Codice di Procedura Civile art. 616 - Provvedimenti sul giudizio di cognizione introdotto dall'opposizione 1.

Rosaria Giordano

Provvedimenti sul giudizio di cognizione introdotto dall'opposizione 1.

[I]. Se competente per la causa [17] è l'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice dell'esecuzione [484] questi fissa un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo, a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all'articolo 163-bis, o altri se previsti, ridotti della metà; altrimenti rimette la causa dinanzi all'ufficio giudiziario competente assegnando un termine perentorio per la riassunzione [125 att.] della causa [186 att.]. Quando il giudizio di merito è introdotto nelle forme del rito ordinario di cognizione, sono ridotti della metà anche i termini di cui agli articoli 165,166, 171-bis e 171-ter2.

 

[1] L'art. 14 l. 24 febbraio 2006, n. 52, ha così sostituito l'art. 616. Successivamente l'art. 49, comma 2, della l. 18 giugno 2009, n. 69, ha modificato il presente articolo sopprimendo l'ultimo periodo che recitava: «La causa è decisa con sentenza non impugnabile». Il testo anteriore alla riforma del 2006, recitava: «Provvedimenti del giudice dell'esecuzione. - [I]. Se competente per la causa è l'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice dell'esecuzione, questi provvede all'istruzione a norma degli articoli 175 e seguenti; altrimenti rimette le parti davanti all'ufficio giudiziario competente per valore, assegnando un termine perentorio per la riassunzione della causa». Ai sensi dell'articolo 58, comma 2, della l. n. 69 del 2009, la disposizione, come modificata, si applica ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della medesima legge.

[2] Comma così modificato dall'art. 3, comma 7, lett. s), d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164 , che ha aggiunto in fine il periodo con le seguenti parole «Quando il giudizio di merito è introdotto nelle forme del rito ordinario di cognizione, sono ridotti della metà anche i termini di cui agli articoli 165,166, 171-bis e 171-ter.». Ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.

Inquadramento

Le opposizioni esecutive hanno, sin dalla riforma operata dalla l. n. 80/2005, una struttura bifasica, in quanto vi è prima una fase sommaria, nelle forme del rito camerale, dinanzi al giudice dell'esecuzione e quindi una fase, eventuale, a cognizione piena (Canavese, 1088-1089).

L'introduzione del giudizio di merito nel termine perentorio fissato dal giudice dell'esecuzione una volta esaurita la fase sommaria introdotta a norma dell'art. 615, comma 2, c.p.c.deve avvenire con la forma dell'atto introduttivo richiesta in riferimento al rito con cui l'opposizione deve essere trattata quanto alla fase a cognizione piena (Cass. n. 1201/2012).

Se il giudice dell'esecuzione omette di fissare il termine per l'introduzione del giudizio di merito, detto termine può essere richiesto dalle partiexart. 289 c.p.c. (Cass. n. 22503/2011).

La l. n. 52/2006 (con una previsione eliminata dalla successiva l. n. 69/2009) aveva previsto che le sentenze in tema di opposizione all'esecuzione non sono impugnabili.

Le Sezioni Unite hanno statuito che il regime delle sentenze che abbiano deciso opposizioni all'esecuzione pubblicate tra il 1° marzo 2006 ed il 4 luglio 2009 sono soggette a ricorso per cassazione e non ad appello (Cass. S.U., n. 9940/2009).

Struttura delle opposizioni esecutive

A seguito della riforma realizzata dalla l. n. 80/2005, le opposizioni esecutive sono state strutturate in modo bifasico. In particolare, è prevista una prima fase sommaria, assoggettata a rito camerale, dinanzi al giudice dell'esecuzione che si limita ad esaminare l'istanza di sospensione e le questioni di competenza ed una seconda fase, meramente eventuale, a cognizione piena ed esauriente di fronte al giudice competente (Canavese, 1088-1089).

La S.C. ha avuto occasione di chiarire che la prima fase sommaria dinanzi al giudice dell'esecuzione costituisce connotato indefettibile del procedimento nell'attuale sistema delle opposizioni esecutive. La Corte ha in particolare evidenziato che la preliminare fase sommaria delle opposizioni esecutive (successive all'inizio dell'esecuzione) davanti al giudice dell'esecuzione (ai sensi degli artt. 615, comma 2, 617, comma 2, e 618, nonché 619) è necessaria ed inderogabile, in quanto prevista non solo per la tutela degli interessi delle parti del giudizio di opposizione ma anche di tutte le parti del processo esecutivo e, soprattutto, in funzione di esigenze pubblicistiche, di economia processuale, di efficienza e regolarità del processo esecutivo e di deflazione del contenzioso ordinario. La Corte ha inoltre precisato che l'omissione di tale fase, come il suo irregolare svolgimento, laddove abbia impedito la regolare instaurazione del contraddittorio nell'ambito del processo esecutivo ed il preventivo esame dell'opposizione da parte del giudice dell'esecuzione – non solo in vista di eventuali richieste cautelari di parte, ma anche dell'eventuale esercizio dei suoi poteri officiosi diretti a regolare il corso dell'esecuzione – determina l'improponibilità della domanda di merito e l'improcedibilità del giudizio di opposizione a cognizione piena (Cass. n. 25170/2018; conf., tra le altre, Cass. n. 6892/2024).

