Codice di Procedura Civile art. 615 - Forma dell'opposizione.Forma dell'opposizione. [I]. Quando si contesta il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata e questa non è ancora iniziata [491], si può proporre opposizione al precetto [480] con citazione davanti al giudice competente per materia o valore [17] e per territorio a norma dell'articolo 27. Il giudice, concorrendo gravi motivi, sospende su istanza di parte l'efficacia esecutiva del titolo. Se il diritto della parte istante è contestato solo parzialmente, il giudice procede alla sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo esclusivamente in relazione alla parte contestata (1). [II]. Quando è iniziata l'esecuzione, l'opposizione di cui al comma precedente e quella che riguarda la pignorabilità dei beni [514, 515, 545] si propongono con ricorso al giudice dell'esecuzione [484] stessa [184 att.]. Questi fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé [185 att.] e il termine perentorio [153] per la notificazione del ricorso e del decreto. Nell'esecuzione per espropriazione l'opposizione e' inammissibile se e' proposta dopo che e' stata disposta la vendita o l'assegnazione a norma degli articoli 530, 552, 569, salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero l'opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile (2). (1) In sede di conversione, l'art. 2 3 lett. e) n. 40 d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, con effetto dalla data indicata sub art. 476, ha aggiunto il periodo «Il giudice, concorrendo gravi motivi, sospende su istanza di parte l'efficacia esecutiva del titolo». L'art. 13 d.l. 27 giugno 2015, n. 83, conv. con modif. in l. 6 agosto 2015, n. 132, ha inserito il periodo: «Se il diritto della parte istante è contestato solo parzialmente, il giudice procede alla sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo esclusivamente in relazione alla parte contestata.», per l'applicazione vedi l'art. 23, comma 9, d.l. n. 83 del 2015. (2) L'articolo 4, comma 1, lettera l) del d.l. 3 maggio 2016, n. 59, conv., con modif., in l. 30 giugno 2016, n. 119, ha aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nell'esecuzione per espropriazione l'opposizione e' inammissibile se e' proposta dopo che e' stata disposta la vendita o l'assegnazione a norma degli articoli 530, 552, 569, salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero l'opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile.». A norma dell'art. 4, comma 3, d.l. n. 59, cit., conv., con modif., in l. 30 giugno 2016, n. 119, le presenti disposizioni «si applicano ai procedimenti di esecuzione forzata per espropriazione iniziati successivamente all'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.». InquadramentoCon l'opposizione all'esecuzione il debitore introduce un'azione di accertamento negativo della pretesa del creditore procedente (o di uno dei creditori intervenuti), contestando l'an dell'esecuzione forzata (Furno, 1942, 140 ss.; Mandrioli, 1980, 439; contra Garbagnati, 1965, 1070; Liebman, 188). I motivi deducibili in sede di opposizione ex art. 615 c.p.c. differiscono a seconda che l'esecuzione si fondi su un titolo giudiziale o stragiudiziale: nel primo caso, infatti, possono farsi valere soltanto fatti sopravvenuti alla formazione del titolo (Cass. n. 3277/2015), attesa la conversione dei vizi della decisione in motivi di gravame ex art. 161 c.p.c. L'opposizione può essere proposta anche prima dell'inizio dell'esecuzione, dopo la notifica del precetto: in tale ipotesi la forma è quella dell'atto di citazione e la competenza deve essere individuata secondo i criteri ordinari. L'opposizione successiva all'inizio dell'esecuzione forzata deve invece essere proposta con ricorso dinanzi al giudice dell'esecuzione. La forma del ricorso non è tassativa, come è stato chiarito, ormai da lungo tempo, dalle Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 10187/1998). La prima fase sommaria dinanzi al giudice dell'esecuzione si svolge nelle forme del procedimento in camera di consiglio ed all'esito della stessa sono assunti i soli provvedimenti sull'istanza di sospensione e sulla competenza. Profili generaliL'esecuzione forzata non è volta all'accertamento dei diritti bensì a darne concreta attuazione, nell'ipotesi di inadempimento dell'obbligo versato nel titolo esecutivo. Peraltro, nel corso dell'esecuzione possono innestarsi incidenti cognitivi correlati all' an dell'esecuzione, ossia alla sussistenza del diritto del creditore a procedere in executivis (opposizione all'esecuzione) ovvero al quomodo della procedura, i.e. alla nullità o irregolarità degli atti compiuti nel processo esecutivo (opposizione agli atti esecutivi). Invero, oggetto dell'opposizione all'esecuzione è, come si evince dalla stessa formulazione della norma in commento, la contestazione del diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata. Nell'opposizione deve ravvisarsi una richiesta di declaratoria di attuale insussistenza, perché originaria o sopravvenuta, di tale diritto (Cass. n. 20989/2012). L'opposizione in esame può essere proposta sia prima dell'inizio dell'esecuzione forzata (ed in tale ipotesi assumerà la forma dell'opposizione c.d. a precetto disciplinata dal comma 1 dell'art. 615), sia dopo l'inizio della procedura che avviene con la notifica del pignoramento. Tradizionalmente non era previsto alcun termine di decadenza per l'esperimento dell'opposizione all'esecuzione, che poteva essere proposta sino alla conclusione della procedura esecutiva (ovvero, fino alla distribuzione del ricavato nell'espropriazione mobiliare presso il debitore e nell'espropriazione immobiliare ed all'emanazione dell'ordinanza di assegnazione nell'espropriazione presso terzi). L'art. 4, comma 1, lett. l), d.l. n. 59/2016, introducendo un nuovo periodo nel comma 2 della norma in esame, ha previsto – nella prospettiva di ridurre la durata delle procedure esecutive immobiliari evitando le opposizioni pretestuose proposte a ridosso delle operazioni di vendita – che l'opposizione all'esecuzione deve essere proposta, a pena di inammissibilità, prima che venga disposta la vendita o l'assegnazione, salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti o l'opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile. La disposizione ha avuto un impatto sistematico molto rilevante e soltanto il consolidarsi prima delle prassi applicative e quindi degli interventi della giurisprudenza di legittimità potranno fornire via via indicazioni puntuali sulla concreta portata della stessa. Nell'ambito dei primi commenti, si è evidenziato che, di regola, ossia a parte le «eccezioni» previste dalla stessa norma, non appare preclusa la possibilità di far valere in sede distributiva alcune questioni che integrano motivi deducibili in sede di opposizione all'esecuzione (v., più ampiamente, infra), pur con la rilevante differenza che ciò comporterà soltanto una tutela restitutoria delle somme, con il bene ormai venduto (Giordano, 2016). Peraltro, nessuna tutela – salvo quanto sarà di seguito evidenziato – vi è per il debitore nella fase che va dall'emanazione dell'ordinanza di vendita sino all'inizio della fase distributiva, periodo che, come noto, può essere anche di durata rilevante. Resta ferma, in ogni caso, la possibilità per il debitore di proporre opposizione all'esecuzione in un momento successivo a quello del provvedimento che dispone la vendita o l'assegnazione per fatti sopravvenuti: ad esempio, l'opposizione può essere proposta sia per far valere un adempimento successivo, sia per l'intervenuta risoluzione in sede cognitiva di una controversia di accertamento negativo della pretesa creditoria spiegata in executivis (che non abbia comportato l'integrale caducazione del titolo). Inoltre, è fatta salva la possibilità per il debitore di proporre l'opposizione all'esecuzione in un momento successivo a quello previsto deducendo di non aver potuto interporre tempestivamente tale rimedio per causa a sé non imputabile, ovvero per le canoniche circostanze esterne costitute dal caso fortuito e dalla forza maggiore. Più in generale, dovrebbe, tenuto conto che il titolo esecutivo è condizione necessaria e sufficiente per dare luogo all'esecuzione forzata e che da sempre è ammessa la rilevabilità d'ufficio da parte del giudice dell'esecuzione della mancanza di titolo esecutivo, che in detta ipotesi – anche a fronte di un'istanza ex art. 486 c.p.c. del debitore esecutato – la procedura potrà arrestarsi a seguito di un rilievo d'ufficio della carenza di titolo da parte del giudice. In tutte le ipotesi, invece, nelle quali i meccanismi in questione non «funzioneranno» è evidente che prevale una scelta del legislatore in favore della pronta liquidazione del bene, sul modello che era proprio – specie prima dell'intervento di C. cost. n. 114/2018 dell'esecuzione esattoriale per crediti tributari – e il debitore esecutato potrà quindi far valere siffatte circostanze con un'autonoma azione di risarcimento dei danni (cfr. Giordano, 2016). Per altro verso, come ha di recente precisato la S.C., Il pagamento spontaneo – eseguito in ottemperanza all'intimazione contenuta nel precetto o allo scopo di evitare l'espropriazione o anche dopo il pignoramento, ma prima della definizione del processo esecutivo con la distribuzione del ricavato dalla vendita dei beni – non osta all'esperimento, da parte del debitore, dell'azione di ripetizione di indebito contro il creditore per ottenere la restituzione di quanto riscosso, in quanto la preclusione all'azione ex art. 2033 c.c. deriva soltanto dalla chiusura della procedura con l'approvazione del progetto di distribuzione, la quale comporta l'intangibilità della concreta ed effettiva attribuzione delle somme ricavate, né assume rilievo, sul piano sostanziale, la possibilità di proporre il rimedio, pur sempre facoltativo, dell'opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c. (Cass. n. 15963/2021). Casistica In alcune ipotesi è di non facile soluzione la questione afferente la distinzione tra opposizione all'esecuzione ed opposizione agli atti esecutivi, come attestato dalle numerose pronunce sul tema, alcune delle quali riportate a titolo esemplificativo. È opportuno premettere che, in generale, il criterio discretivo tra opposizione all'esecuzione ed opposizione agli atti esecutivi risiede in ciò che la prima ha per oggetto la controversia sul diritto della parte istante a promuovere l'esecuzione, sia in via assoluta, negandosi l'esistenza, la validità e la sussistenza del titolo esecutivo, sia in via relativa contestandosi la pignorabilità di determinati beni; laddove invece, oggetto della seconda è la denuncia di regolarità formale del titolo esecutivo, del precetto o di qualsiasi atto del procedimento esecutivo. In tema di qualificazione giuridica dei rimedi oppositivi all'esecuzione forzata, la negazione, da parte dell'intimato, della spettanza di una o più dei crediti indicati nel precetto integra la contestazione, sia pure in ordine al quantum ed in parte qua, del diritto del creditore ad agire in via esecutiva: tale azione, pertanto, può essere qualificata esclusivamente come opposizione all'esecuzione, con conseguente inapplicabilità di termini decadenziali di proposizione (Cass. n. 9698/2011). La contestazione afferente all'inesistenza del credito astrattamente vantato dall'interveniente non è riconducibile nell'ambito delle doglianze formali inerenti al titolo giustificativo del credito e, quindi, non configura un motivo di opposizione agli atti esecutivi, con la conseguenza che non è soggetta