civile. Dalla l. 69/2009 al d.d.l. delega 10 febbraio 2015, Bologna 2015; Leandro, Prime osservazioni sul regolamento (UE) n. 1215/2012 («Bruxelles I bis»), in Giusto proc. civ., 2013, 2, 585 ss.; Lopes Pegna, Il regime di circolazione delle decisioni nel regolamento (UE) n. 1215/2012 («Bruxelles I-bis»), in Riv. dir. internaz., 2013, 1206 ss.; Malatesta, Nisi, Le novità in materia di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni, in Malatesta (a cura di), La riforma del regolamento Bruxelles I. Il regolamento (UE) n. 1215/2012 sulla giurisdizione e l'efficacia delle decisioni in materia civile e commerciale, Milano, 2016; Salerno, Giurisdizione ed efficacia delle decisioni straniere nel Regolamento (UE) n. 1215/2012 (rifusione), Padova, 2015.

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