In dottrina sono discussi i rapporti tra le due fasi, con particolare riguardo alla natura unitaria o meno del procedimento complessivo.

La giurisprudenza di legittimità sembra ricostruire il procedimento in termini unitari.

In particolare, la S.C. ha affermato che l'opposizione agli atti esecutivi, pur essendo distinta, in due fasi, la prima sommaria e la seconda a cognizione piena, costituisce un unico procedimento, sicché ai fini dell'applicazione del termine d'impugnazione di sei mesi, previsto dall'art. 327 c.p.c., nella nuova formulazione, ed applicabile ai giudizi instaurati dopo l'entrata in vigore della l. n. 69/2009, assume rilevanza il momento in cui è stata introdotta la fase sommaria, con il deposito del ricorso dinanzi al giudice dell'esecuzione (Cass. n. 9352/2017; Cass. n. 9246/2015).

Sempre sulla scorta del principio per il quale il giudizio di opposizione agli atti esecutivi, alla luce delle modifiche apportate agli artt. 618 e 185 disp. att. dalla l. n. 52/2006, pur essendo diviso in due fasi, conserva una struttura unitaria, nel senso che la fase eventuale di merito è in collegamento con la fase sommaria, è stato poi precisato che la procura, rilasciata al difensore per l'opposizione agli atti esecutivi dinanzi al giudice dell'esecuzione, è da intendersi conferita anche per il successivo eventuale giudizio di merito, in mancanza di una diversa ed esplicita volontà della parte che limiti il mandato alla fase sommaria e che, peraltro, l'atto di citazione per il giudizio di merito che segue la fase sommaria dinanzi al giudice dell'esecuzione è validamente notificato presso il difensore nominato con la procura alle liti rilasciata già nella prima fase, in mancanza di una diversa ed esplicita volontà della parte che ne limiti la validità alla prima fase (Cass. n. 7999/2015).

Se si accede a questa impostazione ormai dominante nella recente giurisprudenza della S.C., deve ritenersi che, proposta la domanda già nella fase sommaria, nel passaggio al rito a cognizione piena la stessa non dovrà essere reiterata, sicché, in definitiva, l'atto introduttivo della fase di merito finirebbe con il configurarsi in termini di atto di riassunzione (Luiso, Sassani, 196).

Su un altro versate, è stato tuttavia chiarito in sede di legittimità che nella struttura delle opposizioni, ai sensi degli art. 615, comma 2, 617 e 619, emergente dalla riforma di cui alla l. n. 52/2006, il giudice dell'esecuzione, con il provvedimento che chiude la fase sommaria davanti a sé – sia che rigetti, sia che accolga l'istanza di sospensione o la richiesta di adozione di provvedimenti indilazionabili, fissando il termine per l'introduzione del giudizio di merito, o, quando previsto, quello per la riassunzione davanti al giudice competente – deve statuire sulle spese della fase sommaria, potendosi, peraltro, ridiscutere tale statuizione nell'ambito del giudizio di merito, con conseguente inammissibilità, in ogni caso, del ricorso straordinario per cassazione avverso la relativa statuizione (Cass. n. 22033/2011).

Fase sommaria

Ai sensi della disposizione in esame, il giudice dell'esecuzione laddove ritenga di non essere competente rimette la causa dinanzi all'ufficio giudiziario competente, fissando un termine perentorio per la riassunzione.

Occorre interrogarsi in ordine alla decisorietà o meno di tale provvedimento del giudice dell'esecuzione ai fini dell'impugnabilità dello stesso con regolamento di competenza.

Nella giurisprudenza di legittimità è stata fornita una risposta negativa al relativo interrogativo e con riguardo al regolamento ad istanza di parte (Cass. n. 15629/2010) e rispetto al regolamento d'ufficio (Cass. n. 9511/2010): si è invero evidenziato che il provvedimento adottato dal giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 616 sia esso di prosecuzione innanzi a sé del procedimento di opposizione all'esecuzione a norma dell'artt. 175 ss., sia esso di rimessione al giudice ritenuto competente, costituisce atto ordinatorio di direzione del processo esecutivo e non cognitivo in ordine alla individuazione al giudice competente a conoscere della causa, non avente contenuto decisorio implicito sulla competenza, vi sia stato o meno contrasto fra le parti in ordine al giudice competente (v., da ultimo, Cass. n. 8044/2020).