al termine di decadenza previsto dall'art. 617 (Cass. n. 10599/2010). In tema di procedimento esecutivo, la contestazione della possibilità per il creditore di iniziare o proseguire l'esecuzione forzata individuale in costanza del fallimento del debitore, ai sensi dell'art. 51 l.fall., attiene al diritto di procedere all'esecuzione forzata (individuale) e non semplicemente alla regolarità di uno o più atti della procedura ovvero alle modalità di esercizio dell'azione esecutiva, sicché va qualificata come opposizione all'esecuzione ex art. 615 e non è assoggettata al regime, anche di decadenza, di cui all'art. 617 (Cass. n. 14449/2016). Il decreto di trasferimento ex art. 586 è atto esecutivo della procedura di espropriazione ma costituisce anche titolo esecutivo per il rilascio, sicché le censure riguardanti non il «modo» in cui si è svolta l'espropriazione (e, quindi, l'idoneità del decreto a determinare il trasferimento in favore dell'aggiudicatario), bensì l'efficacia del decreto come titolo per l'esecuzione ex art. 2930 c.c., costituiscono materia di opposizione a tale (diversa) esecuzione per rilascio, ove si discuta se il decreto di trasferimento abbia i requisiti per valere come provvedimento di questo tipo, ovvero se non sia giuridicamente inesistente, oppure se è proprio l'immobile di cui si chiede il rilascio ad essere stato trasferito con il decreto (Cass. n. 12523/2016). L'opposizione del socio di società di persone illimitatamente responsabile avverso il precetto notificatogli dal creditore sociale sulla base del titolo esecutivo giudiziale formatosi nei confronti della società, con la quale si fa valere la mancata osservanza dell'art. 2304 c.c., si configura come opposizione all'esecuzione, in quanto attiene ad una condizione dell'azione esecutiva nei confronti del socio, e, quindi, al diritto del creditore sociale di agire esecutivamente ai danni di quest'ultimo (Cass. n. 23749/2011). In tema di esecuzione forzata nei confronti di pubbliche amministrazioni, l'art. 14 d.l. n. 669/1996 pone un intervallo tra la notifica del titolo esecutivo e quella del precetto, prima del quale l'esecuzione forzata non può essere intrapresa: ne consegue che la relativa opposizione si traduce in una contestazione del diritto di procedere all'esecuzione forzata e integra un'opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 (Cass. n. 3133/2015). Deve essere qualificata come opposizione all'esecuzione, e non già agli atti esecutivi, quella con cui si contesta il diritto del creditore a procedere in executivis per essere priva di efficacia esecutiva, in quanto redatta su modulo estero e perciò privo di bollo, la cambiale posta a base del precetto e dell'esecuzione mobiliare (Cass. n. 13039/2011). Deve essere qualificata come opposizione all'esecuzione, e non come opposizione agli atti esecutivi, l'opposizione con cui si contesti il diritto del creditore di procedere esecutivamente in base al titolo esecutivo costituito dall'ordinanza di assegnazione ai sensi dell'art. 553, qualora si assuma l'integrale pagamento delle somme oggetto di assegnazione intervenuto dopo la pronuncia dell'ordinanza (Cass. n. 11493/2015). L'impugnazione dell'iscrizione ipotecaria e del fermo di beni mobili registrati non può essere ricondotta nella categoria delle opposizioni ex art. 617 c.p.c., trattandosi di ordinaria azione di accertamento negativo della pretesa dell'esattore di eseguire il fermo o di iscrivere l'ipoteca, sia nel caso in cui l'accertamento si estenda al merito della pretesa creditoria, sia che riguardi l'esistenza del diritto dell'agente di procedere alla iscrizione, sia che si contesti l'iscrizione di fermo o di ipoteca sotto il profilo della regolarità formale dell'atto, con la conseguenza che la sentenza resa all'esito del giudizio è impugnabile con l'appello e non col ricorso per cassazione (Cass. n. 6844/2024). Nell'espropriazione forzata presso terzi, è inquadrabile come opposizione agli atti esecutivi l'opposizione proposta da un comune avverso l'ordinanza di assegnazione del credito, con la quale si deduca l'esistenza di un vincolo d'impignorabilità per la destinazione delle somme a pubbliche finalità; qualora, invece, nel processo esecutivo si ponga la questione se, rispetto alle somme sottoposte a pignoramento da parte del creditore, ricorrano o no le condizioni stabilite dalla legge perché le somme di competenza del comune restino sottratte alla esecuzione ed il giudice dell'esecuzione non abbia, d'ufficio o su istanza di parte, dichiarato nullo il pignoramento, né si sia ancora addivenuti alla chiusura del processo con l'ordinanza di assegnazione, il debitore può proporre l'opposizione all'esecuzione per far valere l'impignorabilità (Trib. Benevento II, n. 1165/2020, in dejure.giuffre.it). Le contestazioni relative alla mancanza di prova della presentazione per l'incasso di un assegno bancario, all'elevazione del protesto, all'inesistenza del credito per intervenuto pagamento e alla legittimità delle somme riportate nell'atto di precetto, vanno eccepite con l'opposizione all'esecuzione e non con quella agli atti esecutivi incidendo in maniera quantitativa sul diritto sostanziale posto a fondamento dell'espropriazione immobiliare (Trib. Salerno 7 maggio 2013). In tema di esecuzione per rilascio di immobile, l'azione proposta dal possessore esecutato, che deduca di esercitare il diritto di ritenzione dell'immobile ai sensi dell'art. 1152 c.c., va qualificato come opposizione all'esecuzione (Cass. n. 12406/2016). Motivi di opposizione all'esecuzione
Difetto originario o sopravvenuto del titolo esecutivo L'art. 474 c.p.c. sancisce il generale principio nulla executio sine titulo: pertanto, il titolo esecutivo è condizione dell'esecuzione che deve sussistere fino alla conclusione della stessa. È quindi consolidato che, in sede di opposizione all'esecuzione, l'accertamento dell'idoneità del titolo a legittimare l'azione esecutiva è preliminare dal punto di vista logico alla decisione sui motivi di opposizione, anche se questi non investono direttamente la questione, e dev'essere compiuto, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello di rinvio (Cass. n. 31955/2018). Tale principio ‒ che sta a fondamento dei poteri-doveri del giudice dell'esecuzione, il quale è tenuto d'ufficio alla verifica di cui sopra all'inizio e per tutto il corso del processo esecutivo ‒ incide anche sui poteri del giudice dell'opposizione alla esecuzione: quando, infatti, è contestato il diritto di procedere a esecuzione il giudice dell'opposizione deve verificare non solo l'esistenza originaria, ma anche la persistenza del titolo esecutivo, perché la sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo determina l'illegittimità, con efficacia ex tunc , della esecuzione, in atto ovvero solo minacciata, sicché la sopravvenuta carenza del titolo esecutivo può essere rilevata d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio di opposizione e anche per la prima volta nel giudizio di cassazione (Cass. n. 13249/2014; conf., tra le tante, App. Reggio Calabria I, n. 832/2020, in dejure.giuffre.it). Dunque, il creditore deve essere munito del titolo sin dall'inizio dell'esecuzione: di conseguenza non assume rilevanza per «salvare» la procedura l'eventuale sopravvenienza del titolo nel corso della stessa (nel senso che non può considerarsi tale, in ogni caso, la correzione dell'errore materiale del titolo posto a fondamento dell'esecuzione v. Cass. n. 17349/2011). La caducazione del titolo prima della conclusione dell'esecuzione forzata ne determina l'inefficacia, con effetti retroattiva e fa quindi venire meno gli atti già compiuti (Cass. n. 15363/2011). È stato precisato, ad esempio, che quando il processo esecutivo sia iniziato o minacciato in forza di sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, la sentenza di riforma resa in grado d'appello si sostituisce sin dalla pubblicazione alla pronuncia riformata, privando quest'ultima della idoneità a legittimare l'instaurazione o la prosecuzione della procedura esecutiva senza che sia necessario attenderne il suo passaggio in giudicato, come conferma la modifica apportata all'art. 336, comma 2, c.p.c. che ha eliminato il collegamento necessario tra l'effetto rescindente della sentenza di riforma e il suo passaggio in giudicato (Cass. n. 13249/2014). La portata del generale principio nulla executio sine titulo deve essere considerata anche alla luce della possibilità che nel corso della procedura esecutiva intervengano creditori muniti di titolo esecutivo. In particolare, si è posta, in anni recenti, la questione se sia configurabile l'insensibilità del processo esecutivo individuale, cui partecipino più creditori concorrenti, alle vicende relative al titolo invocato dal procedente quando il titolo esecutivo azionato da almeno un altro di loro abbia mantenuto integra la sua efficacia (Cass. ord., n. 2240/2013, in Foro it., n. 6, 1951, con nota di Majorano). Sulla richiamata problematica si era infatti formato un contrasto nella giurisprudenza di legittimità. Invero, una parte della giurisprudenza, sull'assunto per il quale i creditori muniti di titolo esecutivo hanno la facoltà di scelta tra l'intervento nel processo già instaurato per iniziativa di altro creditore e l'effettuazione di un nuovo pignoramento del medesimo bene, affermava che il pignoramento autonomamente eseguito avesse un effetto indipendente sia da quello che lo ha preceduto, sia da quello di un intervento nel processo iniziato con il primo pignoramento, riteneva che, in base al principio di autonomia dei singoli pignoramenti di cui all'art. 493, se, da un lato, il titolo esecutivo consente all'intervenuto di sopperire anche all'eventuale inerzia del creditore procedente, dall'altro lato, tuttavia, la caducazione del pignoramento iniziale del creditore procedente travolge ogni intervento, titolato o meno, qualora non sia stato «integrato» da pignoramenti successivi (Cass. n. 3531/2009, in Giust. civ., 2010, n. 9, 2033, con nota di Farina). Nella giurisprudenza tradizionale della medesima S.C. si riteneva, invece, che, dovendosi attribuire rilevanza meramente oggettiva alle attività spiegate per l'impulso e lo sviluppo del processo esecutivo (con totale indifferenza, dunque, rispetto a quale dei creditori muniti di titolo esecutivo le abbia poste in essere), il processo esecutivo individuale, cui partecipino più creditori concorrenti, sarebbe insensibile alle vicende relative al titolo invocato dal procedente (anche in mancanza di pignoramento successivo o ulteriore poi riunito), purché il titolo esecutivo azionato da almeno un altro di loro abbia mantenuto integra la sua efficacia (Cass. n. 427/1978). Il contrasto è stato risolto dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione in quest'ultimo senso, mediante l'affermazione del principio in omaggio al quale la regola secondo cui il titolo esecutivo deve esistere dall'inizio alla fine della procedura va intesa nel senso che essa presuppone non necessariamente la continuativa sopravvivenza del titolo del creditore procedente, bensì la costante presenza di almeno un valido titolo esecutivo, sia pure dell'interventore, che giustifichi la perdurante efficacia dell'originario pignoramento. Consegue ad un'impostazione siffatta che, nell'ipotesi in cui, dopo l'intervento di un creditore munito di titolo, sopravviene la caducazione del titolo esecutivo comportante l'illegittimità dell'azione esecutiva intrapresa dal creditore procedente, il pignoramento, se originariamente valido, non è caducato, bensì resta quale primo atto dell'iter espropriativo riferibile anche al creditore titolato intervenuto, che anteriormente ne era partecipe accanto al creditore pignorante (Cass. S.U., n. 61/2014). Sotto altro profilo, il titolo esecutivo deve avere ad oggetto un diritto certo, liquido ed esigibile, come stabilito dall'art. 474 c.p.c. Tradizionalmente discussa è, a quest'ultimo riguardo, la problematica afferente la liquidità, i.e. la quantificazione, in misura determinata, nel titolo del diritto del creditore. La portata di tale requisito era stata già temperata anni addietro dalla giurisprudenza di legittimità che aveva riconosciuto lo stesso integrato anche nell'ipotesi in cui l'entità della somma dovuta fosse determinabile attraverso un mero calcolo aritmetico compiuto sulla scorta dei dati risultanti dal titolo, i.e. dal dispositivo integrato dalla motivazione (v., tra le altre, Cass. n. 17537/2014). Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno in seguito ulteriormente attenuato la portata del requisito in esame, sancendo che il giudice dell'esecuzione, nel caso di incertezze derivanti dal dispositivo e dalla motivazione circa l'esatta estensione dell'obbligo configurato nella sentenza, può procedere all'integrazione extratestuale, a condizione che i dati di riferimento siano stati acquisiti al processo in cui il titolo giudiziale si è formato (Cass. S.U., n. 11066/2012, in Foro it., 2013, n. 4, 1282, con nota di Fabiani; in Riv. it. dir. lav., 2013, n. 1, 143, con nota di Cattani). Peraltro, resta fermo che un titolo esecutivo giudiziale che, nel dispositivo, si limiti a condannare al pagamento di accessori «dal dì del dovuto», senza altra specificazione e senza espressa o implicita menzione di tale decorrenza nel corpo della motivazione, in quanto tautologico ed irrimediabilmente illegittimo per indeterminabilità dell'oggetto, viene meno alla sua funzione di identificazione compiuta e fruibile – cioè specifica e determinata, ovvero almeno idoneamente determinabile – dell'esatta ragione del beneficiario della condanna e dell'oggetto di questa (Cass. n. 8576/2013, in Foro it., 2014, n. 3, 916, con nota di Brunialti). Carenza di legittimazione attiva e passiva Mediante l'opposizione all'esecuzione può essere contestato il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata perché, ad esempio, non coincidente con il soggetto indicato nel titolo esecutivo ovvero per circostanze sopravvenute per le quali ha perso la titolarità del diritto. È stato ad esempio chiarito, a riguardo, che qualora il credito oggetto di esecuzione forzata sia stato ceduto nel corso del processo esecutivo, si verifica la successione a titolo particolare nel diritto del creditore procedente, la quale non ha effetto sul rapporto processuale che, in virtù del principio stabilito dall'art. 111 c.p.c., continua tra le parti originarie: ne consegue che, ove il debitore esecutato abbia proposto opposizione all'esecuzione lamentando il difetto di legittimazione attiva del creditore procedente, ciò non si traduce nell'improcedibilità del processo esecutivo già iniziato, né preclude al cessionario la facoltà di intervenire nel processo medesimo (Cass. n. 1552/2011). Per altro verso, con l'opposizione all'esecuzione il debitore può dedurre la propria carenza di legittimazione passiva. Ciò si verifica di frequente laddove vi sia stata una successione a titolo universale o particolareex art. 477 c.p.c.: la S.C., a riguardo, ha tra l'altro precisato che ove il titolo esecutivo, di formazione giudiziale, sia stato emesso nei confronti di soggetto diverso da colui che è intimato, e non sia in contestazione siffatta diversità, spetta all'opposto, creditore procedente, allegare e dimostrare che si verte in un'ipotesi di estensione dell'efficacia soggettiva del titolo esecutivo in quanto l'esecuzione è stata intrapresa nei confronti di colui che è succeduto nella situazione sostanziale ex latere debitoris, per essersi verificato, prima della formazione del titolo giudiziale, uno dei fatti presupposti dall'art. 111 c.p.c. ovvero, dopo la formazione del titolo stesso, dall'art. 477 (Cass. n. 12286/2014). Occorre ricordare, in proposito, che è ormai consolidato in giurisprudenza il principio per il quale il titolo pronunciato nei confronti di una società di persone estende i suoi effetti anche contro i soci illimitatamente responsabili, derivando dall'esistenza dell'obbligazione sociale necessariamente la responsabilità dei singoli soci e, quindi, ricorrendo una situazione non diversa da quella che, ai sensi dell'art. 477 c.p.c., consente di porre in esecuzione il titolo in confronto di soggetti diversi dalla persona contro cui è stato formato (Cass. n. 6734/2011; conforme Trib. Bari 10 maggio 2012, in Giur. mer., 2013, n. 2, 348, con note di Striano e Briolini). Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno inoltre chiarito che, qualora una società in accomandita semplice si estingua per cancellazione dal registro delle imprese dopo la formazione di un titolo esecutivo nei suoi confronti, il titolo ha efficacia contro i soci accomandanti, ex art. 477, nei confronti dei quali, pertanto, l'azione esecutiva potrà essere intrapresa dal creditore sociale nei limiti della quota di liquidazione (Cass. S.U., n. 6070/2013; sulla possibilità per il socio di far valere il beneficium excussionis cfr. Trib. Torino 21 maggio 2014). Impignorabilità Il comma 2 della disposizione in esame annovera nella rubrica «opposizione all'esecuzione» anche l'opposizione mediante la quale venga dedotta l'impignorabilità dei beni che afferisce, invero, al diritto a procedere ad esecuzione su determinati beni (Cass. n. 15198/2000). Tuttavia, secondo una parte della dottrina non costituirebbe opposizione all'esecuzione bensì opposizione agli atti esecutivi quella che investe la pignorabilità cosiddetta relativa, che costituirebbe una particolare disciplina del pignoramento, andando ad incidere soltanto sulla validità del procedimento (Tarzia, 315; Bucolo, 1972, 664 ss.). Un'indicazione in tal senso potrebbe individuarsi, oggi, nell'art. 545, ultimo comma, c.p.c. come novellato dal d.l. n. 83/2015, per il quale in detta ipotesi il pignoramento è solo «parzialmente inefficace» (v. commento sub art. 545). Andando ad affrontare questioni di carattere più pratico, è consolidato in sede di legittimità l'orientamento per il quale nell'espropriazione di crediti, il terzo debitore del debitore esecutato non è legittimato a far valere l'impignorabilità del bene, attenendo tale questione al rapporto tra creditore esecutante e debitore esecutato, il quale ultimo soltanto si può avvalere degli appositi rimedi oppositivi previsti dalla legge (Cass. n. 3790/2014). L'onere di dimostrare la ricorrenza di una causa di impignorabilità grava sul debitore esecutato che la fa valere (v., ex multis, Cass. n. 15886/2014). Nella recente elaborazione giurisprudenziale, la S.C. ha rimarcato, tra l'altro, che il debitore il quale contesti il diritto del creditore di agire esecutivamente sui beni costituiti in fondo patrimoniale deve dimostrare, anche a mezzo di presunzioni semplici, che il medesimo creditore era consapevole, al momento del perfezionamento dell'atto dal quale deriva l'obbligazione, che questa era contratta per scopi estranei ai bisogni della famiglia ancorché intesi in senso lato ovvero volti non soltanto al soddisfacimento delle necessità cd. essenziali o indispensabili della famiglia ma anche ad esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della medesima, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa ed al miglioramento del suo benessere economico, restando escluse ragioni voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi. Invero, se in relazione ai debiti assunti nell'esercizio dell'attività d'impresa o a quella professionale, essi non assolvono di norma a tali bisogni, ma può essere fornita la prova che siano eccezionalmente destinati a soddisfarli in via diretta ed immediata, avuto riguardo alle specificità del caso concreto (Cass. n. 2904/2021). Motivi proponibili se l'esecuzione è fondata su un titolo giudizialeCon l'opposizione all'esecuzione può, inoltre, essere contestato il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata sotto il profilo dell'an e del quantum debeatur (Trib. Torre Annunziata n. 919/2013). Peraltro, in tale ipotesi, occorre distinguere, quanto al novero dei motivi deducibili in sede di opposizione all'esecuzione, tra titoli esecutivi giudiziali e stragiudiziali. Infatti, per le sentenze e per i provvedimenti emanati dall'autorità giudiziaria opera il principio di conversione dei vizi di nullità in motivi di gravame sancito dall'art. 161 c.p.c.: in altri termini, il vizio non potrà essere contestato in sede di opposizione all'esecuzione ma soltanto mediante impugnazione. Tale regola è derogata, dal comma 2 dell'art. 161 c.p.c., nella sola ipotesi della sentenza c.d. inesistente, in quanto priva della sottoscrizione del giudice. Nel giudizio di opposizione all'esecuzione promossa in base a un titolo esecutivo di formazione giudiziale, le ragioni di ingiustizia della decisione possono essere fatte valere, ove ancora possibile, solo nel processo in cui il titolo è stato emesso, in quanto la contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata può essere fondata su vizi di formazione del provvedimento solo quando questi ne determinino l'inesistenza giuridica, atteso che gli altri vizi e cognizione di ogni questione di merito al giudice naturale della causa in cui la controversia tra le parti ha avuto (o sta avendo) pieno sviluppo ed è stata (od è tuttora) in esame, anche in sede di impugnazione (Cass. n. 3277/2015; conf., ex multis, Trib. Benevento I, n. 8/2021). La S.C. ha chiarito, poi, che nell'opposizione all'esecuzione promossa in base a un titolo esecutivo di formazione giudiziale, poi corretto ai sensi dell'art. 288 c.p.c., è inammissibile la contestazione riguardante la regolarità del procedimento di correzione, la quale va proposta, qualora ne sussistano i presupposti, coi mezzi di impugnazione avverso il titolo emendato a norma dell'art. 288, comma 4, c.p.c. (Cass. n. 29468/2020). Rispetto alle deduzioni, invece ammissibili, che possono riguardare l'interpretazione del titolo esecutivo, è stato precisato che l'interpretazione del titolo esecutivo consistente in una sentenza passata in giudicato compiuta dal giudice dell'opposizione a precetto o all'esecuzione si risolve nell'apprezzamento di un «fatto», come tale incensurabile in sede di legittimità se esente da vizi logici o giuridici, senza che possa diversamente opinarsi alla luce dei poteri di rilievo officioso e di diretta interpretazione del giudicato esterno da parte del giudice di legittimità, atteso che, in sede di esecuzione, la sentenza passata in giudicato, pur ponendosi come «giudicato esterno» (in quanto decisione assunta fuori dal processo esecutivo), non opera come decisione della controversia, bensì come titolo esecutivo e, pertanto, al pari degli altri titoli esecutivi, non va intesa come momento terminale della funzione cognitiva del giudice, bensì come presupposto fattuale dell'esecuzione, ossia come condizione necessaria e sufficiente per procedere ad essa (Cass. n. 15538/2018). La violazione di tale regola da parte dell'opponente costituisce infatti causa di inammissibilità, e non di infondatezza, dell'opposizione, e come tale è rilevabile d'ufficio dal giudice anche in grado d'appello (Cass. n. 26948/2014). Anche la compensazione, quale fatto estintivo dell'obbligazione, può essere dedotta come motivo di opposizione all'esecuzione forzata fondata