Decreto legislativo - 12/01/2019 - n. 14 art. 66 - Procedure familiari

Francesco Bartolini

Procedure familiari

1. I membri della stessa famiglia possono presentare un'unica domanda di accesso ad una delle procedure di cui all'articolo 65, comma 1, quando sono conviventi o quando il sovraindebitamento ha un'origine comune. Quando uno dei debitori non è un consumatore, non si applicano le disposizioni della sezione II del presente capo, ad eccezione dell'articolo 67, comma 5. La domanda di apertura della liquidazione controllata può essere proposta anche se uno o più debitori si trovano nelle condizioni previste dall'articolo 283, se per almeno uno di essi sussistono i presupposti di cui all'articolo 268, comma 3, quarto periodo 1.

2. Ai fini del comma 1, oltre al coniuge, si considerano membri della stessa famiglia i parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo, nonché le parti dell'unione civile e i conviventi di fatto di cui alla legge 20 maggio 2016, n.76.

3. Le masse attive e passive rimangono distinte.

4. Nel caso in cui siano presentate più richieste di risoluzione della crisi da sovraindebitamento riguardanti membri della stessa famiglia, il giudice adotta i necessari provvedimenti per assicurarne il coordinamento. La competenza appartiene al giudice adito per primo.

5. La liquidazione del compenso dovuto all'organismo di composizione della crisi è ripartita tra i membri della famiglia in misura proporzionale all'entità dell'attivo di ciascuno2.

Inquadramento

L'art. 66 del codice della crisi d'impresa ha ripreso il testo dell'art. 7-bis della l. n. 3/2012, che in essa era stato introdotto diverso tempo dopo la sua entrata in vigore, dal d.l. n. 176/2020. Con la modifica si intendeva provvedere ad un aspetto che la normativa aveva lasciato in ombra e la cui rilevanza era emersa con il maturare di esigenze nuove nella disciplina della risoluzione concorsuale degli indebitamenti.

Non sempre il debitore e il consumatore agiscono nell'ambito di rapporti negoziali che creano obbligazioni esclusivamente a loro carico. Spesso quei rapporti coinvolgono terzi a vario titolo, non soltanto quali compartecipi, in situazioni giuridicamente rilevanti che si risolvono in fattispecie di corresponsabilità patrimoniale. Per quanto riguarda l'incapacità di adempiere le obbligazioni assunte questa corresponsabilità può riguardare l'eventuale pluralità di debitori. Le situazioni ipotizzabili sono le più varie. Può farsi riferimento, ad esempio, alle posizioni di coeredi per le passività nella successione mortis causa o ai successori a titolo particolare; all'acquisto di beni da cointestare a coniugi o a soci; alle garanzie offerte per la concessione di mutui; alle attività esercitate nella gestione di imprese familiari. L'esemplificazione potrebbe continuare a lungo (si pensi alle società di fatto, alla rappresentanza sostanziale, alla solidarietà per risarcimento danni): ma non è questo il punto cui deve rivolgere la sua attenzione l'operatore nell'affrontare l'interpretazione della norma in esame.

La disposizione, infatti, non si cura della natura dei rapporti che possono collegare più debitori ma ne considera solo la particolare relazione che sorge dall'appartenere ad un medesimo nucleo familiare. Questa collocazione è evidentemente considerata nel suo effetto di sostanziale condivisione di vicende e di interessi, nella buona come nella cattiva sorte. E prevale, sino a renderle indifferenti, sulle cause dell'indebitamento riferibile a tale nucleo, contestualmente restringendo, anche, il dettato della norma all'unico dato rilevante, costituito dall'appartenenza alla stessa famiglia.

La giurisprudenza di merito aveva anticipato con isolate decisioni i modi di risolvere con procedure unitarie le crisi di indebitamento di coniugi o di genitori e figli. In alcuni casi, altrettanto rari, si era cercato, dagli uffici giudiziari, di far correre singole procedure in modo parallelo attraverso la subordinazione della realizzazione di un piano a quella dell'altro e con analoghi coordinamenti. Le difficoltà che occorreva superare erano costituite: dalla personalità della responsabilità patrimoniale, limitatrice di una trattazione congiunta ma trasferita negli effetti da un soggetto all'altro in un'unica liquidazione unitaria; dalle ipotesi di solidarietà; dalla riferibilità di alcuni debiti soltanto ad alcuni soggetti e non anche agli altri componenti del gruppo; e con l'eventuale vincolo di garanzie sui redditi rilasciate da taluno del gruppo ad un qualche creditore personale.

Il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza ha introdotto (per effetto della modifica sopra accennata) la disciplina di cui all'art. 66 servendosi del modello della normativa dettata per l'insolvenza del gruppo di imprese. Come per questa, la citata disposizione consente la presentazione di un unico progetto di risoluzione della crisi avendo quali soggetti legittimati i membri di una stessa famiglia: i quali agiscono, dunque, come un centro di interessi unitario caratterizzato dalla partecipazione al medesimo nucleo familiare.