Un'altra questione problematica, nell'immediata vigenza della norma in esame riformata, era quella che atteneva alle conseguenze dell'omessa indicazione da parte del giudice dell'esecuzione, conclusa la fase sommaria, del termine per l'introduzione del giudizio di merito (termine che andrà indicato anche nell'ipotesi di omessa comparizione delle parti all'udienza fissata per la fase sommaria del giudizio: Cass. n. 17860/2011).

È intervenuta la Corte di Cassazione chiarendo, in primo luogo, che qualora il giudice dell'esecuzione, con il provvedimento positivo o negativo della tutela emesso a chiusura della fase sommaria delle opposizioni di cui agli artt. 615, comma 2, 617 e 619 c.p.c., ometta di fissare il termine per l'introduzione del giudizio di merito (o nelle opposizioni ex art. 615 e 619 per la riassunzione davanti il giudice competente), la parte interessata, tanto se vi sia provvedimento sulle spese quanto se manchi, può alternativamente o chiedere al giudice dell'esecuzione la fissazione del termine con istanza ai sensi dell'art. 289 c.p.c. nel termine perentorio previsto da detta norma o introdurre o riassumere di sua iniziativa il giudizio di merito sempre nel detto termine, restando esclusa comunque l'esperibilità contro l'irrituale provvedimento del ricorso in cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost. (Cass. n. 22503/2011; v. anche Cass. n. 26285/2019).

Rispetto all'omessa statuizione sulle spese la più recente Cass. III, n. 12977/2022, ha in particolare precisato che qualora il giudice dell'esecuzione non liquidi le spese della fase sommaria con l'ordinanza con cui dispone la sospensione della procedura, la parte vittoriosa che abbia interesse alla loro liquidazione ha l'onere di instaurare il giudizio di merito prima della scadenza del termine di cui all'art. 616 c.p.c. o, in alternativa, di avanzare istanza di integrazione del provvedimento ai sensi dell'art. 289 c.p.c., anche allo scopo di garantire alle altre parti (previa eventuale rimessione in termini) la possibilità di contestare la liquidazione nella fase di merito dell'opposizione. Di conseguenza, in caso di inerzia della parte vittoriosa, dette spese non sono più ripetibili, né altrimenti liquidabili.

Qualora il giudice dell'esecuzione, ravvisando identità di petitum e causa petendi fra l'opposizione a precetto e l'opposizione all'esecuzione innanzi a lui pendente, dopo aver provveduto sulla richiesta di sospensiva, non assegni alle parti il termine di cui all'art. 616 c.p.c. per l'introduzione nel merito della seconda causa, la parte interessata a sostenere che le domande svolte nelle due opposizioni non siano del tutto coincidenti, dovrà introdurre egualmente il giudizio di merito, nel termine di cui all'art. 289 c.p.c., chiedendo che in quella sede sia accertata l'insussistenza della litispendenza o, comunque, un rapporto di mera continenza. Infatti, avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione, avente natura meramente ordinatoria, non possono essere esperiti né l'opposizione agli atti esecutivi, né il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., né il regolamento di competenza (Cass. n. 26285/2019, in Ilprocessocivile.it, con nota di Metafora).

La S.C. ha più volte ribadito che l'ordinanza del giudice dell'esecuzione, che ai sensi dell'art. 618, comma 2, c.p.c. chiude la fase sommaria e fissa il termine per l'introduzione del giudizio di merito, non è impugnabile con ricorso straordinario per cassazioneexart. 111, comma 7, Cost., in quanto priva del carattere della definitività (Cass. n. 25169/2014).

Questa soluzione è stata affermata anche con riferimento all'ipotesi nella quale il giudice dell'esecuzione abbia omesso di fissare, nel provvedimento in questione, il termine per l'introduzione del giudizio a cognizione piena e provveda sulle spese, atteso che il provvedimento, di accoglimento o di rigetto, con il quale si chiude la fase sommaria, è privo di definitività ma deve contenere necessariamente la statuizione relativa alle spese, eventualmente riesaminabile nel giudizio di merito, mentre la mancanza del provvedimento ordinatorio relativo all'introduzione della successiva fase (eventuale) del procedimento può essere sanata mediante richiesta d'integrazione formulata ai sensi dell'art. 289, o mediante autonoma iniziativa di parte rivolta all'introduzione del giudizio a cognizione piena, in mancanza delle quali il procedimento si estingue ai sensi dell'art. 307, con conseguente impossibilità di rimettere in discussione la statuizione sulle spese (Cass. n. 16525/2012).