su titolo esecutivo giudiziale coperto dalla cosa giudicata qualora il credito fatto valere in compensazione, rispetto a quello per cui si procede, sia sorto successivamente alla formazione di quel titolo mentre in caso contrario resta preclusa dalla cosa giudicata che impedisce la proposizione di fatti estintivi o impeditivi ad essa contrari (Trib. Milano III, n. 2920/2013). Tuttavia, se un'espropriazione forzata è promossa per il soddisfacimento di un credito per spese giudiziali liquidate nella sentenza costituente titolo esecutivo, il debitore può, in sede di opposizione all'esecuzione, eccepire in compensazione un proprio credito, anche se sorto anteriormente alla formazione del giudicato, in quanto il credito relativo alle spese giudiziali non viene accertato in esito a un giudizio in cui la parte avrebbe potuto far valere la compensazione, ma deriva, come conseguenza automatica, dalla mera soccombenza (Cass. n. 7864/2011). Per converso possono essere fatti valere con l'opposizione all'esecuzione fondata su un titolo esecutivo giudiziale i vizi che non soggiacciono alla regola di cui all'art. 161 c.p.c. di conversione della nullità in motivi di gravame (Vaccarella, 2). Può pertanto essere denunciata mediante opposizione all'esecuzione, oltre che l'inesistenza della sentenza, l'inidoneità della stessa a fungere da titolo esecutivo, per l'assenza di carattere condannatorio, ovvero per essere la condanna solo generica (Cass. n. 4723/1977), o emessa nei confronti di un soggetto deceduto (Cass. n. 11153/2002). Sotto altro profilo, anche se l'esecuzione si basa su un titolo giudiziale, l'opponente può far valere tutti i fatti successivi alla formazione dello stesso, come, ad esempio, il pagamento della somma richiesta in sede esecutiva o la stipula di una transazione novativa con il creditore (cfr. Cass. n. 11493/2015, la quale in tale prospettiva ha affermato che, poiché l'ordinanza di assegnazione resa dal giudice dell'esecuzione all'esito di un procedimento di pignoramento presso terzi, anche se non idonea al giudicato costituisce titolo esecutivo di formazione giudiziale che, munito di formula esecutiva, può essere a sua volta portato in esecuzione dal creditore assegnatario nei confronti del terzo pignorato, sicché legittimamente quest'ultimo si avvale dell'opposizione all'esecuzione ove intenda opporre al creditore assegnatario fatti estintivi o impeditivi della sua pretesa sopravvenuti alla pronuncia del titolo esecutivo ovvero per contestare la pretesa azionata con il precetto). È peraltro controversa l'individuazione dell'ultimo momento utile per far valere tali fatti in sede cognitiva, momento dopo il quale gli stessi potrebbero farsi valere con l'opposizione all'esecuzione. In particolare, per alcuni dovrebbe aversi riguardo alla deduzione dei fatti nel giudizio di primo grado, dopo il quale gli stessi potrebbero essere veicolati in sede di opposizione ex art. 615 c.p.c. (Bucolo, 1 ss.). Per altri, invece, i fatti in questione dovrebbero essere dedotti comunque in sede di impugnazione e, quindi, solo quelli successivi anche al passaggio in giudicato della decisione potrebbero essere fatti valere con l'opposizione all'esecuzione (Vaccarella 1990, 7). In giurisprudenza appare peraltro prevalente la tesi che ammette la deducibilità del fatto sopravvenuto nel momento nel quale lo stesso poteva essere fatto valere nel giudizio di primo grado, sia in sede di impugnazione che in sede di opposizione ex art. 615 (Cass. n. 3007/1992; Cass. n. 4617/1987). Ampia e variegata è la casistica relativa ai motivi di contestazione del debitore con l'opposizione in esame, rispetto alla quale possono di qui richiamarsi alcuni esempi particolarmente rappresentativi. Nel giudizio di opposizione all'esecuzione promossa in forza di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, il debitore esecutato non può contestare la correttezza o meno del titolo giudiziale negando il fondamento del diritto fatto valere nei suoi confronti per ragioni processuali o di merito che avrebbe dovuto far valere tempestivamente nel giudizio a opposizione a decreto ingiuntivo (Trib. Monza II, 27 novembre 2013). Con l'opposizione al precetto relativo a crediti maturati per il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento, determinato a favore del figlio in sede di separazione, possono essere dedotte soltanto questioni relative alla validità ed efficacia del titolo e non anche fatti sopravvenuti, da farsi valere col procedimento di modifica delle condizioni della separazione di cui all'art. 710 c.p.c. (Cass. n. 20303/2014). Il potere decisorio del giudice dell'opposizione al precetto, in sede di attuazione coattiva di statuizioni di contenuto non economico involgenti la prole minorenne, contenute nella sentenza definitiva di divorzio, è limitato all'accertamento negativo della sussistenza del diritto del precettante di procedere all'esecuzione forzata rispetto al momento in cui essa è iniziata, senza poteri di incisione o modifica sull'azionato titolo e senza che possano essere valutate circostanze di fatto sopravvenute a detto momento, che, peraltro, se impedienti il risultato prescritto dal titolo esecutivo giudiziale, quand'anche nel superiore interesse del minore, andranno verificate non in sede di opposizione al precetto ma dal giudice dell'esecuzione, cui è devoluto anche il compito di stabilire le modalità attuative del titolo in questione (Cass. n. 19344/2013). In tema di opposizione a cartelle di pagamento per spese di giustizia, cui siano sottesi provvedimenti adottati dal giudice penale, la contestazione con cui l'opponente lamenti l'indeterminatezza della pretesa erariale per mancanza di corrispondenza tra le spese indicate in cartella e quelle liquidate nel processo penale (come nel caso di fatture emesse dai consulenti, o quelle liquidate dal P.M.), costituisce opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., riservata alla cognizione del giudice civile, trattandosi di questione logicamente precedente rispetto a quella concernente la definizione del perimetro di applicabilità della condanna (anche circa la riferibilità della pretesa ad uno o più specifici reati per i quali l'opponente ha riportato la condanna stessa), invece devoluta alla cognizione del giudice dell'esecuzione penale (Cass. n. 23297/2022). Nell'opposizione all'esecuzione, promossa sulla base di una condanna penale al pagamento di una provvisionale, non è consentito contestare il diritto di agire in executivis deducendo l'assenza del nesso di causalità tra il fatto dannoso ed il pregiudizio lamentato dalla parte civile, perché l'instabilità della provvisionale – provvedimento inidoneo al giudicato, in quanto caratterizzato da una diuturna ed indefinita provvisorietà, e quindi suscettibile di essere rimesso in discussione sine tempore (e anche travolto) in un ordinario giudizio civile - non investe ogni possibile aspetto del rapporto risarcitorio, posto che detta condanna è invece munita di una circoscritta efficacia preclusiva nel giudizio civile avente ad oggetto il danno derivante dal reato (Cass. n. 6895/2024 la quale ha confermato la sentenza di merito di rigetto dell'opposizione a precetto proposta dall'intimato, riconosciuto penalmente responsabile del reato di bancarotta colposa semplice e condannato al pagamento di una provvisionale nei confronti di tutti gli obbligazionisti costituitisi parte civile, con cui si deduceva l'inesistenza del credito risarcitorio degli intimanti obbligazionisti di società del gruppo diverse da quella di cui aveva causato il dissesto e di quelli divenuti obbligazionisti in data successiva a quella in cui aveva cessato la carica di consigliere di amministrazione). Nella controversia con cui il debitore contesti l'esecuzione esattoriale, in suo danno minacciata o posta in essere, non integra ragione di esclusione della condanna alle spese di lite nei confronti dell'agente della riscossione, né – di per sé sola considerata – di loro compensazione, la circostanza che l'illegittimità dell'azione esecutiva sia da ascrivere al creditore interessato, restando peraltro ferme, da un lato, la facoltà dell'agente della riscossione di chiedere all'ente impositore la manleva dall'eventuale condanna alle spese in favore del debitore vittorioso e, dall'altro, la possibilità, per il giudice, di condannare al loro pagamento il solo ente creditore interessato o impositore, quando questo è presente in giudizio, compensandole nei rapporti tra il debitore vittorioso e l'agente della riscossione, purché sussistano i presupposti di cui all'art. 92 c.p.c., diversi ed ulteriori rispetto alla sola circostanza che l'opposizione sia stata accolta per ragioni riferibili all'ente creditore (Cass. n. 15390/2018). La condanna passata in giudicato del condividente ereditario al rilascio del bene goduto a favore di altro erede, assegnatario del cespite, preclude al primo di far valere, in sede di opposizione all'esecuzione avviata dal secondo, l'esistenza di un titolo autonomo di godimento iure locationis sul bene, trattandosi di questione allegabile solo nell'ambito del giudizio divisionale (Cass. n. 10850/2014). Nell'ipotesi di esecuzione forzata intrapresa in forza di un decreto ingiuntivo, occorre distinguere tra la fattispecie di deduzione dell'inesistenza della notificazione del titolo, che si verifica ogniqualvolta essa viene effettuata in luogo o a mano di persona privi di ogni tipo di relazione con l'ingiunto, e che comporterebbe senz'altro la necessità del ricorso al rimedio dell'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., e quella invece in cui se ne deduca la nullità, per la quale è esperibile soltanto il rimedio dell'opposizione tardiva ai sensi dell'art. 650 c.p.c., entro il termine di cui al comma 3 (v., tra le altre, Cass. n. 1219/2014; Trib. Grosseto n. 802/2020, in dejure.giuffre.it; Trib. Torre Annunziata n. 1671/2014). Mediante una recente decisione, le Sezioni Unite, risolvendo il pregresso contrasto di giurisprudenza, hanno sancito che l'opposizione alla cartella di pagamento, emessa ai fini della riscossione di una sanzione amministrativa pecuniaria, comminata per violazione del codice della strada, ove la parte deduca che essa costituisce il primo atto con il quale è venuta a conoscenza della sanzione irrogata, in ragione della nullità o dell'omissione della notificazione del processo verbale di accertamento della violazione, deve essere proposta ai sensi dell'art. 7 d.lgs. n. 150/2011, e non nelle forme dell'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., e, pertanto, entro trenta giorni dalla notificazione della cartella (Cass. S.U. , n. 22080/2017). Le Sezioni Unite si sono quindi conformate all'indirizzo interpretativo già consolidato all'interno della terza sezione civile, per il quale nell'ipotesi di notifica della cartella di pagamento per la riscossione di sanzioni amministrative, quando il destinatario non abbia avuto conoscenza del procedimento di formazione del titolo in ragione di un correlativo vizio, e di conseguenza non abbia potuto reagire contro il verbale di accertamento o contro l'ordinanza-ingiunzione, per la contestazione degli atti presupposti deve proporre opposizione a norma dell'art. 22 l. n. 689/1981, quale rimedio tipico, e non l'opposizione all'esecuzione (v., tra le altre, Cass. n. 16282/2016; Cass. n. 1985/2014). In senso diverso, era stato affermato che l'opposizione a cartella esattoriale diretta a far valere la tardività della notifica del verbale di contestazione di sanzione amministrativa non ha funzione recuperatoria del mezzo di tutela ma di opposizione all'esecuzione volta a contrastare la legittimità dell'iscrizione a ruolo, sicché il giudice territorialmente competente va individuato ai sensi degli artt. 27 e 480 c.p.c. (cfr. Cass. n. 19579/2015). Motivi proponibili se l'opposizione è fondata su titolo stragiudizialeMentre con l'opposizione all'esecuzione forzata fondata su un titolo esecutivo giurisdizionale possono farsi valere soltanto i fatti posteriori alla formazione del provvedimento costituente titolo esecutivo, non essendo ammissibile un controllo a ritroso della legittimità e della fondatezza del provvedimento stesso fuori dell'impugnazione tipica e del procedimento che ad essa consegue, la medesima esigenza, invece, non si riscontra allorché l'esecuzione forzata sia basata su un titolo di natura contrattuale (Vaccarella 1993, 186). Pertanto, nell'ipotesi in cui l'esecuzione si fondi su un titolo stragiudiziale, il debitore può contrastare la pretesa esecutiva del creditore con la stessa pienezza dei mezzi di difesa consentita nei confronti di una domanda di condanna o di accertamento del debito, e il giudice dell'opposizione può rilevare d'ufficio non solo l'inesistenza, ma anche la nullità del titolo esecutivo nel suo complesso o in singole sue parti, non vigendo in materia il principio processuale della conversione dei vizi della sentenza in mezzi di impugnazione (Cass. n. 2123/2011). Da ultimo cfr. Cass. n. 27381/2022, per la quale, in caso di opposizione a precetto fondato su assegno bancario, l'autenticità della relativa sottoscrizione può essere contestata mediante il disconoscimentoexart. 