Il peculiare riferimento al medesimo nucleo familiare operato dalla precedente disposizione, ora riportata nel testo dell'art. 66, risulta univoco dalle chiare condizioni previste per la sua applicabilità. Due sono le situazioni prese in considerazione: a) la normativa si applica ai membri della stessa famiglia quando sono conviventi, essendo sufficiente la relazione di convivenza a giustificare la comunanza delle regole di rimedio al sovraindebitamento; oppure b) la normativa si applica anche ai membri della stessa famiglia che non sono conviventi quando il sovraindebitamento ha una origine a loro comune. La disciplina di cui all'art. 66 ha per presupposto una situazione di unica crisi o di unica insolvenza; resa particolare in quanto riferita ad una pluralità di soggetti che sarebbero chiamati, in linea di principio, a rispondere in prima persona e per la sola propria parte dei suoi obblighi, ai sensi dell'art. 2740 c.c.

Presupposti soggettivi

Il primo dei due presupposti di applicabilità trova ragione nel fatto che i debiti contratti dai familiari conviventi incidono sulla comune conduzione dei loro rapporti di vita, condivisi sia negli aspetti della normale gestione quotidiana e sia per quanto riguarda le eventuali iniziative comportanti impegni eccedenti l'amministrazione ordinaria. L'altro requisito è in stretto nesso causale con la corresponsabilità che sorge dal riferimento a ciascuno del comune titolo che è fonte delle obbligazioni inadempiute. In entrambi i casi non assume rilievo la causa (accidentale, fortuita o volontaria) dell'indebitamento a fronte degli unici elementi di correlazione tra gli indebitati: al di fuori dei quali non sussiste spazio di interesse per il disposto dell'attuale art. 66, come non lo era prima per l'art. 7-bis l. n. 3/2012.

La norma, infatti, si preoccupa unicamente di fornire un criterio procedurale per le fattispecie di condivisione del sovraindebitamento riguardante plurimi soggetti collegati tra loro da un vincolo che giustifica l'adozione di strumenti idonei a tener conto del loro legame, in nome della coerenza e dell'economicità degli adempimenti da espletare per conseguire l'esdebitazione.

L'esigenza di risparmio di mezzi processuali e di loro coordinamento è resa palese dal disposto dell'ultimo comma della norma citata. Quando uno dei condebitori componenti della medesima famiglia non è un consumatore, si deve far capo alle regole dettate in materia di composizione della crisi e non si applicano le norme relative alla ristrutturazione dei debiti del consumatore. La difforme qualità soggettiva impone anche in questo caso una procedura comune: il testo originario della norma del codice rinviava alle disposizioni della sezione III, concernenti il concordato minore. Questo procedimento non era accessibile al consumatore e dunque esso veniva applicato anche a costui in forza di un collegamento di natura estensiva e di eccezione. Il provvedimento correttivo del codice, d.lgs. n. 136/2024, ha mutato questa disciplina e attualmente esclude le disposizioni di cui alla sezione II (ristrutturazione dei debiti e concordato minore) fatta eccezione per l'art. 67, quinto comma, per il quale è possibile prevedere anche il rimborso, alla scadenza convenuta, delle rate a scadere del contratto di mutuo garantito da ipoteca iscritta sull'abitazione principale del debitore, se lo stesso, alla data di deposito della domanda, ha adempiuto le proprie obbligazioni o se il giudice lo autorizza al pagamento del debito per capitale ed interessi scaduto a tale data. Sulla qualità soggettiva di consumatore prevale, per tal modo, la regola inversa rispetto alla precedente, per la quale quella qualità scompare in forza del maggiore ed esclusivo rilievo assegnato alle procedure aventi per protagonista l'imprenditore: si applicano le norme disciplinatrici del concordato minore. Nella duplicità dei rimedi praticabili ne prevale uno, quello più specializzato, all'insegna, pur sempre, di una considerazione unitaria. La disposizione di cui all'art. 67 è stata salvata per la sua evidente funzione di tutela del soggetto che accede alla prima casa.

In ogni caso, i membri della stessa famiglia, nelle condizioni a) e b) di cui sopra, possono presentare un'unica procedura di composizione della crisi. L'unicità della proposta e del conseguente procedimento è relativa. Le masse attive e passive rimangono distinte e soltanto per quanto concerne gli atti del procedimento ha senso ed effetto questa unitarietà. La distinzione tra le masse comporta che ciascun compartecipe risponde, per quanto è possibile ricostruire, dei debiti che ha contratto o che ha contribuito a contrarre. La responsabilità per l'adempimento delle misure che vengono adottate non è solidale, non fa capo al gruppo, ma resta individuale. Le spese occorrenti a compensare l'organismo di composizione non fanno carico alla procedura ma sono ripartite in proporzione all'entità dell'attivo (prima del citato correttivo: del debito) di ciascuno. Neppure quando plurime sono le richieste di composizione della crisi si deve giungere a ottenere un procedimento veramente unico: il giudice, infatti, deve soltanto provvedere ad un coordinamento e non anche ad una unificazione.