È stato poi precisato che il provvedimento del giudice dell'esecuzione di reiezione dell'istanza di revoca dell'ordinanza di chiusura della fase sommaria, non può essere impugnato con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., perché appartiene esclusivamente alla fase sommaria ed è comunque privo del carattere della definitività anche quando sia stata erroneamente omessa la fissazione del termine perentorio per l'instaurazione del giudizio a cognizione piena, atteso che l'iniziativa dell'iscrizione a ruolo, e la conseguente scelta di intraprendere tale successiva fase, è rimessa esclusivamente all'impulso di parte (Cass. n. 15227/2011).

Stante la mancata definitività del provvedimento che chiude la prima fase sommaria, di valenza solo ordinatoria, il che ne esclude qualsivoglia forma di impugnabilità, da ultimo la Corte di cassazione ha chiarito che anche ove il giudice dell'esecuzione, ravvisando identità di fatti costitutivi tra l'opposizione all'esecuzione innanzi a lui proposta e un'opposizione a precetto già promossa, con il provvedimento di chiusura della fase sommaria non assegni alle parti il termine per promuovere il giudizio di merito, la parte interessata a sostenere la diversità delle domande formulate nelle due opposizioni è tenuta ad introdurre, di sua iniziativa, il giudizio di merito (Cass. n. 26285/2019).

Giudizio di merito

La norma in commento stabilisce che il giudice dell'esecuzione fissa un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo, a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all'art. 163-bis c.p.c. o altri se previsti, ridotti della metà (Menchini, Motto, 189).

Il problema che era sorto, sotto quest'ultimo profilo, a seguito della riforma di cui al d.lgs. n. 149/2022 è stato risolto dal correttivo varato dal d.lgs. n. 164/2024 che ha aggiunto un ultimo periodo nella norma in esame per il quale quando il giudizio di merito è introdotto nelle forme del rito ordinario di cognizione, sono ridotti della metà anche i termini di cui agli artt. 165, 166, 171-bis e 171-ter.

L'utilizzo da parte della norma della locuzione «parte interessata» (in luogo della parte opponente) rende ragione della tesi, espressa in sede di merito, per la quale l'onere di introdurre il giudizio di merito, successivamente alla sospensione dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 616 c.p.c.è pertanto posto a carico non solo dell'opponente ma anche e soprattutto dell'opposto, pena, per quest'ultimo, l'estinzione del processo esecutivo (Trib. Firenze 21 marzo 2007, in Il merito, 2007, n. 7-8, 19, con nota di Alesii e Nocerino).

Sotto altro profilo, la S.C. è intervenuta fornendo importanti chiarimenti sulla non semplice interpretazione della norma.

In particolare, è stato chiarito che l'art. 616 c.p.c., nel testo sostituito dall'art. 14 l. n. 52/2006 deve essere interpretato nel senso che l'introduzione del giudizio di merito nel termine perentorio fissato dal giudice dell'esecuzione all'esito dell'esaurimento della fase sommaria introdotta a norma dell'art. 615, comma 2, c.p.c.deve avvenire con la forma dell'atto introduttivo richiesta in riferimento al rito con cui l'opposizione deve essere trattata quanto alla fase a cognizione piena e, quindi, con citazione previamente notificata e poi iscritta a suolo se l'opposizione rientra nell'ambito delle controversie soggette al rito ordinario, oppure con ricorso depositato presso l'ufficio cui appartiene quel giudice e poi notificato nel termine successivamente, qualora la materia rientri fra quelle soggette a un rito in cui la causa si introduce con ricorso ed è il giudice a fissare l'udienza (Cass. n. 1201/2012).

Si è precisato, sul punto, che, se la causa è soggetta al rito ordinario, detto giudizio di merito deve essere introdotto con citazione da notificare alla controparte entro il termine perentorio fissato dal giudice, mentre l'eventuale concessione di un ulteriore termine per tale notifica o una nuova citazione ad iniziativa spontanea della parte sono ammissibili solo a condizione che, in relazione all'udienza di comparizione indicata dal giudice o indicata nel nuovo atto di citazione, venga rispettato il termine perentorio a suo tempo fissato dal giudice dell'esecuzione (Cass. n. 1152/2011).

La norma in commento è di difficile comprensione laddove prevede che il giudizio di merito deve essere introdotto previa iscrizione della causa a ruolo, posto che detto adempimento di regola segue l'introduzione del giudizio (Proto Pisani, 214 ss.). Appare ragionevole, quindi, la tesi per la quale il termine perentorio assegnato dal giudice dell'esecuzione deve essere riferito all'introduzione del giudizio e non all'iscrizione a ruolo, sicché nessuna sanzione può derivare dall'iscrizione a ruolo effettuata secondo le regole proprie del rito applicabile ed è quindi ammissibile anche un'iscrizione a ruolo posteriore alla notifica della citazione o contestuale al deposito del ricorso (Canavese, 1087).