214 c.p.c. (con conseguente onere del creditore opposto che intenda valersi del titolo esecutivo stragiudiziale di chiederne la verificazione ai sensi dell'art. 216 c.p.c.), senza che ciò sovverta le regole sull'onere probatorio applicabili a tale giudizio, trattandosi dell'ordinario strumento processuale idoneo a contrastare l'apparenza dell'esecutività del titolo, fondata sulla genuinità della detta sottoscrizione, contestata dal suo supposto autore. Gli strumenti di tutela del consumatore a fronte dell'esecuzione fondata su decreto ingiuntivo La richiamata distinzione tra titolo esecutivo giudiziale e titolo esecutivo stragiudiziale rispetto alla «forza» del titolo nel corso della procedura esecutiva è stata di recente posta in crisi dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea a tutela del consumatore, cui si sono conformate, con un peculiare indirizzo interpretativo, le Sezioni Unite della Corte di cassazione con riferimento ai decreti ingiuntivi pronunciati nei confronti di consumatori senza che il giudice del procedimento monitorio avesse considerato le clausole abusive nell'ambito dei contratti con gli stessi. In particolare, la Corte di giustizia dell'Unione europea, Grande Sezione, 17 maggio 2022, cause riunite C 639/19, SPV Project 1503, e C-831/19, Banco di Desio e della Brianza e ha sancito il principio per cui «l'art. 6, paragrafo 1, e l'art. 7, paragrafo 1, della dir. n. 93/13 devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell'esecuzione non possa – per il motivo che l'autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità – successivamente controllare l'eventuale carattere abusivo di tali clausole. La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come «consumatore» ai sensi di tale direttiva è irrilevante a tale riguardo». Sono dunque intervenute le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sent. n. 9479/2023, sancendo che ai fini del rispetto del principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti riconosciuti al consumatore dalla dir. n. 93/13/CEE, concernente le clausole abusive dei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore, e dalle sentenze della CGUE del 17 maggio 2022, il giudice del procedimento monitorio, nella fase inaudita altera parte, deve esaminare d'ufficio l'eventuale carattere abusivo delle clausole rilevanti rispetto all'oggetto della domanda – esercitando, a tal fine, i poteri istruttori di cui all'art. 640 c.p.c. (richiedendo la produzione di documenti o i chiarimenti necessari, anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore) – e motivare sinteticamente l'esito negativo di tale controllo nel decreto ingiuntivo, nonché, con lo stesso provvedimento, avvertire il debitore che, in assenza di opposizione, decadrà dalla possibilità di far valere l'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e che il decreto non opposto diventerà irrevocabile; lo stesso giudice deve, invece, rigettare, in tutto o in parte, il ricorso, salva la riproponibilità della domanda, se il predetto controllo abbia esito positivo oppure se l'accertamento della vessatorietà imponga un'istruzione probatoria (quale quella tramite l'assunzione di testimonianze o l'espletamento di c.t.u.) incompatibile col procedimento monitorio. Diversamente, nel caso in cui il decreto ingiuntivo non opposto, su cui sia fondata l'esecuzione o l'intervento del creditore, non sia motivato in ordine al carattere non abusivo delle clausole del contratto fonte del credito oggetto d'ingiunzione, il giudice dell'esecuzione ha il dovere di controllare d'ufficio l'eventuale carattere abusivo delle clausole che incidono sulla sussistenza o sull'entità del credito azionato, nel contraddittorio e previa instaurazione di una sommaria istruttoria, a prescindere dalla proposizione di un'opposizione esecutiva (potendo, ove non adito prima dalle parti, dare atto, nel provvedimento di fissazione dell'udienza, della mancanza di motivazione del decreto ingiuntivo e invitare il creditore, procedente o intervenuto, a produrre il contratto); il giudice dell'esecuzione è altresì tenuto a informare le parti dell'esito del controllo svolto – avvertendo il consumatore che entro quaranta giorni da tale informazione ha facoltà di proporre opposizione al decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 650 c.p.c., esclusivamente per far accertare il carattere abusivo delle clausole incidenti sul credito oggetto di ingiunzione – e a soprassedere alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito fino alla vana scadenza del predetto termine o alle determinazioni del giudice dell'opposizione sull'istanza ex art. 649 c.p.c.. Strumenti di tutela del terzo detentore nell'esecuzione per rilascioUlteriori e distinte considerazioni devono essere effettuate con riguardo all'ipotesi nella quale venga posto in esecuzione un titolo esecutivo per rilascio (Luiso, 1 ss.). La questione deve essere considerata sotto due distinti profili. Innanzitutto, si deve stabilire se nell'ipotesi in cui in sede di accesso nell'immobile oggetto del procedimento l'ufficiale giudiziario riscontri che lo stesso è occupato da un soggetto diverso da quello portato dal titolo esecutivo l'esecuzione possa proseguire ed, in secondo luogo, in caso di risposta affermativa a tale quesito, quali siano i rimedi a disposizione del terzo. La dottrina è divisa quanto alla possibilità che il titolo esecutivo spieghi efficacia erga omnes. Invero, se alcuni Autori non esitano a riconoscere tale valenza ai titoli esecutivi di rilascio (cfr. Punzi, 119), la stessa è negata da altri, i quali ritengono, in una prospettiva maggiormente fedele al principio per il quale il giudicato ha valore esclusivamente tra le parti, gli eredi ed aventi causa, che il creditore debba in ogni caso munirsi di un titolo esecutivo direttamente nei confronti del possessore o detentore dell'immobile (Luiso, 103 ss.; Denti, 151). La giurisprudenza prevalente ritiene, peraltro, accedendo alla prima impostazione interpretativa, che il titolo esecutivo per il rilascio contiene un ordine che spiega efficacia non soltanto nei confronti del destinatario della relativa statuizione ma anche di chiunque si trovi a detenere il bene al momento dell'esecuzione forzata (Cass. n. 3183/2003; con riferimento al decreto di approvazione dell'attribuzione di quote nelle operazioni di divisione, v. Cass. n. 13316/2015). Sotto il secondo profilo non è pacifico, una volta che si ammetta che il titolo esecutivo per rilascio possa produrre i propri effetti anche nei confronti di un soggetto diverso da quello cui è riferito l'obbligo portato dal titolo, quali siano i rimedi a disposizione del terzo. Secondo l'orientamento dominante in giurisprudenza il terzo detentore dell'immobile per il quale il locatore ha ottenuto, nei confronti del conduttore, una sentenza di condanna al rilascio, può opporsi o all'esecuzione, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., se sostiene di detenere l'immobile in virtù di un titolo autonomo e perciò non pregiudicato da detta sentenza; o ai sensi dell'art. 404, comma 2, c.p.c., se invece sostiene la derivazione del suo titolo da quello del conduttore, ed esser la sentenza frutto di collusione tra questi e il locatore, in suo danno (cfr. Cass. n. 2855/2015; Cass. n. 9964/2006; Cass. n. 15083/2000; circa la possibilità per il terzo detentore di proporre opposizione all'esecuzione ex art. 615 sulla base di un titolo autonomo e prevalente rispetto a quello fatto valere dall'esecutante v. anche Cass. n. 9024/2005, la quale ha anche ritenuto per questo irrilevante la notifica al terzo detentore del titolo di sfratto; Cass. n. 2279/2005, in Giur. it., 2006, 1002, con nota di Metafora; Cass. n. 13664/2003, anche espressamente nel senso dell'inammissibilità dell'opposizione di terzo ex art. 619 nell'esecuzione forzata diretta; in senso conforme, in sede applicativa, di recente, App. L'Aquila n. 916/2020, in dejure.giuffre.it). Minoritaria è, invece, almeno in giurisprudenza la tesi per la quale il terzo detentore potrebbe proporre in ogni caso opposizione di terzo ex art. 404, comma 1, ovvero un'autonoma azione di accertamento del proprio diritto (Cass. n. 3183/2003). Questa tesi è stata proposta dalla dottrina più autorevole per la quale, dato che i terzi non assumono la posizione di esecutati, gli stessi non potrebbero esperire le opposizioni esecutive ma soltanto proporre opposizione di terzo ex art. 404, comma 1, c.p.c. facendo valere un diritto di carattere prevalente (Satta, III, 434). Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno chiarito che l'opposizione ordinaria è esperibile esclusivamente dal litisconsorte pretermesso. In particolare, si è affermato che il terzo legittimato all'opposizione ordinaria ai sensi dell'art. 404, comma 1, c.p.c., ancorché litisconsorte necessario pretermesso (così come il titolare di diritto autonomo e incompatibile, il falsamente rappresentato, il titolare di «status» incompatibile con quello accertato inter alios), non può, al fine di incidere sull'efficacia del titolo, proporre opposizione ai sensi dell'art. 615, comma 1 e 2, avverso l'esecuzione promossa sulla base del titolo giudiziale costituito dalla sentenza pronunciata pur nella sua pretermissione, neppure se la procedura esecutiva, in forma specifica e formalmente diretta contro la parte della sentenza opponibile, lo coinvolga quale detentore materiale del bene, ma può far valere la sua situazione per bloccare l'esecuzione (o l'esecutività del titolo) esclusivamente con l'opposizione ordinaria, nel cui ambito ottenere, ai sensi dell'art. 407, la sospensione dell'esecutività della sentenza (Cass. S.U., n. 1238/2015). Assolutamente peculiare è, peraltro, la posizione del sub-conduttore, ovvero del soggetto cui il conduttore abbia a propria volta locato l'immobile oggetto della procedura. Come già evidenziato, infatti, l'art. 1595 c.c. dispone che la sentenza di rilascio pronunciata tra il locatore ed il conduttore spiega efficacia anche nei suoi confronti, talché lo stesso ha una posizione sostanziale permanentemente dipendente da quella del conduttore. Ciò implica che, anche ai fini dell'esecuzione per rilascio, il sub-conduttore non sia considerato un terzo, con la conseguente piena opponibilità nei suoi confronti del titolo esecutivo per il rilascio (Castoro, 721). Rapporti tra opposizioni esecutive e contestazioni distributive del debitoreIl rapporto, da sempre problematico, tra opposizione all'esecuzione e controversie distributive, si correla anche alla circostanza che, almeno fino alla riforma realizzata dal d.l. n. 59/2016 (come convertito), l'opposizione all'esecuzione poteva essere proposta fino alla conclusione della procedura con la distribuzione del ricavato e, quindi, anche una volta che tale distributiva fase era ormai iniziata. Inoltre, si è sempre ritenuto che anche prima dell'inizio della fase di distribuzione del ricavato, mediante opposizione all'esecuzione potrebbe essere contestato soltanto nel quantum il credito (Cass. n. 15333/2000). In dottrina, in senso critico rispetto a quest'ultimo orientamento, si è evidenziato che lo stesso non pone attenzione al fatto che dall'accoglimento dell'opposizione in tale ipotesi non può derivare la conseguenza tipica del rimedio in parola, ossia porre nel nulla l'intero processo esecutivo, in quanto l'azione intrapresa può essere utilmente continuata per il credito residuo (Oriani, 585). Potrebbe quindi verificarsi una coincidenza nell'oggetto di detti rimedi. In particolare, seguito della riforma realizzata dalla l. n. 80/2005, che ha modificato l'art. 512 c.p.c. nel senso di demandare al giudice dell'esecuzione la risoluzione con ordinanza opponibile ex art. 617 c.p.c. delle controversie sorte in sede di distribuzione del ricavato, è sorto in dottrina l'interrogativo in ordine all'incidenza o meno delle modifiche processuali sull'oggetto delle controversie distributive. Secondo alcuni, la controversia distributiva da strumento di risoluzione della lite volto all'accertamento pieno del diritto alla distribuzione, con decisione idonea al giudicato, sarebbe divenuta mezzo di indagine endoprocessuale inidoneo a produrre effetti al di fuori della sede esecutiva (Luiso, III, 184). Per altri, la modifica dell'art. 512 c.p.c. si sarebbe limitata ad incidere sul procedimento e non già sull'oggetto delle controversie distributive, né sull'idoneità della decisione, resa all'esito dell'eventuale opposizione avverso l'ordinanza emessa dal Giudice dell'esecuzione al giudicato sostanziale (Capponi, 1760 ss.; Tiscini, 1 ss.). In tale direzione è stato osservato che è ormai acquisito nella più recente legislazione processuale che possa aversi una decisione su diritti soggettivi in un «ambiente» procedimentale differente da quello del giudizio ordinario di cognizione, ed a fronte di forme di cognizione di carattere sommario e non è ragionevole ritenere che qualora l'ordinanza del giudice dell'esecuzione venga opposta ex art. 617 c.p.c. la sentenza che decide sull'opposizione agli atti esecutivi, suscettibile anche di ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., possa considerarsi priva di effetti diversi da quelli meramente endoprocessuali (Castoro, 392). In ordine al rapporto tra controversie distributive ed opposizioni esecutive, è rimasto quindi sinora fermo l'orientamento per il quale tali rimedi i possono concorrere avendo un differente oggetto. In giurisprudenza è stato invero ribadito che la diversità tra l'opposizione di cui all'art. 615, proponibile anche nella fase della distribuzione del ricavato dalla espropriazione forzata, e l'opposizione di cui all'art. 512, è data dal differente oggetto delle due impugnazioni, l'una concernente il diritto a partecipare alla distribuzione e l'altra il diritto di procedere all'esecuzione forzata, dovendosi ricercare l'ambito oggettivo e i limiti di applicazione dell'art. 512 nel fatto che non possa formare oggetto di controversia in sede di distribuzione, ai sensi di tale norma, la contestazione del diritto della parte istante di procedere ad esecuzione forzata (Cass. n. 22310/2010). In sostanza, le opposizioni regolate dall'art. 512 sono volte ad accertare il diritto di partecipare alla distribuzione del ricavato, e hanno dunque ad oggetto il credito nella sua esistenza, nel suo ammontare e nel suo carattere privilegiato, mentre l'opposizione ex art. 615 ha ad oggetto il diritto di procedere in executivis e mira a travolgere l'intero processo, sicché la differenza tra i due rimedi risiede nel differente oggetto senza che, ove l'impugnazione sia proposta dal debitore esecutato, possa attribuirsi alcun rilievo alla presenza o meno del titolo esecutivo in capo al creditore contestato (Cass. n. 5961/2001, in Giust. civ., 2002, I, 177, con nota di Delle Donne). In senso almeno in parte diverso, una più recente decisione della S.C. ha evidenziato – pur accedendo in motivazione alla tesi per la quale la riforma di cui alla l. n. 80/2005 non ha inciso sull'oggetto delle controversie distributive – che l'opposizione ex art. 512 e quella proposta ai sensi dell'art. 615 c.p.c.si pongono in un rapporto di successione cronologica, con conseguente esclusione della loro concorrenza, essendo l'una esperibile sino a che non si giunga alla fase della distribuzione, l'altra, invece, a partire da tale momento. Ne deriva che, fino a quando l'opposizione ex art. 615 c.p.c. risulti ancora sub iudice, e al momento in cui la procedura esecutiva pervenga alla fase della distribuzione, i fatti con essa proposti non possono essere dedotti con l'opposizione di cui all'art. 512 c.p.c., né essere valutati automaticamente dal giudice dell'esecuzione (Cass. n. 15654/2013). Peraltro, è stato ribadito – con conseguente potenziale identità di oggetto tra controversia distributiva ed opposizione all'esecuzione – che la previsione del rimedio dell'opposizione distributiva, ex art. 512 c.p.c. non esclude che il debitore esecutato, il quale contesti l'esistenza o anche solo l'ammontare del credito di un creditore intervenuto, di cui si presume l'ammissione alla distribuzione, possa tutelarsi anche prima della suddetta fase attraverso lo strumento dell'opposizione all'esecuzione, di cui all'art. 615, comma 2, c.p.c. sussistendo in ogni momento dell'esecuzione il suo interesse a contestare l'an o il quantum di uno o più tra detti crediti, né rileva che, successivamente alla proposizione della relativa opposizione, il naturale sviluppo della procedura ne comporti il transito alla fase della distribuzione della somma ricavata, comprensiva anche di quanto ritualmente versato a seguito di ordinanza ammissiva di conversione (Cass. n. 7108/2015). Occorre interrogarsi, oggi, sul rapporto tra opposizione all'esecuzione e controversie distributive atteso che il legislatore, mediante l'art. 4 d.l. n. 59/2016 ha limitato la proponibilità dell'opposizione ex art. 615 c.p.c. ad un momento antecedente all'emanazione del provvedimento che dispone la vendita o l'assegnazione. La questione principale attiene, evidentemente, alla possibilità di dedurre nell'ambito di una controversia distributiva contestazioni che sarebbero state proponibili mediante opposizione all'esecuzione. Ad una prima lettura della disposizione novellata, sembra che detto ostacolo non sussista, considerato anche l'ampio oggetto delle controversie distributive, limitatamente alle contestazioni con le quali, in sede distributiva ex art. 512 c.p.c., si contesti l'an e non soltanto il quantum debeatur, trattandosi ai sensi del comma 1 dell'art. 512 c.p.c. di una controversia tra creditori e debitore circa la sussistenza o l'ammontare di uno o più crediti, i.e. del complesso dei crediti azionati nell'ambito della procedura. Ciò potrà comportare, essendo ormai il bene stato oggetto di vendita forzata, anche pretese restitutorie da parte del debitore. Non sembra inoltre preclusa, sempre in sede di distribuzione del ricavato, la possibilità di far valere la carenza di legittimazione attiva di un creditore a procedere ovvero ad intervenire in sede esecutiva, trattandosi, ancora una volta, di una controversia tra debitore e creditore concernente l'esistenza di uno o più crediti. Più problematica appare, invece, la deducibilità in sede distributiva di questioni concernenti la caducazione o l'insussistenza, anche originaria, del titolo esecutivo, questioni che, tuttavia, dovrebbero essere rilevabili d'ufficio dal giudice. Natura del procedimento, posizione processuale delle parti ed onere della provaL'opposizione all'esecuzione è un'azione, promossa dal debitore, di accertamento negativo della pretesa creditoria (Furno, 1942, 140 ss.; Mandrioli, 1980, 439; contra Garbagnati, 1965, 1070; Liebman, 188, per i quali si tratta, invece, di un'azione costitutiva volta ad invalidare, in tutto o in parte, gli atti della procedura). Peraltro, a differenza di quanto avviene nell'opposizione a decreto ingiuntivo, non si verifica alcuna inversione della posizione processuale delle parti. Di conseguenza, poiché l'opponente ha veste sostanziale e processuale di attore, le eventuali «eccezioni» dallo stesso sollevate per contrastare il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata costituiscono causa petendi della domanda proposta con il ricorso in opposizione e sono soggette al regime sostanziale e processuale della domanda, con la conseguenza che l'opponente non può mutare la domanda modificando le eccezioni che ne costituiscono il fondamento, né il giudice può accogliere l'opposizione per motivi che costituiscono un mutamento di quelli espressi nel ricorso introduttivo, ancorché si tratti di eccezioni rilevabili d'ufficio (Cass. n. 1328/2011; conf., in sede di merito, da ultimo, Trib. Castrovillari I, n. 30/2021). È invece riconosciuto al creditore procedente – che assume nell'opposizione la veste sostanziale e processuale di convenuto – il potere non solo di proporre le eccezioni dirette a rimuovere gli ostacoli frapposti alla realizzazione del suo diritto, ma anche di chiedere la condanna del debitore opponente per un titolo diverso, svolgendo all'uopo una domanda riconvenzionale diretta a costituire un nuovo titolo esecutivo che si aggiunge o si sostituisce al primo (Trib. Roma IV, n. 5360/2011). Di regola, spetta quindi all'attore/opponente dimostrare la sussistenza dei fatti costitutivi della propria domanda di accertamento negativo dell'avversa pretesa creditoria (per una recente applicazione v. Trib. Roma IV, n. 16159/2020, in dejure.giuffre.it). In sostanza, nel giudizio di opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. se l'esecuzione è incardinata proprio contro il soggetto contemplato nel titolo esecutivo, spetta a quest'ultimo, esecutato opponente, che in giudizio riveste la qualità formale e sostanziale di attore, dare la prova del fatto sopravvenuto che rende inopponibile od ineseguibile nei suoi confronti il titolo, spettando all'opposto, creditore procedente, soltanto la prova che esso esiste ed è stato emesso appunto nei confronti del soggetto esecutato (o che quest'ultimo sia successore di quello contemplato nel titolo: Cass. n. 12415/2016). Casistica In tema di recupero di spese di giustizia penali, nel giudizio di opposizione ex art. 615 c.p.c. avverso la cartella di pagamento notificata, nel quale il debitore contesti la concreta determinazione dell'importo dovuto sulla base della sentenza penale di condanna al pagamento delle spese del procedimento penale, grava sull'ente creditore l'onere della prova che le somme richieste a titolo di spese di giustizia sono effettivamente dovute dall'intimato, essendo oggetto di autoliquidazione da parte dell'ente creditore stesso, e tale onere va assolto non solo specificando in modo adeguato e comprensibile i presupposti e le modalità della autoliquidazione effettuata in via amministrativa, ma anche documentando l'attività svolta a tal fine dai funzionari competenti, in modo da mettere in condizione il giudice di verificare in concreto se essa sia stata effettuata correttamente, anche con riguardo alla pertinenza delle spese addebitate all'intimato ai reati per i quali egli ha subito condanna (Cass. III, n. 31774/2023). Competenza e procedimento