La nozione di «stessa famiglia» va desunta secondo le indicazioni del secondo comma dell'art. 66. Ne sono considerati componenti il coniuge; i parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo grado. L'evoluzione del diritto di famiglia ha fatto aggiungere a questo elenco le parti delle unioni civili e i conviventi di fatto di cui alla l. n. 76/2016. Non occorre omogeneità di posizioni tra costoro, potendo trovarsi accomunati nelle vicende debitorie parenti ed affini, coniugi e prole.

Nel trascrivere l'art. 7-bis nel corpo del Codice il termine «procedura» che si leggeva nel suo primo comma è stato mutato in quello di «progetto»; e il termine «composizione» di cui al primo e al quarto comma è stato sostituito da quello di «risoluzione». La seconda di queste innovazioni trova ragione in una esigenza di conformità con l'intitolazione delle norme sul sovraindebitamento agli strumenti di risoluzione delle crisi. L'altra modifica risulta rivelatrice della considerazione legislativa rivolta all'elemento propositivo di una proposta articolata e organizzata piuttosto che alla struttura procedimentale degli strumenti disciplinati. Ancora una volta la normativa sottolinea l'elemento volontaristico che regge gli istituti regolati dal Codice diversi dalla liquidazione giudiziale. Elemento che si esprime con la presentazione di un programma di composizione dell'inadempimento in ordine al quale, superato il vaglio di ammissibilità giudiziale, si chiede l'accettazione dei creditori.

Il procedimento

I debitori non possono limitarsi a dichiararsi pronti a venire a patti con chi esige da essi l'adempimento di obbligazioni pecuniarie sfuggite di controllo. Nel testo originale del Codice, la dichiarazione di disponibilità doveva assumere forma e contenuto di offerta di una soluzione predisposta, articolata e organizzata, tale da costituire una proposta negoziale: cui era sufficiente l'adesione altrui, tacita, espressa o in forma di votazione, per diventare un contratto. Nel testo modificato dal Correttivo si richiede attualmente una domanda, unica per la famiglia, rivolta a una delle procedure di cui all'art. 65, comma 1. E si è poi specificato che quando uno dei debitori non è un consumatore, non si applicano le disposizioni della sezione II del capo II, ad eccezione dell'articolo 67, comma 5. La domanda di apertura della liquidazione controllata può essere proposta anche se uno o più debitori si trovano nelle condizioni previste dall'articolo 283, se per almeno uno di essi sussistono i presupposti di cui all'articolo 268, comma 3, quarto periodo.

La normativa non indica con precisione quale debba essere l'oggetto della proposta: in proposito è disposto soltanto che essa deve costituire un progetto (unico) di risoluzione della crisi da sovraindebitamento.

Il collegamento con l'art. 65 consente di ritenere che il progetto possa avere natura di domanda di liquidazione controllata (richiamo al titolo V, capo IX); e possa avere altresì natura di istanza di concordato minore (rinvio alla sezione III del Capo II). In questo la normativa del Codice si differenzia da quella della precedente l. n. 3/2012, che faceva riferimento alla sola composizione della crisi.

La presentazione ai creditori ha per oggetto un unico progetto. Esso è espressione della comunanza della ricerca di una soluzione che ponga rimedio all'inadempimento avente centro sul nucleo familiare. Ma il progetto, poi, nella sua attuazione, per certi aspetti deve, e per altri può, tenere conto delle diversità di posizioni. Così, le masse attive e passive rimangono distinte e questo consente di adattare le soluzioni alle responsabilità di ciascuno. La disposizione che prevede l'unicità del progetto costituisce un limite alla libertà dei proponenti ma, nello stesso tempo, li lascia poi liberi di articolarlo e di realizzarlo secondo le convenienze.

Un problema pratico che la norma di cui all'art. 66 ha risolto solo in parte riguarda la possibile pluralità di richieste di risoluzione della crisi da sovraindebitamento riguardanti membri della stessa famiglia. A tanto possono condurre disaccordi tra gli interessati o iniziative scollegate. In ogni caso è demandato al giudice di adottare i necessari provvedimenti per assicurarne il coordinamento.

La disposizione in oggetto indica come competente il giudice adito per primo. La regola sembra pensata per il caso di uffici giudiziari diversi, tra i quali deve prevalere quello davanti al quale il procedimento si è radicato in momento precedente. Quale sia questo momento è, poi, oggetto di interpretazione, anche perché è inevitabile chiedersi se la situazione autorizzi una deroga alla competenza territoriale. Neppure per il caso delle imprese appartenenti al medesimo gruppo è disposta una norma regolatrice della competenza ma è solo specificato che spetta agli organi di gestione di cooperare per facilitare la gestione efficace delle operazioni. La previsione legislativa di competenze di giudici diversi dimostra che il progetto unico in realtà può essere tale nel contenuto ma non anche nella proposizione.

La liquidazione del compenso dovuto all'organismo di composizione della crisi è ripartita tra i membri della famiglia in misura proporzionale all'entità dell'attivoe non più in considerazione dei debiti di ciascuno dei componenti (in questo senso la modifica apportata all'ultimo comma dell'art. 66 dal provvedimento di correzione del codice d.lgs. n. 136/2024).

Bibliografia

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