Questa impostazione è stata confermata nella giurisprudenza di legittimità, all'interno della quale è stato chiarito che, nell'ambito di tutte le cosiddette “opposizioni esecutive”, il termine per la costituzione in giudizio della parte che introduca la fase di merito non subisce alcuna riduzione, essendo, pertanto, di dieci giorni dalla prima notificazione dell'atto di citazione (Cass. n. 21512/2021, la quale ha puntualizzato, inoltre, che la tardiva iscrizione a ruolo della causa non determina l'improcedibilità del giudizio, ma soltanto l'applicazione delle regole generali di cui agli artt. 171 e 307 c.p.c., assolvendo l'iscrizione a ruolo, mero adempimento amministrativo, la funzione di rimarcare l'autonomia della fase a cognizione piena rispetto a quella sommaria dell'opposizione).

Ad ogni modo, ove il giudice, all'esito della fase sommaria, erroneamente assegni alle parti, con l'ordinanza ex art. 616 c.p.c., un termine maggiore rispetto a quello di tre mesi previsto dall'art. 307, comma 3, c.p.c. per introdurre il giudizio di merito o riassumerlo davanti all'ufficio giudiziario competente, non incorre in decadenza la parte che instauri tale giudizio oltre lo spirare dei tre mesi, ma entro il termine in concreto assegnatogli, poiché la legge rimette al giudice di determinare un termine di decadenza entro un limite minimo e massimo, ma non fissa essa stessa un termine perentorio, sostitutivo di quello giudiziario (Cass. n. 10806/2020).

Era discusso in dottrina se il richiamo al procedimento camerale operato dall'art. 185 disp. att. valga solo per l'udienza di comparizione davanti al giudice dell'esecuzione o debba estendersi all'intero procedimento, ma la prima opzione appare più aderente alla ratio legis di contenere la sommarietà del procedimento solo ad una prima fase per poi riservare alla fase di merito l'applicabilità delle norme processuali del procedimento civile di cognizione ordinaria (Capponi, 603).

Sulla questione è ormai intervenuta, peraltro, la S.C. chiarendo che in tema di opposizioni in materia esecutiva ai sensi degli art. 615, comma 2, e 619, la previsione, – nell'art. 185 disp. att., novellato dalla l. n. 52/2006dell'applicabilità del rito camerale si riferisce esclusivamente alla fase a cognizione sommaria davanti al giudice dell'esecuzione, e sottende che la cognizione non segue le regole della cognizione piena, che si applicano, invece, alla fase di merito, quando abbia luogo sia davanti allo stesso giudice dell'esecuzione, sia se si svolga davanti ad un diverso giudice competente nel merito (Cass. n. 3550/2013, la quale ha ritenuto che deve quindi essere escluso che la trattazione della fase a cognizione piena su dette opposizioni sia soggetta al rito camerale, e che la composizione del giudice di merito dell'opposizione in sede decisoria possa essere quella collegiale ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 50-bis).

Se quindi la causa di merito è soggetta al rito ordinario, il giudizio di merito va introdotto con citazione da notificare alla controparte entro il termine perentorio fissato dal giudice (e solo dopo va iscritto a ruolo: Trib. Udine I, 1° dicembre 2018 ). L'eventuale concessione di un ulteriore termine per la notifica o per una nuova citazione, se non è andata a buon fine la prima, sarà ammissibile solo a condizione che sia stato rispettato il termine perentorio a suo tempo stabilito dal giudice dell'esecuzione. Se l'opponente introduce il giudizio con ricorso invece che con citazione, è possibile la conversione dell'atto irregolare, ma ai fini del rispetto del termine perentorio fissato dal giudice dell'esecuzione, egli deve in tale termine non solo depositare il ricorso, ma anche provvedere alla sua notificazione.

Qualora, invece, la causa appartenga alla competenza per materia del giudice del lavoro e, ai sensi dell'art. 618-bis, comma 1, c.p.c., sia disciplinata dalle norme previste per le controversie individuali di lavoro, in quanto relativa ad esecuzione forzata promossa in base a provvedimenti emessi dal giudice del lavoro, il giudizio di merito va introdotto con ricorso da depositare nella cancelleria del giudice competente entro il termine perentorio fissato dal giudice dell'esecuzione (Cass. n. 12055/2014).

La fase di merito dell'opposizione avverso l'esecuzione forzata promossa per crediti derivanti da inadempimento agli obblighi di mantenimento stabiliti in sede di separazione o divorzio è soggetta al rito ordinario e deve quindi essere instaurata con atto di citazione (cfr. Cass. n. 9330/2021).