Opposizione a precetto L'opposizione ex art. 615 c.p.c. può essere proposta anche prima dell'inizio dell'esecuzione forzata a seguito della notifica dell'atto di precetto, ossia dell'intimazione di carattere stragiudiziale mediante la quale il creditore rende noto al debitore che, se entro il termine indicato (che non deve essere di norma inferiore a dieci giorni), non adempie spontaneamente procederà ad esecuzione forzata nei suoi confronti (nel senso che non può considerarsi atto di precetto un mero invito di pagamento v. Cass. n. 2109/2014). L'opposizione c.d. preventiva all'esecuzione forzata si propone, secondo quanto previsto dal comma 1 della disposizione in esame, con atto di citazione dinanzi al giudice competente secondo le regole ordinarie. Difatti, l'opposizione a precetto, integrando una ipotesi di opposizione soltanto preannunciata, al fine di contestare il diritto della parte istante a procedere in executiviis, dà luogo ad un normale giudizio di cognizione volto alla negazione dell'esistenza stessa del credito fatto valere in sede esecutiva e va proposta, con atto di citazione, dinanzi al giudice competente per materia o per valore e per territorio (Trib. Busto Arsizio 25 gennaio 2013). Ne deriva che l'opponente può optare, a seguito della riforma realizzata dal d.lgs. n. 149/2022, tra il rito ordinario e il rito semplificato di cognizione, per come modificati, nella loro struttura, da detto decreto, ulteriormente «emendato» dal correttivo del 2024. Sul punto, anche la S.C. ha così precisato che, sebbene la competenza per le controversie di separazione e divorzio appartenga per materia al Tribunale, la competenza in ordine all'opposizione all'esecuzione avverso l'atto di precetto intimato per l'adempimento coattivo delle obbligazioni di natura economica imposte al coniuge in sede di separazione, va determinata in riferimento al valore della causa secondo i criteri ordinari, trattandosi di controversia diversa da quella concernente il regolamento dei rapporti tra coniugi ovvero la modifica delle condizioni della separazione, che rientra nella competenza funzionale del Tribunale (Cass. n. 20303/2014). In tema di competenza, sulla scorta delle regole generali, è stato osservato, inoltre, che l'opposizione a precettoexart. 615 c.p.c. promossa dall'imprenditore in bonis che, in corso di giudizio, sia stato dichiarato fallito non rientra, ai sensi dell'art. 24 l.fall., nella competenza funzionale del Tribunale fallimentare, trattandosi di un'azione inerente ad un diritto già esistente nel patrimonio del fallito anteriormente alla declaratoria della sua insolvenza, che si sottrae alle regole della concorsualità (Cass. n. 21009/2020). Soltanto con la l. n. 80/2015, è stato introdotto il potere del giudice della cognizione adito con l'opposizione a precetto di sospendere l'efficacia esecutiva del titolo. In precedenza, la possibilità per il giudice di sospendere l'efficacia esecutiva del titolo in sede di opposizione a precetto era considerata preclusa sia sulla base della lettera del comma 1 dell'art. 624 c.p.c., che faceva riferimento all'opposizione all'esecuzione, sia da quella dell'art. 623 c.p.c., norma che attribuiva solo al giudice dell'esecuzione il potere di sospendere l'efficacia esecutiva del titolo (in tal senso, ex ceteris, Cass. n. 10121/2000; Cass. n. 2041/1997; Cass. n. 6543/1990; in sede di merito cfr. Trib. Roma 21 dicembre 1999, in Nuovo dir., 2000, 119; Pret. Prato 3 giugno 1993, in Arch. loc., 1993, 576; contra Pret. Catania 30 marzo 1992, in Foro it., 1993, I, 3440). Secondo una parte della dottrina, tuttavia, questa situazione era gravemente lesiva del principio della parità delle armi nel processo esecutivo, e ciò in quanto l'opposizione ex art. 615 c.p.c. è lo strumento principale di riequilibrio dei poteri delle parti, anche a favore del debitore esecutato, nel processo esecutivo (cfr., tra gli altri, Vaccarella 1998, 369 ss.). Nella giurisprudenza di legittimità si era, pertanto, finito con l'individuare lo strumento per risolvere tale situazione nel provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c., in coerenza con la funzione sussidiaria nel sistema cautelare attribuibile ad una tale misura atipica e dal contenuto innominato (cfr. Cass. n. 2051/2000, in Riv. dir. proc., 2002, 619, con nota di Metafora, e in Riv. esecuz. forzata, 2000, 649, con nota di Cataldi). Oggetto di dibattito sono stati, dopo la novella del 2005, i rapporti tra detto potere di inibitoria e quello di sospensione dell'esecuzione con peculiare riguardo al potere del giudice della cognizione di sospendere l'efficacia esecutiva del titolo una volta iniziata l'esecuzione (Olivieri, 1241 ss.). La S.C. aveva ritenuto, nell'unico precedente intervenuto nel corso degli anni sulla questione, che una volta iniziata l'esecuzione, la funzione della modifica operata sull'art. 615 c.p.c. è esaurita e, di conseguenza, i provvedimenti sospensivi che incidano sul corso del processo esecutivo devono essere domandati al giudice dell'esecuzione (Cass. n. 5638/2006). Questo orientamento era stato ribadito, più di recente, da un'articolata decisione di merito, la quale ha osservato, per un verso, che il potere di sospensione del giudice istruttore adito ex art. 615, comma 1, c.p.c. con l'atto introduttivo del relativo giudizio contenzioso è identico a quello esercitato dal giudice dell'esecuzione nell'ambito della procedura esecutiva su una opposizione alla esecuzione proposta ex art. 615, comma 2, c.p.c. perché la controversia sottoposta alla loro attenzione è la medesima, e non è invece assimilabile al potere di sospensione della efficacia del titolo che possiede il giudice della impugnazione e, per un altro, che una diversa interpretazione, che attribuisse alla sospensione della efficacia esecutiva del titolo adottata dal giudice istruttore in sede di opposizione preventiva a precetto l'effetto di produrre la inidoneità di quel titolo ad essere utilizzato in qualsiasi futura possibile procedura esecutiva, si risolverebbe nella assegnazione a tale giudice di un potere maggiore e più ampio rispetto a quello riconosciuto dall'ordinamento processuale vigente al giudice dell'esecuzione adito con una opposizione esecutivo di identico contenuto, vale a dire di un potere assimilabile a quello esercitato dal giudice della impugnazione, per esempio ai sensi dell'art. 283 c.p.c. e introdurrebbe una disparità di trattamento ingiustificata che violerebbe il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. (Trib. Napoli Nord 27 marzo 2014). Sempre in sede applicativa si è osservato, peraltro, sul presupposto che il potere sospensivoexart. 615, comma 1, c.p.c. ha una portata più ampia in quanto riguarda l'efficacia esecutiva del titolo posto in esecuzione, laddove l'inibitoria resa dal giudice dell'esecuzione attiene alla singola procedura esecutiva, che la soluzione ermeneutica più fedele all'impianto normativo vigente è quella che ammette la coesistenza ed al contempo l'autonomia del potere sospensivo del giudice dell'esecuzione e del giudice dell'opposizione preventiva e, ciò, con la conseguenza che l'eventuale rigetto dell'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo non preclude la reiterabilità della medesima istanza dinanzi al giudice dell'esecuzione ove, nelle more, sia intrapresa l'esecuzione forzata (Trib. Latina II, 21 febbraio 2013). Un ulteriore indirizzo interpretativo è stato peraltro espresso dalla recente giurisprudenza di legittimità sulla questione: la S.C. ha infatti ritenuto che la proposizione al giudice dell'opposizione a precetto di un'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c. preclude all'opponente – per consumazione del potere processuale – di richiedere al giudice dell'esecuzione, per le medesime ragioni, la sospensione della procedura esecutivaex art. 624 c.p.c., ancorché il giudice dell'opposizione a precetto non si sia ancora pronunciato (Cass. n. 26285/2019; in applicazione del principio enunciato dalla Corte di cassazione v. Trib. Napoli Nord III, 22 giugno 2020, in dejure.giuffre.it, secondo cui il g.e. deve dichiarare l'inammissibilità dell'istanza di sospensione laddove la stessa sia stata già proposta al giudice dell'opposizione preventiva e non deve assegnare i termini per l'introduzione del giudizio di merito (dell'opposizione c.d. successiva) perché si tratterebbe, a fronte dell'identità di petitum con la causa di merito già pendente, di un giudizio del tutto inutile (destinato ad essere definito in rito con la declaratoria di litispendenza o con la riunione a quello già pendente, a seconda dei casi, come sopra evidenziato). Tale ricostruzione si fonda sulla considerazione, pure avallata in dottrina, per la quale, proprio il comma 1 dell'art. 624 c.p.c., nella parte in cui attribuisce al giudice dell'esecuzione il potere di sospendere il processo esecutivo nel caso di opposizione a precetto e tace, invece, sul suo potere di sospendere l'esecutività del titolo, consente di risolvere la questione nel senso che sia possibile concedere la sospensione dell'efficacia del titolo anche dopo l'inizio dell'esecuzione forzata (Oriani, 10). Sotto altro profilo, va considerato che l'art. 13, comma 1, lett. dd), d.l. n. 83/2015, è intervenuto sul comma 1 dell'art. 615 c.p.c. al fine di precisare che quando il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata è contestato solo in parte la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo posto a fondamento della minacciata esecuzione forzata può essere solo parziale. La Relazione illustrativa sottolinea che la modifica è volta solo ad avallare sul piano normativo quanto già riconosciuto dalla dottrina e giurisprudenza. Come si evince chiaramente dalla collocazione della stessa nel comma 1 dell'art. 615 c.p.c. la norma riguarda la sola opposizione a precetto. La previsione, in mancanza di un intervento contestuale sull'art. 624 c.p.c. che disciplina la sospensione dell'esecuzione già iniziata, sembra quindi in sé e per sé inapplicabile anche all'opposizione c.d. successiva all'esecuzione. Potrebbe ritenersi che ciò dipenda soltanto da una sciatteria del legislatore, considerato che nella stessa giurisprudenza di legittimità era stato affermato, anche di recente, il principio per il quale è ammessa la sospensione parziale dell'esecuzione (cfr. Cass. n. 22642/2012). Per converso, l'innovazione normativa potrebbe considerarsi, invece, effettivamente limitata all'opposizione a precetto ed essere orientata così anche a chiarire – disattendendo proprio la giurisprudenza richiamata – che, una volta iniziata l'esecuzione forzata, lo strumento dell'opposizione ex art. 615 c.p.c. può essere utilizzato esclusivamente per contestare in toto il diritto del creditore a procedere in executivis, dovendosi attendere la fase della distribuzione del ricavato per contestare il quantum della pretesa esecutiva ai sensi dell'art. 512 c.p.c. Quanto al contenuto della decisione giova considerare la non debenza di una