Laddove invece il termine per l'introduzione del giudizio di merito non sia rispettato ne conseguirà ex art. 307 c.p.c.l'estinzione immediata del procedimento (Menchini-Motto, 183).

Il giudice, all'esito della fase sommaria, erroneamente assegni alle parti, con l'ordinanza ex art. 616 c.p.c., un termine maggiore rispetto a quello di tre mesi previsto dall'art. 307, comma 3, c.p.c. per introdurre il giudizio di merito o riassumerlo davanti all'ufficio giudiziario competente, non incorre in decadenza la parte che instauri tale giudizio oltre lo spirare dei tre mesi, ma entro il termine in concreto assegnatogli, poiché la legge rimette al giudice di determinare un termine di decadenza entro un limite minimo e massimo, ma non fissa essa stessa un termine perentorio, sostitutivo di quello giudiziario (Cass. n. 10806/2020).

In senso sostanzialmente analogo è stato evidenziato che in tema di opposizione all'esecuzione, il termine per l'iscrizione della causa a ruolo nella fase di merito previsto dall'art. 616 c.p.c. è espressamente definito perentorio, con la conseguenza che l'omesso rispetto dello stesso determina l'improcedibilità dell'opposizione, anche ove la parte convenuta si sia a propria volta tardivamente costituita (Cass. n. 1058/2018).

Rispetto al novero delle difese che possono essere spiegate nel giudizio di merito è stato sottolineato, anche di recente, dalla S.C. che nel giudizio di opposizione all'esecuzione, ex art. 615 c.p.c., l'opponente ha veste sostanziale e processuale di attore, sicché le eventuali «eccezioni» da lui sollevate per contrastare il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata costituiscono causa petendi della domanda proposta con il ricorso in opposizione e sono soggette al regime sostanziale e processuale della domanda: ne consegue che l'opponente non può mutare la domanda modificando le eccezioni che ne costituiscono il fondamento, né il giudice può accogliere l'opposizione per motivi che costituiscono un mutamento di quelli espressi nel ricorso introduttivo (Cass. n. 17441/2019, la quale ha rigettato il ricorso avverso sentenza che aveva ritenuto tardiva la deduzione dell'opponente, rassegnata solo in sede di memorie di cui all'art. 183, comma 6, relativa alla non assoggettabilità ad espropriazione forzata dell'immobile staggito in quanto oggetto di provvedimento di assegnazione della casa coniugale, emesso in sede di giudizio di separazione ed asseritamente opponibile al creditore procedente ed a quelli intervenuti nell'esecuzione).

Nel senso che il provvedimento con cui il giudice del merito di un'opposizione esecutiva disponga erroneamente la rimessione degli gli atti al giudice dell'esecuzione per lo svolgimento della fase sommaria, già regolarmente svoltasi, costituisce un atto meramente interno, preparatorio e organizzativo, insuscettibile di opposizione ex art. 617 c.p.c.; ne consegue che la parte o il giudice dell'esecuzione possono richiedere al presidente del tribunale di stabilire la definitiva assegnazione dell'affare, la quale, una volta disposta, onera il giudice incaricato di trattare la controversia nelle corrette forme, definendo il procedimento secondo la sua effettiva natura e l'oggetto, previa esatta qualificazione e idoneo inquadramento della domanda proposta v., poi, Cass. n. 28319/2023.

La domanda di opposizione all'esecuzione non è soggetta alla sospensione dei termini per il periodo feriale.

Occorre considerare che per consolidata giurisprudenza, nel caso di domanda accessoria e consequenziale ad una opposizione all'esecuzioneexart. 615 c.p.c., il giudizio ha ad oggetto un'unica causa, per sua natura sottratta alla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, sicché, in relazione agli atti volti a radicare il giudizio di impugnazione davanti al giudice di grado superiore, compreso il giudizio di cassazione, per entrambe le domande trova applicazione la disciplina relativa all'opposizione all'esecuzione in quanto domanda proposta in via principale (Cass. n. 7421/2021; Cass. n. 25856/2013).

A riguardo, è stato precisato che tale principio opera anche se è stata presentata una domanda di risarcimento danni da responsabilità processuale aggravataex art. 96 c.p.c. e ciò perché l'esenzione dalla sospensione feriale dei termini, applicabile per la natura della causa, lo è anche per la domanda accessoria perché accessorium sequitur principale (Cass. n. 20354/2020; Cass. n. 4653/2015).

Per altro verso, è stato precisato che la sospensione feriale dei termini processuali non si applica alle opposizioni esecutive anche quando nel relativo giudizio permanga, quale unica questione controversa, quella attinente al regolamento delle spese processuali, in quanto la condanna alle spese assolve alla funzione di assicurare la pienezza di tutela della situazione dedotta nel processo, per cui la lite su tale aspetto, sia che attenga alla soccombenza virtuale sia che riguardi le regole relative alla statuizione sulle spese e sulla loro misura, inerisce sempre alla ratio della sospensione disposta per la natura della controversia alla quale le spese stesse si riferiscono (Cass. n. 27747/2017).