parte soltanto della somma portata dall'atto di precetto non lo travolge per intero, ma ne determina l'annullamento parziale, essendo comunque valida l'intimazione per la parte dovuta e le relative spese, anche nel caso in cui il debitore provveda al pagamento dopo aver ricevuto la sua notifica e prima di proporre opposizione, non incidendo l'adempimento sulla legittimità dell'atto (Cass. n. 24704/2020). La rinuncia al precetto contro il quale sia stata già proposta opposizione non determina l'estinzione del giudizio di opposizione, ma la cessazione della materia del contendere, senza che sia preclusa alla controparte l'iscrizione della causa a ruolo per ottenere il regolamento delle spese del giudizio (Cass. n. 351/2023; Cass. n. 5207/1998). Opposizione all'esecuzione Dopo l'inizio dell'esecuzione forzata, l'opposizione ex art. 615, comma 2, c.p.c. si propone con ricorso dinanzi al giudice dell'esecuzione. Peraltro, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno da lungo tempo chiarito che le forme previste dagli artt. 615 comma 2 e 617 comma 2 c.p.c. non sono richieste a pena di nullità e le predette opposizioni possono, pertanto, essere proposte anche oralmente nell'udienza davanti al giudice dell'esecuzione, ovvero mediante deposito, in tale udienza, di una comparsa di risposta, essendo anche tali forme idonee al raggiungimento dello scopo (costituzione del rapporto processuale cognitivo) proprio degli atti predetti; ne consegue che, una volta proposta in uno dei predetti modi l'opposizione, non è necessario un formale atto di costituzione da parte dell'opponente, che deve ritenersi, anche in mancanza di esso, ritualmente presente e costituito nel processo instaurato a norma dell'art. 618 (Cass. S.U., n. 10187/1998). Sin dalla novella realizzata dalla l. n. 80/2005 l'opposizione all'esecuzione ha una struttura bifasica, svolgendosi prima una fase sommaria dinanzi al giudice dell'esecuzione e poi una eventuale, su iniziativa della parte interessata, dinanzi al giudice di merito (v. Commento all'art. 616). Rispetto a tale assetto, la S.C. ha più volte puntualizzato che l'opposizione esecutiva successiva all'inizio dell'esecuzione va sempre proposta con ricorso al giudice dell'esecuzione e deve svolgersi nel rispetto del principio inderogabile di necessaria bifasicità, conseguendo alla mancata osservanza di tale modello legale la nullità dell'atto introduttivo e, in difetto di sanatoria, l'improponibilità della domanda di merito (Cass. n. 6892/2024). Sulla competenza, è stato precisato che, ai sensi dell'art. 7 R.d. n. 1611/1933, le cause di opposizione all'esecuzione proposte della p.a. sono soggette alle regole contenute nell'art. 27 c.p.c., e non a quelle del foro erariale di cui all'art. 25 c.p.c., restando devolute alla competenza del giudice nel cui circondario si trovano gli immobili oggetto dell'esecuzione, senza che assuma rilievo che l'opponente formuli una contestuale domanda di accertamento dell'usucapione del bene esecutato, trattandosi di domanda funzionalmente collegata all'esecuzione, e quindi rientrante tra i procedimenti per i quali l'art. 7 cit. esclude l'operatività del foro erariale (Cass. n. 8069/2018; Cass. n. 1465/2014). Sotto altro profilo, sempre in tema di competenza, la S.C. ha anche chiarito che in un giudizio di opposizione all'esecuzione riservato alla competenza dei tribunali dell'impresa istituiti ai sensi dell'art. 2, comma 1, d.l. n. 1/2012, conv., con modif., nella l. n. 27/2012, ove si tratti di opposizione promossa in relazione ad un precetto contenente solo l'ordine di pagare una somma di denaro determinata, la competenza spetta al giudice dell'esecuzione come individuato sulla base dei criteri di cui agli artt. 17, 27 e 615 senza che venga in considerazione la particolare competenza di cui all'art. 124, comma 7, d.lgs. n. 30/2005, la quale opera in relazione all'esecuzione delle speciali misure contenute nei commi 1, 3, 4 e 5 del medesimo articolo (Cass. n. 6945/2016). L'opposizione in passato poteva essere proposta sino al momento nel quale l'esecuzione era conclusa. Come si è detto, tuttavia, tale regola non vale più per le procedure di esecuzione forzata per espropriazione nelle quali il ricorso in opposizione all'esecuzione, dopo la riforma del comma 2 dell'art. 615 c.p.c. da parte del d.l. n. 59/2016 (conv. in l. n. 118/2016), deve essere esperito entro l'udienza di vendita o assegnazione. Il decreto con il quale il giudice dell'esecuzione fissa davanti a sé l'udienza per la fase sommaria, assegnando un termine perentorio per la notificazione del ricorso e dello stesso decreto all'opposto, non è soggetto a comunicazione, a cura della cancelleria, al ricorrente, sicché ove quest'ultimo lasci scadere il termine perentorio fissato, incorre nella declaratoria di inammissibilità dell'opposizione, senza potere beneficiare della rimessione in termini. Invece, se il ricorso è stato regolarmente notificato, la mancata comparizione delle parti non incide sull'ammissibilità della domanda e non preclude la possibilità di pervenire ad una pronuncia nel merito, in quanto la regolare instaurazione del contraddittorio pone le condizioni minime per l'attivazione dei poteri officiosi del giudice dell'esecuzione in ordine alla verifica dei presupposti di procedibilità dell'azione espropriativa (Cass. n. 11291/2020). Nella prima fase c.d. sommaria dinanzi al giudice dell'esecuzione lo stesso procederà nelle forme camerali ex art. 185 disp. att. limitandosi, all'esito, a decidere con ordinanza sull'istanza di sospensione dell'esecuzione e sulla competenza e concedendo termine per l'eventuale introduzione del giudizio di merito (v. commento sub art. 616). Nella giurisprudenza di legittimità è consolidato il principio per il quale sussiste litispendenza, e non continenza né connessione, tra una opposizione a precetto, proposta ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c. ed un'opposizione all'esecuzione, successivamente esperitaexart. 615, comma 2, c.p.c. avverso il medesimo titolo esecutivo e fondate su fatti costitutivi dell'inesistenza del diritto di procedere all'esecuzione forzata identici (Cass. n. 10415/2019; Cass. n. 17037/2010). Sempre sul piano processuale, occorre ricordare che, per giurisprudenza altrettanto consolidata della S.C., in caso di contemporanea pendenza di due giudizi, uno di opposizione all'esecuzione minacciata o promossa per la realizzazione di un determinato diritto e l'altro relativo all'accertamento del medesimo diritto fra le stesse parti, deve escludersi una situazione di litispendenza (o eventualmente di continenza) allorché l'opposizione all'esecuzione riguardi il profilo strettamente processuale della promovibilità dell'esecuzione forzata, essendo in tal caso diverse le rispettive causae petendi dei due giudizi, ravvisabili l'una nel rapporto giuridico da cui sorge il diritto di credito per il cui accertamento è stata proposta la domanda introduttiva del giudizio di cognizione e l'altra nella insussistenza delle condizioni che determinano la soggezione del debitore all'azione esecutiva (Cass. n. 10511/2018). La S.C. è recentemente intervenuta sulla problematica della compromettibilità in arbitri delle opposizioni esecutive, distinguendo a tal fine tra opposizione all'esecuzione ed opposizione agli atti esecutivi. In particolare, la Corte ha affermato che la clausola compromissoria riferita genericamente a qualsiasi controversia nascente da un determinato rapporto giuridico cui essa inerisce può essere interpretata – con giudizio riservato al giudice di merito – nel senso che rientrano nella competenza arbitrale anche le opposizioni all'esecuzione forzata, salvo che si controverta di diritti indisponibili; viceversa, non sono compromettibili in arbitri le opposizioni agli atti esecutivi, in quanto la verifica dell'osservanza di regole processuali d'ordine pubblico riguarda diritti di cui le parti non possono mai liberamente disporre. Tale principio è stato argomentato, in motivazione, ricostruendo approfonditamente la problematica, evidenziando che, in primo luogo, l'opposizione all'esecuzione proposta ai sensi dell'art. 615 si configura come un giudizio di accertamento negativo della pretesa esecutiva del creditore procedente, mentre il giudizio di opposizione agli atti esecutivi, ha per oggetto la valutazione di conformità di un segmento del processo esecutivo alle norme che lo regolano. Consegue che nella prima ipotesi si fa questione del diritto sostanziale in base al quale il creditore agisce in executivis, nella seconda della legittimità dei singoli atti esecutivi compiuti dal creditore, dall'ufficiale giudiziario o dal giudice dell'esecuzione. Con l'opposizione agli atti esecutivi, dunque, si denuncia la violazione delle regole processuali dell'esecuzione forzata. Poiché tali norme processuali sono d'ordine pubblico e quindi inderogabili, l'opposizione agli atti esecutivi ha per oggetto diritti indisponibili. È pur vero che i vizi procedurali non sono deducibili una volta decorso il termine di venti giorni previsto dall'art. 617, ma non si tratta di un'ipotesi di convalida per acquiescenza, bensì di decadenza dall'azione. Ne costituisce riprova la circostanza che alcuni di questi vizi sono rilevabili d'ufficio anche dopo la scadenza del predetto termine e possono condurre all'adozione di un provvedimento immediatamente terminativo dell'azione esecutiva. In questa prospettiva la Corte ha evidenziato che le regole dell'esecuzione forzata non sono nella disponibilità delle parti, sicché ai sensi dell'art. 806, comma 1. La S.C. ha ritenuto che diversa conclusione debba invece valere per l'opposizione all'esecuzione. A riguardo, la Corte di legittimità ha infatti osservato che detta opposizione ha ad oggetto il diritto sostanziale del creditore, che, al pari di ogni altro diritto patrimoniale, è liberamente disponibile, salvo che non sia previsto altrimenti dalla legge. L'opposizione all'esecuzione, quindi, può essere decisa dagli arbitri. Ragionando diversamente si avrebbe che, in presenza di una clausola arbitrale, la domanda di accertamento negativo del credito azionato rientrerebbe nella competenza degli arbitri, se proposta preventivamente in via d'azione, e in quella dell'autorità giudiziaria ordinaria, se proposta dopo l'inizio dell'azione esecutiva, pur essendovi identità di causa petendi e di petitum sostanziale. La S.C. ha precisato che, tuttavia, un discorso particolare va fatto per l'eccezione di impignorabilità che, pur dovendosi proporre ai sensi dell'art. 615, comma 2, ha ad oggetto talvolta diritti disponibili ed altre volte diritti indisponibili, come espressamente previsto dall'art. 545, ultimo comma, aggiunto dal d.l. n. 83/2015, convertito con modificazioni dalla l. n. 132/2015, ipotesi nelle quali le relative controversie non sono pertanto compromettibili in arbitri (Cass. n. 7891/2018). Litispendenza Non sussiste litispendenza tra l'opposizione a precetto ex art. 615, comma 1, c.p.c. e la successiva opposizione all'esecuzione ex art. 615, comma 2, c.p.c., nemmeno se fondate su identici fatti costitutivi concernenti l'inesistenza del diritto di procedere all'esecuzione forzata, qualora il debitore abbia avanzato, con la seconda opposizione, anche contestazioni “formali”exart. 617 c.p.c. (nella specie, tardività del deposito della nota di trascrizione del pignoramento) all'esecuzione intrapresa, presentando detta controversia un quid pluris ulteriore sufficiente a rendere detta causa obiettivamente diversa dall'altra (Cass. VI, n. 26541/2022). 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