Sotto altro profilo, va considerato che l'atto di riassunzione dei giudizi di opposizione esecutiva (sia che si tratti di opposizione all'esecuzione, sia che si tratti di opposizione agli atti esecutivi o di opposizione di terzo all'esecuzione, rispettivamente proposte ai sensi degli artt. 615,617 e 619 c.p.c.) davanti al giudice del rinvio, ai sensi dell'art. 392 c.p.c., deve avvenire nella medesima forma (citazione o ricorso) nella quale deve avvenire l'instaurazione del giudizio di merito della relativa opposizione a cognizione piena, ai sensi degli artt. 616,618 e 618-bis c.p.c., non potendo certamente ritenersi che possa o debba avere nuovamente luogo la fase sommaria del giudizio, per la quale è prevista l'introduzione con ricorso; di conseguenza, se il giudizio di merito dell'opposizione a cognizione piena debba avvenire con atto di citazione, in ragione dell'applicabilità del rito ordinario di cognizione, nella stessa forma dovrà avvenire la sua riassunzione a seguito di cassazione con rinvio della decisione di merito e, se la suddetta riassunzione avvenga erroneamente con ricorso anziché con atto di citazione, essa potrà ritenersi tempestiva, secondo le regole generali, solo nel caso in cui la notificazione del ricorso sia effettuata entro il termine perentorio previsto dall'art. 392, comma 1, c.p.c. (Cass. n. 38323/2021).

Regime della sentenza

Prima dell'emanazione della l. n. 52/2006, le sentenze pronunciate in sede di opposizione all'esecuzione, a differenza di quelle rese nell'ambito del giudizio di opposizione agli atti esecutivi, erano appellabili, in virtù della regola generale stabilita dall'art. 339.

Tale diversità di regime non era considerata irragionevole poiché l'opposizione all'esecuzione innesta un ordinario processo di cognizione avente ad oggetto la sussistenza, nel merito, del diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata, mentre mediante l'opposizione agli atti esecutivi sono denunciati vizi o irregolarità formali «interni» al procedimento esecutivo (Vaccarella, 1990, 8).

La predetta l. n. 52/2006 è, tuttavia, intervenuta, con il suo art. 14, comma 1, sul disposto dell'art. 616 c.p.c., stabilendo che il giudizio di opposizione all'esecuzione è deciso con sentenza non impugnabile ed escludendo, pertanto, la sola appellabilità di tale pronuncia, considerato che l'art. 111, comma 7, Cost., ammette il ricorso c.d. straordinario per cassazione avverso le sentenze per violazione di legge.

In ordine all'ambito applicativo di tale regola, nonostante le perplessità espresse da una parte della dottrina, nella giurisprudenza di legittimità se ne è affermata un'interpretazione estensiva, nel senso dell'operatività della stessa per definire il regime sia delle opposizioni all'esecuzione in senso stretto sia dell'opposizione c.d. a precetto, proposta, prima dell'inizio dell'esecuzione forzata, ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c. Al contempo, è stato precisato che la regola della non impugnabilità, rectius dell'inappellabilità della sentenza, concerne anche quella pronunciata dal giudice di pace, pure se per ragioni di equità, prevalendo sul disposto del comma 3 dell'art. 339 c.p.c. (Cass. n. 14179/2008).

Tuttavia, in conformità alla giurisprudenza della S.C., la domanda riconvenzionale formulata dall'opposto, quale convenuto nel giudizio di opposizione all'esecuzione, per la sua completa autonomia rispetto alla principale, non è soggetta alla regola d'impugnazione prevista per la decisione dall'art. 616, come novellato dall'art. 14 l. n. 52/2006, con la conseguenza che il capo di sentenza che decide sull'opposizione è ricorribile soltanto per cassazione, mentre quello che decide sulla domanda riconvenzionale resta soggetto agli ordinari mezzi di gravame (Cass. n. 21908/2008).

La l. n. 52/2006 è priva sia di vacatio legis sia di disciplina transitoria, sicché le previsioni introdotte dalla stessa sono vigenti a far data dal 1° marzo 2006, giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 49/2006, ed applicabili, in ragione del principio tempus regis actum, agli atti processuali compiuti anche nei processi già incardinati.

Occorre considerare che la regola della non appellabilità delle sentenze sulle opposizioni all'esecuzione, decise tra il 1° marzo 2006 e l'entrata in vigore della l. n. 69/2009, ricorribili solo per cassazione ex art. 111 Cost., è applicabile anche alle decisioni sulle opposizioni di cui all'art. 615, comma 1, c.p.c. secondo una lettura costituzionalmente orientata che esclude disparità di trattamento tra sentenze destinate, di norma, a risolvere controversie di analoga portata (Cass. n. 20886/2015).

Diversamente, la sentenza che definisce, in primo grado, il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo exartt. 548 e 549 c.p.c., nei rispettivi testi, utilizzabili ratione temporis, anteriori alla novella di cui all'art. 1, comma 20, l. n. 228/2012, è appellabile anche se pubblicata tra il 1 marzo 2006 e il 4 luglio 2009, in quanto sottratta al regime di non impugnabilità, previsto dall'art. 616 come modificato dall'art. 14 l. n. 52/2006, esclusivamente per le opposizioni all'esecuzione (e, in virtù del rinvio espresso contenuto nell'art. 619, per quelle di terzi: Cass. n. 6410/2015).

Con riguardo al regime delle sentenze pronunciate in tema di opposizione all'esecuzione nella vigenza dell'art. 616, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno statuito che, poiché ai fini dell'individuazione del regime di impugnabilità di una sentenza occorre avere riguardo alla legge processuale in vigore alla data della sua pubblicazione, le sentenze che abbiano deciso opposizioni all'esecuzione pubblicate nel periodo compreso tra il 1° marzo 2006 ed il 4 luglio 2009 sono soggette a ricorso per cassazione e non ad appello, qualunque sia stato il contenuto della statuizione oggetto di impugnazione (Cass. S.U., n. 9940/2009).

È pertanto inammissibile l'appello proposto, in luogo del ricorso per cassazione, avverso la sentenza del tribunale pronunciata in materia di opposizione all'esecuzione e pubblicata nel periodo compreso tra il primo marzo 2006 e il 4 luglio 2009, non trovando applicazione il principio di conservazione dettato dall'art. 159, comma 3 che opera quando l'atto non solo abbia i requisiti di forma e di sostanza di quello in cui viene convertito, ma sia stato proposto dinanzi al giudice competente per il grado di giudizio, né potendosi procedere alla translatio iudicii, ipotizzabile solo quando sia stato adito un giudice del medesimo grado di quello effettivamente competente (Cass. n. 24920/2015).

In tale prospettiva, è stato precisato che l'impugnazione della sentenza non definitiva, qualora la parte soccombente ne abbia fatto riserva ex artt. 340 e 361 è assoggettata al medesimo regime previsto per quella della sentenza definitiva, atteso che la prima di tali decisioni non rompe l'unitarietà del procedimento destinato a concludersi con la seconda, sicché, sebbene pronunciata in data anteriore all'1 marzo 2006, non è appellabile la sentenza non definitiva in materia di opposizione all'esecuzione, quando quella definitiva, contestualmente alla quale essa sia stata impugnata, sia stata resa tra la predetta data ed il 4 luglio 2009 (Cass. n. 4979/2016).

La l. n. 69/2009 ha nuovamente modificato l'art. 616, eliminando l'ultimo inciso relativo alla decisione del giudizio di opposizione all'esecuzione con sentenza non impugnabile, con conseguente reintroduzione del regime, previgente all'emanazione della l. n. 52/2006, dell'appellabilità di tale pronuncia, in ragione del disposto del comma 1 dell'art. 339 c.p.c.

L'art. 58 l. n. 69/2009 detta un'articolata disciplina transitoria, dalla quale si evince che sottrae la modifica della stessa alla regola generale dettata dal comma 1 per la quale le nuove norme trovano applicazione – in virtù del principio tempus regit processum – solo ai giudizi incardinati successivamente alla data di entrata in vigore della stessa, i.e. al 4 luglio 2009, specificando che la medesima opera anche nei giudizi pendenti, in tale data, in primo grado.

Proprio con riguardo al regime intertemporale delle sentenze in tema di opposizione all'esecuzione, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, risolvendo questione di massima di particolare importanza, hanno enunciato il principio per il quale, nell'ipotesi di cassazione con rinvio innanzi al giudice di primo ed unico grado, la sentenza del giudice di rinvio (salvo il caso di rinvio cd. restitutorio) è impugnabile in via ordinaria solo con ricorso per cassazione, senza che rilevi l'intervenuta modifica, sopravvenuta nelle more, del regime di impugnabilità della decisione cassata, atteso che il giudizio di rinvio conseguente a cassazione, pur dotato di autonomia, non dà luogo ad un nuovo procedimento, ma rappresenta una fase ulteriore di quello originario (Cass. S.U., n. 11844/2016, in Giur. it., 2016, n. 11, con nota di Giordano; conf., di recente, Cass. n. 31081/2023; Cass. n. 5812/2019).

Bibliografia

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